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sommario 4/2006
Editoriale
   
   
Forum
Privacy e sicurezza - la difficile convivenza
Rispondono: Alfredo MANTOVANO, Francesco PIZZETTI, Armando SPATARO
Un binomio, quello che coniuga la sicurezza e la privacy, divenuto inscindibile al punto che, attraverso un processo di simbiosi semantica, nel linguaggio mediatico comune un concetto attira l'altro, prescindendo dalla circostanza che questo "altro" (sia esso "sicurezza" o "privacy") venga letteralmente espresso. Un aspetto, quello appena descritto, già gravido di numerosi interrogativi, primo fra tutti quello che cerca di comprendere se la privacy sia il fattore esclusivo capace di dare coerenza agli strumenti, alle strategie ed alle decisioni in materia di sicurezza, o se invece non vi siano anche altri fattori, soffocati dal successo che sembra riscuotere il "diritto di essere soli" in questa nostra epoca. Una relazione che apre a diversi paradossi, evidenti e carsici, e che simboleggia, vista la sua complessità, le difficoltà che gli stati nazionali oggi attraversano, carichi di istituzioni e principi non più al passo con i tempi ma non ancora pronti per trasformarsi in qualcosa di diverso. Ed è quel "qualcosa", concetto davvero vago per esprimere l'obiettivo finale di trasformazione dell'organizzazione sociale e politica, che consente proprio per tale ontologica vaghezza a due diritti, per quanto essi siano fondamentali, di sostituirsi al motore di ogni trasformazione sociale e istituzionale...... (foto ansa)
 
Saggi e articoli
Se l’Occidente arretra tornano i talebani
di Franz GUSTINCICH
Il brano propone una chiara descrizione degli eventi che hanno reso l'Afghanistan il centro dell'ecumene neofondamentalista ed è in grado di offrire un quadro ordinato logicamente e cronologicamente. L'autore espone diversi elementi su cui riflettere, e ci riesce, evitando di influenzare l'opinione che nasce dalla lettura. Si tratta, di là delle specifiche e contingenti riflessioni, di un utile promemoria cui ricorrere per ricordare le dinamiche che hanno fatto di quel paese il luogo di genese del neofondamentalismo qaedista. (foto ansa)
Neofascismo e Islam
ovvero le amicizie pericolose

articolo redazionale
Uno scenario davvero complesso, quello dell'universo anarchico, chiaramente delineato nel brano proposto. E' un fenomeno sociale le cui dimensioni ridotte non ne diminuiscono il rischio e non ne influenzano la capacità di alimentare una notevole tensione nei territori che in prevalenza ne sono interessati. Ciò che preoccupa è la capacità di questi movimenti di catturare e di fidelizzare il malcontento giovanile e di incanalarlo nell'alveo di una lotta che può avere obiettivi ma non esiti e che non contribuisce affatto alla crescita politica del paese, della quale rappresenta, anzi, una delle zone d'ombra. Fenomeni di questo tipo costituiscono una costante di ogni sistema democratico, forse uno scotto da pagare e fino a quando non saranno assorbiti e ricondotti nell'ambito del dibattito ufficiale e civile su come vada organizzata la vita in società (poiché anche la posizione di un anarchico, se lealmente rappresentata, merita attenzione in una democrazia), continueranno ad essere giustamente perseguiti e compressi in un microcosmo che ne limita fortemente la capacità di espressione, un microcosmo che non sembra invero preoccupare i sostenitori di queste posizioni estremiste che, anzi, lo considerano il naturale campo di espressione delle loro idee, quasi come se esse ontologicamente avessero una dimensione così limitata. In una democrazia tutto ciò origina e determina l'inevitabilità del fallimento. (Edizione araba di Mein Kampf)
Antagonismo all’attacco dell’obiettivo precariato
articolo redazionale
Perché negli ambienti antagonisti - e anche altrove - l'espressione "lotta alla precarietà!" è diventata la nuova parola d'ordine? Per quale ragione si parla di precarietà con riferimento a contesti diversi da quelli "propriamente economici" (precarietà e repressione, precarietà ed immigrazione, precarietà della "formazione e dei saperi", precarizzazione dei diritti)? Come mai è in atto, oggi, un processo di estensione semantica del concetto di precarietà? Precarietà ed incertezza - sostiene il pensiero di matrice alternativa - formano il cuore del sistema economico e sociale post-fordista. Secondo questa tesi, perché il "nuovo capitalismo" possa celebrare la propria apoteosi è necessario che vengano travolti tutti gli ostacoli che si frappongono all'affermazione incondizionata dei suoi poteri. Non basta, dunque, flessibilizzare la produzione, ridurre il costo del lavoro, "disarticolare" il movimento sindacale: occorre anche precarizzare i diritti, rendere aleatoria la loro tutela, contrastare la diffusione di un sapere critico. La flessibilità, in quest'ottica, lungi dall'essere un portato inevitabile della globalizzazione, appare come il frutto di una chiara scelta di politica economica. E tutto ciò mentre si assiste alla comparsa di un "homo novus": un individuo sempre più fragile, incapace di progettare il proprio futuro, angosciato dal vuoto di un'esistenza incerta. (foto ansa)
La strategia del Giappone contro il terrorismo
di Luigi RAFFONE
C'è stato un tempo, non così lontano, in cui la società giapponese aveva catturato l'attenzione degli analisti occidentali. Non si trattava soltanto della esigenza di conoscere un sistema che, in economia, si riteneva unico nel mondo, ma c'era qualcosa in più, che andava oltre il fascino esotico della terra del Sol Levante. La cultura giapponese si stava dimostrando in grado di adottare alcuni degli schemi occidentali e di salvaguardare gelosamente, numerose proprie caratteristiche: questo mix rendeva il sistema particolarmente efficace. Agli occhi dei politici e dei sociologi occidentali, il Giappone poteva costituire l'esempio di una alternativa di sviluppo possibile. Oggi la situazione è cambiata: mentre altri sistemi hanno catturato la nostra attenzione, il Giappone ha evidenziato molti limiti, differenze difficili da comprendere. Tra queste ve ne sono diverse che riguardano le strategie di gestione del sistema della sicurezza. L'articolo propone, a questo proposito, una analisi degli strumenti adottati in quella terra per ostacolare le diverse forme di terrorismo. Le differenze tra quanto accade in Europa e le dinamiche del Sol Levante sono così evidenti da imporre interessanti riflessioni. (foto ansa)
La politica iraniana e la variabile ‘fazionalismo’
di Nicola PEDDE
Mahmood Ahmadinejad ha assunto nel corso degli ultimi mesi un ruolo ed una popolarità inaspettata in larga parte del Medio Oriente, progressivamente trasformandosi un un'icona del sentimento anti-occidentale nell'intera regione, ed ironicamente più nel contesto arabo che non in quello del suo paese. Il programma nucleare iraniano è stato artificialmente trasformato nel punto più importante dell'agenda degli Stati Uniti, dell'Unione Europea e delle Nazioni Unite, mentre il Libano ha dimostrato l'abilità di Teheran nel saper sfruttare una crisi al di fuori dei suoi confini, e nello sviluppare sempre più forti legami con le comunità sciite nel mondo. L'attenzione dei principali attori internazionali, oggi, è tuttavia attratta in larga misura da quello che con ogni probabilità può essere giudicato come un falso obiettivo, o quantomeno un elemento secondario; il programma nucleare iraniano. Al contrario, invece, la reale ragione del sempre più intenso attivismo iraniano è dovuto, in misura maggiore, al crescente e sempre più evidente fazionalismo ai vertici dell'elite della Repubblica Islamica, e non già in un improbabile riproporsi dell'originale - ed anzi accentuato - concetto ispiratore della rivoluzione islamica. Comprendere le reali radici di questo processo di trasformazione interno, e gli obiettivi delle varie fazioni, rappresenta l'unico modo per tracciare un effettivo piano d'azione per diminuire l'influenza negativa del cosiddetto "fattore iraniano". E’ lecito ritenere che attraverso una più mirata indagine sulle dinamiche del problema, invece di eccessive attenzioni e coinvolgimenti sulla questione nucleare, possa essere favorita la soluzione della crisi. Agevolando al tempo stesso la naturale evoluzione di quella che sembra essere la vigilia di una importante trasformazione nel sistema politico della Repubblica Islamica dell'Iran. (foto ansa)
Come i movimenti clandestini costruirono lo Stato d’Israele
di Alberto OGGERO
La storia degli eventi che condussero alla creazione dello Stato di Israele e quella dei movimenti ideologici e dei gruppi militanti che la resero possibile, stanno alla base dell’odierno Israele e sottolineano come la costituzione di forze militarmente organizzate abbia rappresentato uno degli strumenti essenziali per l’attuazione e lo sviluppo di una politica militare basata su ideali nazionali tesa alla creazione di uno Stato Ebraico. La clandestinità fu il comun denominatore per molti di questi gruppi nella Palestina al tempo del Mandato britannico. Quella dei gruppi para-militari fu in questo caso una cladestinità atipica dove la politica militare delle forze di occupazione britanniche giocò, almeno all’inizio, un ruolo trainante orientato verso l’uso e la manipolazione di queste risorse esterne per il raggiungimento di scopi politici inquadrati in un’ottica, forse già al tempo inadatta, di gestione coloniale. E’ un dato di fatto comunque che il binomio e le sinergie attuate da milizie ebraiche e piattaforma politica sionista furono efficaci al punto di ottenere il merito per aver effettivamente condizionato gli eventi sino alla proclamazione dello Stato di Israele in Palestina. Come molto spesso accade, quando gli avvenimenti vengono riscritti dalla storia, anche in questo caso, molte delle ombre che hanno caratterizzato i momenti critici dei movimenti nazionali sono state cancellate e messe da parte lasciando spazio a semplificazioni che non rendono giusta verità alla complessità della natura umana ed agli eventi da essa prodotti. A questo proposito la intermittente clandestinità dei gruppi ebraici in Palestina e gli eventi che la caratterizzarono rappresentano la chiave per una lettura storica obiettiva.
(foto da www.zionism-israel.com)

Manifesti musulmani contro il terrorismo
di Valentina COLOMBO
Il fenomeno del terrorismo islamico e la crescente diffusione del radicalismo religioso nei paesi musulmani devono essere contrastati nella maniera più adeguata individuandone gli effettivi "colpevoli". L'unica strategia che possa portare a buon fine la lotta al terrorismo è quella che implica una reale condanna del terrorismo in tutte le sua manifestazioni. Le dichiarazioni di disapprovazione dell'atto terroristico in se stesso da parte di alcuni leader o religiosi islamici non bastano a definire questi ultimi quali nostri alleati. Come meglio spiegato nell'articolo, infatti, gli stessi ulema che hanno condannato l'attacco alle Torri all'indomani dell'11 Settembre sono stati in seguito autori e promulgatori di fatwa, più o meno cifrate, sia contro i contingenti militari ed i civili occidentali in Iraq, sia contro qualsiasi musulmano liberale che si sia permesso di criticare le interpretazioni estremiste del Corano. I giureconsulti islamici spesso, tramite le opinioni giuridiche emesse, istigano al terrorismo e legittimano gli attacchi suicidi sotto il vessillo dell'Islam. Da qui la necessità di individuare e distinguere, una volta per tutte, le vere condanne al terrorismo provenienti da gruppi di musulmani liberali da quelle invece opportunistiche di alcuni noti religiosi islamici. (foto ansa)
Le organizzazioni transnazionali stanno globalizzando il crimine
di Vincenzo DI PIETRO - Dario FASCIANO
Le attività collegate alla criminalità organizzata risultano, negli ultimi anni, in continua espansione grazie sia all'utilizzo delle nuove tecnologie sia alla evidente crescita economica dovuta al continuo aumento dei proventi derivati da commerci illeciti. Si parla di fiorenti attività nei settori del commercio di armi convenzionali e non, commercio di organi, mercato della droga e della prostituzione. Il tipico modus operandi della criminalità prevede, inoltre, che gli introiti illeciti derivanti da attività criminose vengano reinvestiti in attività legali facenti capo a società gestite spesso da prestanome, impedendo in tal modo alle autorità giudiziarie preposte di verificare il reato ed evitando allo stesso tempo l'applicazione delle condanne detentive previste. Anche i rapporti del Consiglio d'Europa in materia di criminalità organizzata sottolineano l'alto indice di pericolosità delle nuove organizzazioni internazionali dedite al crimine, frutto di accordi di cooperazione tra le differenti mafie le quali hanno ampliato le loro attività a livello globale abbandonando la dimensione regionale che prima le caratterizzava. Nel quadro delineato, gli autori descrivono infine, attraverso maggiori approfondimenti, l'esperienza americana e quella italiana nel campo della legislazione volta a limitare il fenomeno del reato di evasione fiscale in cui tali organizzazioni incorrono conseguentemente ai traffici operati. ( foto ansa)
 
Rubriche

STORIE DI CASA NOSTRAarticolo redazionale
Sicilia latitante
quando l’ora si avvicina

Il racconto si propone di sondare la complessa e caduca emozione di un latitante siciliano alla vigilia della sua cattura, quando i mille rivoli dell’esperienza che portano con sé i detriti e le piene degli anni più intensi dell’esperienza mafiosa, dal dopoguerra ad oggi, sfociano nella ineludibile fine dettata dalla cattura. Il personaggio, di fantasia anche se strumentalmente indossa la maschera provenzaniana, testimonia il disagio di una generazione mafiosa che ha attraversato le fasi dell’aggressività dei giovani mafiosi del dopoguerra, ribelli al giogo dei boss “antichi”, dell’affermazione violenta e subdola sia all’interno dell’organizzazione sia nel contesto esterno, dell’ipertrofia delirante e terroristica dello scontro allo Stato e del tentativo di mimetizzazione del defilamento successivo degli ultimi tempi. L’Autore, quindi, cerca un’analisi possibile dell’attuale schizofrenia mafiosa, della probabile fine del padrinato. E’ forse il confronto tra vecchia e nuova mafia osservato dagli occhi della prima, entrambe feroci e violente, distinte forse solo dalla storia diversa e irripetibile che apre iati incolmamabili. E’ anche l’immagine mafiosa dell’odio verso il nemico ma nel contempo della necessità di conoscerlo, che è alla base dello spirito dell’analisi e incuriosisce vederlo coltivato dal nemico tra le pareti unte e latitanti dell’ovile.(foto ansa)

DALL'ARCHIVIO ALLA STORIAarticolo redazionale
Oggi come ieri parla il telefono
quel fruscio lungo la linea......

Tre centralini, una serie di nomi e numeri. Visti così, i fogli qui riprodotti possono apparire piuttosto enigmatici. Per chiarire un po’ le cose, basterà aggiungere che erano contenuti in una busta inserita nel fascicolo “Conversazioni telefoniche sospette” del Ministero dell’Interno, datata 1921 e classificata “riservatissima”. I centralini, in effetti, erano la cabina di regia per le intercettazioni di linee telefoniche ritenute “sensibili”. Se si volesse spulciare tra i nominativi registrati, non poche sarebbero le sorprese. Gli altri documenti che presentiamo testimoniano, invece, la nascita e lo sviluppo di quello che all’epoca veniva chiamato “servizio audizioni”. Si trattava di un ufficio che, considerate le scarse tecnologie allora disponibili, aveva non pochi problemi nel garantire la riservatezza sul proprio operato. Fastidiosi “fruscii” e “crepitii” sulla linea denunciavano ad esempio la presenza, in ascolto, dell’incolpevole maresciallo di turno. Queste indiscrete interferenze erano così diffuse da essere perfino denunciate dalla stampa, come documentato nell’articolo de “Il Giornale d’Italia”, riprodotto alla fine di questa rubrica. Quanto pubblicato era la testimonianza di una totale mancanza di segretezza nell’attività di intercettazione telefonica. Oggi, le problematiche sembrerebbero ben altre, ma questo tuffo nelle polverose carte d’archivio può offrire ancora una volta interessanti spunti di riflessione. E che riflessione.
(foto Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, P.S. 1921, busta 21.)


RECENSIONIarticolo redazionale
Terrorismo: una definizione per una risposta adeguata
di Alain CHARBONNIER

CRONOLOGIA DEL TERRORISMOarticolo redazionale
II Trimestre 2006

Scheda Autori

APPENDICE
STATI UNITI D'AMERICA
Patriot Act 2001 (titoli IV - X)

RELAZIONE SEMESTRALE
57° Relazione sulla politica informativa e della sicurezza

redatta a cura della Segreteria Generale del CESIS

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