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GNOSIS 4/2006
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Privacy e sicurezza
la difficile convivenza


Un binomio, quello che coniuga la sicurezza e la privacy, divenuto inscindibile al punto che, attraverso un processo di simbiosi semantica, nel linguaggio mediatico comune un concetto attira l'altro, prescindendo dalla circostanza che questo "altro" (sia esso "sicurezza" o "privacy") venga letteralmente espresso. Un aspetto, quello appena descritto, già gravido di numerosi interrogativi, primo fra tutti quello che cerca di comprendere se la privacy sia il fattore esclusivo capace di dare coerenza agli strumenti, alle strategie ed alle decisioni in materia di sicurezza, o se invece non vi siano anche altri fattori, soffocati dal successo che sembra riscuotere il "diritto di essere soli" in questa nostra epoca. Una relazione che apre a diversi paradossi, evidenti e carsici, e che simboleggia, vista la sua complessità, le difficoltà che gli stati nazionali oggi attraversano, carichi di istituzioni e principi non più al passo con i tempi ma non ancora pronti per trasformarsi in qualcosa di diverso. Ed è quel "qualcosa", concetto davvero vago per esprimere l'obiettivo finale di trasformazione dell'organizzazione sociale e politica, che consente proprio per tale ontologica vaghezza a due diritti, per quanto essi siano fondamentali, di sostituirsi al motore di ogni trasformazione sociale e istituzionale: l'ideologia. E, infatti, la sicurezza e la privacy sembrano coagulare confronti tipici della filosofia e della politica, come l'essere progressista o conservatore, democratico o "poliziesco", libertario o liberticida, equilibrato o ingiusto, ecc. Il ponte che mette in relazione la sicurezza e la privacy è il concetto di controllo: se è necessario che gli Stati - istituzione dell'era delle tecnologie si adeguino ai rischi enormi che comporta l'asimmetrica lotta al terrorismo islamista, è inevitabile che si ricorra a maggiori controlli; maggiori controlli, però, consentirebbero la raccolta di informazioni che potrebbero essere utilizzate per "veicolare" coattivamente la società da parte di governi o uomini delle istituzioni senza scrupoli. Questi interrogativi rendono evidente che il binomio di cui si tratta riflette anche il momento di crisi dei rapporti tra Stati - istituzione e cittadini, alimentato dalla profonda sfiducia della società contemporanea nei confronti della politica e delle istituzioni. La situazione è resa ancor più intricata dalla natura della minaccia alla sicurezza, dalle caratteristiche di un nemico che si nasconde e che fa della dissimulazione e della mimetizzazione sociale la sua arma più efficace. In altri sistemi, come quello giapponese, si è risolto il conflitto adottando una strategia di sicurezza che si concentra sulla repressione del reato piuttosto che sulla prevenzione. Le democrazie europee sono naturalmente più propense a prevenire il fenomeno ma, per farlo, devono introdurre nel sistema delle nuove forme di controllo, alcune evidenti e altre occulte. L'importanza che il dibattito su questi due concetti ha è davvero notevole e tutte le posizioni meritano di essere ponderate, così come ogni soluzione proposta. Dopo la conquista delle democrazia non si può correre il rischio di perdere anche solo una parte delle libertà che i nostri padri, i nostri nonni, hanno costruito per noi. Il rischio, però, di un sistema immobile, incapace di evolversi e di adeguarsi per rispondere a rischi in grado di sconvolgerlo, è altrettanto temibile e terribile. Abbiamo chiesto il contributo di prestigiosi professionisti del mondo delle istituzioni e della politica per comprendere quali siano le opinioni più diffuse e per tentare di prevedere quale sarà la soluzione più probabile che consentirà al sistema nel quale viviamo di difendersi senza perdere dignità democratica.


Francesco PIZZETTI
Alfredo MANTOVANO
Armando SPATARO


D. “Chi è disposto a sacrificare la libertà in cambio della sicurezza non merita né l’una né l’altra cosa” diceva Benjamin Franklin. Ma bisogna riconoscere che dopo l’11 settembre la pubblica opinione è diventata più propensa rispetto al passato a rinunciare a qualche diritto in cambio di maggiore sicurezza. Tra i tanti diritti, quello più vulnerabile è sicuramente la privacy. ‘The right to be alone’, di fatto, viene violato anche dalle telecamere nei sottopassi della metro. Ma chi si sognerebbe oggi di mettere in discussione una tale elementare misura di sicurezza? Insomma, la privacy sembra essere l’asse a cui fare riferimento per misurare la qualità e lo spessore delle libertà che viviamo. Perché? La sua definizione, quell’insieme di principi e di valori che questo termine richiama alla nostra coscienza, davvero è in grado di assorbire ogni esigenza di libertà?

Francesco Pizzetti - Il lungo, impervio e graduale cammino verso la costruzione di un esauriente sistema di garanzie a tutela dei diritti individuali e delle libertà collettive ha conosciuto, nella storia degli uomini, ripetute fasi in cui è prevalsa la spinta, in alcuni casi causata da fatti episodici o emergenziali, ad una sospensione o limitazione, palese o occulta, di taluni diritti in ragione di un livello maggiore di protezione della sicurezza di tutti. Poi spesso a tali fasi, come dire recessive, è seguita, anche come reazione, la fissazione di un punto più avanzato nell'affermazione e nel riconoscimento delle libertà individuali e collettive. Nascono così nuove Carte costituzionali, ampie e meravigliose Dichiarazioni di principi: uno sguardo generico e d'insieme ci suggerisce tale facile schematismo. Io credo che qualcosa è cambiato, i termini della questione stanno oggi mutando. Forse, era già avvenuto prima dell'attacco terroristico, ma certamente con l'11 settembre di cinque anni fa un equilibrio si è infranto, definitivamente forse. Considerando solo gli ultimi decenni del Novecento, voglio ricordare che siamo passati dalla guerra fredda, dai blocchi ideologicamente contrapposti, guerra fredda combattuta con la remota paura dell'attacco atomico, al terrore proveniente dalla porta accanto, ad uno stato permanente di paura per un pericolo vicino, ma irriconoscibile. Tale fenomeno ha determinato un repentino mutamento nella forma della reazione, negli strumenti utilizzati. La ricerca della minaccia che sta intorno a noi ha portato a raffinare e incrementare l'uso degli strumenti e delle tecniche di controllo sociale e a moltiplicare la raccolta, la classificazione delle informazioni che riguardano la vita e i comportamenti dei cittadini. Pensiamo al PNR chiesto dagli Stati Uniti ai Paesi dell'Unione europea e facilmente comprendiamo la mole di informazioni che quotidianamente sono conservate e analizzate. Tutto questo, io credo, renda evidente che la nozione tradizionale di privacy legata prevalentemente alla tutela della riservatezza tende ad assumere un rilievo minore, prevalendo l'accezione legata alla protezione dei dati personali, quale complesso di regole a presidio del legittimo e corretto uso dei dati.

Alfredo Mantovano - Gli anni che viviamo sembrano scanditi da un pendolo i cui estremi di oscillazione sono la sicurezza e la libertà. La sicurezza evoca il gusto metallico di un ordine meccanico, la libertà sembra corrotta dalle ombre dell'anarchia e della violenza. Come suggeriva Marcel De Corte, in un saggio scritto negli anni 1970, l'uomo moderno esprime una "fenomenologia dell'autodistruzione", in una sorta di "corruptio optimi pessima", che rende difficile anche l'approccio analitico ai problemi. Il linguaggio spesso non possiede la capacità di comprendere il reale nelle sue autentiche profondità, e questo disallineamento dei concetti è la spia della perdita di un ordine interiore intellettuale e metafisico, che non può essere restaurato per mera via tecnica. Le città poliedriche e conflittuali descritte da Junger in Heliopolis e in Eumeswil divergono solo per sfumature dal nostro comune vivere civile; l'ansia di alcuni personaggi di questi romanzi avvince, incide sulle nostre riflessioni ed orienta le nostre scelte, talvolta dolorose. In astratto, appare riduttivo individuare la riservatezza come criterio di valutazione del livello di libertà; oggi però, di fronte alla evoluzione delle tecnologie e alla pervasività degli strumenti di comunicazione, esso è diventato un indicatore non secondario. Donoso Cortes, alla metà del XIX secolo, riteneva più pericoloso il regime totalitario nell'era del telegrafo; lo scenario titanico dei nostri tempi è tale perché vede confluire dinamiche storiche di grandissima portata: la fine del mondo bipolare dopo la caduta del muro di Berlino, l'affermarsi di un aggressivo fenomeno terroristico di matrice islamica, e - non da ultimo - l'avvento di tecnologie che hanno perso la connotazione di "strumenti serventi", per divenire fattori di trasformazione del contesto sociale, delle abitudini di vita, della percezione stessa della realtà da parte degli uomini. La globalizzazione ha creato un orizzonte comune a livello planetario, condiviso - o forse solo subito - da gran parte dell'umanità: un orizzonte che si caratterizza per la propria artificialità, per il fatto di essere costituito, per una parte non marginale, da quello che viene chiamato ormai comunemente cyberspace. Si tratta di una dimensione virtuale, non per questo meno incisiva sulla vita reale, un "metaterritorio", ossia una dimensione che non si caratterizza per le normali coordinate spazio-temporali, ma vi si sovrappone, simulandole. La vita quotidiana è radicalmente condizionata dall'informatica; il condizionamento è per tanti aspetti positivo: ci libera da pesi e da ingombri - anche fisici: si pensi alla differenza di volume fra un archivio cartaceo ed uno logico - , ma ci trasporta in un contesto nuovo, del quale non siamo ancora completamente padroni, e di cui non conosciamo bene i pericoli e le vulnerabilità. Ci si trova immersi in un'"avventura esplorativa", in un territorio, o meglio in un metaterritorio, del quale sfuggono molte parti e nel quale si aggirano pericoli non del tutto identificati e affrontati. Queste considerazioni, che potrebbero apparire un elenco di luoghi comuni, sono invece il punto di partenza obbligato per l'azione politica, intesa come impegno a fornire risposte efficaci ai problemi del momento, leggendo nella realtà ciò che può minacciare la comunità, e mettendo in atto le strategie difensive adeguate. Ci troviamo davanti a un temibile Giano bifronte, costituito da una minaccia che può polverizzarsi - fino a ridursi al singolo isolato attentatore suicida -, ma può al tempo stesso fruire di una comunicazione e di una mobilità inimmaginabili fino a ieri. La beffa di cui sono stati vittima i sistemi di sicurezza a proposito dell'attacco alle Torri Gemelle, costituita dall'uso condiviso di un'unica casella di posta elettronica per lo scambio di messaggi, invece del normale movimento di invio e ricezione, è l'esempio di come aspetti di livello tecnico bassissimo assumono un rilievo politico-strategico enorme. È per questo che, oggi, le nazioni e le organizzazioni internazionali sono chiamate ad occuparsi di questioni che all'apparenza sembrano esclusivamente tecniche. Non va dimenticata l'altra faccia della medaglia, di cui si interessa chi è competente a tutelare le singole libertà costituzionali dei cittadini, costituita dalle possibilità di penetrazione nella sfera privata dei singoli. Queste possibilità sono insite nelle caratteristiche del cyberspace, nel quale si muovono tantissime informazioni, il cui accesso dovrebbe restare riservato ai singoli. Nel mondo reale, per violare la riservatezza si è normalmente costretti a lasciare tracce di vario tipo, che si rilevano con efficacia con le moderne tecniche di polizia scientifica; nel metaterritorio delle reti e delle macchine, proteggersi da queste minacce è più difficile, e le tecnologie necessarie non sono ancora così diffuse e assimilate come nel mondo fisico. Tutti ci preoccupiamo di avere serramenti ben oliati o sistemi di allarme efficaci per proteggere i nostri beni e la nostra abitazione, ma non molti hanno analoga preoccupazione per la vulnerabilità di ciò che custodiscono o trasmettono con un terminale collegato a una rete: peraltro, l'eventuale intrusione viene normalmente scoperta a posteriori, quando il danno è già procurato e, quindi, quando è tardi. Oggi esiste la possibilità tecnica di "rubare" a basso costo momenti di vita, che possono essere poi riproposti al di fuori dal loro contesto o, addirittura, in contesti confezionati ad arte per ottenere un risultato desiderato. Ciò può creare strumenti di ricatto psicologico, anche in assenza di comportamenti censurabili. E' una dinamica che non riguarda solo personaggi pubblici, come accaduto in numerosi fatti di cronaca recente: minaccia tutti in generale.

Armando Spataro - Il rilievo che oggi assume il dibattito sulla tutela della privacy è, ovviamente, legato al continuo progresso delle nuove tecnologie nel campo delle comunicazioni vocali e di dati. Il progresso rappresenta un'opportunità che la nostra società deve sfruttare fino in fondo ma è necessario tenere presente che, almeno tendenzialmente, quanto più tali tecnologie sono sofisticate, quanto più sono utili e semplificano la vita quotidiana, tanto più il loro utilizzo implica che chi se ne serve lasci tracce elettroniche: dati che, volta a volta, indicano quando si è utilizzato quel determinato servizio, per quanto tempo, per quale ragione, dove si era in quel momento, con quali altri soggetti si è eventualmente interagito attraverso lo strumento utilizzato, etc.. Se poi tali informazioni vengono conservate per lunghi periodi - come appunto le medesime tecnologie permettono a costi sempre inferiori - allora è possibile ricostruire l'intera rete delle relazioni sociali intrattenute da una persona nel tempo, arrivando in certi casi a ricordare di esse più di quanto gli stessi interessati siano a volte in grado di fare. Si comprende, dunque, come sia alta l'attenzione su questo tema, anche se è chiaro che il quadro delle libertà che ogni democrazia deve garantire ai cittadini è ben più ampio di quello connesso alla tutela della privacy e include diritti storicamente previsti nei sistemi costituzionali ben prima dell'irrompere delle moderne tecnologie nella vita dei cittadini.

D. Prima dell’11 settembre, cioè prima di quella fase che potremmo definire “Twin Towers Deal”, il rapporto tra privacy e sicurezza si era faticosamente avvicinato ad un punto di equilibrio: la società aveva coscienza di questo suo diritto e lo Stato aveva introdotto numerosi strumenti per tutelarlo. Il nuovo corso ha alimentato notevolmente le esigenze della sicurezza, eppure il concetto di privacy non sembra essersi evoluto. Anzi, tende a divenire sempre più omnicomprensivo, più generico. Quali sono i rischi che questa situazione comporta e quali le possibilità che la privacy divenga strumentale al sostegno delle idee di coloro i quali non hanno piena coscienza degli enormi rischi che la sicurezza oggi attraversa?

Mantovano - Questa difficoltà, apparentemente insuperabile, si scioglie se si prova a uscire da una contrapposizione, normalmente data come assodata: quella che individua il singolo e le istituzioni come "parti" contrapposte. La linea di demarcazione dovrebbe essere invece fra le comunità, di cui le istituzioni sono la forma organizzativa, e i nemici delle comunità, come i terroristi. Se il problema viene impostato in questi termini, non è difficile rendersi conto che molti degli aspetti critici si attenuano e si spostano su un altro versante; non è più in questione la possibilità che le istituzioni dispongano di informazioni utili alla difesa della comunità: è in questione la ricerca di protocolli di custodia e di trattamento, che garantiscano un uso corretto di questi dati. Ciascuno di noi desidera che il proprio medico conservi informazioni anamnestiche utili per praticargli terapie adeguate, evitando l'uso di farmaci a cui siamo allergici, ma non gradisce che tali informazioni risultino accessibili da chiunque. Sulla base di queste considerazioni, la strada da percorrere è quella di regolamentare le modalità di protezione dei dati, non quella di impedirne la raccolta e la conservazione da parte delle strutture che ne hanno bisogno per assolvere il loro compito di difesa della comunità. Ci si deve comunque interrogare se questi paradigmi di quieta ragione siano per intero capaci di esprimere la realtà odierna, nella quale si muovono interessi altamente predatori e assolutamente scissi dall'etica comunitaria invocata, che tendono a manipolare la libertà individuale per finalità di potere, sia esso economico o politico. In questo senso si muovono anche le gravi ombre testimoniate dalle inchieste in corso sull'accumulazione di informazioni illecitamente messe insieme da potentati economici e finanziari, anche se l'attenzione mediatica - essa stessa soggetta a logiche militari di poteri accentrati - sposta la focalizzazione del pubblico su "poveri untorelli" di basso spessore. Sul tema il dibattito è stato, e continuerà a essere, molto acceso. Spesso si tende a contrapporre manicheisticamente le esigenze di tutela della riservatezza e le esigenze di difesa della sicurezza comune. E' una rappresentazione del problema che può essere migliorata, provando a sintetizzarla con una funzione che non sia a somma zero, cioè che non riduca tutto a uno slogan del tipo "più sicurezza - meno libertà", o viceversa. Questo richiede un cambio di mentalità che non è semplice, anche perché implica una componente non piccola di costi economici. Con l'11 settembre 2001 il mondo è cambiato e non si può fare finta di non accorgersene: bisogna accettare la realtà e operare di conseguenza. Il problema fondamentale è nella definizione chiara della sfera di libertà e nel comprendere il significato vero di tale parola. Va alimentato il desiderio della libertà e della libera determinazione dei singoli, affiancandolo al desiderio di un intero popolo di credere che vi siano valori per i quali vale la pena vivere e morire.

Spataro - Per la verità, non credo che il concetto di privacy non si sia evoluto. Forse, è la conseguente elaborazione culturale e giuridica in materia che non riesce a stare al passo con gli impensabili progressi scientifici di cui stiamo parlando. E' efficace - e non solo suggestivo - quanto afferma Patrick R. Keefe nel suo libro "Echelon e il controllo globale": "Viviamo in un mondo sommerso dai segnali. Partono dai nostri telefoni cellulari e di antenna in antenna arrivano al nostro amico che si trova, magari, in un altro paese; il tutto nell'ordine di un secondo. L'aria intorno a noi e il cielo sopra di noi sono un'orgia di segnali. Intercettarli è facile come raccogliere la pioggia in una tazza". Insomma aumenta in modo esponenziale la possibilità di raccogliere e conservare informazioni personali dei cittadini e cresce il numero di banche dati ma anche la loro interconnessione, sia in ambito pubblico che privato. Cresce contemporaneamente, dunque, la capacità di memorizzare i dati raccolti in tali archivi elettronici, rendendo possibile la conservazione di un numero sempre più elevato di informazioni personali per tempi via via più lunghi. In questa situazione, le preoccupazioni del legislatore, così come quelle delle Istituzioni preposte al contrasto e alla prevenzione del terrorismo e di altri fenomeni criminali, devono prescindere dalla possibilità che i temi della tutela della privacy siano strumentalmente utilizzati da persone non del tutto consapevoli dei rischi che le democrazie oggi corrono o, addirittura, sfruttati dai nemici delle democrazie. Ci si deve concentrare, piuttosto, sui modi in cui utilizzare legalmente, in chiave preventiva e repressiva, le potenzialità offerte dal progresso tecnologico, cioè attraverso procedure ineccepibili e trasparenti che non risultino orientate o orientabili per finalità diverse, e che siano affidate ad istituzioni ed organi sottoposti ad efficaci controlli e a precise regole di responsabilità.

Pizzetti - E' vero che nell'ampio dibattito di questi anni su sicurezza versus libertà sono spesso emerse posizioni antitetiche: la difesa assoluta delle libertà civili e la difesa assoluta del principio di sicurezza. Una contrapposizione che io considero sterile e molto pericolosa. Ritengo che dobbiamo elaborare, sostenere una concezione della libertà giusta ed equilibrata rispetto alla necessità di combattere il terrorismo. La sicurezza dei cittadini è una preoccupazione che accomuna tutti ed in una fase della nostra storia, come quella che stiamo vivendo, è indispensabile ricercare e fissare un punto di equilibrio fra libertà e sicurezza. Per quel che mi riguarda e per il ruolo che rivesto, io sono convinto che la privacy non può essere di ostacolo alla sicurezza; sicurezza e privacy sono parti coessenziali del sistema democratico. Il perseguimento della sicurezza può e deve avvenire nel rispetto delle norme costituzionali a presidio della libertà individuale e collettiva. Noi ci sentiamo impegnati a far rispettare i valori e i principi sanciti nella Carta costituzionale ma, allo stesso tempo, sentiamo la responsabilità di accettare che le libertà costituzionali siano compatibili con le garanzie di sicurezza per i cittadini. Ecco perché io chiedo con forza che ogni decisione che, direttamente o indirettamente, limita la libertà e incide sulla privacy dei cittadini sia attentamente meditata ab origine e costantemente verificata nel suo corso. La giustificazione ricorrente e diffusa, a sostegno delle scelte adottate, consistente nella minaccia senza precedenti che bisogna fronteggiare forse è troppo generica, così come è giusto raccontare più dettagliatamente all'opinione pubblica come grazie a quelle scelte siano stati sventati numerosi attentati. Credo sia giusto che tutti chiedano, pretendano una spiegazione più ampia e approfondita sulla reale efficacia delle drastiche misure adottate nel rafforzamento della sicurezza. Non si può fare semplicemente ciò che si desidera perché lo si ritiene opportuno in un dato momento, soprattutto quando limita libertà e diritti.

D. Il problema fondamentale sembra essere non tanto quello della raccolta delle informazioni private, quanto della loro gestione. Chi li conserva questi dati? Per quanto tempo? Chi decide del loro uso? Non pensate che su tali questioni sia possibile un conflitto tra Politica, Magistratura e Autorità? Le forti perplessità che si esprimono su queste problematiche non testimoniano anche il momento di crisi nei rapporti tra istituzioni e cittadini?

Spataro - Il problema del proliferare delle banche dati non riguarda soltanto quelle in dotazione alle istituzioni pubbliche. Si moltiplicano ad esempio, a fini di concorrenza sul mercato, gigantesche banche dati delle società telefoniche, dove sono conservati miliardi di informazioni sugli utenti e i loro interlocutori. I problemi di sicurezza sul trattamento di questi dati, conseguentemente, si dilatano tanto che l'assoluta inadeguatezza delle misure di sicurezza è stata recentemente ammessa in Italia anche da qualche grande gestore, sollecitato da inchieste giudiziarie che hanno permesso di accertare perfino casi di vendita a privati di tabulati telefonici di utenti ignari. E lo stesso Garante per la Privacy ha recentemente confermato l'impossibilità di identificazione del personale di una grande società di telefonia che, avendo la possibilità di accesso a tali dati, non lascia tracce identificative del proprio accesso. Si crea, così, un bacino di dati personali potenzialmente vastissimo, dal quale le autorità giudiziarie e le forze di polizia possono attingere informazioni a fini di prevenzione o repressione dei reati, creando a loro volta propri archivi elettronici per le medesime finalità. E proliferano, anche a livello internazionale, le banche dati per queste esigenze: quelle del Sistema-Schengen, di Interpol, di Europol e di Eurojust (quest'ultima in fase di allestimento) ne sono solo un esempio. Insomma, si dilata un sistema che consente un accesso quasi illimitato ai dati che vengono lasciati dai cittadini spesso inconsapevolmente. Tuttavia, pur dando per scontato l'interesse di plurime autorità all'accesso a tali dati, è ben possibile evitare potenziali conflitti e sovrapposizioni: la strada è quella della reciproca delimitazione delle competenze e delle sfere di intervento. L'interesse della Magistratura e della Polizia Giudiziaria è legato alle inchieste giudiziarie che intervengono su quanto è già accaduto, dunque sul passato; quello dei Servizi e della Polizia di prevenzione è proiettato sul futuro; l'interesse di altre Autorità è settoriale e legato a specifiche competenze (si pensi, a solo titolo di esempio, a quelle degli organi di Polizia di Frontiera o degli uffici preposti ad indagine finanziarie). E così via. E' dunque difficile, ma non impossibile, per il Legislatore studiare interventi appropriati e insieme tranquillizzanti per i cittadini. Soprattutto costoro, e quelli che non delinquono in particolare, hanno infatti diritto ad un sistema equilibrato di sfruttamento delle tante banche dati esistenti e va perciò evitata la diffusione di timori, sfiducia e diffidenza: tutti - a cominciare da chi opera al servizio della sicurezza pubblica- hanno il dovere di tenere sempre presente che anche la semplice conservazione di una singola informazione può pesare sulla vita della persona a cui si riferisce, specie se essa, riguardando un passato che si vuole nascondere, magari per ricostruire la propria vita, compromette il cd. diritto all'oblio. E' proprio questa la ragione per cui la normativa internazionale prescrive - come dovrebbero fare anche quelle dei singoli Stati- di raccogliere e conservare informazioni personali solo nel rispetto dei principi di pertinenza, non eccedenza e proporzionalità: solo se, dunque, ciò è effettivamente necessario per il perseguimento di fini ugualmente meritevoli e non è possibile perseguire i fini medesimi mediante trattamenti meno invasivi. Diversamente, il cittadino percepirà come inaccettabile e invasivo l'interesse delle Istituzioni per l'analisi dei tanti dati immagazzinati.

Pizzetti - Tutti percepiamo, beneficiamo o subiamo gli effetti dell'impetuoso e frenetico sviluppo della tecnologia. L'innovazione tecnologica consente la raccolta e la classificazione di una massiccia e illimitata mole di informazioni che riguardano la vita e i comportamenti di ciascuno di noi. La protezione dei dati personali in questo contesto assume un ruolo essenziale nella fissazione di un rapporto armonico ed equilibrato fra legittimo e corretto trattamento dei dati e tutela indefettibile del diritto alla riservatezza e alla dignità di ciascun individuo. La certezza che vengano richieste solo le informazioni realmente necessarie e che queste siano protette e rese inaccessibili a chi non ha diritto di conoscerle consente una piena e consapevole accettazione delle implicazioni della tecnologia sulla nostra vita quotidiana. Certamente, è a tutti noto come e quanto la tecnologia influenza la capacità e il modus operandi degli apparati di intelligence, di investigazione e giudiziari. Sono pienamente consapevole della tendenza da parte degli apparati di sicurezza ad avvalersi di tutte le opportunità informative offerte dalle tecnologie per perseguire un controllo generalizzato, preventivo e spesso pervasivo per finalità di sicurezza e prevenzione. In Europa, questa tendenza ha trovato il suo culmine proprio dopo gli atti terroristici di Madrid e Londra. Alcune scelte adottate dopo quei terribili episodi hanno determinato l'ampliamento della quantità e qualità dei dati conservati per ragioni investigative. Credo sia giusto ricordare che l'Unione europea ha adottato alla fine del 2005 una direttiva sulla cd. "data retention" che comporterà la conservazione di miliardi di informazioni. In Italia,dove già vigeva un periodo molto lungo di conservazione dei dati di traffico telefonico, con il decreto cd. Pisanu dell'agosto 2005 si è ulteriormente esteso il tempo di conservazione e si è ampliato l'obbligo anche ai dati di traffico telematico. Il periodo di conservazione previsto nella direttiva europea è sensibilmente più breve di quello vigente nel nostro Paese. Su questo, io spero che il Parlamento, il Governo e le Istituzioni interessate decidano di promuovere un confronto serio e approfondito teso a verificare la reale efficacia di tali misure, di tali regole e l'opportunità di armonizzare la nostra legislazione con la previsione generale introdotta a livello europeo. Voglio aggiungere che anche altre recentissime vicende giudiziarie, come l'illegale attività di dossieraggio realizzata da soggetti legati al più importante gestore telefonico del nostro Paese, evidenzia a tutti la necessità di intensificare l'attività di controllo e ispettiva sulle grandi banche dati. Per la nostra parte, ed è ritengo una parte importante, dal 2005 abbiamo avviato su vari fronti un'attività di accertamento e controllo che riguarda sia la conservazione dei dati di traffico che alcuni aspetti specifici quali ad esempio le modalità che presiedono all'attivazione dei servizi di intercettazione telefonica. Su questo ultimo versante, voglio richiamare, come ho già fatto in altre sedi, la necessità che ad un'attività dal Garante già prescritta nel dicembre 2005 a tutti i gestori di adeguamento e innalzamento delle misure di sicurezza corrisponda una medesima o simile attività posta in essere dagli Uffici giudiziari. Noi abbiamo offerto da tempo la nostra piena collaborazione al Ministero della Giustizia e al Consiglio superiore della Magistratura e credo e sono fiducioso che vi sia consapevolezza dell'importanza e della gravità della questione da noi più volte richiamata.

Mantovano - La perdita di coesione del nostro corpo sociale è un aspetto di rilievo anche sotto questo profilo. Da secoli il concetto di autorità legittima è sottoposto ad un'erosione che, dopo averne svuotato il contenuto grazie gli eccessi dell'assolutismo, ne ha negata la funzione in un crescendo nichilistico, le cui propaggini ultime sono costituite da quel relativismo non solo etico, bensì pure gnoseologico, che costituisce il diktat filosofico imperante. Il risultato finale è un pregiudizio negativo nei confronti delle istituzioni, ritenute mero strumento di potere: ciò è peraltro confermato da una crescente dialettica interna fra poteri, che non si limitano più a contenersi reciprocamente secondo la tesi (criticabile) di Montesquieu ma, spesso, sembrano addirittura farsi reciprocamente la guerra. In questo clima di diffidenza, nel quale da alcuni mesi vengono addirittura lanciate campagne di sapore "cinese" contro "nemici del popolo", che sarebbero la vera causa dei problemi del paese, non è difficile comprendere la ritrosia ad accettare qualsiasi potenziamento del controllo istituzionale sulle informazioni. Nelle statistiche mondiali di "Trasparency International" il potere politico è ritenuto generalmente corrotto e corruttore. Sul punto la Relazione Conclusiva della Commissione Parlamentare Antimafia della scorsa legislatura ha svolto considerazioni illuminanti, il cui respiro intellettuale non ha avuto eco adeguato. Tuttavia, l'aspetto della corruzione e l'alterità del potere rispetto alla comunità, minano alla base la legittimità istituzionale e rendono sospette le misure di sicurezza. La nebulosità investigativa che ha caratterizzato la valutazione di ricorrenti violazioni della segretezza ha avuto come conseguenza il linciaggio mediatico (e talora la morte fisica) di soggetti che avrebbero dovuto essere chiamati a rispondere esclusivamente di specifici fatti penalmente rilevanti, e la divulgazione di minuziosi dettagli di strutture di intelligence: tutto ciò non costruisce il contesto migliore per indurre i consociati a fidarsi delle istituzioni. Questa premessa, che potrebbe apparire astratta, è indispensabile per comprendere atteggiamenti e reazioni altrimenti inspiegabili. La via di uscita è il recupero di un'idea di Stato realmente fondata sul principio di sussidiarietà, ricordando che l'origine del termine "Stato" è da individuare nello "stato della società".

D. È opinione diffusa tra gli studiosi che il terrorismo non sia più da considerarsi come un fenomeno eccezionale e limitato nel tempo. A quanto pare, esso sarà il grande problema di questo secolo. Quali sono i princìpi a cui bisognerà attenersi nel predisporre nuovi strumenti investigativi e di tutela della sicurezza nazionale ? Quali aspetti della privacy potranno essere attenuati? Quali forme di controllo sulle organizzazione deputate alla sicurezza appaiono più coerenti ed efficaci in questo momento storico?

Mantovano - Questi interrogativi sono quelli che suscitano più preoccupazione, non solo nei singoli, ma anche, per fare un esempio fra i molti, fra gli operatori privati che gestiscono informazioni sensibili (prime fra tutte le società di telefonia, e quelle che forniscono servizi su internet), i quali non vedono con favore normative che comportino impegno di risorse nella conservazione dei dati (data retention). Si tratta però di un passo necessario, che richiede da tutti senso di responsabilità. La sicurezza non è un bene a buon mercato, però è più costoso non disporne, e non solo in termini economici. Una piattaforma iniziale nel settore di tutela della riservatezza è costituita dalle norme introdotte con il cosiddetto decreto Pisanu (decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito dalla legge 31 luglio 2005, n. 155), che stabilisce un congelamento della situazione fino al 2007, e un regime di conservazione con accessibilità limitata a esigenze di repressione criminale per i fatti più gravi. L'articolo 6 del decreto, innestandosi sul tessuto normativo dell'articolo 132 del Codice sulla privacy (d. lg. n. 196 del 2003) ha disposto: ­ il blocco della cancellazione dei dati del traffico telefonico e telematico che consentono la tracciabilità degli accessi e, "qualora disponibili", dei servizi, fino al 31 dicembre 2007, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni, da utilizzare solo per le finalità previste dalla legge e, comunque, per quelle di prevenzione e repressione del terrorismo (art. 6, comma 1); ­ la conservazione "a regime", insieme con i dati del traffico telefonico, anche di quelli concernenti le chiamate senza risposta, per il periodo di 24 mesi, prorogabili per altri 24 mesi per le sole esigenze di accertamento e repressione dei reati più gravi (quelli di cui all'art. 407, comma 2, lettera a c.p.p. e i delitti in danno di sistemi informatici o telematici) (art. 6. comma 3); ­ la conservazione "a regime" dei dati del traffico telematico per un periodo di 6 mesi, prorogabile di altri 6 mesi, per le esigenze già ricordate (art. 6, comma 3); ­ un regolamento per definire le modalità e i tempi di attuazione delle innovazioni anzidette (art. 6, comma 4).

Spataro - Anche questo terrorismo, cosiddetto islamico, è destinato a finire. Certo, occorrerà ancora molto tempo, ma se si vuole porre fine alle tragedie che esso ha determinato appare importante pretendere ed ottenere il pieno rispetto delle leggi vigenti nei nostri Paesi, assicurando, reciprocamente, il rispetto della identità culturale e religiosa delle comunità di immigrati. Ma perché le regole siano consapevolmente accettate, occorre che vi siano sottoposti, innanzitutto, coloro che hanno istituzionalmente il dovere di farle rispettare. Invece, si estendono deroghe, strappi, lesioni più o meno profonde del principio di legalità e si produce altresì una più generale assuefazione all'idea che le regole stesse siano un inutile impaccio, del quale liberarsi anche per contrastare fenomeni criminali ben meno gravi del terrorismo. Questa tendenza riguarda anche le norme poste a tutela della privacy che non penso, personalmente, debbano essere rese più "deboli". Insomma, il terrorismo, quando si manifesta al di fuori dei contesti di guerra, non è una modalità bellica, ma, persino quando determina tragedie di immani proporzioni, è una forma di criminalità organizzata, sia pure con caratteristiche e motivazioni peculiari. E come tale va trattata, senza cedere alla tesi di chi ritiene che ciò non sia possibile o che, in tal modo, si rischia di penalizzare l'azione dei Servizi di Informazione. Credo, anzi, che proprio i Servizi abbiano interesse all'approvazione di precise regole - vaghe, insufficienti e storicamente superate sono infatti quelle della L. 801/1977 - per la disciplina delle loro irrinunciabili ed essenziali attività. E tali regole non possono non includere, come in ogni democrazia, la previsione di un controllo politico, che, attraverso un comitato provvisto di effettivi poteri di indagine, coinvolga l'opposizione parlamentare.

Pizzetti - Io non so se in un futuro, vicino o lontano, saremmo costretti ad imparare a convivere con la paura evocata dagli attacchi terroristici, non so se le ragioni dell'odio si esauriranno. Certamente oggi e da alcuni anni l'obiettivo "sicurezza" ha assunto la massima centralità nell'azione politica e di governo, a livello europeo e mondiale. Ho già detto che stiamo passando da un'Europa protesa essenzialmente ad ampliare gli spazi delle quattro libertà ad un'Europa sempre più impegnata sulle questioni della sicurezza, un'Europa della sicurezza. Con il Programma dell'Aja del novembre 2004, ma già da molto prima la stessa Convenzione di Schengen ha nello scambio di informazioni uno degli obiettivi più significativi. Quindi, nell'ultimo decennio, si va gradualmente intensificando l'attività in materia di cooperazione investigativa e giudiziaria fra i Paesi dell'Unione: pensiamo all'intensificazione dell'interconnessione delle banche dati utilizzate per i controlli sui movimenti delle persone, per il contrasto all'immigrazione clandestina, così i nuovi sistemi SIS II e VIS II, pensiamo alla cooperazione rafforzata che sta alla base del Trattato di Prum, sottoscritto da 7 Stati europei, i più importanti, che prevede la possibilità di scambiarsi informazioni riguardanti anche i profili di DNA. Si tratta, come è evidente, di soluzioni che implicano un sempre più intenso e ampio scambio e comunicazione di dati fra i 25 Paesi dell'Unione. Salta agli occhi di tutti cosa ciò significa sul piano delle indispensabili garanzie che vanno assicurate per evitare errori, gravi violazioni o lesioni dei diritti individuali. La prospettiva di una libera circolazione di informazioni all'interno delle frontiere dell'Unione che possa portare quale conseguenza effetti sulla libertà individuale, se la comprendiamo sul piano dell'attività di repressione dei crimini, ci preoccupa sul piano delle tutele e delle garanzie.

D. Il problema della tutela della privacy non può essere risolto all’interno dei confini nazionali. Le nuove tecnologie travalicano i confini geografici e politici. Esistono dunque esigenze di coordinamento tra i paesi, e di uniformità tra le diverse legislazioni. Quali sono le soluzioni organizzative, politiche e sociali che è possibile immaginare?

Pizzetti - Certo, ribadisco che la cooperazione a livello europeo, ma anche con altri Stati, come le istituzioni americane, è fondamentale per mettere a punto un'azione efficace e strategicamente vincente. Aggiungo, l'Unione europea sente in misura sempre più netta che il bisogno di libertà, sicurezza e giustizia è oggi sempre più al centro del processo di costruzione e integrazione europea. La Carta dei diritti, il Trattato costituente europeo, il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia sono tappe legate da un filo rosso: la crescita dell'Unione come comunità in grado di assicurare ai popoli europei la difesa delle loro libertà e dei loro diritti in un quadro condiviso di valori e principi. Le normative, che ho già ricordato, introdotte in questi anni, finalizzate in generale al rafforzamento degli strumenti di cooperazione, comportano necessariamente la comunicazione e lo scambio di informazioni fra le autorità nazionali. In questo ambito, la protezione dei dati personali assume, come è del tutto evidente, una centralità inaudita. Protezione dei dati che purtroppo non trova ancora, nell'attuale assetto giuridico del cd. terzo pilastro, un autonoma base legale. Sino ad oggi essa è stata, infatti, disciplinata di volta in volta nei singoli strumenti in materia di cooperazione investigativa e giudiziaria. E', quindi, necessario che anche nell'ambito del cd. terzo pilastro venga introdotta una normativa specifica sulla "data protection" che realizzi l'armonizzazione delle norme in materia di protezione dati inserendole in uno strumento unico. In questo senso, peraltro, è giusto ricordare si sta muovendo la Commissione e in particolare il Vice Commissario Frattini con la presentazione di una proposta di decisione quadro sulla protezione dei dati personali nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

Mantovano - Per continuare con l'esempio della data retention, la questione è stata affrontata a livello europeo con una direttiva approvata dal Parlamento europeo il 14 dicembre scorso che: ­ definisce i parametri minimi e massimi di conservazione dei dati rispettivamente in 6 e 24 mesi; ­ include nei dati da conservare le "chiamate senza risposta"; ­ lascia alle legislazioni nazionali di individuare i "gravi reati" in relazione ai quali i dati possano essere utilizzati a fini investigativi; ­ consente alla legislazioni nazionali di prevedere periodi più ampi di conservazione dei dati; ­ permette alle legislazioni nazionali di disciplinare l'attenzione degli oneri di conservazione (non viene accolta, cioè, la pregiudiziale del trasferimenti degli oneri a carico dello Stato). Queste linee guida sono compatibili con le disposizioni del decreto Pisanu. Del resto, la nostra legislazione nazionale è allineata con le indicazioni dell'UE anche quanto al divieto, adeguatamente sanzionato, di un utilizzo illegittimo dei dati, e al controllo di un'Autorità indipendente, che in Italia è attribuito al Garante per la protezione dei dati personali. La cooperazione internazionale è strumento privilegiato per creare dei contesti di tutela e di contrasto alle minacce che siano il più omogenei possibile; l'omogeneità degli ordinamenti è, infatti, la condizione imprescindibile di successo.

Spataro - Da tempo sono convinto che già esistono numerose convenzioni delle Nazioni Unite e della Unione Europea, nonché risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, regolamenti e posizioni comuni e decisioni quadro dell'Unione Europea che vincolano i singoli Stati ad una decisa azione contro il terrorismo, alla lotta contro il suo finanziamento, a più rapide procedure di assistenza giudiziaria, arresto ed estradizione. Può apparire perfino superfluo ricordarne l'elenco; esistono anche istituzioni come Eurojust ed Europol (ma anche altre, al di fuori dell'Europa) che sono importanti luoghi di coordinamento, incontro e scambio di notizie per magistrati ed investigatori. Dunque, più che nuove regole e istituzioni, occorre far vivere ed utilmente operare quelle già esistenti. Invece, si manifestano ancora molte resistenze nel mettere in comune, a fini investigativi, i dati davvero utili: è un paradosso per cui, da un lato, si proclama l'importanza della raccolta e dello scambio di dati ed informazioni per rafforzare la cooperazione giudiziaria contro il terrorismo ed altre forme pericolose di criminalità e, dall'altro, non si scambiano, fra gli Stati membri (e spesso neppure fra le diverse forze di sicurezza all'interno di uno Stato membro), i dati che sarebbero davvero utili a tale scopo, evidentemente, perché molti si ritengono proprietari esclusivi delle notizie importanti. Si verifica, anche, che la molteplicità delle banche dati esistenti e la enorme massa dei dati acquisibili generino, spesso, difficoltà nel distinguere i dati utili da quelli inutili. Accumulare dati significa moltiplicare i sospetti, rinunciare ad una intelligence mirata. In ogni caso, è vero che occorre rendere omogenee le discipline nazionali in tema di tutela della privacy e della possibilità legale di "aggredirla". Solo in tal modo sarà possibile dar luogo a forme di cooperazione efficaci, istantanee (o, quanto meno, rapidissime) e spontanee. Ritengo, però, che per noi italiani la stella polare di ogni possibile riforma o processo di omogeneizzazione delle discipline nazionali vada individuata negli assetti organizzativi e normativi che in Europa si vanno delineando. E' decisamente da evitare, invece, pur con i problemi pratici che ciò comporta, ogni progetto di emulazione o di adesione ai modelli che, nel settore della privacy e della sorveglianza elettronica, dominano negli Stati Uniti. La filosofia che li ispira sembra negare in radice ogni conflitto teorico fra sicurezza e libertà, essendo vista la prima soltanto come un mezzo - anzi il mezzo privilegiato - per difendere ed accrescere la seconda. Un esempio clamoroso di tale tendenza è il programma di intercettazioni segrete (TSP - Terrorist surveillance program) rivelato dal New York Times, alla fine del 2005, in relazione al quale è intervenuta il 17.8.06 una sentenza lapidaria del giudice federale di Detroit, Anna Diggs Taylor, che ha bollato come "anticostituzionali" le intercettazioni telefoniche e di e-mail effettuate dall'amministrazione Bush su cittadini americani, senza autorizzazione del giudice, imponendone la immediata interruzione.

D. E’ da tempo in atto il dibattito sulla riforma dei Servizi di informazione italiani. Uno degli elementi fondanti di tutti i progetti presentati in Parlamento è quello delle cosiddette “garanzie funzionali”, di quelle norme, cioè, che dovrebbero autorizzare gli operatori dei Servizi a violare alcune leggi dello Stato, in nome della tutela della sicurezza nazionale. L’orientamento generale sembra quello di legittimare alcune condotte illegali di spessore limitato. Niente “licenza di uccidere”, ovviamente, ma autorizzazioni, caso per caso, all’uso di documenti di copertura, all’intercettazione di telefoni e corrispondenza, all’accesso a informazioni di banche-dati pubbliche e private. Cosa pensate di queste proposte? Raggiungono un punto di equilibrio tra tutela della privacy e tutela della sicurezza?

Mantovano - La riforma dei Servizi dovrebbe essere ritenuta una priorità nell'agenda politica. Ho presentato un disegno di legge finalizzato a una modernizzazione del comparto, che prevede anche adeguate garanzie funzionali. Vanno superati paradossi che sono il risultato di un mutato contesto internazionale e nazionale. Oggi - in teoria - se un Servizio di intelligence volesse accedere a dati di strutture pubbliche, dovrebbe corrompere qualche funzionario compiacente… Dobbiamo superare un assetto organizzativo pensato per la Guerra fredda e favorire una mentalità che collochi, come correttamente dovrebbe essere, le strutture di intelligence all'interno dell'ordinamento. Se non supereremo luoghi comuni e pregiudizi ideologici, non garantiremo quella fondamentale funzione di vigilanza avanzata che, nettamente distinta dalla funzione di difesa militare e di polizia, fornisce ai decisori politici il quadro delle minacce e "illumina" il terreno per chi opera. Al contempo l'operatore di sicurezza non può essere un "individuo assoluto": egli deve esprimere e incarnare valori diversi e più assoluti dal mero funzionario "di regime", nella certezza che solo sulla capacità di riverbero di una vera morale pubblica si può basare la riconquista della fiducia. Non basta quindi la norma giuridica che fissa i poteri ed ottimizza le organizzazioni: esiste la radicale necessità della leva di un tipo umano adeguato e istituzionalmente affidabile. La nostra civiltà romano-cristiana è basata su un diritto vivente che - come nelle parole di Virgilio - trova la perfetta sintesi tra severità e carità morale: "tu regere imperio populos, Romane, memento (hae tibi erunt artes), pacique imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos".

Spataro - Da molti anni ormai il dibattito sulla riforma dei Servizi appare incentrato quasi esclusivamente sul tema delle cd. garanzie funzionali, che qualcuno sbrigativamente riduce al tipo di reati che gli agenti potrebbero essere autorizzati a compiere. La doverosa riforma dei Servizi deve invece rimanere ancorata al nostro quadro culturale e giuridico senza rincorrere modelli che anche altrove stanno entrando in crisi. In particolare, è opportuna la rilettura storica della legge n. 801/'77 che ha istituito il SISMi ed il SISDe e ne ha regolato competenze, attività e doveri: con quella legge, scegliendo di dare vita a due distinti Servizi con competenze diversificate, dipendenti da distinti Ministeri, il Parlamento intese prevenire i rischi di possibili derive antidemocratiche astrattamente connessi all'accentramento delle competenze. Ma quei rischi, alla luce della ormai collaudata tenuta del nostro sistema democratico, non appaiono più esistenti. Non si giustifica, allora, la esistenza di due organismi separati le cui analisi ed attività ormai si sovrappongono o si incrociano in modo inestricabile, così come appare difficile attuare un efficace coordinamento tra i Servizi se i "coordinanti" rimangono estranei alle strutture di direzione dei Servizi stessi. A mio avviso, dunque, serve un unico Servizio, con competenze eventualmente ripartite sul piano organizzativo, ma unitariamente diretto. E veniamo al tanto dibattuto tema delle garanzie funzionali: in realtà, non si tratta di ampliare o restringere il catalogo dei reati teoricamente rientranti nel novero di quelli autorizzabili a seconda delle preferenze individuali, né di pensare che l'agente segreto sia comunque costretto a delinquere per svolgere il suo lavoro. Il problema è altro: cosa fanno o dovrebbero fare i Servizi segreti? Il loro compito non è quello di condurre in prima persona la lotta al traffico di stupefacenti, al traffico di armi, al terrorismo etc., settori nei quali il sistema già permette alla Polizia Giudiziaria attività sotto copertura, ma quello di raccogliere informazioni a scopo di prevenzione. Infatti l'art.9 della L. 801/'77 esclude che gli appartenenti ai Servizi rivestano la qualifica di ufficiali di P. G. e prevede l'inderogabile obbligo dei Direttori dei Servizi di trasmettere ogni notizia di reato alla Polizia Giudiziaria. Ad ognuno il suo, sembra dire la legge. Le garanzie funzionali, allora, vanno previste solo in quanto possano favorire l'acquisizione di informazioni a scopi preventivi e di sicurezza, senza ipotizzare condotte non direttamente connesse a questo fine o lesive dei diritti umani: potrebbero essere autorizzate, dunque, previa valutazione di un ristretto comitato di esperti e con precisa assunzione di responsabilità politica del Presidente del Consiglio, solo attività come intercettazioni telefoniche e ambientali, acquisizioni di dati personali, ingressi in luoghi privati, uso di certificazioni o documenti falsi etc. Il tutto, ovviamente, con la previsione di procedure per i casi di urgenza, di sanzioni per le violazioni, nonché di obblighi di documentazione circa le attività svolte, al fine di consentire controlli successivi. In alternativa, gli stessi risultati potrebbero essere assicurati replicando i modelli esistenti in altri ordinamenti, ad es. in Francia e Gran Bretagna, ove i Servizi d'informazione dispongono, accanto a quelle segrete, di strutture palesi che svolgono vera e propria attività di polizia giudiziaria, osservandone le regole.

Pizzetti - Mi astengo, come è giusto, da considerazioni riguardanti l'assetto organizzativo e funzionale dei nostri Servizi, in ordine ad un dibattito che forse andrebbe ripreso su attività informativa o di intelligence e attività operativa. Per quel che riguarda il trattamento dei dati personali, voglio ribadire che la disciplina contenuta nel codice privacy è equilibrata e si sforza di contemperare opposte e diverse esigenze. Voglio ribadire anche l'importanza e la necessità che essa trovi completa e integrale applicazione in tutte le sue previsioni. Come Garante per la protezione dei dati personali sentiamo il dovere e confermiamo l'impegno a porre in essere ogni sforzo per cercare di rendere sicure le grandi banche dati e in questo ambito posso ricordare l'attività di controllo che stiamo svolgendo sul Centro di elaborazione dati del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno. Voglio concludere sottolineando che questa è la missione principale che l'Autorità intende e deve svolgere nel prossimo futuro, coinvolgendo anche, laddove è possibile, le altre Autorità di garanzia europee. L'emersione, il controllo, la messa in sicurezza delle grandi banche dati sia pubbliche che private è l'impegno a cui io voglio adempiere, con l'aiuto e la collaborazione delle altre istituzioni. Sono persuaso che nella società contemporanea la protezione dei dati personali rappresenti un complesso di regole fondamentali dell'ordinamento che vanno rese flessibili e adattabili alla sua stessa evoluzione, un elemento costitutivo della cittadinanza in tempi di costante esposizione dell'individuo all'osservazione di innumerevoli soggetti ed una componente fondamentale del sistema democratico.





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