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GNOSIS 4/2005
RECENSIONI

Terrorismo: una definizione per una risposta adeguata


di Alain CHARBONNIER

Terrorismo è un termine facile, entrato nel lessico universale. Tutti ne parlano o ne hanno sentito parlare, alcuni ne discutono talvolta con un certo timore, altri con supponenza. Come a dire: che si aspetta a combattere il terrorismo con metodi adeguati? Già, sono proprio i "metodi adeguati" che scarseggiano. Anche perché a livello internazionale non si è ancora trovata una definizione condivisa di che cosa è o non è terrorismo. Tantomeno si conoscono gli uomini e le donne che lo praticano, la loro personalità profonda, le loro spinte reali dietro lo schermo ideologico o religioso. Sono questi i temi che toccano i tre libri presentati in questa occasione, scritti da un diplomatico, che affronta il tema delle regole e della violenza, da un giovane studioso di strategia e geopolitica, che analizza il metodo israeliano di combattere il terrorismo, da un giornalista inglese, che i terroristi ha conosciuto e frequentato.


E' antica la questione della risposta al terrorismo nelle sue diverse forme. Come è antico il tentativo di una sua definizione univoca, accettata universalmente, intimamente connessa proprio al tipo di "risposta" che lo Stato dovrebbe dare alla minaccia terroristica e quindi al comportamento nei confronti dei terroristi.
E questi, vanno ritenuti criminali tout court, giudicati quindi da normali tribunali penali, oppure sono da considerare "combattenti politici", ancorché di una guerra unilateralmente dichiarata, e per ciò stesso non giudicabili in aule di giustizia ordinarie, come tentavano di sostenere i brigatisti rossi?
Definizione e risposta sono i temi affrontati da tre recenti volumi. Ne "La violenza, le regole", 116 pagine, Giulio Einaudi Editore, Roberto Toscano, ambasciatore a Teheran, ragiona dell'ampio tema della violenza al tempo della globalizzazione, con una particolare attenzione al sistema delle regole "per vedere fino a che punto esse possono costituire un valido riferimento per una governabilità mondiale capace di prevenire e limitare la violenza".


Nel suo "Israele e la guerra al terrorismo", pagine 335, Luiss University Press, un giovane studioso di strategia e geopolitica, Beniamino Irdi Nirenstein, tocca proprio il difficile tema della "risposta" al terrorismo, così come è stata elaborata nel tempo dal governo israeliano, e le aleatorie prospettive di un successo permanente.


Infine, in "A cena con i terroristi", 430 pagine, Nuovi Mondi Media, Phil Rees, a lungo corrispondente della BBC dai paesi asiatici e dal Medio Oriente, tenta di rispondere alla domanda: "Chi è un terrorista?", raccontando gli incontri con alcuni degli uomini più ricercati del mondo.


In Italia, in tempi recenti, dovendo giudicare un gruppo di appartenenti a una cellula islamica accusati di "terrorismo internazionale", un magistrato milanese ha pensato bene di disquisire sottilmente sulla differenza fra terrorismo e guerriglia, mandando assolti gli arrestati, in quanto combattenti contro l'occupazione straniera in Iraq. Decisione poi disattesa dalla Cassazione.
Interpellato dai media, un altro magistrato, esperto di terrorismo per aver condotto numerose inchieste, il dottor Maurizio Laudi, di Torino, ha spiegato dottamente come la definizione contenuta nell'articolo 270 bis del Codice Penale, che prevede appunto il reato di "terrorismo internazionale", si presti a più di un equivoco.
In altra pagina di questo numero, Valentina Colombo cita il "Vocabolario della Lingua Italiana" Treccani che così definisce il terrorismo: "Azione e metodo di lotta politica (per difendere o più spesso per sovvertire o destabilizzare una struttura di potere) che, per imporsi, fa uso di atti di estrema violenza, come attentati e sabotaggi, dirottamenti, rapine, sequestri e assassini o ferimenti, guerriglia urbana contro le forze dell'ordine ma soprattutto nei confronti di persone innocenti, allo scopo di suscitare il panico e la reazione emotiva della popolazione".
Sembrerebbe una definizione inequivocabile, che delinea un ampio spettro di azioni, ivi compresa la "guerriglia urbana contro le forze dell'ordine", sottolineandone anche gli scopi: "suscitare panico e reazione emotiva della popolazione".
Alla luce di quanto sopra, dovrebbe discendere, per esempio, che, in occasione della riunione del G8, a Genova, nel 2001, i protagonisti dei disordini hanno impegnato le forze dell'ordine nella guerriglia urbana, hanno suscitato panico e reazione emotiva nella popolazione, ergo sono oggettivamente "terroristi".
Nessuno degli arrestati però è stato incriminato con l'aggravante della finalità di terrorismo. Il che la dice lunga sulla differenza fra definizione giuridica del reato e definizione linguistica dell'azione, pur essendo entrambe redatte in lingua italiana. Ma la dice lunga anche sulla diversa valutazione "politica" dell'azione: del tutto illegittima secondo le forze moderate, sacrosanta reazione contro i "padroni del mondo", secondo i partiti dell'estrema sinistra.
Del resto, sottolinea il generale Carlo Jean, nella premessa al libro di Beniamino Irdi Nirenstein, del quale è stato professore: "le istituzioni internazionali - in particolare l'ONU - non sono riuscite finora a concordare una definizione unica di terrorismo". Tanto che "chi viene considerato terrorista da taluni, è un guerrigliero e un combattente per la libertà per altri".
Appunto, come nel caso del magistrato di cui parlavamo sopra. Nonostante, aggiunge Carlo Jean, si siano moltiplicati gli appelli "perché qualsiasi terrorismo - definito come qualsiasi atto di violenza contro civili inermi - venga considerato crimine contro l'umanità", in realtà non è stato ancora possibile raggiungere un accordo.
Scrive Roberto Toscano a pagina 30 che il terrorismo "è al centro del discorso politico internazionale, è oggetto di centinaia di libri, articoli, conferenze, dibattiti in tutto il mondo, mentre fiorisce il business degli esperti di antiterrorismo ospiti di talk show e tavole rotonde".
Eppure, annota sconsolato: "paradossalmente non sappiamo bene di cosa stiamo parlando, dato che non esiste oggi una definizione di terrorismo universalmente accettata".
Del resto Osama Bin Laden in un video trasmesso da Al Jazeera non discettava di "terrorismo buono", quello esercitato da lui e dai suoi seguaci, e di "terrorismo cattivo", quello di tutti gli altri?
Ma se è così difficile dire che cos'è il terrorismo, come si possono individuare i metodi corretti per affrontarlo e sconfiggerlo? Toscano teorizza un sistema di legalità e di solidarietà internazionale, un sistema di istituzioni capace di ridurre l'insostenibile insicurezza generata dall'esercizio della violenza.
In altri tempi e in altri luoghi si è discusso della "parata e della risposta", quando in Italia neppure si sapeva cosa fosse il terrorismo e si discettava di "guerra non ortodossa", definizione politicamente corretta, in luogo di "guerra rivoluzionaria", elaborata ai francesi, o di "controinsurrezione", elaborata dagli americani.
In ogni caso, il principio base era lo stesso: puntare alla "conquista dei cuori e delle menti" delle popolazioni dei paesi dove i terroristi erano scesi in campo. C'era la Guerra Fredda e ed erano gli anni delle "guerre di liberazione", dell'Est che guardava in cagnesco l'Ovest. Di qua ogni guerrigliero era un terrorista, di là ogni terrorista era un patriota. Dal Viet Nam all'America Latina si accendevano i "focos" teorizzati da Che Guevara. Gli emuli nostrani dei Tupamaros scrivevano sui muri: "Viet Cong vince perché spara" e "Mai più senza fucile".
Si trattò allora di elaborare la risposta a un terrorismo con una matrice ideologica chiara, che operava entro confini più o meno definiti, con obiettivi ben delineati. L'azione congiunta di intelligence, mobilitazione popolare, incentivi alla diserzione, operazioni "militari" di bassa intensità ha condotto alla disarticolazione delle organizzazioni terroristiche nazionali e della rete di supporto internazionale in Italia, Francia, Germania, Spagna, per limitarci all'Europa Occidentale.
Che il terrorismo mediorientale, di matrice palestinese, fosse fatto di tutt'altra pasta si capì immediatamente, dopo i primi dirottamenti aerei e soprattutto con la strage di Monaco del 1972 e le successive all'aeroporto di Lod e a quello di Fiumicino.
Nell'impossibilità di una risposta "politica" a chi predicava il loro annientamento, gli israeliani, che di terrorismo se ne intendevano, per essersene ampiamente serviti proprio per edificare lo Stato d'Israele, scelsero l'opzione militare: eliminazione fisica dei terroristi ovunque individuati, incursioni aeree, terresti e navali contro i "santuari" della guerriglia palestinese.
A distanza di oltre trent'anni, l'opzione militare, corredata da operazioni sanguinose, come "Pace in Galilea", coniugata con il mutare del quadro politico strategico in quello scacchiere, ha sortito l'effetto tattico di frenare il terrorismo palestinese, senza tuttavia raggiungere l'obiettivo strategico di debellarlo del tutto.
Con un corollario: al terrorismo di matrice prettamente nazionalista si è sposato un terrorismo di matrice religiosa, che rivendica la supremazia islamica e il dovere della "guerra santa", che predica quel "terrorismo buono" di cui parla Bin Laden che ha per teatro il mondo intero e non conosce limiti, come ha dimostrato l'11 Settembre. Siamo arrivati così alla "globalizzazione del terrore" alla quale il "metodo israeliano" non può dare risposta sufficiente, come non può offrirla il sistema made in USA, tecnologico e muscoloso.
Neppure appare sufficiente, almeno a breve, il suggerimento dell'ambasciatore Toscano, basato sulla "buona volontà" degli Stati.
Alla "globalizzazione del terrore" sembra indispensabile oggi rispondere con una "globalizzazione delle risorse", vale a dire circolarità delle informazioni di intelligence fra le strutture antiterrorismo, controllo dei flussi finanziari, strategie politiche che sottraggano consenso ai terroristi, spazio giuridico comune, vale a dire norme univoche e condivise.
Praticato da uomini colti e gentili, da barbuti urlanti e brutali, da donne generose e altruiste, da combattenti dure e determinate, il terrorismo si presenta sempre con facce diverse. L'arte della dissimulazione e del vivere pericolosamente è connaturata nelle persone capaci di dare la morte senza un attimo di emozione, forti delle loro fedi e delle loro certezze nella vittoria.
Proprio per capire il loro mondo e per capire la "persona terrorista", il libro di Rees rappresenta un contributo importante alla messa a punto di nuovi e più adeguati metodi di risposta al "sistema" del terrore.



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