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Per Aspera Ad Veritatem n.9
Proliferazione. Una sfida per i Servizi informativi

Gunter HAENDLY




La caduta del Muro di Berlino e la fine dell'Unione Sovietica sono avvenimenti nella storia del XX secolo, le cui conseguenze ancor oggi non sono prevedibili nel dettaglio. Sebbene la fase della guerra fredda sia terminata ed è ormai improbabile il pericolo di uno scontro militare tra Est ed Ovest, l'euforia iniziale basata sul convincimento che nel mondo regni la pace ha dovuto lasciar posto alla constatazione che le cose non stanno così: contrariamente alle generali aspettative, al momento il mondo non è assolutamente libero da crisi e contrasti, poiché stanno venendo alla luce numerosi conflitti regionali, sino ad oggi latenti, che vengono portati avanti con strumenti militari. E si teme che altri conflitti avranno il medesimo esito.
Con preoccupazione crescente gli esperti dei Servizi d'Informazione occidentali stanno osservando i massicci tentativi di riarmo, sempre più evidenti in tutto il mondo, messi in atto da diversi Paesi del Terzo Mondo nel settore delle armi nucleari, biologiche e chimiche (armi ABC) e dei missili.
Gli ammonimenti e le preoccupazioni degli esperti del settore sono stati presi in seria considerazione solo quando alcuni avvenimenti spettacolari ne hanno rappresentato una pericolosa conferma:
- l'impiego di agenti chimici da parte delle truppe irachene sia contro la propria popolazione curda sia contro l'Iran nella 1a Guerra del Golfo;
- il lancio di missili da parte dell'Iraq contro città israeliane nella 2a Guerra del Golfo;
- la prova addotta dopo la fine della 2a Guerra del Golfo dalla UNITED NATIONS SPECIAL COMMISSION (UNSCOM), secondo la quale l'Iraq stava per mettere a punto un'arma nucleare ed era, inoltre, in procinto di sviluppare un missile con una gittata di circa 3.000 chilometri;
- la costruzione di una fabbrica di armi chimiche a Rabta, in Libia, con l'aiuto di Stati occidentali;
- le attività nucleari della Corea del Nord, che si è opposta ai controlli dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica.
Gli esempi sopra citati, comunque, costituiscono unicamente la "punta dell'iceberg". Poiché l'attività di acquisizione si svolge per lo più nell'ombra, l'opinione pubblica è tuttora all'oscuro circa l'elevata intensità con cui alcuni Paesi perseguono i loro progetti sugli armamenti nel settore delle armi di distruzione di massa, adoperandosi in ogni modo per acquisire - anche nei Paesi industrializzati - i mezzi tecnici necessari a tale scopo.
Dal momento che, a causa della delicatezza dei relativi processi, solo un numero esiguo di esperti nel settore del controllo sulle esportazioni conosce l'entità dei programmi di acquisizione già portati a compimento, nell'ambito del dibattito pubblico risulta notevolmente più difficile valutare, sotto il profilo della politica estera e di sicurezza, le dimensioni del problema nella sua globalità. Inoltre, spesso si confonde la "proliferazione" con il "traffico di armi".


Il concetto di proliferazione originariamente scaturisce dal dibattito sulla diffusione di armi nucleari al di fuori della cerchia delle cinque potenze atomiche "classiche". Attualmente la "proliferazione di mezzi di distruzione di massa" comprende anche la diffusione di armi chimiche e biologiche nonché di missili quali loro vettori più pericolosi. Dalle armi chimiche e biologiche sembrano essere "attratti" particolarmente i Paesi emergenti ed in via di sviluppo, poiché lo sviluppo e la produzione di queste, se paragonati alle armi nucleari, sono molto più semplici e richiedono costi meno elevati. Una caratteristica fondamentale della proliferazione dei mezzi di distruzione di massa risiede nel fatto che la loro distribuzione si compie in maniera "indiretta". In linea di massima, queste armi non vengono acquistate come "prodotti finiti": sino ad oggi, infatti, le armi ABC non sono mai state reperibili nell'ambito del traffico internazionale.
Negli ultimi anni, l'unico Stato a vendere sistemi missilistici completi nonché la tecnologia per la loro produzione è stata la Corea del Nord. Si trattava di missili SCUD, che rispecchiano il livello tecnico degli anni ‘50, ma l'acquisizione di missili di questo tipo per numerosi Stati rappresenta comunque un canale di accesso verso l'acquisizione di una tecnologia missilistica propria.
Gli Stati che intendono fornirsi di armi ABC o aspirano a vettori più moderni degli SCUD sono costretti, quindi, a costruire in proprio centri per la ricerca, lo sviluppo e la produzione. Ma per la costruzione di questi ultimi e per la produzione delle stesse armi, i Paesi necessitano di macchine, apparecchiature di misurazione e materiali comunemente reperibili in commercio ed utilizzabili anche in diversi settori di uso civile, i cosiddetti beni dual-use.
A seconda del tipo di arma, è possibile differenziare determinati impianti, materiali o procedimenti che rivestono un'importanza fondamentale specifica per lo sviluppo o la produzione di ogni singolo mezzo di distruzione di massa e che attualmente, nella maggior parte dei casi, possono essere reperiti solo nei Paesi industrializzati. Per quanto concerne il settore delle armi nucleari, queste "tecnologie critiche" (denominate anche tecnologie-chiave) riguardano, ad esempio, gli impianti di arricchimento (tra cui: supercentrifughe a gas, impianti elettromagnetici per la separazione degli isotopi, impianti per la diffusione dei gas) oppure i reattori per l'ottenimento del plutonio e gli impianti di rigenerazione; nel settore delle armi chimiche vi sono determinate sostanze che vengono utilizzate come precursori per la preparazione delle armi C oppure, ad esempio, impianti di produzione chimica particolarmente resistenti alla corrosione. Nel campo delle armi biologiche possono essere compresi nella tecnologia-chiave gli enzimi. Nella tecnologia missilistica, invece, vi sono i componenti dei carburanti per missili nonché i sistemi di guida dei missili.
Comunque, le forniture rilevanti per la proliferazione non sono definibili unicamente come tecnologie critiche. Da una parte ciò dipende dal fatto che la maggioranza dei prodotti, procedimenti ed equipaggiamenti necessari per le tecnologie critiche sono utilizzabili anche in campo civile (carattere dual-use). Dall'altra, possono acquisire rilievo per la proliferazione anche quei beni d'esportazione che non hanno alcun tipo di relazione con esse. Nel singolo caso, quindi, ai fini della valutazione della rilevanza per la proliferazione, oltre alla documentazione relativa all'esportazione, si rendono sempre necessarie informazioni di supporto, in particolare sul conto del destinatario all'estero nonché sull'utilizzo finale della merce, come si evince chiaramente dal seguente esempio: forniture di ricambi per macchinari atti alla costruzione di gallerie in linea di massima non dovrebbero costituire alcun problema. Esse, invece, acquisiscono importanza per la proliferazione qualora sussista il forte sospetto che tali macchine debbano essere impiegate per la costruzione sotterranea di un impianto per armi chimiche o di impianti per la produzione di missili.
Diversamente dal traffico di armi, quindi, quando si parla di "forniture rilevanti per la proliferazione", non si fa riferimento alla vendita di armi o di sistemi completi di armamenti, ma a forniture di macchine, impianti o materiali, che possono essere utilizzati per la produzione di armi ABC o missili.


Nell'ambito di ciò che si intende per "criminalità organizzata", e precisamente traffico di droga, riciclaggio di danaro sporco etc., rientrano quei soggetti che si organizzano al di fuori della sfera statale. Gli appartenenti a queste organizzazioni agiscono spinti dal desiderio di guadagno. Un trafficante di droga viene considerato un criminale in quasi tutti gli Stati.
Diversamente da quanto sopra, alla base di tutti i casi di proliferazione vi è la sete di potere e gli interessi legati alla sicurezza militare di Stati e Governi. Nel campo della proliferazione, quindi, i mandanti sono gli Stati che, per il raggiungimento dei loro fini, utilizzano tutti i mezzi a loro disposizione, anche i Servizi di Informazione. Lo scienziato che in Europa si è appropriato dei progetti relativi alle supercentrifughe a gas e che, in tal modo, permette al proprio Paese di accedere alla produzione delle armi nucleari, agli occhi del suo Governo è un patriota.
Quanto sopra illustra chiaramente che è possibile e doveroso contrastare la proliferazione di armi ABC e di missili non solo con i mezzi dell'azione penale ma, soprattutto, mediante misure di politica estera e di sicurezza. Le misure di Polizia non riescono a penetrare negli Stati che manovrano le attività di proliferazione.


Se, in futuro, uno Stato che ambisce a possedere armi A dovesse riuscire ad acquisire materiale utilizzabile per la fabbricazione delle armi nucleari (servendosi anche, ad esempio, di formazioni mafiose), ciò potrebbe ridurre di anni i tempi necessari al possesso di una o alcune di queste. Per tale motivo, una prova della disponibilità sul mercato nero di materiale fissile atto alla fabbricazione di armi, nonché la conoscenza di "rotte commerciali" rappresentano un indizio di enorme importanza per la politica di sicurezza.
I traffici si incentrano soprattutto su sorgenti radioattive, quali vengono impiegate in campo tecnico e medico, e su combustibile nucleare con diverso grado di arricchimento. Dal 1994, sono noti due casi in cui è stato possibile sequestrare materiale atto alla fabbricazione di armi.
Diversamente dai materiali radioattivi per impianti civili e militari, tra cui le sostanze utilizzabili nel settore nucleare, si ritiene che la salvaguardia delle armi atomiche sia tuttora sufficientemente garantita. Non si è in possesso di indicazioni attendibili circa l'avvenuta sottrazione di armi di questo tipo.


Gli esempi sopra menzionati già fanno luce sui pericoli ed i rischi connessi alla diffusione dei mezzi di distruzione di massa. Il possesso di armi con una tale forza distruttiva nelle mani di Governi non legittimati e non controllati democraticamente, implica notevoli ulteriori minacce per la pace, la sicurezza e la stabilità in molte Regioni della Terra.
In tale contesto occorre menzionare che lo scioglimento dell'ex URSS ha sensibilmente aumentato i rischi di un'ulteriore diffusione dei mezzi di distruzione di massa. Da una parte, sono in giacenza sul territorio dell'ex Unione Sovietica grandi quantitativi di armi di questo tipo; dall'altra, vi è un alto potenziale di know-how e di personale esperto che si trova in condizioni economiche precarie.
La disagiata situazione economica degli Stati nati dall'URSS, la faticosa costituzione delle necessarie istanze di controllo come, ad esempio, le Autorità doganali e quelle preposte al controllo sulle esportazioni, la crescente corruttibilità registrata in alcuni settori delle Autorità preposte alla sicurezza ed il possibile aumento d'influenza dei gruppi della criminalità organizzata, contribuiscono a delineare una situazione potenzialmente ad alto rischio con il pericolo che materiale o know-how rilevante per la proliferazione defluisca verso gli Stati interessati. Il fatto che sussista qualche lacuna è dimostrato dai numerosi rapporti relativi al mercato nero di materiali nucleari.
L'esempio della Corea del Nord, inoltre, evidenzia chiaramente quali fatali conseguenze possa avere sull'impegno profuso a livello mondiale ai fini del controllo sul disarmo e sugli armamenti, il fatto che uno Stato riesca ad eludere l'Accordo internazionale sulla non-proliferazione e ad entrare in possesso di mezzi di distruzione di massa.
Infine, le armi ABC ed i relativi vettori ad alto potenziale rappresentano una minaccia diretta anche per l'Europa e la NATO. Alcuni Stati del Vicino Oriente stanno lavorando alla fabbricazione di missili aventi una gittata di oltre 1.000 chilometri. Anche i Paesi della NATO, quindi, rientrano nel raggio d'azione di questi missili che possono anche essere dotati di armi di distruzione di massa.


L'Iran svolge la sua attività di proliferazione in tutti e quattro i settori: porta avanti un programma nucleare mirante alla conoscenza dell'intero ciclo di combustibile, inclusi l'arricchimento dell'uranio e la rigenerazione dei combustibili. Sebbene sino ad oggi non sia stata provata l'esistenza di un programma di armi A, ciò rappresenta un campanello d'allarme. Analoga riflessione si adattava anche alla situazione dell'Iraq sino alla fine della 2a Guerra del Golfo. Per quanto concerne le armi B si stanno portando avanti le relative ricerche. Semplici armi C (per esempio iprite), invece, possono essere fabbricate. L'Iran si sta occupando della costruzione di una fabbrica di aggressivi chimici secondo i piani di Rabta. Inoltre, si sta adoperando al massimo per riuscire a produrre in proprio i missili.
Come l'Iraq in passato, anche l'Iran si serve di molteplici istituzioni di copertura all'interno del Paese in veste di acquirenti finali nonché di numerose ditte in tutto il mondo per l'acquisizione di tecnologie critiche. Inoltre, cerca di consolidare la collaborazione con altri Paesi del Terzo Mondo in tale settore, allo scopo di ridurre la dipendenza dai Paesi industrializzati.
La Corea del Nord figura in veste di esportatore nel settore dei missili: sostiene una serie di Paesi mediante l'esportazione di tecnologie inerenti al missile SCUD, da essa riprodotto ed ulteriormente sviluppato. La minaccia derivante dalle esportazioni nord-coreane aumenterebbe notevolmente con l'esportazione di tecnologia concernente il cosiddetto missile NO DONG. Si ritiene che tale missile, con un carico di circa 1.000 chilogrammi circa, abbia una gittata di 1.000 chilometri. Nella Corea del Nord, comunque, i missili menzionati dalla stampa con la denominazione TAEPO DONG I e TAEPO DONG II, cui viene attribuita una gittata da 2.300 a 4.000 chilometri, sono difficilmente realizzabili da un punto di vista tecnico.
La diffusione di tecnologia missilistica attualmente costituisce un punto critico nel quadro della generale attività di proliferazione. Quasi tutti i Paesi che si occupano della tecnologia SCUD di regola portano avanti parallelamente anche programmi per lo sviluppo di missili moderni con motore a propellente solido e gittata maggiore.
Quali Paesi fornitori di prodotti dual-use vengono presi in considerazione principalmente tutti i Paesi industrializzati. La scelta del Paese acquirente circa lo Stato cui rivolgere le proprie premure, poi, dipende da una serie di fattori diversi. Al riguardo, svolgono un ruolo anche gli sviluppi storici, i legami tradizionali, l'affinità linguistica e la vicinanza culturale.
Di grande importanza per la scelta del luogo di acquisizione, infine, è la capacità produttiva dell'industria e l'importanza del ramo industriale specializzato nella fabbricazione del prodotto da acquisire. Nell'ultimo decennio al riguardo si sono venuti cristallizzando alcuni punti fermi: l'interesse, per esempio, si è rivolto alle macchine utensili provenienti dall'area di lingua tedesca, agli impianti chimici in Germania, Francia, Svizzera e Italia nonché agli impianti di computer e software provenienti dagli USA. La legislazione sulle esportazioni e la prassi di controllo vigenti nei potenziali Paesi di origine acquisiscono sempre maggior rilievo nella scelta dei fornitori.
Occorre osservare, inoltre, che alcuni Stati, interessati essi stessi a tecnologie rilevanti per l'attività di proliferazione, compaiono senz'altro quali fornitori in altre branche.
Le attività di acquisizione si stanno dirigendo in misura sempre maggiore anche verso i Paesi emergenti ed in via di sviluppo, nei quali sussistano gli opportuni rami industriali. E, al riguardo, costituisce un vantaggio fondamentale per gli Stati acquirenti il fatto che tali Paesi spesso dispongono di meno efficaci sistemi di controllo sulle esportazioni.


Al fine di contrastare una proliferazione indiscriminata di mezzi di distruzione di massa, sono stati stipulati diversi trattati ed accordi internazionali, i più importanti dei quali sono:
- il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, con gli accordi safeguard sotto l'egida della International Atomic Organization (IAEO), integrato dal sistema di controllo del "Nuclear Suppliers Group";
- la cosiddetta "Iniziativa australiana", un gruppo attualmente costituito da 30 Stati, che si propone di concordare parametri unitari per il controllo dell'esportazione di prodotti chimici e di impianti chimici o biotecnologici;
- l'"Accordo sul divieto delle armi chimiche", entrato in vigore il 29 aprile 1997, dopo la ratifica ed il deposito dell'atto da parte del 65° Stato (Ungheria) in data 31.10.1996;
- l'"Accordo sul divieto di sviluppo, fabbricazione e deposito di armi batteriologiche (biologiche) e di armi a base di tossine nonché sulla distruzione di queste" dell'aprile 1972;
- il cosiddetto "Missile Technology Control Regime" (MTCR), stipulato nel 1987 dagli Stati appartenenti al G7, consistente in un sistema di controllo sulle esportazioni delle tecnologie considerate critiche ai fini dello sviluppo o la fabbricazione di missili la cui gittata supera i 300 chilometri. A tale sistema di controllo aderiscono attualmente 28 Stati;
- il "Wassenaar Arrangement" è stato stipulato nel dicembre 1994 con l'intento di giungere ad un coordinamento del controllo sulle esportazioni di prodotti dual-use nonché di armamenti. Tale compito deve essere portato avanti a completamento dei sistemi di controllo sulle esportazioni già vigenti.
Un importante mezzo di contrasto per quanto riguarda la proliferazione di tecnologie critiche è rappresentato dal controllo sulle esportazioni esercitabile dai potenziali Paesi fornitori, i quali si sono impegnati in tal senso nel quadro dei trattati sopra citati.


Nella seconda metà dell'ultimo decennio, le tecnologie dual-use venivano acquisite ancora in maniera "aperta" dai Paesi interessati. Gli acquirenti presentavano programmi civili grazie ai quali potevano camuffare i loro progetti sugli armamenti, dato che le tecnologie necessarie si adattavano in egual misura ad entrambi gli usi. Così, l'Iraq camuffava i suoi acquisti destinati alle fabbriche di armi, facendoli passare, ad esempio, per acquisti concernenti impianti per la produzione di pesticidi. Con l'incremento dell'attività informativa e dell'attenzione all'interno dei potenziali Paesi fornitori ed, in particolare, mediante controlli più severi e qualitativamente migliori sulle esportazioni, comunque, si sono notevolmente limitate le prospettive di successo di azioni di questo tipo.
Da allora, l'attività di acquisizione segue in misura sempre maggiore le rotte clandestine. Si tenta di disseminare l'acquisizione di macchine e di parti d'impianti in molteplici Paesi e ditte nonché di procedere poi in proprio all'assemblaggio dei singoli impianti. Inoltre, vengono tenuti nascosti sia l'effettivo acquirente finale che l'impiego previsto. Spesso sono coinvolte nei processi di acquisizione ditte di copertura in Paesi terzi e le forniture vengono effettuate attraverso percorsi obliqui.
Ai fini dell'acquisizione di tecnologie-chiave, alcuni Stati utilizzano anche i loro Servizi d'Informazione e dispongono di intere reti di ditte, gestite a livello statale, il cui compito principale consiste nell'acquisizione dei materiali necessari. In complesso, i Paesi destinatari si dimostrano molto flessibili nei loro metodi. Nella maggior parte dei casi, l'identificazione delle ditte di copertura porta alla loro immediata chiusura e spesso vengono aperte nuovamente dalle medesime persone in altro luogo e con altro nome. Anche le rotte vengono mutate una volta scoperte.


Una difficoltà di base nella lotta contro la proliferazione deriva dal fatto che l'attività di acquisizione non si incentra direttamente su sistemi di armamenti, ma piuttosto su materiali o know-how, con cui i mezzi di distruzione di massa possono essere studiati, sviluppati o prodotti. Qualora si evidenzi troppo chiaramente la connessione tecnica tra i prodotti o le tecnologie da acquisire all'estero ed i mezzi di distruzione di massa, spesso l'attività di acquisizione ha inizio in una fase antecedente. Gli Stati, cioè, tentano di procurarsi i prodotti che permettono loro di fabbricare all'interno del proprio Paese quegli impianti di produzione atti, a loro volta, alla creazione di tecnologie con cui i mezzi di distruzione di massa possono essere studiati, sviluppati e prodotti.
Tutto ciò rende più arduo per i potenziali Paesi originatori il riconoscimento tempestivo di processi rilevanti per la proliferazione ed una valutazione squisitamente tecnica circa le possibilità di impiego delle merci richieste non è assolutamente sufficiente a tale scopo. Infatti, per molti prodotti o beni ed, a maggior ragione, per quanto riguarda il know-how, le possibilità di impiego civile non sono distinguibili da quello militare. Le armi che i Paesi dediti alla proliferazione ambiscono a possedere, comunque, non sempre sono al livello più avanzato: si producono, quindi, sostanze aggressive biologiche e chimiche ad un livello tecnico inquadrabile nel periodo corrispondente alla 1a o alla 2a Guerra Mondiale; le armi A rispecchiano il livello acquisito alla fine della 2a Guerra Mondiale ed i missili SCUD rappresentano il livello dei primi anni ‘50.
La limitazione delle esportazioni alle sole merci non utilizzabili per la produzione di armi di questo genere, corrisponderebbe in pratica ad un divieto assoluto di esportazione. Per la lotta contro la proliferazione, quindi, dovranno essere vagliate possibilità diverse dall'introduzione di parametri tecnici o dalla determinazione di valori-soglia che il bene destinato all'esportazione non deve superare. Una di queste possibilità potrebbe consistere nel controllo dell'utilizzo finale delle merci da esportare e nella conoscenza dell'utente finale.
A tale proposito - oltre all'esportatore che spesso conosce l'acquirente finale - le informazioni possono essere acquisite soprattutto dal Servizio d'Informazione. Internet, le pubblicazioni e le banche dati di società accessibili al pubblico, nella maggior parte dei casi, contengono unicamente notizie opportunamente colorite. Questi sono i motivi per cui la proliferazione rappresenta uno dei settori principali nel quadro dell'incarico informativo dei Servizi d'Informazione occidentali.
Essi hanno il compito di:
- riferire ai loro Governi circa lo stato di sviluppo all'interno dei Paesi noti per le loro attività di proliferazione;
- individuare mezzi e metodologie, per lo più celati, con cui i Paesi dediti ad attività di proliferazione acquisiscono le tecnologie necessarie;
- contribuire, quindi, a contrastare il deflusso di beni e processi critici dai Paesi occidentali.
Oltre ai singoli aspetti a livello nazionale della lotta contro la proliferazione è necessario tener conto anche dell'aspetto internazionale: l'attività internazionale dei Paesi acquirenti, la minaccia rappresentata dalla proliferazione per la collettività internazionale e l'idea di una concorrenza leale tra i Paesi industrializzati presuppone una equiparazione delle normative nazionali sul controllo dell'esportazione.
In particolare, mediante l'armonizzazione delle normative di controllo si dovrà evitare che gli acquirenti possano procurarsi più agevolmente in un Paese quei prodotti che non riescono ad ottenere in uno Stato industriale vicino. Nel corso di questi ultimi anni, un'armonizzazione di tal genere è stata raggiunta in molti settori.


Sebbene negli ultimi anni alcuni Paesi abbiano divulgato programmi di carattere sensibile che poi, a seguito di pressioni internazionali e/o per convinzione propria, hanno sospeso (l'Argentina, ad esempio, il suo programma relativo ai missili, o il Brasile e il Sudafrica i loro programmi nucleari militari), attualmente la maggior parte dei Paesi dediti all'attività di proliferazione neanche accenna ad assumere un simile atteggiamento. Senza un ampio consenso internazionale, volto ad affermare effettivamente i sistemi di non-proliferazione sopra menzionati, il controllo sulle esportazioni da parte dei potenziali Paesi fornitori permane il mezzo più efficace per frenare notevolmente le attività di proliferazione o per poterle, a volte, arrestare del tutto.
In futuro, i Paesi in fase di riarmo devieranno sempre più le loro mire verso Paesi fornitori appartenenti al cosiddetto Terzo Mondo. Con la crescente industrializzazione nel mondo aumenterà anche il numero delle potenziali tecnologie dual-use. In complesso, il controllo sulla proliferazione diverrà più difficile ed, in tale quadro, i Paesi dell'Europa Centrale continueranno ad essere al centro delle mire degli acquirenti, quali fornitori di parti di impianti e di apparecchiature speciali. E poiché i Paesi in fase di riarmo hanno tratto insegnamento dagli errori del passato, diverrà sempre più arduo individuare le attività miranti all'acquisizione illegale.
La sfida ai Servizi d'Informazione è, quindi, di eccezionale rilevanza.


(*) Traduzione a cura della Redazione.

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