recensioni e segnalazioni 4/2013
Maria Gabriella Pasqualini
Breve storia dell’organizzazione dei Servizi d’Informazione
della R. Marina e R. Aeronautica. 1919-1945 Commissione Italiana di Storia Militare, 2013 pp. 250 - € 22.00
di Alain Charbonnier
della R. Marina e R. Aeronautica. 1919-1945 Commissione Italiana di Storia Militare, 2013 pp. 250 - € 22.00
di Alain Charbonnier
Presentato alla Fiera del Libro di Torino a maggio, il volume è il risultato di un’accurata ricerca negli archivi italiani, nei National Archives and Records Administration (NARA) di Washington, nei National Archives of the United Kingdoms (NAUK) di Kew Garden (Londra) e in quelli del Service Historique de la Defense (SHD) di Parigi. Reperire notizie e collocarle al posto giusto, estraendole da documenti bruciacchiati o danneggiati dall’acqua usata per spegnere le fiamme, ha costituito davvero un’impresa. Lo si evince dall’eccellente dotazione iconografica che, oltre a rapporti del periodo che va dalla Prima guerra mondiale al secondo dopoguerra, contiene proprio riproduzioni di documenti con evidenti tracce di bruciature provenienti dai NARA.
La storia del Servizio Informazioni e Sicurezza (SIS) trova il suo embrione in talune attività di ufficiali della Marina di un’Italia appena unificata, tuttavia privi di idee chiare sul compito da assolvere tanto che «il Ministero della Guerra e quello degli Affari Esteri erano molto attenti a che essi non assumessero rischi in grado di causare imbarazzi al Governo italiano: gli ufficiali, quindi, non avrebbero potuto avere incarichi informativi all’estero per svolgere i quali «occorresse fare più di ciò che può fare un viaggiatore o un turista qualunque». Il Servizio Informazioni Aeronautica (SIA) prende corpo con la Prima guerra mondiale, come 5^ Sezione, Situazione e Informazioni dell’Ufficio Servizi Aeronautici. Elevata l’Aeronautica a terza Forza armata nel 1923, la 5^ Sezione divenne Sezione Informazioni Aeronautiche, dipendente dal Gabinetto del Ministro. Scrive l’autrice, «In alcuni studi si legge che il SIA fu istituito agli inizi del secondo conflitto mondiale ma esisteva come reparto autonomo fin dal 1935, come ci dimostrano i documenti». Oltre a produrre studi sulle aviazioni degli altri paesi, il SIA non si rivelò molto attivo per mancanza di risorse umane e finanziarie. La terza parte del volume, dedicato alla crittografia, parte da una premessa: «Non sono moltissime le notizie circa l’organizzazione dei servizi crittografici militari in Italia tra la fine del primo conflitto mondiale e la fine del secondo; quelle esistenti sono frammentarie e derivano principalmente dagli interrogatori dei prigionieri di guerra e degli ufficiali addetti alle Sezioni crittografiche condotti dagli angloamericani tra il settembre 1944 e il maggio 1945». Dagli interrogatori emerge che ogni documentazione fu in gran parte distrutta al momento dell’armistizio. Il carteggio salvato fu trasferito a Castiglion delle Stiviere, una delle sedi del Servizio Informazioni Difesa (SID), da elementi che avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana (RSI). Anche questa parte, però, fu quasi tutta eliminata nell’aprile del 1945 e pochissimo fu recuperato dagli Alleati. Se d’interesse è la ricostruzione degli iter burocratici e dei conflitti fra Ministeri, è molto importante il lavoro che riguarda il periodo successivo all’8 settembre, la collaborazione con l’intelligence alleata, i contatti segreti e le infiltrazioni del SID della RSI, i contrasti e le limitazioni imposte dagli inglesi e dagli americani, nonostante i preziosissimi servizi resi da uomini che rischiavano la vita ogni giorno (e il contributo di sangue pagato non fu poco). Ne è un esempio la ‘missione Zanardi’, dal nome del tenente di vascello Giorgio Zanardi che Maria Gabriella Pasqualini riporta con dovizia di particolari. «Il 14 settembre 1944, il SIS, ricostituito in clandestinità, aveva inviato nella zona occupata dai nazifascisti lo Zanardi, senza preventivi accordi con il SIM che avrebbe dovuto coordinare gli altri Servizi, e soprattutto senza il benestare angloamericano. Il giovane ufficiale doveva raccogliere informazioni sullo stato della Marina della RSI e tentare di salvare impianti e mezzi della Regia Marina… Ritornato dalla missione e sbarcato a Cesenatico, fu fermato dal Field Security Service e portato di fronte alla polizia alleata. Lo Zanardi dichiarò di essere un agente del SIS in missione, rispose a lle domande e compilò una relazione che fece infuriare le autorità alleate: infatti, egli aveva preso contatto con l’Ammiraglio Sparzani, allora Ministro della Marina repubblicana, e con il comandante Junio Valerio Borghese della X MAS. Deplorati furono i contatti promossi tra industriali italiani e lo stesso comandante Borghese. Intanto le Autorità alleate chiedevano conto al SIM del perché non fossero state avvertite come prescritto dalle disposizioni impartite dai Servizi alleati… Vi fu un difficile incontro tra Calosi, capo del SIS, il colonnello Agrifoglio, Capo del SIM e il maggiore Page, Capo dell’Intelligence Service inglese. Il dibattito sull’utilizzo dei risultati della missione Zanardi fu lungo e acceso come lo fu la risposta degli Alleati: se la Marina italiana desiderava compiere azioni di sabotaggio, doveva accordarsi con quella britannica a Taranto». Era difficile mantenere gli equilibri, ma i ghiribizzi della Storia conducono a negare una circostanza e ad ammetterla un minuto dopo. Così, se a Zanardi nel settembre del 1944 erano stati rimproverati i contatti con Borghese, «nel febbraio 1945, i Servizi alleati decisero di utilizzare proprio Borghese per neutralizzare il piano nazista di distruggere porti, linee e vie di comunicazione, industrie e scelsero il comandante Marceglia, già membro della X MAS prima del 1943, che, incaricato dal SIS, prese contatto con Borghese, prospettandogli la possibilità di essere tutelato dai partigiani che ne volevano la morte, se avesse cooperato nell’impedire ai tedeschi di attuare il loro piano di distruzione che all’ultimo momento annullarono, negoziando una resa separata. Borghese tenne fede alla parola data e il suo personale poté fornire le mappe dei campi minati che ostruivano il porto di Livorno. James Angleton e il comandante Resio segretamente andarono a Milano, dove li raggiunse Borghese. Fu deciso di trasferirlo rapidamente all’Head Quarter alleato di Caserta, dove fu interrogato e poi consegnato all’ammiraglio De Courten per un processo regolare. Quel che poi accadde è ben noto». Non poche anche le vicissitudini per ricostruire il SIA, che sarà denominato ‘Ufficio I’. E questo nonostante al momento del trasferimento a Brindisi del Comando Supremo, elementi del SIA fossero riusciti a dare origine a un primo nucleo informativo e a costituire un Centro Radio clandestino che poté stabilire i collegamenti già dal 19 settembre. Una radio trasmise da Villa Savoia (sulla via Salaria, a Roma), dall’ottobre 1943 al gennaio 1944; un’altra dalla casa privata di un maresciallo dell’Aeronautica, nei pressi del Vaticano. Dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio molti esponenti del Fronte Clandestino Militare furono arrestati e il Centro Radio dovette spostarsi molte volte. Un apparato fu installato in zona extraterritoriale dentro i Palazzi Lateranensi. Un altro, saltuariamente, presso abitazioni private e successivamente proprio nel Collegio teutonico in Vaticano. Una terza radio fu tenuta in un nascondiglio sicuro. Scrive la Pasqualini: «Il 4 novembre 1943 il Capo di Gabinetto del Ministero dell’Aeronautica inviò un messaggio al Comando Supremo a Brindisi, per informarlo della ricostituzione del Servizio Informazioni Aereonautica in quella data, con la preghiera di comunicare la notizia anche alla Missione Militare Alleata. Sul documento un ufficiale del Comando Supremo annotò a penna: «bisognerebbe che intervenisse il Capo del Governo e ordinasse che tutti i Servizi militari si concentrino in uno solo, però il SIM, in questo caso, diventerebbe sempre più pletorico e non so se ci convenga per ora…. Un’altra mano, accanto a questa notazione, marcò un NO con una matita rossa». Ma ancora più interessante è lo sbalordimento degli Alleati a fronte della scoperta di come i loro codici venissero puntualmente ‘rotti’ dai nostri crittografi. Altro discorso è come utilizzammo le informazioni decrittate, soprattutto sui movimenti del naviglio inglese nel Mediterraneo. C’è un passo del libro che desta non solo perplessità ma, direi, un sospetto: «La 6^ Armata in Sicili a preparava la difesa contro gli anglo-americani. Il colonnello Guido Emer, esperto crittografo, riferì nel consueto interrogatorio al quale fu sottoposto da parte del Combined Service Intelligence Detailed Interrogation Centre (CSIDIC), che lì era stato fatto un buon lavoro ma poca attenzione era stata data ai risultati conseguiti. Nonostante quanto era stato scoperto rispetto alla possibilità di uno sbarco anglo-americano su quelle coste, nessuno nei vertici militari aveva preso in considerazione quanto riferito dalla Sezione Crittografia». È a questo che si riferisce l’agente OSS Vincent Scamporino quando afferma che gli italiani conoscevano i piani dell’Operazione Husky, lo sbarco in Sicilia e, perfino, le spiagge dove avrebbero attaccato? E perché decrittazioni e informazioni non furono prese in considerazione? Quando, a guerra finita, si pose il problema di ricostituire il Servizio Informazioni, gli Alleati ebbero molte perplessità. Il prestigio delle Forze armate italiane era piuttosto basso ma agli anglo-americani era evidente, comunque, che sarebbe stato impossibile impedire all’Italia di riorganizzare i Servizi d’Informazione militare. Se questi, tuttavia, avessero mantenuto un low profile e con essi le Sezioni d’intercettazione delle singole Forze armate, non vi sarebbe stato nulla da temere. «L’adesione al Patto Atlantico da parte dell’Italia risolse i problemi », conclude Maria Gabriella Pasqualini
La storia del Servizio Informazioni e Sicurezza (SIS) trova il suo embrione in talune attività di ufficiali della Marina di un’Italia appena unificata, tuttavia privi di idee chiare sul compito da assolvere tanto che «il Ministero della Guerra e quello degli Affari Esteri erano molto attenti a che essi non assumessero rischi in grado di causare imbarazzi al Governo italiano: gli ufficiali, quindi, non avrebbero potuto avere incarichi informativi all’estero per svolgere i quali «occorresse fare più di ciò che può fare un viaggiatore o un turista qualunque». Il Servizio Informazioni Aeronautica (SIA) prende corpo con la Prima guerra mondiale, come 5^ Sezione, Situazione e Informazioni dell’Ufficio Servizi Aeronautici. Elevata l’Aeronautica a terza Forza armata nel 1923, la 5^ Sezione divenne Sezione Informazioni Aeronautiche, dipendente dal Gabinetto del Ministro. Scrive l’autrice, «In alcuni studi si legge che il SIA fu istituito agli inizi del secondo conflitto mondiale ma esisteva come reparto autonomo fin dal 1935, come ci dimostrano i documenti». Oltre a produrre studi sulle aviazioni degli altri paesi, il SIA non si rivelò molto attivo per mancanza di risorse umane e finanziarie. La terza parte del volume, dedicato alla crittografia, parte da una premessa: «Non sono moltissime le notizie circa l’organizzazione dei servizi crittografici militari in Italia tra la fine del primo conflitto mondiale e la fine del secondo; quelle esistenti sono frammentarie e derivano principalmente dagli interrogatori dei prigionieri di guerra e degli ufficiali addetti alle Sezioni crittografiche condotti dagli angloamericani tra il settembre 1944 e il maggio 1945». Dagli interrogatori emerge che ogni documentazione fu in gran parte distrutta al momento dell’armistizio. Il carteggio salvato fu trasferito a Castiglion delle Stiviere, una delle sedi del Servizio Informazioni Difesa (SID), da elementi che avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana (RSI). Anche questa parte, però, fu quasi tutta eliminata nell’aprile del 1945 e pochissimo fu recuperato dagli Alleati. Se d’interesse è la ricostruzione degli iter burocratici e dei conflitti fra Ministeri, è molto importante il lavoro che riguarda il periodo successivo all’8 settembre, la collaborazione con l’intelligence alleata, i contatti segreti e le infiltrazioni del SID della RSI, i contrasti e le limitazioni imposte dagli inglesi e dagli americani, nonostante i preziosissimi servizi resi da uomini che rischiavano la vita ogni giorno (e il contributo di sangue pagato non fu poco). Ne è un esempio la ‘missione Zanardi’, dal nome del tenente di vascello Giorgio Zanardi che Maria Gabriella Pasqualini riporta con dovizia di particolari. «Il 14 settembre 1944, il SIS, ricostituito in clandestinità, aveva inviato nella zona occupata dai nazifascisti lo Zanardi, senza preventivi accordi con il SIM che avrebbe dovuto coordinare gli altri Servizi, e soprattutto senza il benestare angloamericano. Il giovane ufficiale doveva raccogliere informazioni sullo stato della Marina della RSI e tentare di salvare impianti e mezzi della Regia Marina… Ritornato dalla missione e sbarcato a Cesenatico, fu fermato dal Field Security Service e portato di fronte alla polizia alleata. Lo Zanardi dichiarò di essere un agente del SIS in missione, rispose a lle domande e compilò una relazione che fece infuriare le autorità alleate: infatti, egli aveva preso contatto con l’Ammiraglio Sparzani, allora Ministro della Marina repubblicana, e con il comandante Junio Valerio Borghese della X MAS. Deplorati furono i contatti promossi tra industriali italiani e lo stesso comandante Borghese. Intanto le Autorità alleate chiedevano conto al SIM del perché non fossero state avvertite come prescritto dalle disposizioni impartite dai Servizi alleati… Vi fu un difficile incontro tra Calosi, capo del SIS, il colonnello Agrifoglio, Capo del SIM e il maggiore Page, Capo dell’Intelligence Service inglese. Il dibattito sull’utilizzo dei risultati della missione Zanardi fu lungo e acceso come lo fu la risposta degli Alleati: se la Marina italiana desiderava compiere azioni di sabotaggio, doveva accordarsi con quella britannica a Taranto». Era difficile mantenere gli equilibri, ma i ghiribizzi della Storia conducono a negare una circostanza e ad ammetterla un minuto dopo. Così, se a Zanardi nel settembre del 1944 erano stati rimproverati i contatti con Borghese, «nel febbraio 1945, i Servizi alleati decisero di utilizzare proprio Borghese per neutralizzare il piano nazista di distruggere porti, linee e vie di comunicazione, industrie e scelsero il comandante Marceglia, già membro della X MAS prima del 1943, che, incaricato dal SIS, prese contatto con Borghese, prospettandogli la possibilità di essere tutelato dai partigiani che ne volevano la morte, se avesse cooperato nell’impedire ai tedeschi di attuare il loro piano di distruzione che all’ultimo momento annullarono, negoziando una resa separata. Borghese tenne fede alla parola data e il suo personale poté fornire le mappe dei campi minati che ostruivano il porto di Livorno. James Angleton e il comandante Resio segretamente andarono a Milano, dove li raggiunse Borghese. Fu deciso di trasferirlo rapidamente all’Head Quarter alleato di Caserta, dove fu interrogato e poi consegnato all’ammiraglio De Courten per un processo regolare. Quel che poi accadde è ben noto». Non poche anche le vicissitudini per ricostruire il SIA, che sarà denominato ‘Ufficio I’. E questo nonostante al momento del trasferimento a Brindisi del Comando Supremo, elementi del SIA fossero riusciti a dare origine a un primo nucleo informativo e a costituire un Centro Radio clandestino che poté stabilire i collegamenti già dal 19 settembre. Una radio trasmise da Villa Savoia (sulla via Salaria, a Roma), dall’ottobre 1943 al gennaio 1944; un’altra dalla casa privata di un maresciallo dell’Aeronautica, nei pressi del Vaticano. Dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio molti esponenti del Fronte Clandestino Militare furono arrestati e il Centro Radio dovette spostarsi molte volte. Un apparato fu installato in zona extraterritoriale dentro i Palazzi Lateranensi. Un altro, saltuariamente, presso abitazioni private e successivamente proprio nel Collegio teutonico in Vaticano. Una terza radio fu tenuta in un nascondiglio sicuro. Scrive la Pasqualini: «Il 4 novembre 1943 il Capo di Gabinetto del Ministero dell’Aeronautica inviò un messaggio al Comando Supremo a Brindisi, per informarlo della ricostituzione del Servizio Informazioni Aereonautica in quella data, con la preghiera di comunicare la notizia anche alla Missione Militare Alleata. Sul documento un ufficiale del Comando Supremo annotò a penna: «bisognerebbe che intervenisse il Capo del Governo e ordinasse che tutti i Servizi militari si concentrino in uno solo, però il SIM, in questo caso, diventerebbe sempre più pletorico e non so se ci convenga per ora…. Un’altra mano, accanto a questa notazione, marcò un NO con una matita rossa». Ma ancora più interessante è lo sbalordimento degli Alleati a fronte della scoperta di come i loro codici venissero puntualmente ‘rotti’ dai nostri crittografi. Altro discorso è come utilizzammo le informazioni decrittate, soprattutto sui movimenti del naviglio inglese nel Mediterraneo. C’è un passo del libro che desta non solo perplessità ma, direi, un sospetto: «La 6^ Armata in Sicili a preparava la difesa contro gli anglo-americani. Il colonnello Guido Emer, esperto crittografo, riferì nel consueto interrogatorio al quale fu sottoposto da parte del Combined Service Intelligence Detailed Interrogation Centre (CSIDIC), che lì era stato fatto un buon lavoro ma poca attenzione era stata data ai risultati conseguiti. Nonostante quanto era stato scoperto rispetto alla possibilità di uno sbarco anglo-americano su quelle coste, nessuno nei vertici militari aveva preso in considerazione quanto riferito dalla Sezione Crittografia». È a questo che si riferisce l’agente OSS Vincent Scamporino quando afferma che gli italiani conoscevano i piani dell’Operazione Husky, lo sbarco in Sicilia e, perfino, le spiagge dove avrebbero attaccato? E perché decrittazioni e informazioni non furono prese in considerazione? Quando, a guerra finita, si pose il problema di ricostituire il Servizio Informazioni, gli Alleati ebbero molte perplessità. Il prestigio delle Forze armate italiane era piuttosto basso ma agli anglo-americani era evidente, comunque, che sarebbe stato impossibile impedire all’Italia di riorganizzare i Servizi d’Informazione militare. Se questi, tuttavia, avessero mantenuto un low profile e con essi le Sezioni d’intercettazione delle singole Forze armate, non vi sarebbe stato nulla da temere. «L’adesione al Patto Atlantico da parte dell’Italia risolse i problemi », conclude Maria Gabriella Pasqualini
Artur Beifuss, Francesco Trivini Bellini
Branding terror
Loghi e iconografia di gruppi di rivolta e organizzazioni terroristiche
24 Ore Cultura, 2013
pp. 335 - € 27.90
Nell’ottobre del 2006 una foto diffusa dalla «Reuters» ritraeva un artificiere che teneva tra le mani i resti di un razzo lanciato dalla Striscia di Gaza, caduto nei pressi di una cittadina israeliana. Il rapporto d’agenzia riferì che, per ottenere il ‘credito’ dell’attacco, il Movimento per la Jihad Islamica in Palestina aveva ricoperto il razzo di scritte in ebraico per assicurarsi che non venisse confuso con quelli di altri gruppi. Quelle scritte volevano essere, in sostanza, il marchio di fabbrica di ‘quel’ gruppo. Con la grande quantità di formazioni attive ovunque, il branding (cioè l’insieme delle attività di promozione del marchio di un’azienda) e il marketing (ovvero il complesso dei metodi atti a collocare col massimo profitto i prodotti in un dato mercato) sono divenuti importanti anche per i terroristi, perché essere riconosciuti come artefici di un’azione è importante quanto averla compiuta. L’uso studiato di simboli, colori e caratteri tipografici, infatti, codifica il logo di un gruppo, lo contraddistingue e ne manifesta le idee. Il branding legato ai gruppi terroristici è un argomento poco studiato e questo libro vuole colmare la lacuna. Su questa premessa, liberamente tratta dall’introduzione al testo, Artur Beifuss e Francesco Trivini Bellini hanno realizzato un manuale sui marchi identificativi delle organizzazioni terroristiche. A ogni gruppo è dedicata una panoramica sulla genesi, l’ideologia, l’assetto organizzativo, il modus operandi e la cronologia degli eventi più significativi, corredata di un’interessante analisi del simbolismo adottato. Dei singoli elementi iconografici viene focalizzato il significato raffigurativo in termini, tra l’altro, di storia e obiettivi del gruppo e della sottesa ideologia. I colori sono davvero molti ma, idealmente, quello dominante è il rosso del sangue delle vittime inermi, anche se spesso i terroristi amano fregiarsi del titolo di combattenti della libertà. È per tale ragione che gli stessi autori affrontano il loro studio condannando in modo risoluto il doloroso e sempre attuale fenomeno.
Jennifer Egan
traduzione di Matteo Colombo
Scatola nera
Minimum fax, 2013
pp. 69 - € 7.50
Twitter, come noto, è un social network che fornisce agli utenti una pagina personale aggiornabile tramite messaggi di testo non superiori a 140 caratteri. Jennifer Egan è una scrittrice statunitense (Chicago, 1962) che nel 2011 ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa con l’opera Il tempo è un bastardo (A Visit from the Goon Squad). Dalla felice combinazione tra twitter e la scrittrice è nata Scatola nera (Black Box), una singolare spy-story scritta per essere pubblicata sul microblogging e scorrevolmente ritmata nelle brevi porzioni di testo consentite.
L’eroina di turno deve impossessarsi di informazioni sensibili e l’azione si sviluppa sulle rive del Mediterraneo, tra motoscafi ed elicotteri, malvagi e belle donne. L’autrice immagina una serie di concisi comunicati mentali trasmessi da una spia del futuro, tempo in cui la difesa degli Stati Uniti dal terrorismo non è più condotta da unità speciali ma affidata a comuni cittadini che si offrono volontari per singole missioni. Sono americani pronti a sacrificarsi per altri americani, al fine di assicurare loro una serena vita quotidiana. Si tratta, in sintesi, di un richiamo al senso di appartenenza, compendiato nei seguenti tweet: «Nel nuovo eroismo, l’obiettivo è trascendere i dolori e gli amori meschini della vita individuale in favore di un’abbagliante collettività... è fondersi in qualcosa di più grande del singolo individuo... è sbarazzarsi di generazioni di egocentrismo... è rinunciare all’ossessione americana della visibilità e del riconoscimento».
Un altro ‘cinguettio’ ci informa che il report finale può essere fornito solo da chi ha materialmente assolto l’incarico. L’operatore dovrà dunque rientrare alla base perché «La tua persona fisica costituisce la nostra Scatola Nera. Senza, non ci rimane traccia di quanto accaduto durante la missione».
Tornato a casa, il cittadino-agente segreto dovrà calarsi nell’anonimato da cui proviene, anche se «Non possiamo garantirvi che… le vostre vite saranno esattamente uguali a prima», e rinunciare a lodi e decorazioni.
È esattamente ciò che disse ai dipendenti della CIA il Presidente Eisenhower nel 1958 e che è riportato nel Dixit di questo numero.
L’eroina di turno deve impossessarsi di informazioni sensibili e l’azione si sviluppa sulle rive del Mediterraneo, tra motoscafi ed elicotteri, malvagi e belle donne. L’autrice immagina una serie di concisi comunicati mentali trasmessi da una spia del futuro, tempo in cui la difesa degli Stati Uniti dal terrorismo non è più condotta da unità speciali ma affidata a comuni cittadini che si offrono volontari per singole missioni. Sono americani pronti a sacrificarsi per altri americani, al fine di assicurare loro una serena vita quotidiana. Si tratta, in sintesi, di un richiamo al senso di appartenenza, compendiato nei seguenti tweet: «Nel nuovo eroismo, l’obiettivo è trascendere i dolori e gli amori meschini della vita individuale in favore di un’abbagliante collettività... è fondersi in qualcosa di più grande del singolo individuo... è sbarazzarsi di generazioni di egocentrismo... è rinunciare all’ossessione americana della visibilità e del riconoscimento».
Un altro ‘cinguettio’ ci informa che il report finale può essere fornito solo da chi ha materialmente assolto l’incarico. L’operatore dovrà dunque rientrare alla base perché «La tua persona fisica costituisce la nostra Scatola Nera. Senza, non ci rimane traccia di quanto accaduto durante la missione».
Tornato a casa, il cittadino-agente segreto dovrà calarsi nell’anonimato da cui proviene, anche se «Non possiamo garantirvi che… le vostre vite saranno esattamente uguali a prima», e rinunciare a lodi e decorazioni.
È esattamente ciò che disse ai dipendenti della CIA il Presidente Eisenhower nel 1958 e che è riportato nel Dixit di questo numero.
Francesca Bottari
Rodolfo Siviero
Avventure e recuperi del più grande agente segreto dell’arte
Castelvecchi, 2013
pp. 250 - € 22.00
di Margot
di Margot
Fascista e partigiano, compiacente e sovversivo, soldato e ribelle, poeta e ragioniere, insomma, un ossimoro in carne e ossa. È questo il Rodolfo Siviero che emerge dalla meticolosa ricerca dell’autrice, un uomo irrequieto, incarnazione delle più distanti contraddizioni, che ha conosciuto la coerenza solo attraverso il suo sviscerato amore per le arti. Siviero, con perizia e grafia minuta, racconta nei suoi diari le barbarie perpetrate dal 1938 al 1945 su mandato di Hitler e di Göring che, da improvvisati filantropi, commissionano ruberie legalizzate in nome di un improbabile progetto di protezione del patrimonio culturale italiano prima dai bombardamenti e poi dagli Alleati. Con altrettanta meticolosità, l’agente Siviero, matricola n. 1157, con l’ausilio di una fitta rete di informatori registra le opere trafugate, ne annota gli spostamenti e i ricoveri temporanei, sottrae gli elenchi di beni artistici e bibliografici al Kunstschutz e custodisce per anni il prezioso reliquiario. Naturalmente ben poco si conosce delle operazioni svolte per conto del SIM, e poi del SID, il Servizio informazioni della RSI, ma è certo che l’esperienza gli è valsa per affinare le doti di segugio incline alla trattativa e alle missioni segrete, tanto da poter contare nel dopoguerra più di cinquemila opere tra quelle recuperate e quelle di cui ha consentito il ritrovamento.