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Per Aspera Ad Veritatem n.8
CAMERA DEI DEPUTATI - XIII LEGISLATURA

Rapporto del comitato di studio sulla prevenzione della corruzione (Stralcio: cap. 1° e cap.4°)





Il Comitato di studio istituito con provvedimento del Presidente della Camera dei deputati del 27 settembre 1996 e insediato il 2 ottobre 1996, aveva per scopo la "elaborazione, nell'ambito dei principi fondamentali dell'ordinamento amministrativo italiano, di ipotesi di intervento legislativo per prevenire fenomeni di corruzione, tenendo conto delle caratteristiche del sistema delle imprese e delle principali esperienze straniere".
Il Comitato ha anzitutto condotto un'analisi delle varie situazioni di corruzione in Italia, delle istituzioni che ne sono colpite e delle conseguenze che esse comportano per il buon funzionamento di queste. Ha considerato i luoghi della corruzione quali si delineano nel triangolo dei rapporti tra potere economico privato, pubblica amministrazione e personale politico. La corruzione è vista generarsi grazie alle possibilità che hanno i privati di accumulare ingenti somme in nero, che gli amministratori delle società sono in grado di utilizzare allo scopo sia di arricchimento personale, sia di proteggere la loro impresa, comprando l'aiuto di politici o funzionari. Gli appartenenti alla pubblica amministrazione vengono coinvolti sia per desiderio di arricchimento personale, sia per accrescere il loro potere nei confronti del personale politico. Questo, a sua volta, è interessato a trarre vantaggi da rapporti corrotti, sia per desiderio di arricchimento personale, sia per rafforzare la sua posizione, di partito, o di corrente, o personale, nei confronti di coloro con cui è in competizione.
Indipendentemente dalle varie fattispecie legali che essa assume, la corruzione è, quindi, una forma di accordo fra una minoranza allo scopo di appropriarsi di beni che spettano alla maggioranza della popolazione, considerata questa, o come insieme di consumatori, o come insieme di cittadini elettori. Poiché i danni in termini di consumo, o in termini di domanda politica, si ripartiscono su di un'ampia popolazione (che, inoltre, è poco ascoltata), essi tendono a venir giudicati irrilevanti da coloro che perpetrano atti corrotti.
A tale tipo di autogiustificazione, alla quale è immaginabile che l'individuo corrotto possa far ricorso per superare eventuali resistenze morali, si aggiungono altre considerazioni, correnti nella letteratura internazionale, volte a circoscrivere gli effetti reali della corruzione. Si sostiene (soprattutto per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo) che la corruzione serve a oliare meccanismi burocratici, che altrimenti non funzionerebbero e, quindi, ostacolerebbero iniziative i cui effetti sono positivi per lo sviluppo economico. Oppure si sostiene che, se molti atti sono punibili per legge, ciò è perché la legge non aderisce al costume, che invece è molto più permissivo. O si osserva che nella corruzione c'è un elemento di equità, in quanto tende ad attenuare l'inferiorità di trattamento di cui godono, pur a pari o simile responsabilità, i dipendenti pubblici nei confronti di quelli privati. Infine ci si riferisce agli inevitabili costi delle democrazia, che difficilmente possono venir sostenuti senza l'apporto di denaro raccolto in maniera inevitabilmente illecita.
I costi della corruzione vanno, però, calcolati in maniera diversa. Anzitutto, dal punto di vista economico, come si dirà più avanti, episodi di corruzione provocano situazioni di rendita, lievitazione dei costi, selezione negativa delle imprese e incentivi all'opportunismo.
Ma oltre a questi danni immediatamente misurabili, la corruzione comporta due tipi di conseguenze di lungo periodo. La prima riguarda il funzionamento della pubblica amministrazione. Il diffondersi della corruzione in un'amministrazione incide non solamente introducendo diseconomie nelle operazioni condotte con intenzioni corrotte, ma anche erodendo i rapporti di fiducia fra gli appartenenti all'organizzazione non direttamente coinvolti, provocandone un cattivo funzionamento generalizzato. Dati raccolti da questo Comitato, inoltre, tendono a suggerire che, quando il numero di funzionari corrotti supera una certa soglia, o, in ogni caso, quando i singoli funzionari corrotti non si sentono più isolati, si mette in opera un meccanismo di assorbimento dei funzionari inizialmente resistenti, che finisce per obbligarli a colludere.
La seconda conseguenza è di natura simile alla prima, ma riguarda il sistema politico, e, più esattamente, il consenso dato dalla popolazione alla classe e alle istituzioni politiche nel loro complesso. Nell'introduzione al cosiddetto Nolan Report, sugli Standards in Public life, presentato al Parlamento del Regno Unito nel 1995, si sottolineano con allarme i dati dei sondaggi di opinione, che indicano un livello di fiducia riposta nel personale politico e nei membri del governo inferiore a quella riposta nei membri di tutte le altre istituzioni del paese (ecclesiastici, medici, insegnanti, giudici, funzionari, uomini d'affari e altre sette categorie); e inoltre, si registra negli anni recenti, una ulteriore caduta di fiducia per i politici e membri del governo. E si giustificano le proposte di più rigorosi principi di comportamento nella vita pubblica, proprio sulla base della constatazione di tale crescente discredito in cui cade chi vi partecipa. Ora, i periodici rapporti dei sondaggi comparativi fra i vari paesi europei, condotti dall'Eurobarometro, collocano regolarmente l'Italia nella posizione più bassa (e assai inferiore a quella della Gran Bretagna), quanto a consenso, o fiducia, della popolazione nella classe e nelle istituzioni politiche. E ugualmente indicano una forte caduta negli ultimi tempi. A tutto ciò si aggiunga quanto mettono in evidenza recenti ricerche condotte in Italia sul fenomeno che potrebbe chiamarsi della "corruzione della politica non corrotta". In queste ricerche si mostra che, in presenza di corruzione, anche i politici non corrotti sono portati a non denunciare la corruzione di cui vengono a conoscenza, e ad usare, invece, le loro informazioni al riguardo per ottenere vantaggi "politici" dai loro colleghi di altri partiti, pur senza seguirli sulla via della corruzione.
Il rapporto è diviso in quattro parti:
a) nella prima, sono valutate le dimensioni del fenomeno della corruzione ed individuate tipologia e cause;
b) nella seconda, vengono brevemente esaminati studi, proposte e riforme adottate in alcuni ordinamenti stranieri;
c) nella terza, più ampia, vengono elencati i mezzi atti a prevenire la corruzione o a disincentivarla (con esclusione del profilo repressivo);
d) nell'ultima parte sono indicati i tempi per l'attuazione delle diverse proposte.
Le analisi e le proposte contenute nel presente rapporto sono dirette principalmente a fornire un quadro di insieme e costituiscono, quindi, solo una base per una elaborazione compiuta.




I mezzi per prevenire la corruzione sono stati individuati dal Comitato sulla base dei principi costituzionali e delle loro implicazioni:
a) in primo luogo il principio di imparzialità e quello in base al quale i funzionari sono al servizio esclusivo della nazione. Da questi discendono regole quali:
- un'organizzazione amministrativa ispirata a modelli che consentano la separazione dalla politica, o almeno la mettano al riparo dalla politicità indotta per effetto della presenza di rappresentanti elettivi al vertice degli apparati;
- un'attività non arbitraria e non decisa caso per caso, bensì sulla base della predeterminazione e pubblicazione di criteri generali di attività;
- separazione tra interessi e patrimonio della pubblica amministrazione, da un lato, e interessi e patrimonio degli addetti ad essa, dall'altro;
b) in secondo luogo, il principio di fedeltà e quello di svolgimento delle attività pubbliche con onore e disciplina. Tali principi non vanno riferiti ai soli funzionari, ma a tutti coloro che prestano servizi pubblici. Questi principi impongono il disinteresse personale e il rispetto delle norme. Da essi deriva la possibilità di far riacquistare prestigio alla funzione pubblica;
c) in terzo luogo, il principio di responsabilità personale, amministrativa, penale e civile del funzionario nei confronti della collettività servita e dell'ente pubblico in cui il funzionario presta la propria opera. Il principio di responsabilità è legato, in primo luogo, alla regola della selezione secondo il criterio del merito; in secondo luogo, alla produttività dei dipendenti pubblici e al loro obbligo di conseguire i risultati indicati dalla legge e al significato costituzionale della partecipazione al lavoro.
I mezzi per prevenire la corruzione possono essere ordinati, in
base ai loro oggetti, a seconda che riguardino:
a) l'assetto normativo (4.2);
b) i rapporti tra politica e amministrazione (4.5, 4.7, 4.8, 4.10,4.11);
c) il corpo amministrativo (4.3, 4.9, 4.10, 4.12, 4.13, 4.14, 4.15,4.16, 4.17, 4.18);
d) l'attività amministrativa e i controlli (4.3, 4.4, 4.18, 4.19, 4.20);
e) i controlli nell'area privata (società e professioni) (4.4, 4.6, 4.16, 4.19, 4.21, 4.22).
Tali mezzi possono essere distinti anche in base alla natura degli interventi, a seconda che possano essere conseguiti con:
a) linee di politica generale (4.2, 4.3, 4.4, 4.18);
b) provvedimenti puntuali riguardanti lo svolgimento delle attività politiche (4.5, 4.6, 4.7, 4.8, 4.10, 4.11, 4.13);
c) provvedimenti puntuali riguardanti la pubblica amministrazione (4.8, 4.9, 4.10, 4.12, 4.13, 4.14, 4.15, 4.16, 4.17, 4.18, 4.19, 4.20, 4.21);
d) provvedimenti puntuali riguardanti imprese e professioni (4.22, 4.23).
Il Comitato propone le seguenti misure:


I problemi della normazione, nel nostro ordinamento, possono essere ricondotti a due fenomeni: l'eccesso di norme e il livello troppo elevato delle fonti. Il primo aspetto determina incertezza sulla disciplina delle varie materie e sulle norme da applicare nei casi specifici, nonché eccessiva regolazione delle attività private, soggette a troppi vincoli ed adempimenti; il secondo aspetto - determinato in gran parte dalle stesse amministrazioni, desiderose di trasferire le responsabilità sul livello legislativo e di imporre la propria volontà sulle altre amministrazioni - determina rigidità e difficoltà di modifica del tessuto normativo, e quindi necessità di ulteriore ricorso allo strumento legislativo.
Il risultato è uno stato di confusione, in cui gli amministratori possono scegliere quali norme applicare, possono interpretarle in modo da favorire l'una o l'altra parte, possono aggirare i vincoli imposti dalla legge.
Queste conseguenze si verificano, in particolare, in alcuni "settori sensibili", come quello dei contratti delle pubbliche amministrazioni. Questa materia è regolata da circa 500 atti normativi: accanto alla legge generale di contabilità vi è un gran numero di norme che stabiliscono deroghe, al punto che le procedure derogatorie sono più numerose di quelle che seguono la disciplina generale e l'amministrazione può, di volta in volta, scegliere una disciplina diversa. L'esempio, peraltro, dimostra anche un altro problema: le norme vigenti sono spesso antiquate, e la loro applicazione contrasta con le esigenze di efficienza. Anche questo determina il frequente ricorso alla legislazione in deroga: si tratta spesso di deroghe in bianco che non sostituiscono la disciplina generale con alcuna norma, lasciando le amministrazioni libere nella configurazione dei procedimenti di spesa.
Dalla confusione normativa non va esente la legislazione regionale, che spesso non è espressione di autonomia, ma ha carattere derogatorio o interstiziale rispetto a quella statale.
Altre conseguenze del disordine normativo vanno segnalate. L'eccesso di leggi determina rigidità e centralismo; la difficoltà e l'arbitrarietà nell'applicazione delle norme determina un'altissima conflittualità; una normativa eccessivamente complessa, poi, consente atteggiamenti ostruzionistici e "scioperi bianchi"; infine, vincoli troppo numerosi e complessi a carico degli operatori privati determinano uno stato di incertezza sul rispetto della legge, assoggettando gli stessi all'arbitrio degli organi di controllo e offrendo occasioni di corruzione e ricatto. Tutto ciò impedisce l'individuazione di precisi doveri e responsabilità e nuoce alla certezza del diritto: in presenza di più discipline che coesistono nella stessa materia e si sovrappongono o confliggono tra loro, il diritto è incerto e la sua applicazione negoziata.
I rimedi ai problemi della normazione sono la delegificazione e la codificazione. Si tratta, evidentemente, di interventi complessi, che coinvolgono vari altri problemi relativi al rapporto tra poteri pubblici e cittadini ed al sistema delle fonti; la razionalizzazione normativa - anche in assenza di riforme di più ampio respiro, come l'introduzione della legge organica o della riserva di regolamento - potrebbe comunque cominciare dai settori nei quali la confusione normativa è causa di corruzione.
In particolare:
a) occorre invertire il processo di legificazione. La delegificazione può essere operata in vari settori: ad esempio, quello delle procedure amministrative, secondo il modello della legge, n. 537 del 1993, e quello delle direttive comunitarie, troppo spesso recepite per via legislativa invece che regolamentare. Va, tuttavia, avvertito che, allo stato, il processo di delegificazione deve tener conto:
- del numero elevato delle previsioni costituzionali di riserva di legge assoluta;
- della necessità, comunque, di intervento della legge ordinaria nelle riserve relative, perché il Parlamento fissi i principi fondamentali della materia;
- della necessità dell'intervento della legge per abrogare la parte della materia da delegificare e per riformulare i principi della materia;
b) nel settore dei contratti pubblici, in particolare, è necessaria una disciplina che possa essere applicata in modo generale e costante;
c) la legislazione esistente va coordinata, eliminando sovrapposizioni e contrasti tra norme. A questo scopo, particolare utilità riveste lo strumento del testo unico: come dimostrato dall'esempio del testo unico bancario del 1993 (che ha abrogato un gran numero di atti legislativi precedenti), il riordino normativo può anche essere l'occasione per delegificare ampi settori di disciplina;
d) per un progetto più ampio di nazionalizzazione normativa, va tenuta presente l'esperienza francese di codificazione "a diritto costante". L'idea di fondo è di trasferire tutto il corpo normativo statale in un insieme coordinato di codici, elaborati da esperti e dalle amministrazioni interessate, secondo un programma elaborato da un organo centrale che coordina i lavori.


L'amministrazione ricorre sempre più frequentemente a forme di gestione privatistica. Il fenomeno va valutato positivamente, anche al fine di estendere l'area del diritto comune, mentre sono dannose le forme di diritto speciale o misto, a metà tra diritto pubblico e privato, che aumentano le occasioni di incertezza normativa e di confusione.
Tuttavia, poichè le cosiddette privatizzazioni hanno già dato luogo a problemi di "visibilità" e di efficienza e, in qualche caso, a fenomeni di corruzione, vanno posti ed assicurati strumenti di trasparenza:
a) occorre che alla privatizzazione formale, consistente nel mutamento della forma giuridica delle imprese pubbliche, segua quella sostanziale, con il loro collocamento sul mercato;
b) il processo di privatizzazione va reso più trasparente e vanno resi pubblici i vari passaggi ed i relativi costi;
c) si può considerare l'obbligo di denuncia degli organi di controllo interno al ministero del tesoro delle gravi irregolarità e violazioni di legge riscontrate;
d) nel caso di imprese che esercitano servizi pubblici è utile l'assoggettamento dei dipendenti a obblighi definiti dalle carte dei servizi pubblici;
e) vanno estesi e perfezionati i controlli di gestione.


Invece di pochi obblighi chiari, vi sono nell'ordinamento italiano molti vincoli poco chiari, che si prestano a negoziazioni. Infatti gli ostacoli burocratici artificiali costituiscono passaggi obbligati non necessari, che spingono dipendenti pubblici a valersene per ottenere controprestazioni e obbligano o inducono i privati, che debbono sottostare a controlli superflui, a commettere reati.
Questo stato di cose dipende dal sovrapporsi delle normative, dalla parcellizzazione delle funzioni pubbliche, dalla circostanza che, nell'introdurre nuovi compiti pubblici, non si rivedono quelli esistenti. Ne beneficiano apparati che andrebbero soppressi; ne consegue sovrabbondanza di personale pubblico; vi è connesso il taglieggiamento di attività private che potrebbero essere libere o sottostare a controlli unificati.
Questa situazione può essere modificata con interventi ispirati ai principi dettati dalle leggi n. 241 del 1990 e n. 537 del 1993:
a) soppressione di provvedimenti concessori, autorizzativi, di licenza, omologazione, collaudo, controllo, ecc. non necessari;
b) riduzione del numero dei procedimenti dello stesso tipo che si ritengono necessari, mediante unificazione;
c) riduzione delle fasi dei procedimenti necessari dello stesso tipo, in modo da ridurre sia il numero degli uffici che intervengono nel procedimento, sia i tempi necessari a completare il procedimento;
d) sostituzione di procedimenti pubblici di controllo con dichiarazioni rese da professionisti privati i quali dichiarino, sotto la propria responsabilità, la conformità a legge delle attività programmate o svolte;
e) sostituzione di controlli a tappeto con controlli a campione.
Questi rimedi incontrano ostacoli negli apparati pubblici perché comportano la soppressione di uffici che rimarrebbero privi di compiti e il conseguente riutilizzo di personale. Essi, però, comportano anche l'ulteriore beneficio di risparmi di spesa.
Alla semplificazione amministrativa mirano alcune disposizioni contenute nel disegno di legge recentemente presentato dal Governo.


Il finanziamento dell'attività politica può essere causa di corruzione per più ragioni:
a) se i soggetti politici (partiti, o correnti di partito, o movimenti) hanno bisogno di spendere più di quanto ricevano dal finanziamento pubblico;
b) se non vogliono far sapere pubblicamente da quali fonti private essi vengono finanziati.
Tali due cause indicano quali principi devono ispirare la regolazione della finanza politica:
a) mettere un limite alla possibilità di finanziamento e di spesa dei soggetti politici intervenendo contemporaneamente sulla necessità di spesa;
b) assicurare la pubblicità sia delle spese che dei finanziamento.
Un terzo principio da considerare è quello che impone di assicurare l'equità, cioè di assicurare che le stesse condizioni valgano per tutti i soggetti politici. Ciò ad evitare o che i soggetti maggiori siano preferiti nei confronti di quelli minori; o che i soggetti già operanti godano di condizioni più vantaggiose rispetto ai soggetti nuovi. Poiché tale principio non incide sul fenomeno della corruzione, le proposte che seguono riguarderanno soltanto i principi della limitazione della spesa e della pubblicità di essa e delle fonti di finanziamento.
a) Il principio della limitazione della spesa risponde a due preoccupazioni. Una riguarda direttamente la corruzione, in quanto, se la spesa è maggiore, maggiore è la tendenza a ricorrere a metodi di corruzione per finanziarsi. L'altra preoccupazione riguarda gli effetti che i costi della politica possono avere sul consenso dei cittadini nei confronti dello Stato rappresentativo e, quindi, sul prevalere di un clima morale di "non resistenza" generalizzata alla corruzione, qualora si diffondesse la convinzione che la classe politica gode di una facoltà di spendere cui non sono posti limiti.
Il principio della limitazione della spesa per la politica (o, meglio, per le campagne elettorali) caratterizza gli ordinamenti britannico ed americano, nonché, negli ultimi anni, quello francese. Esso si attua sia fissando un limite globale di spesa per unità di azione politica (candidato o partito); sia fissando un limite di donazione per ogni singolo donatore.
Nell'ordinamento italiano la legge 10 dicembre 1993, n. 515 ("Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica") introduce limiti sia alle spese elettorali sostenibili da parte dei partiti sia all'ammontare dei finanziamenti che i candidati possono ricevere da una sola fonte.
L'ordinamento italiano non prevede, invece (a differenza, per esempio, di quello britannico), il pagamento "in natura" di certi costi della politica. L'ordinamento britannico prevede la sovvenzione statale per la propaganda attraverso i "media" (radio e televisioni), e nello stesso tempo pone limiti molto stretti all'uso di questa propaganda da parte dei soggetti politici. Sembra che l'applicazione di questo principio è il principale fattore del basso tasso di corruzione nella politica britannica (si noti che il principio della limitazione della propaganda è un'estensione dei principi già contenuti nella legge sul finanziamento delle campagne elettorali del 1883, che segnò la fine di un più che secolare periodo di altissima corruzione nella politica del Regno Unito).
b) Il metodo della limitazione delle spese implica evidentemente il principio della loro pubblicità.
Questo è già previsto, nell'ordinamento vigente, dalla legge 18 novembre 1981, n. 659 ("Modifiche ed integrazioni alla legge 2 maggio 1974, n. 195, sul contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici") la quale prevede l'obbligo della dichiarazione dei finanziamenti ricevuti. Il principio è ripreso anche nella proposta di legge attualmente in discussione alla Camera ("Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici", A. C. 2096).
Se, però, si considera che le recenti elezioni si sono svolte con tali norme, e che la conoscenza da parte del grande pubblico dei nomi dei privati donatori è rimasta praticamente nulla, si deve concludere che la norma non consegue i suoi scopi. Si potrebbe, allora, prendere in considerazione l'obbligo di pubblicazione in organi di stampa delle liste di donatori ai vari partiti.
Le considerazioni che precedono inducono a riflettere sull'eventualità che il principio del finanziamento pubblico e privato dell'attività politica trovi previsione in sede costituzionale. Il ruolo del partito politico, come strumento di partecipazione del cittadino alla determinazione della politica nazionale, non può prescindere dal costo delle attività che vi sono connesse, alcune delle quali tipiche della promozione (diffusione degli obiettivi e dei metodi) e della raccolta dei consensi (momento elettorale).
L'intervento proposto avrebbe, dunque, lo scopo di:
a) rafforzare l'importanza del partito come mezzo di mantenimento e promozione della democrazia;
b) di consentire il controllo del partito e, in particolare dei rapporti tra flussi di finanziamento pubblici e privati, azioni e risultati;
c) di fissare la misura della legittimità delle leggi di attuazione del principio;
d) di limitare, in materia, l'uso dello strumento referendario.
Altro aspetto riguarda i flussi finanziari che sostengono i mezzi di comunicazione di massa, la cui pubblicità può essere imposta dalla legge con norme di carattere generale, ampliando la portata dell'articolo 21, comma 5, della Costituzione. E', infatti, opportuno che i cittadini conoscano la direzione di tali flussi.


L' analisi del fenomeno della corruzione ha indicato che è frequente, e spesso determinante, l'attività di mediatori, faccendieri e gruppi più o meno occulti, volti ad organizzare o facilitare lo scambio di favori e ricompense che integrano fatti di corruzione. L'ordinamento degli Stati Uniti, allo scopo di limitare l'aspetto occulto e gli effetti corruttori di tale attività, la regola, attualmente, con la legge del 1995.
Tale legge regola i lobbying contacts (contatti lobbistici). Sono considerati tali tutte le comunicazioni tra privati (si fanno alcune eccezioni) e pubblici ufficiali (di carriera o elettivi) volti ad ottenere provvedimenti, o proposte di provvedimenti, in favore di determinate persone o categorie.
Tutti coloro che perseguono tale attività di contatto e comunicazione sono obbligati a registrarsi presso le segreterie delle Camere, elencando una serie di informazioni riguardanti le loro persone, la società che li impiega, i clienti in favore dei quali essi agiscono, e i settori ai quali la loro attività si riferisce. Essi sono inoltre obbligati a redigere e consegnare ogni sei mesi un rapporto contenente dettagliate informazioni su tutta la loro attività durante quel periodo. La lista dei lobbisti e dei clienti e i rapporti semestrali sono pubblici.
Queste procedure rappresentano certamente un modo di limitare la corruzione politica che si svolge attraverso intermediari. Sarebbe interessante l'introduzione di una regolazione dell'attività di pressione anche in Italia. L'opportunità di regolare l'attività dei gruppi di pressione assume, poi, particolare rilievo anche in relazione alla posizione del pubblico impiegato indicata dall'articolo 98 della Costituzione nel quale viene enunciato il principio secondo cui il dipendente è all'esclusivo servizio della collettività. Di tale principio occorrerebbe liberare le potenzialità con riferimento non solo al rapporto tra politica e amministrazione, ma anche tra utilizzazione della titolarità dell'ufficio pubblico ed influenze esterne.
Occorre, tuttavia, considerare che la regolazione dell'attività di pressione comporta vantaggi, ma anche possibili inconvenienti e in ogni caso difficoltà di attuazione. I vantaggi sono ovviamente quelli dell'individuabilità dei soggetti svolgenti attività di pressione e della pubblicità dei loro atti. Gli inconvenienti sono relativi a possibili effetti di scoraggiamento dei rapporti tra privati e politici (questo ha indotto il rapporto Nolan a non proporre la regolazione delle lobby). Le difficoltà di attuazione sarebbero relative alla raccolta e alla gestione dei dati neccessari, nonché alla loro interpretazione e alla disciplina dei controlli.


La posizione acquisita dai partiti politici ha determinato la compenetrazione tra politica ed amministrazione. Da un lato, i partiti hanno assunto una struttura analoga a quella degli enti pubblici, svolgendo numerose funzioni ulteriori rispetto alla determinazione dell'indirizzo politico. Dall'altro, una notevole percentuale dei funzionari elettivi delle regioni e degli enti locali è costituita - come già osservato - da dipendenti pubblici: si è formato, quindi, un ceto intermedio tra politica e amministrazione, di funzionari professionali di una amministrazione e onorari di un'altra.
Le conseguenze di questo fenomeno sono numerose e alcune di esse sono state messe in luce in varie parti del presente rapporto. Tra le tante, non va trascurata quella del costante controllo che l'eletto svolge per mantenere e potenziare i propri consensi, entrando in competizione - vigente il sistema proporzionale - con altri candidati del suo partito. Tale controllo tende a raggiungere anche l'esercizio di diritti politici fondamentali del cittadino. Così, l'esiguo numero degli elettori assegnati alle sezioni e lo scrutinio dei voti presso ognuna di esse può consentire di conoscere le scelte elettorali e incentivare lo scambio ed il controllo del voto. Per evitare la gravità dell'inconveniente occorre prevedere l'accorpamento di più sezioni elettorali per lo scrutinio.


La possibilità di prevedere con legge misure intese a prevenire fenomeni di corruzione della classe politica è resa problematica sia dalla necessità di bilanciarle con il diritto all'elettorato passivo, affermato dalla Costituzione e discendente, a sua volta, dal principio di sovranità popolare, sia dalla peculiare natura giuridica dei partiti politici nel nostro ordinamento.
Sul primo punto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 141 del 1996, ha dichiarato illegittime alcune disposizioni relative alle elezioni regionali e negli enti locali, che sancivano la non candidabilità di coloro che fossero stati rinviati a giudizio per reati connessi alla criminalità organizzata e mafiosa. In particolare la Corte ha affermato che tale sanzione lede il diritto all'elettorato passivo, se comminata prima della sentenza definitiva di condanna. Eventuali ineleggibilità, specie per i membri delle Camere, potrebbero, quindi, essere previste solo per coloro che siano stati condannati per determinati reati.
Più in generale, è noto che la materia delle ineleggibilità e incompatibilità parlamentari, attualmente regolata dalla legge n. 60 del 1953 ("Incompatibilità parlamentari"), nonché da varie altre norme specifiche, attende da tempo di essere riordinata, anche al fine di aggiornare una disciplina in più parti dimostratasi inadeguata.
Potrebbero profilarsi diverse ipotesi:
a) intervenire sulla disciplina di fonte costituzionale;
b) introdurre limitazioni nei regolamenti parlamentari con l'estensione dei poteri della Giunta per le elezioni o l'istituzione di giurì;
c) rimettersi all'autoregolamentazione della disciplina delle candidature sostenuta dall'accordo fra tutti i partiti.
Non si nascondono le difficoltà che si oppongono a tali soluzioni, risultando evidente che le prime due inciderebbero pesantemente sull'autonomia delle Camere.
Non va neppure trascurato il profilo dell'attuale giudizio di contestazione sul quale è necessario intervenire (soprattutto alla luce del mutato sistema elettorale):
a) per tutelare pienamente il diritto inviolabile di difesa, ponendolo al riparo da un voto del plenum che privilegi il rapporto di forza tra maggioranza e minoranza ed eventualmente contrastante con l'accertamento avvenuto in Commissione;
b) per garantire l'autenticità del risultato;
c) per assicurare celerità alla conclusione del contenzioso.
Più agevole introdurre limitazioni all'accesso alle cariche elettive in sede regionale e locale, dove spesso avviene la selezione del personale politico.


Come si è notato prima, l'ordinamento italiano contiene norme lacunose sui rapporti tra politica e amministrazione e rende compatibili cariche elettive e posti amministrativi. Esso consente così:
a) a funzionari di carriera di ricoprire cariche elettive;
b) scambi di ruoli politici o di indirizzo e compiti gestionali;
c) la formazione di un numero alto di intermediari che rimettono in circolo pratiche devianti.
A questa situazione si può far fronte con una disciplina più selettiva delle incompatibilità, soprattutto nei settori nei quali lavorano i dipendenti stessi. Norme più precise di limitazione dell'accesso dei funzionari professionali alle cariche elettive o politiche consentirebbero di tenere distinti, specialmente a livello locale, ruoli amministrativi e ruoli politici. L'ampliamento delle disposizioni dell'articolo 98, comma 2, della Costituzione, che vieta le promozioni (salvo quelle per anzianità) ai parlamentari, ad altri titolari di cariche elettive, consentirebbe, nei casi in cui la carica elettiva e l'impiego siano compatibili, di tenere distinti interessi (privati) di carriera e attività pubblica.
Questi accorgimenti presentano gli inconvenienti di limitare la mobilità professionale e di sottrarre esperti alla gestione pubblica, ma hanno anche il vantaggio di eliminare uno dei fattori che contribuiscono alla diffusione della corruzione (specialmente in una fase in cui si diffondono moduli privatistici di gestione di ricchezze pubbliche).


Il problema del rapporto tra interessi pubblici e privati nei titolari di uffici pubblici ha assunto un'importanza crescente in vari ordinamenti, e ha generato interventi normativi relativi soprattutto al personale politico. Nell'ordinamento italiano, esso è considerato dal legislatore con riferimento a varie cariche o a singole categorie di personale pubblico. Manca una disciplina generale, e gravi lacune possono essere rilevate.
La disciplina dell'ineleggibilità parlamentare non è aggiornata: basti pensare che, in base all'interpretazione prevalsa, non può essere eletto, il consulente di una grande impresa, ma può essere eletto il suo titolare. Più ampia, nel suo complesso, è la disciplina delle incompatibilità parlamentari.
Manca, invece, una disciplina dell'incompatibilità e del conflitto di interessi dei membri dell'esecutivo (dei vertici dell'apparato amministrativo. Le poche previsioni del 1953 (legge 13 febbraio 1953, n. 60, "Incompatibilità parlamentari") furono pensate con riferimento ad una realtà ben diversa da quella attuale. Dell'assenza di una disciplina adeguata si risente anche a livello locale, dove le situazioni di alterazione della competizione elettorale e di conflitto di interessi si pongono in termini diversi che in sede nazionale.
Si tratta di una materia di rilevanza costituzionale, nella quale si presentano diverse esigenze: l'autonomia degli organi costituzionali, il, diritto di elettorato passivo, la libertà di iniziativa economica, la tutela della proprietà. Proprio per questo, si può ipotizzare che i principi aspiratori della disciplina siano posti da una fonte costituzionale.
Varie proposte di legge sono state presentate in Parlamento nella scorsa legislatura, e dal Senato è stato approvato un testo unificato. Questo testo lascia aperti alcuni problemi: in particolare, quello del personale degli enti locali e quello del rapporto tra il titolare di una carica pubblica in situazione di conflitto di interessi ed il soggetto a cui sia affidata la gestione del suo patrimonio (a questo riguardo, va segnalato che non è sufficiente, per risolvere il conflitto, separare le gestioni, ma è necessario separare effettivamente gli interessi, attraverso una gestione "cieca" - della quale l'interessato non sia informato - e attraverso la possibilità del gestore di vendere proprietà e modificare la consistenza del patrimonio affidatogli).
I principi a cui dovrebbe ispirarsi una disciplina del conflitto di interessi dei parlamentari e degli uomini di governo sono i seguenti:
a) aggiornamento delle ipotesi di ineleggibilità e precisazione di quelle già esistenti;
b) ambito soggettivo non limitato al governo nazionale, ma esteso anche agli organi locali (membri delle giunte e dei consigli);
c) divieto di svolgere attività derivanti da rapporti di impiego pubblico o privato ed altre attività incompatibili con la carica ricoperta: al titolare o al componente di un organo di governo, infatti, è richiesto un impegno pieno nell'esercizio delle sue funzioni. Questo obbligo può essere sanzionato, prevedendo ad esempio - in caso di violazione - la sospensione dall'albo professionale o la revoca del relativo provvedimento autorizzatorio;
d) obbligo di dichiarare determinati interessi patrimoniali e di affidare le attività economiche rilevanti (individuate sulla base di criteri certi, relativi sia al settore o mercato, sia in base alla dimensione o al bilancio) a gestioni "cieche", sul modello statunitense;
e) scelta del gestore in base ad un procedimento che garantisca i diritti dell'interessato ma anche l'interesse pubblico (ad esempio, scelta dell'interessato su una rosa di tre società fiduciarie indicate dall'organo di controllo);
f) obbligo, in determinati casi, di affidare al gestore un mandato a vendere;
g) sanzioni ispirate più a colpire il versante privato del conflitto di interessi (ad esempio, sospensione dall'albo professionale o sanzioni pecuniarie alle imprese) che quello pubblico;
h) restrizioni successive alla cessazione della carica, per periodi limitati, individuate e graduate in base alle funzioni svolte;
i) individuazione dell'autorità di controllo in un organo collegiale apposito. (Per quanto riguarda l'ineleggibilità, l'incompatibilità ed il conflitto di interessi dei membri del governo e del Parlamento nazionale, proposte di legge già presentate ipotizzano il trasferimento della competenza in materia alla Corte costituzionale o organi giurisdizionali).


Il problema delle nomine riguarda essenzialmente la preposizione alla direzione degli enti pubblici, statali e locali, non avendo particolare rilievo quelle dei dirigenti di carriera.
La misura della sua incidenza sul terreno delle attività devianti attiene al modo in cui si formano i momenti della proposta, del controllo e della nomina. L'attuale sistema presenta talune peculiarità che riguardano la varietà della disciplina normativa e la diversità dei livelli di azione (nazionale o locale) degli enti:
a) quello statale è regolato da una legislazione generale, che attribuisce al governo la formulazione della proposta, mentre alle commissioni permanenti competenti per materia delle due Camere spetta il controllo sulle nomine che si esercita sull'espressione di un parere motivato non vincolante sulla proposta governativa. In concreto, però, questa soluzione appare squilibrata a favore dell'esecutivo e ciò per due principali ragioni. La prima consiste nella mancanza di un procedimento tipizzato, giacché la legge fa obbligo al governo di esporre alle Camere soltanto quale sia stata la procedura seguita per addivenire all'indicazione della candidatura e dei motivi che la giustificano secondo criteri di capacità professionale dei candidati (così, ad esempio, in base al comma 1 articolo 4 della legge n. 14 del 1978). La seconda dipende, invece, dalle modalità d'intervento delle due Camere, consistenza nella sostanziale non vincolatività del loro parere e nell'assenza di una disciplina regolamentare dell'attività delle commissioni relativamente a questa fase;
b) vi sono, poi, le legislazioni speciali, riconducibili allo schema della nomina di concerto da parte dei presidenti delle assemblee, volta ad assicurare un più elevato grado di imparzialità. Secondo alcuni tale procedura presenterebbe la difficoltà di esprimere con l'atto di nomina la sintesi degli orientamenti presenti nella Camera e di attrarre le presidenza nel vivo della contesa politica.
Per quanto riguarda la preposizione agli organi di governo degli enti locali, la normativa, è dati in parte dalla disciplina regionale, in parte dalla legge di riforma delle autonomie locali. Il potere di nomina conferito al sindaco o al presidente della Provincia è soggetto a verifica solo nella forma del controllo politico dell'attività dei primi da parte dei rispettivi consigli. La circostanza che questi non siano investiti di competenza al riguardo conferisce una vera e propria opacità all'atto e al modo della sua formazione.
Le alternative all'attuale sistema (tanto statale, quanto locale) sembrano, dunque, poter essere di due tipi:
a) il controllo potrebbe consistere in un procedimento in forma di contraddittorio improprio davanti ai collegi rappresentativi (Camere, Consigli regionali, comunali, provinciali), accentuando l'aspetto politico delle carriere (al riguardo si ricorda che l'articolo 2, comma 7 della legge 14 novembre 1995, n. 481, "Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità", prevede: a) che le designazioni dei componenti l'autorità sono previamente sottoposte al parere delle competenti commissioni parlamentari; b) che le commissioni stesse possono procedere all'audizione delle persone designate; c) che in nessun caso le nomine possono essere effettuate in mancanza del parere favorevole espresso dalle commissioni a maggioranza dei due terzi dei componenti);
b) in alternativa la nomina e il controllo potrebbero essere demandati a collegi di garanti, con formule opportune, così da sottolineare il profilo tecnico-professionale dei nominati (secondo il modello della Civil service commission, sperimentato negli Stati Uniti e degli organismi della famiglia dell'ONU, oppure seguendo e migliorando l'esperienza compiuta, ad esempio, dal comune di Milano).
L'una e l'altra soluzione dovrebbero, comunque, essere sostenute dalla ragionata previsione di motivi di incompatibilità, connessi alla pregressa titolarità di uffici e, quindi, ai potenziali conflitti di interessi.
Va sottolineata, infine, la possibilità di ridurre il numero delle nomine spettanti ai corpi politici, o lasciando i relativi posti a funzionari di carriera, o conferendo il potere di nomina a corpi tecnici.


Una delle ragioni principali della corruzione è la debolezza della amministrazioni pubbliche, data dall'assenza o dall'insufficienza dei corpi professionali. Essa costringe le amministrazioni ad affidarsi a soggetti esterni per tutte le attività che richiedano l'opera di specialisti.
Fino al secondo decennio del secolo, i corpi tecnici dello Stato erano caratterizzati da altissima professionalità ed erano capaci di progettare opere e realizzare programmi di grande complessità. Successivamente, essi hanno perso la capacità di attrarre il personale più qualificato. In particolare, i due principali corpi tecnici dello Stato, genio civile e uffici tecnici erariali, sono caratterizzati da una crisi di professionalità, dall'insufficiente copertura dei posti in organico, e da un'irrazionale distribuzione del personale sul territorio nazionale. In altri casi, la scelta di soggetti inadeguati a dirigere gli uffici tecnici determina il cattivo funzionamento degli stessi.
La crisi del genio civile è ormai trentennale, e dipende da due fattori: il fatto che l'impiego nel settore pubblico non attrae i giovani laureati nelle discipline tecniche, soprattutto nel nord, e la confusione nel modo in cui è stato operato il trasferimento di competenze dallo Stato alle regioni.
Anche gli uffici tecnici erariali, ora assorbiti negli uffici provinciali del territorio, sono caratterizzati da una crisi di professionalità e da vuoti di organico, ed anche qui si riscontra la difficoltà di attrarre personale qualificato.
La crisi dei corpi tecnici e la conseguente dipendenza dell'amministrazione da soggetti esterni, i cui interessi sono a volte confliggenti con quelli pubblici (ad esempio, quando si tratta degli stessi appaltatori), sono fattori di distorsione e di corruzione. Si arriva al punto che i professionisti delle amministrazioni non sono in grado neanche di valutare i progetti dei professionisti privati e devono ricorrere per questa funzione ad altri professionisti privati.
Tutto ciò si verifica, in particolare, nell'area degli appalti pubblici, dove manca un corpo di ingegneri ed un corpo di geometri in grado di curare la progettazione, di assumersi la direzione dei lavori e di procedere efficacemente al collaudo. Anche la conclusione e l'esecuzione dei contratti di fornitura risentono del problema.
I rimedi ipotizzabili sono i seguenti:
a) le amministrazioni pubbliche devono preoccuparsi, innanzitutto, della formazione del proprio personale professionale. Un esempio da tenere in considerazione è quello francese delle grandes écoles. La loro introduzione, in Italia, si è scontrata con il rifiuto del principio del merito nella carriera (al quale si preferisce il criterio dell'anzianità);
b) in secondo luogo, il personale in questione va organizzato in corpi separati, con uno stato giuridico ed un trattamento economico che consentano di attrarre personale di preparazione adeguata. L'obiezione che si potrebbe avanzare, relativa alla spesa che ciò, è infondata: da un lato, la spesa per mantenere adeguati corpi tecnici potrebbe essere contenuta in cifre ragionevoli; dall'altro, questa spesa determinerebbe il risparmio di cifre ben maggiori, quelle necessarie per ricorrere a professionisti esterni e quelle derivanti dall'incapacità di controllare gli appaltatori e di valutare la congruità dei prezzi. Non ci si deve illudere di poter acquisire le professionalità necessarie, se non si è disposti a pagare il loro prezzo, né che la corruzione abbia termine, finché le amministrazioni non abbiano superato la loro debolezza;
c) il ricorso a collaborazioni esterne, da parte delle amministrazioni pubbliche, va limitato; per quanto riguarda gli appalti pubblici, dovrebbe essere circoscritto alla realizzazione dell'opera. Tutto ciò non è in contrasto con le tendenze alla privatizzazione ed all'affidamento di compiti pubblici ai soggetti esterni: questi fenomeni sono ammissibili, purché le amministrazioni siano in grado di vigilare sui privati.


I dipendenti pubblici possono essere implicati - attraverso la politica - in due modi nel fenomeno della corruzione. In primo luogo, prendendo parte attiva ad essa, d'intesa con amministratori elettivi; in secondo luogo, consentendo a questi ultimi la commissione di reati. Nel primo caso, il dipendente pubblico trae un vantaggio illecito diretto. Nel secondo, trae vantaggi indiretti (ad esempio, di carriera) oppure assiste senza intervenire, per timore o per altri motivi (non si considera qui il caso del dipendente pubblico che commetta reato indipendentemente dal personale politico). Per eliminare o limitare questa causa della corruzione, occorre limitare la politicità indotta nell'amministrazione dalla presenza al suo vertice di amministratori elettivi, assicurando il rispetto del principio del merito in due momenti-chiave, quello della selezione e quello della carriera.
1. Per quanto riguarda la selezione, occorre che questa:
a) avvenga sempre per concorso aperto a tutti (articolo 97 della Costituzione, spesso disatteso di fatto);
b) sia regolata da una disciplina generale e analitica sull'accertamento delle capacità del candidato in modo da limitare i margini di discrezionalità delle commissioni (si può, ad esempio, introdurre la regola relativa alla prova orale secondo cui gli argomenti del colloquio vengono estratti a sorte dal medesimo candidato da un elenco di gruppi di argomenti prestabiliti con anticipo dalla commissione e dei quali si dà pubblicità a tutti i candidati ammessi alla prova medesima);
c) sia compiuta da organi amministrativi imparziali e, quindi, escludendo la presenza di politici e sindacalisti (come ribadito di recente dalla Corte costituzionale).
2. Per quanto riguarda la carriera, si possono considerare due accorgimenti:
a) promozione in base all'anzianità: questa - però - ha l'inconveniente di costituire un disincentivo alla produttività e al miglioramento dei dipendenti;
b) promozione sulla base di scrutinio compiuto da commissioni imparziali, composte in parte dai vertici amministrativi, in parte da esperti indipendenti.
L' una e l'altra proposta mirano a porre i dipendenti pubblici al riparo dalla politica, consentendo ad essi di agire come guardiani e garanti dell'interesse pubblico. La seconda sembra, comunque, preferibile.
Andrebbe altresì sottoposta a revisione la vigente disciplina sulla dipendenza dei pubblici dipendenti dai loro vertici, per ciò che ancora residua del principio obsoleto di gerarchia (annullamenti, revoche ed altre forme di autotutela e di tutela).


La condizione di vita del pubblico dipendente può costituire una ragione di corruzione: a ciò possono contribuire il livello basso delle retribuzioni, la necessità di trasferirsi in sedi di lavoro con un più elevato costo della vita, lo stesso scarso prestigio dei dipendenti. La debolezza di tale condizione può dar luogo alla tentazione di recuperare in altro modo le conseguenze dei menzionati svantaggi.
E' ovvio che il miglioramento del trattamento economico e, in generale, delle condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti pubblici non può colmare il divario tra il reddito lecito e quello derivante dalla corruzione. Peraltro, un reddito sufficiente ad assicurare un tenore di vita adeguato è di per sé una difesa contro alcune tentazioni e favorisce, inoltre, un sentimento di dignità del ruolo. Alcune misure potrebbero essere realizzate utilizzando razionalmente i beni delle pubbliche amministrazioni.
In definitiva per rimediare a questa situazione si può provvedere in più modi, con interventi di dimensioni diverse:
a) agevolare la concessione di alloggi di servizio, anche attraverso l'utilizzazione degli immobili, sia di quelli già di proprietà dell'amministrazione, sia degli altri acquisiti dagli enti pubblici di competenza in via sanzionatoria;
b) migliorare le condizioni della vita sociale dei dipendenti pubblici, mettendo a disposizione locali e mezzi;
c) agevolare i trasferimenti dei dipendenti pubblici da sede a sede;
d) adeguare, con indennità, il trattamento economico dei dipendenti che operano in settori particolari. Questa proposta incontra, di regola, difficoltà, a causa del trattamento tendenzialmente uniforme dei dipendenti pubblici. Ma, da un lato, essa non riguarda la retribuzione, bensì le indennità; dall'altro, l'adeguamento dovrebbe essere compiuto in relazione alle condizioni e ai trattamenti del mercato del lavoro nei singoli settori e in relazione alla produttività del singolo dipendente.


Tra i mezzi per prevenire la corruzione, vanno considerati i codici di comportamento, che tendono ad evitare o risolvere in modo soddisfacente le situazioni di involontaria prossimità alla corruzione. Essi, consentendo la diffusione e la condivisione di principi e valori comuni alle relative categorie di personale, rendono i dipendenti meno vulnerabili rispetto alle occasioni di corruzione e tutelano il loro prestigio e l'immagine complessiva dell'amministrazione. Inoltre, rappresentando un impegno collettivo di una categoria di lavoratori tra di loro e nei confronti del pubblico, essi consentono un controllo diffuso sul comportamento degli interessati. Si tratta di strumenti facili da adottare in tempi brevi, i cui effetti si producono soprattutto nel lungo periodo.
L'esigenza di codici di comportamento deriva dall'evoluzione dei caratteri del personale pubblico in Italia. Se in passato una deontologia del pubblico impiego esisteva, ed i relativi principi erano applicati e rispettati, oggi la frammentazione amministrativa, l'aumento delle dimensioni del pubblico impiego e la varietà nell'estrazione e nella provenienza del personale hanno determinato il mutamento della situazione: il personale pubblico, privo di valori comunemente condivisi, si è trovato maggiormente esposto alla corruzione.
Il carattere marginale progressivamente assunto dalla responsabilità disciplinare è un aspetto di un fenomeno più ampio, dato dall'assenza o dal mancato funzionamento di strumenti interni e preventivi di tutela: i codici di comportamento servono a ricostruire una deontologia del pubblico impiego. Inoltre, il rispetto o la violazione dei codici di condotta, pur potendo in sé essere priva di rilevanza giudica, può consentire di valutare la responsabilità dei dipendenti, assumendo valore sintomatico del rispetto o della violazione di norme contenti clausole generali o concetti giuridici indeterminati.
I codici di comportamento discendono dal dovere di fedeltà, espressamente previsto dall'articolo 54, comma 2, della Costituzione; ne rafforzano l'effettività, richiamandosi al significato delle modalità cui il dipendente e l'addetto a un pubblico servizio devono ispirare la propria condotta nello svolgimento dei compiti e funzioni. L'indicazione riguarda, rispettivamente, l'assenza di interessi personali, la quale caratterizza il motivo dell'utilizzazione del rapporto d'impiego e di qualsiasi altro in cui si mettono al servizio della collettività energie e capacità del cittadino; e il rigoroso rispetto delle regole giuridiche e di comportamento, tipiche dell'attività richiesta al dipendente o all'addetto al pubblico servizio. Di qui non soltanto l'opportunità di prevedere una pluralità di codici, ma la necessità di richiamare la relazione con l'articolo 98 della Costituzione.
L'esame di alcuni dei contenuti del codice di comportamento dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche può chiarire il fondamento dei codici e la loro utilità nella prevenzione dei fenomeni di corruzione:
a) i principi fondamentali sono quelli di indipendenza, di imparzialità e di tutela dell'immagine esterna dell'amministrazione;
b) le limitazioni alla possibilità di accettare regali da soggetti con cui si abbiano rapporti per ragioni d'ufficio tendono ad evitare che l'attività amministrativa sia indebitamente influenzata;
c) alla stessa logica rispondono i divieti di partecipare a determinate associazioni o gli obblighi di comunicazione della partecipazione stessa;
d) a carico del dipendente sono posti obblighi di informazione dei propri interessi finanziari, ciò che contribuisce a prevenire le situazioni di conflitti di interessi e a consentire il controllo sulla correttezza del suo comportamento;
e) i casi di conflitto di interessi ricevono una disciplina analitica e vengono risolti imponendo obblighi di astensione o di dichiarazione;
f) vengono individuate e vietate le attività contrastanti con il corretto adempimento dei doveri d'ufficio, e vengono disciplinati vari aspetti del comportamento in servizio (l'uso delle risorse dell'ufficio, l'orario, l'ordine delle pratiche, la delega di compiti ad altri dipendenti, i rapporti con gli organi di informazione);
g) prescrizioni particolari riguardano la conclusione di contratti per conto dell'amministrazione e la conclusione, a titolo privato, di contratti con soggetti con i quali il dipendente ha avuto rapporti per ragioni d'ufficio;
h) sono presi in considerazione aspetti rilevanti della vita privata del dipendente (divieto di sfruttare la propria carica per ottenere utilità non spettanti all'interessato);
i) nei rapporti con il pubblico, è prescritto, tra l'altro, di fornire le spiegazioni richieste sul comportamento proprio e di altri dipendenti, ciò che offre ai cittadini uno strumento di controllo sull'azione amministrativa. Il dipendente pubblico deve, inoltre, favorire l'accesso dei cittadini alle informazioni cui abbiano titolo e fornire le informazioni necessarie per valutare il comportamento dell'amministrazione e dei dipendenti.
Il codice menzionato è previsto dall'articolo 58-bis del decreto legislativo n. 29 del 1993, che ne ha previsto il recepimento, in allegato, nei contratti collettivi. In effetti, vi è stato il recepimento, ma non il (pure previsto) coordinamento con la disciplina della responsabilità disciplinare (materia contrattualizzata): i contratti collettivi hanno proceduto ad una tipizzazione di illeciti e sanzioni disciplinari analoga a quella precedente la riforma, senza sfruttare la codificazione dei doveri del dipendente pubblico operata dal Codice. Questo, di conseguenza, è rimasto in gran parte ignoto e non viene sfruttato come strumento di individuazione della condotta corretta e di valutazione della responsabilità.
Inoltre, la materia è stata esclusa dalla contrattazione decentrata: di conseguenza, l'individuazione di doveri, illeciti e sanzioni disciplinari è pressoché uguale per tutti i dipendenti pubblici. Vi è, invece, un'esigenza di differenziazione ed adattamento alle diverse categorie di personale.
Per valorizzare i codici di comportamento occorre:
a) prevedere - accanto al codice menzionato - ulteriori codici più specifici, relativi alle varie amministrazioni o a categorie di personale: ad esempio, per i maestri elementari, per i medici, per gli infermieri, per i vigili urbani, per gli agenti contabili o per gli impiegati che redigono contratti. Ogni amministrazione pubblica dovrebbe avere uno o più codici di condotta per il proprio personale. Questi codici dovrebbero essere elaborati con la partecipazione delle categorie interessate, in modo che i principi in essi contenuti corrispondano alla varietà di situazioni e siano effettivamente condivisi;
b) a livello di contrattazione collettiva, prevedere che l'impegno a rispettare i codici sia contenuto necessario dei contratti (ciò che consentirebbe di introdurvi più facilmente previsioni come quelle relative al comportamento nella vita sociale o alle limitazioni succes-sive alla cessazione del rapporto di impiego);
c) costituire, per vigilare sul rispetto e sull'applicazione dei codici, una rete di uffici nelle varie amministrazioni, facente capo ad un organismo centrale, sull'esempio statunitense: questi uffici non dovrebbero avere funzioni repressive e sanzionatorie, ma di indirizzo, consulenza e formazione, illustrando ai dipendenti i contenuti dei codici e collaborando con essi per l'individuazione del comportamento corretto.


I reati contro la pubblica amministrazione hanno condotto (e conducono ad arricchimenti illeciti, per cui l'introduzione di obblighi) di dichiarazione (disclosure) potrebbe costituire un efficace deterrente, atto a prevenire la corruzione.
Più volte tali obblighi sono stati evocati in sede politica, e in sede parlamentare sono state avanzate proposte di legge e disegni di legge; vi è addirittura una anagrafe degli incarichi dei dipendenti pubblici, già prevista da una legge del 1992. Non sempre, però, le finalità delle proposte sono chiare, talune proponendosi un generico fine di moralizzazione, altre la trasparenza delle situazioni patrimoniali, altre la finalità di una equa ripartizione, degli incarichi, ecc.
Né sempre chiaro è l'oggetto, talora costituito dal reddito, talaltro dal patrimonio immobiliare. Difficile è anche stabilire il numero dei soggetti obbligati, non potendosi sottoporre ad obblighi di dichiarazione (disclosure) milioni di persone, gestendo i relativi dati. Infine, poco utile appare l'introduzione dell'obbligo di presentare ad altra autorità la dichiarazione dei redditi e della proprietà di beni immobili e immobili registrati, trattandosi di dati già in possesso di pubbliche amministrazioni e che queste potrebbero agevolmente trasmettere, su richiesta, ad altri uffici, senza imporre ulteriori, inutili "corvées" ai dipendenti pubblici.
Per il fine limitato di disincentivare la commissione di reati contro la pubblica amministrazione, va tenuto presente che i proventi di attività illecite non vengono, di regola, dichiarati tra i redditi, mentre contribuiscono ad elevare il tenore di vita di chi commette i reati. Si potrebbe, allora, considerare la seguente procedura:
a) individuazione di indici rivelatori di ricchezza, da tenere aggiornati, comprendenti il possesso di titoli mobiliari, l'ammontare di conti bancari, ecc.;
b) sorteggio, ogni sei mesi, di un congruo numero di dipendenti pubblici, scelti in categorie generali operanti in settori particolarmente indiziati, da sottoporre a verifica;
c) obbligo dei dipendenti sottoposti a verifica di fornire le informazioni di cui al punto a) che precede e le dichiarazioni dei redditi per un congruo numero di anni;
d) estensione dell'obbligo almeno ai familiari conviventi.
In questo modo, senza costituire banche dati scarsamente significative o ripetitive, che impongono ulteriori adempimenti e pesi e sono di difficile o complessa utilizzazione, si potrebbe concentrare l'attenzione su un numero limitato di casi, con verifiche efficaci, dirette ad accertare la provenienza illecita del denaro.


La titolarità di funzioni pubbliche conferisce spesso particolari conoscenze di fatti e di persone, permettendo l'assunzione di informazioni privilegiate, la cui utilizzazione può costituire uno strumento di corruzione sia durante lo svolgimento che dopo la cessazione del rapporto di impiego.
Infatti, i dipendenti potrebbero essere indotti a porre in essere trattamenti di favore nei confronti delle imprese o degli altri soggetti privati con i quali intendono successivamente collaborare. Successivamente alla cessazione dell'impiego pubblico, il dipendente potrebbe svolgere la sua attività privata nel settore ove ha svolto funzioni pubbliche, diventando così un potenziale di corruzione nei confronti del personale rimasto nella pubblica amministrazione.
Per fronteggiare questi rischi, va considerata l'introduzione di restrizioni alle possibilità di impiego o di lavoro autonomo successivamente alla cessazione del servizio pubblico.
a) Potrebbero introdursi previsioni più specifiche sul divieto per i pubblici dipendenti di svolgere attività relative al lavoro svolto in precedenza, analogamente a quanto l'articolo 2125 codice civile prevede che possa essere pattuito nel rapporto di lavoro privato;
b) le limitazioni dovrebbero coinvolgere l'eventuale iscrizione ad albi, laddove prevista per l'esercizio professionale, e tutte quelle attività di consulenza e di procacciamento di affari, comunque denominate, che hanno ad oggetto l'instaurazione di rapporti con la pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività sottoposte a poteri ispettivi o di vigilanza da parte della stessa;
c) particolare considerazione andrebbe data all'uso della formazione scientifica ricevuta presso la pubblica amministrazione nel campo della ricerca applicata a fini economici, anche per l'inevitabile riflesso sulla libertà di ricerca scientifica. Si potrebbe, in particolare, prevedere che i dipendenti di determinati organismi pubblici di ricerca si impegnino contrattualmente a non abbandonare il posto, o quanto meno a non svolgere le stesse mansioni nel settore privato, per un certo numero di anni;
d) le limitazioni dovrebbero comunque avere durata limitata ed essere individuate in base alle caricare ricoperte ed alle funzioni esercitate, nonché in considerazione dei "settori sensibili". Non deve, infatti, essere trascurata l'eventualità che l'imposizione di tali limiti possa tradursi in una disciplina in contrasto con i principi costituzionali del diritto al lavoro, di esercitare in qualsiasi parte del territorio nazionale professioni, impieghi o lavori, della libertà e dell'arte e della ricerca, nonché del loro insegnamento. Occorre, pertanto, evitare prescrizioni generalizzate, operando un accurato bilanciamento tra i diritti richiamati ed il dovere generale di fedeltà alla Repubblica, il quale è anche dovere di non utilizzare, contro le istituzioni, conoscenze di prassi, procedure, relazioni intraprese durante il periodo di servizio e informazioni riservate;
e) tali limitazioni dovrebbero essere disposte con legge, ma non è da escludere la loro previsione in sede contrattuale o su base volontaria, sostenuta eventualmente dal favore espresso per esse in occasione di valutazioni comparative di merito.


Gli strumenti di repressione penale della corruzione sono importanti, oltre che per loro evidente efficacia deterrente, al fine di evitare che il procedimento disciplinare a carico del dipendente possa prescindere o distaccarsi dall'accertamento dei fatti avvenuto in sede penale.
La giurisprudenza e la legislazione, in proposito, sono oscillanti. Con sentenza n. 971 del 14 ottobre 1988, la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 85 del d.p.r. n. 3 del 1957, sugli impiegati civili dello Stato, a causa del fatto che la destituzione di diritto lì prevista discendeva automaticamente dalla sentenza di condanna penale, a fronte della molteplicità dei fatti delittuosi e della loro diversa gravità. La successiva l. 7 febbraio 1990, n.19, ha previsto che la fattispecie penale integrata dal dipendente venga apprezzata in occasione del procedimento disciplinare a suo carico. La l. 19 marzo 1990, n.55, modificata dalla 1. 18 gennaio 1992, n.16, ha disposto a sua volta la sanzione dell'ineleggibilità a cariche politiche, escluse quelle di rilievo nazionale, la sospensione dalla carica e la decadenza di diritto in seguito a passaggio in giudicato di una sentenza di condanna per una serie di reati, compresi quelli contro la pubblica amministrazione. Le medesime disposizioni valgano per il personale dipendente delle amministrazioni pubbliche. La recente sentenza n.141 del 6 maggio 1996 della Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità della disciplina nella parte in cui prevede la non candidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, di coloro i quali siano stati solo rinviati a giudizio, oppure condannati con sentenza non ancora passata in giudicato.
Questi orientamenti non impediscono, però, né di applicare la sospensione cautelare dal servizio, ritenuta misura in grado di soddisfare le esigenze di tutela degli interessi pubblici, né di disporre la decadenza del dipendente, una volta accertata la consumazione del reato. La stessa giurisprudenza costituzionale, in precedenza, aveva ritenuto legittima la disciplina della sospensione e della decadenza dei pubblici dipendenti in relazione a reati di mafia e ad altre fattispecie di reato.
Occorre, però, rendere effettiva la disciplina, imponendo ai responsabili delle amministrazioni di applicarne le previsioni e sanzionare le Omissioni. A tutela di tutti gli interessi implicati nella vicenda, appare necessario prevedere tempi certi nell'applicazione delle sanzioni.
In secondo luogo, la condanna penale non può essere disattesa in scale di procedimento disciplinare e l'amministrazione non può prescindere dall'accertamento compiuto in sede giurisdizionale.


L'attività contrattuale della pubblica amministrazione, alla luce delle recenti indagini giudiziarie, ha dimostrato una grande vulnerabilità alla corruzione. Se l'ingente ammontare di risorse pubbliche impiegate in questo settore tende di per sé a produrre occasioni di corruzione, numerose disfunzioni generali dell'attività amministrativa ed altri specifici fattori d'inefficienza hanno contribuito ad aggravare il fenomeno. In particolare, si è osservato come la corruzione possa inquinare ogni fase della relativa procedura: la redazione del bando, la selezione dei partecipanti e l'aggiudicazione della gara, l'esecuzione ed i relativi controlli, il pagamento.
Nell'ambito dei meccanismi di aggiudicazione, i decisori pubblici esercitano poteri discrezionali e vengono in possesso di informazioni riservate che possono divenire oggetto di scambio corrotto con i privati che, grazie ad essi, si assicurano o accrescono le possibilità di aggiudicarsi il contratto pubblico. Limitando e distorcendo la concorrenza tra i privati si creano, infatti, posizioni di rendita, da cui viene prelevato l'ammontare della tangente. Spesso un'autonoma funzione di regolazione del mercato pubblico è stata esercitata anche da cartelli imprenditoriali occulti, a loro volta collegati ai principali centri di potere politico. Inoltre, l'estrema complessità e farraginosità delle procedure decisionali, dovuta al disordine e all'azione normativa, ha condotto frequentemente a deroghe alle prescrizioni delle leggi di contabilità generale dello Stato, con la conseguente attribuzione di poteri discrezionali di fatto fuori controllo e, quindi, maggiormente esposti a pressioni illecite. La conseguenza della corruzione è, in questo caso, la lievitazione dei costi che gravano sui bilanci pubblici, anche a seguito della minore efficienza produttiva degli aggiudicatari.
Durante la fase di esecuzione ed in relazione al pagamento del corrispettivo contrattuale, le occasioni di corruzione sono connesse in particolare: alla successiva ricontrattazione di taluni aspetti del rapporto contrattuale, indotta dal privato contraente o resa necessaria dall'imperfetta specificazione delle prestazioni richieste, come per esempio nel caso di carenze progettuali riscontrate nel corso dell'esecuzione di opere pubbliche; all'inefficienza del sistema dei controlli. Quest'ultimo, è improntato a criteri di verifica formale di regolarità e di legittimità degli atti, e si traduce di fatto - come già osservato - in un potere di codecisione o di veto che, come mostrano le risultanze di numerose inchieste giudiziarie, può divenire anch'esso oggetto di scambio corrotto. Inoltre, l'aggravio procedurale rappresentato da questo tipo di controlli produce rallentamenti ed intoppi che possono indurre i privati a cercare l'acquisto di "corsie preferenziali". Infine, nel settore delle opere pubbliche vi è spesso confusione tra le funzioni di progettazione e di controllo sull'esecuzione dell'opera, con immaginabili conseguenze in termini di scarsa efficacia e di vulnerabilità alla corruzione; alla precarietà dei finanziamenti ed al rischio elevato di contenziosi con la pubblica amministrazione. Per evitare questo tipo di controversie, con i conseguenti costi e ritardi, i privati possono trovare conveniente il ricorso alla corruzione per ottenere un sollecito adempimento da parte dell'ente pubblico, oppure per acquisire da taluni centri di potere una generale protezione delle loro posizioni contrattuali nei rapporti con la pubblica amministrazione. In questo contesto, tra gli effetti della corruzione, oltre alla crescita dei prezzi pagati dalla pubblica amministrazione, bisogna considerare la scadente qualità delle prestazioni fornite dai privati e l'allungamento dei tempi di esecuzione.
La corruzione, nell'ambito dell'attività contrattuale pubblica, viene ad intrecciarsi con una serie di fattori di inefficienza amministrativa. Per spezzare il circolo vizioso tra corruzione ed inefficienza occorre:
a) condizionare l'assegnazione dei fondi alle amministrazioni alla preliminare formulazione di un programma delle opere da realizzare;
b) condizionare l'avvio delle procedure di assegnazione dell'appalto per opere pubbliche alla presenza di progetti esecutivi precisi ed affidabili, in base ai quali i concorrenti possano operare un'analisi accurata delle diverse voci di spesa al momento della formulazione dell'offerta;
c) favorire la massima visibilità delle gare d'appalto, tramite la diffusione centralizzata e la facilità di accesso alle informazioni sulle gare bandite (anche con il supporto di strumenti informatici);
d) garantire la più ampia partecipazione alle gare, in particolare attraverso: i) la semplificazione dei bandi e la loro standardizzazione per contratti del medesimo genere, anche in relazione alla qualificazione dei partecipanti, così da scongiurare la prassi dei cosiddetti "bandi-fotocopia", ritagliati su misura del vincitore predestinato, o dei bandi con scadenze ravvicinate, per favorire chi possiede informazioni privilegiate sulla domanda pubblica: ii) l'adozione di procedure di gara aperte a chiunque faccia richiesta, purché in possesso dei requisiti previsti. Si possono così creare le condizioni per favorire un'effettiva concorrenza tra i partecipanti alle gare, scongiurando la formazione di accordi corrosivi;
e) garantire la massima trasparenza decisionale, facilitando l'accesso degli esclusi alle informazioni andamento della gara, sui criteri di scelta, ecc.;
f) adottare criteri di valutazione delle offerte che eliminino i poteri discrezionali e le informazioni segrete nell'ambito della procedura di aggiudicazione, basandosi su offerte di prezzo (in particolare, tramite offerte di prezzi unitari);
g) nei casi eccezionali di deroga al principio della gara, garantire controlli particolarmente accurati sulla sussistenza delle condizioni previste e sui risultati conseguiti;
h) con particolare riferimento al settore delle opere pubbliche, operare una chiara separazione tra i soggetti che curano la fase di progettazione e quelli che curano la realizzazione;
i) istituire corpi tecnici cui affidare l'attività progettuale della pubblica amministrazione, nonché le altre funzioni connesse all'attività contrattuale e in particolare agli appalti di opere pubbliche (formulazione di capitolati, collaudi, ecc.), organizzati in modo da favorire la selezione di personale altamente qualificato, tramite l'incentivo di retribuzioni adeguate e commisurate alla qualità delle prestazioni lavorative (si veda la specifica proposta in merito, in questo rapporto);
l) istituire osservatori dotati di banche dati su contratti pubblici, concessioni ed incarichi professionali, in relazione a soggetti coinvolti, tipi di gare, prezzi di aggiudicazione, tempi e condizioni di esecuzione, ecc., come pre-condizione per successivi controlli di tipo sostanziale e strumento per l'individuazione di disfunzioni generali (si vedano i successivi punti m) e n));
m) istituire e rafforzare controlli sostanziali e non formalistici, cosi come già segnalato in altri punti del presente rapporto, con incentivi economici per i funzionari che conseguono buoni risultati ed inchieste volte ad accertare le cause di procedure con esiti scadenti (in termini di prezzo, tempi o qualità della prestazione), comminando le relative sanzioni in caso di comprovate responsabilità. Per quanto riguarda il controllo sui contraenti privati, sembra opportuna la definizione a livello contrattuale di precisi indicatori di processo e di risultato, così da poter tempestivamente misurare l'efficienza della loro prestazione;
n) impiegare le informazioni raccolte sugli aggiudicatari delle gare per effettuare controlli incrociati, tramite accertamenti fiscali e verificare sulla regolarità dei bilanci, così da accertare la creazione illecita di fondi non contabilizzati;
o) favorire l'adozione di strumenti per una risoluzione rapida delle eventuali controversie tra l'amministrazione pubblica e il contraente privato. Atteggiamenti ostruzionistici, frequenti specialmente in fase di pagamento, possono essere disincentivati addebitando agli amministratori responsabili gli oneri derivanti dal loro comportamento.
Si possono altresì prospettare le seguenti misure, volte a combattere alcune tra le più diffuse fonti di inefficienza nel settore:
p) riordino normativo, tramite la semplificazione ed il completamento della disciplina relativa all'attività contrattuale della pubblica amministrazione - settore particolarmente colpito da inflazione legislativa - in armonia coi princìpi comunicata. La stabilizzazione di tale disciplina, in precedenza estremamente mutevole, frammentata e stratificata, potrà restituire certezza e prevedibilità ai rapporti tra pubblica amministrazione e concorrenti privati, facilitando i compiti degli amministratori incaricati di gestire tali procedure e degli organi di controllo. E', infine, necessario che tale disciplina venga difesa dalla legislazione successiva, stante la pericolosità - in termini di vulnerabilità alla corruzione - di provvedimenti a carattere derogatorio;
q) condizionare l'esecuzione della gara alla sussistenza di finanziamenti sufficienti a coprire l'intera durata della prestazione, per evitare che l'esecuzione proceda a singhiozzo;
r) ridurre il numero dei centri decisionali - centrali e territoriali - che a vario titolo entrano in gioco nelle procedure contrattuali, con una più precisa definizione delle rispettive competenze, dei tempi e .delle modalità di interazione, anche attraverso l'apposita costituzione di strutture di coordinamento. In questo modo potranno evitarsi o ridursi i tempi di attesa connessi all'intreccio tra le relative attività (si veda, ad esempio, il caso di ritardi causati, nella realizzazione di un'opera pubblica, dall'esigenza di ottenere autorizzazioni mentre i lavori sono in corso);
s) garantire l'amministrazione e l'aggiudicatario da operosità sopravvenute e da altri imprevisti nell'esecuzione del contratto, causa di ritardi nell'adempimento, tramite la stipula - obbligatoria per i contratti al di sopra di un certo ammontare - di contratti di assicurazione. L'aggiudicatario potrà rivalersi sulla compagnia di assicurazione in caso di lievitazione dei costi o di mancato rispetto dei tempi di esecuzione, con conseguente pagamento di penale, che non sia ad esso imputabile;
t) garantire l'amministrazione dai rischi di inadempimento tramite il pagamento di una cauzione di adempimento proporzionale al valore del contratto;
u) applicazione rigorosa, ma semplificata, in armonia coi princìpi comunitari, delle norme relative alla qualificazione delle imprese sulla base della capacità tecnica ed economico-finanziaria, privilegiando le imprese che hanno dato il miglior risultato in qualità, celerità, economicità e assenze di controversie;
v) favorire la diffusione pubblica di informazioni dettagliate relative ad obiettivi, tempi previsti, contenuti dei progetti, costi e risultati dell'attività contrattuale della pubblica amministrazione, in particolare per quanto attiene alla realizzazione di opere pubbliche;
z) determinare elenchi di prezzi, secondo la tipologia di fornitura e appalti di opere e servizi, prevedendo criteri che consentano automatismi nell'aggiornamento.


Le attività ispettive e di verifica di attività private nei settori fiscale, igienico-sanitario, della sicurezza del lavoro, ambientale, edilizio, della circolazione, di produzione industriale, ecc., quando necessarie, sono sostanzialmente libere: non ne sono definiti i tempi, non ne sono precisati i criteri riguardano indifferentemente violazioni minori e maggiori, ecc.. Si prestano, quindi, ad essere usate come minaccia, inducendo alla commissione di reati.
Per rimediare a questa situazione, occorre regolare più accuratamente le procedure da seguire e, in particolare:
a) determinare preventivamente, come viene già fatto in alcuni settori, i soggetti e le attività da sottoporre a controllo, o almeno i criteri per la loro scelta;
b) stabilire, come fatto di recente in materia fiscale, i tempi massimi degli accertamenti e i controlli nelle ipotesi in cui questi non siano sufficienti;
c) stabilire, in via amministrativa e preventiva, obiettivi e criteri dei controlli, in modo che chi li esegue debba attenervisi. Un modello da tenere in considerazione, a questo riguardo, è quello della vigilanza esercitata dalla Banca d'Italia nel settore creditizio (si veda al riguardo l'articolo 4, comma 2, del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, "Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia");
d) rendere pubbliche, in via preventiva, le determinazioni indicate ai punti precedenti.
Con questi accorgimenti, si può ottenere maggiore chiarezza per le persone e le imprese sottoposte a ispezioni o controlli e minore discrezionalità dell'ufficio vigilante o controllante, riducendo, così, i margini di ambiguità che inducono alla commissione di reati.


Il sistema tradizionale dei controlli amministrativi, nell'ordinamento italiano, è caratterizzato dalla netta prevalenza dei controlli preventivi di legittimità, mentre è recente la previsione di forme più moderne di controllo, come il controllo interno e quello successivo sulla gestione.
I controlli preventivi si sono spesso risolti in una negoziazione o in una codecisione, ma - come dimostrato dal numero di giudizi amministrativi e penali - non sono serviti a garantire né la legittimità degli atti, né la correttezza sostanziale delle decisioni. La disciplina, risalente nelle linee essenziali ad epoca preunitaria, era errata con riferimento all'oggetto (ogni singolo atto), al fine (la legittimità) ed all'effetto (l'efficacia dell'atto). A volte, questi controlli si sono rivelati efficaci nei confronti delle minime irregolarità, ma non nei confronti delle decisioni nascenti da corruzione.
La legge 14 gennaio 1994, n. 20 ("Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti"), ha modificato la logica di fondo: ha decentrato il controllo, richiedendo all'organo centrale di sorvegliare il funzionamento degli organi di controllo interni; ha indotto le amministrazioni ad organizzare propri controlli, perché amministrare è anche controllare; ha valorizzato le verifiche di risultati. La riforma si è ispirata a vari esempi stranieri, come quello anglosassone della cost-benefit analisys e quello francese del Comitè nationale d'évaluation des coût et des rendements.
D'altra parte, non basta modificare le norme sui controlli: è necessario anche che i controllori si adattino ai nuovi principi. Ciò vale sia per la Corte dei conti, sia per le ragionerie: la prima mostra qualche difficoltà a cambiare approccio, e talora sembra voler ritornare alla prevalenza del controllo preventivo di legittimità; per quanto riguarda le seconde, la riforma del 1994 ha accentuato la loro crisi, data dal carattere formalistico dei controlli e dall'incapacità di utilizzare utilmente le informazioni di cui esse dispongono.
Ulteriori indicazioni di riforma sono le seguenti:
a) controlli sui prodotti dell'attività amministrativa, in rapporto alle finalità stabilite ed ai mezzi impiegati, piuttosto che sui processi di formazione degli atti. Ad esempio, parametro di controllo possono essere le misurazioni quantitative (come il numero di studenti promossi e quello dei ritiri per anno nelle scuole, i casi di ritardo dei treni o il tempo di attesa per il ricovero in ospedale), da confrontare con quelle di altre strutture o di periodi precedenti. A questo scopo, possono essere utilizzate le statistiche dell'Istat;
b) controlli sugli atti più importanti e a campione, non sulla generalità degli atti;
c) parametro del controllo da individuare non solo nella legittimità (che, soprattutto in un sistema normativo confuso, si presta all'arbitrio), ma anche in elementi come la proficuità della spesa;
d) i controllori non devono avere soltanto una formazione giuridica, ma conoscere le tecniche di gestione, con particolare riferimento al settore in cui operano.
Il mutamento di approccio, dai processi ai prodotti, è auspicabile anche in settori diversi da quello dei controlli sugli atti amministrativi, come quello dell'organizzazione del personale. Ciò vale, in particolare, per le organizzazioni maggiormente esposte alla corruzione e per quelle preposte alla tutela della legalità: l'azione di questi organismi dovrebbe sempre ispirarsi all'obiettivo sostanziale di accertare le illegalità e di recuperare denaro pubblico. Inoltre, la valutazione dei risultati delle indagini e di provvedimenti sanzionatori va compiuta correttamente, senza alterare dati e statistiche con elementi e valutazioni poco attendibili.
La stessa logica va applicata ai controlli finalizzati direttamente alla lotta alla corruzione: ad esempio, quelli relativi alle dichiarazioni patrimoniali e di interessi del personale, che devono essere condotti in modo approfondito, ma per campione.


La diffusione della corruzione è stata agevolata dalla relativa facilità con la quale amministratori e dirigenti di società per azioni costituiscono fondi con contabilità separata, la cui gestione sfugge sia all'intervento di altri amministratori, sia all'esame degli organi di controllo interno.
Questa situazione può farsi risalire all'ordinamento prescelto dal codice civile, nel quale l'assetto per cerchi concentrici (assemblea amministratori-amministratore delegato e assemblea-sindaci) e l'evidente asimmetria informativa e decisionale tra amministratori non professionali produce, da un lato, una fuga delle decisioni verso il vertice, dall'altro, un indebolimento della trasparenza e dell'accesso dei soci, degli amministratori e persino dei sindaci alle informazioni.
Tale situazione può essere modificata mutuando gli organi di governo delle società (corporate governance), secondo linee che sono state già proposte e discusse, quali:
a) separazione tra un organo di gestione, con amministratori full time e part lime e un organo di sorveglianza;
b) collegamento organico dell'organo sindacale con uffici interni di controllo, parzialmente sottratti al vertice aziendale;
c) collegamento funzionale dell'organo di sorveglianza e di quello sindacale con gli azionisti di minoranza.
Le tre proposte indicate, tra loro compatibili, dovrebbero rispettivamente:
a) introdurre un elemento di conflitto istituzionale tra organi portatori di interessi opposti, in modo da aumentare trasparenza e controllo (rilevanti, in proposito, l'esperienza tedesca e quella italiana degli enti previdenziali);
b) assicurare al collegio sindacale un effettivo droit de regard sulla gestione con un flusso informativo separato e neutrale;
c) consentire ai soci di minoranza un effettivo controllo sulla gestione.
d) L'introduzione, così effettuata, di organismi e procedure interni di controllo impedirebbe o attenuerebbe, in via preventiva, la Costituzione e l'uso di fondi sottratti alla contabilità generale e, quindi, il loro improprio o illecito uso.
e) A questi rimedi può aggiungersi l'obbligo dell'organo sindacale di riferire le violazioni di legge e irregolarità più gravi a un organo pubblico esterno, sul modello introdotto dalla nuova legge bancaria del 1993 per le banche e seguito in alcuni Stati nordamericani con il modello dell'Inspector general.


Talora nelle professioni intellettuali e tecniche emergono veri e propri intermediari impegnati ad instaurare contatti poco trasparenti tra soggetti privati e pubblici. La disciplina delle professioni che sono in rapporto con la pubblica amministrazione va quindi segnalata come uno dei settori in cui è necessario intervenire per prevenire la corruzione.
Oltre all'elaborazione di regole deontologiche, la valorizzazione della giustizia interna dei vari ordini professionali rappresenta un passaggio obbligato per promuovere la moralizzazione della vita amministrativa ed estendere la lotta alla corruzione.
Si potrebbe, innanzitutto, disciplinare in modo uniforme (o con un nucleo di regolamentazione uniforme) i vari ordini professionali, sanzionando con la radiazione di diritto dall'albo o in altro modo la commissione di reati contro la pubblica amministrazione (attualmente, ad esempio, prevista per i dottori commercialisti, ma non per gli avvocati e per i giornalisti).
In secondo luogo, potrebbe estendersi al mondo delle libere professioni la disciplina relativa ai dipendenti pubblici, collegando sanzioni disciplinari alla sentenza di condanna, ed al rinvio a giudizio per i reati di notevole gravità.
Particolare rilievo va, infine, dato alle regole dell'accesso alle professioni, giacché non può trascurarsi che la deontologia professionale contribuisce a formare una cultura di corpo quale utile antidoto all'instaurarsi di prassi di corruzione.
Su un piano diverso si pone la questione relativa al segreto professionale di alcune categorie. Ad esempio, l'ampliamento delle fattispecie di violazioni tributarie sanzionate penalmente ha avuto come conseguenza l'assimilazione dei commercialisti e dei consulenti tributari agli avvocati e l'estensione ai primi del segreto professionale riconosciuto ai secondi. La circostanza che il commercialista assista l'imprenditore durante tutto il processo di produzione fa di lui più un collaboratore dello stesso imprenditore che non lo strumento di una difesa tecnica, occasionata dall'eventuale compimento di un reato. Per questo motivo, la disciplina del segreto professionale potrebbe essere oggetto di riforma, salvaguardando il diritto del cliente all'assistenza professionale.


(*) Presentato al Presidente della Camera il 23 ottobre 1996.

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