L'Italia, già caratterizzata da una forte emigrazione verso l'estero e da fenomeni migratori interni, si è trasformata negli ultimi anni in un paese di forte immigrazione o in zona di transito per flussi migratori di notevoli dimensioni. Ne sono derivati non pochi problemi di ordine pubblico e per la sicurezza interna dello Stato, soprattutto per l'intensificarsi delle immigrazioni clandestine. Tale forte afflusso, per lo più, di "povertà estreme" - termine con cui si definiscono quelle aree di privazione, disagio ed esclusione che occupano i gradini più bassi della stratificazione sociale e non usufruiscono, se non in minima parte, di protezione legislativa e delle garanzie del "welfare state" - costituisce, infatti, un fertile terreno, di "coltura", dove reclutare lavoratori in modo irregolare o manovalanza per il crimine. Tale situazione ha prodotto, poi, un inasprirsi dei conflitti sociali, provocati a volte anche da insufficiente conoscenza del fenomeno e da discutibili campagne-stampa.
Il problema, in effetti, nasce dal fatto che non ci si è resi conto dell'inevitabilità delle migrazioni, evento planetario dovuto ad una molteplicità di fattori che esulano dalla politica nazionale; rappresentano una realtà non oscurabile con norme repressive, atteggiamenti razzistici e di difesa delle posizioni di privilegio godute dai cittadini dei paesi industrializzati.
E' certamente indispensabile limitare l'ingresso degli extracomunitari specie se clandestini; appare del tutto inutile infierire sul singolo soggetto, costretto dalla miseria e da vere e proprie necessità di sopravvivenza, sia esso profugo economico o politico, se non si attiva, in primo luogo, il controllo repressivo verso le organizzazioni criminali che fanno del traffico di esseri umani l'ultimo, in ordine di tempo, redditizio business.
L'Italia negli ultimi anni è stata investita - come si è detto - in maniera massiccia dal problema "immigrazioni". Le cause sono molteplici e complesse. Prima di tutto i mutamenti avvenuti nei settori produttivi ed economici a livello europeo hanno comportato una considerevole corrente di manovalanza straniera tendente a riempire gli spazi occupazionali rifiutati o non desiderati dalla popolazione nazionale, sia per il calo demografico, sia per il suo invecchiamento e la relativa diminuzione della forza lavoro, sia, infine, per il rifiuto dei giovani ad esplicare attività penose o non gradite. Da qui l'aumento dei flussi migratori, soprattutto di clandestini, alla ricerca di migliori condizioni di vita rispetto ai Paesi di provenienza.
In secondo luogo, va tenuto presente il problema dei profughi, fuggiti spesso a causa di persecuzioni politiche o per il proliferare dei conflitti nei Paesi dell'Est europeo e dell'Africa ed entrati in Italia, in molti casi irregolarmente, con la speranza di emigrare oltre oceano. Infatti, tali soggetti utilizzano il nostro soltanto come Paese-posto di sosta o di transito per poi passare in Canada, in Australia o negli Stati Uniti.
Altra causa che ha contribuito notevolmente all'aumento del fenomeno‚ costituita dalle norme restrittive adottate negli ultimi anni dagli altri Paesi dell'Unione Europea non solo nei confronti degli immigrati per motivi economici, il che si spiega con la crisi economica mondiale, ma anche verso i richiedenti asilo politico, ridefinendo in modo restrittivo la figura del rifugiato. Si è venuto così a creare una sorta di "cordone sanitario" dal quale l'Italia, anche se ha ratificato gli accordi, si trova esclusa per la sua stessa connotazione geografica. A titolo di cronaca basti ricordare che nel 1994 erano presenti in Italia 12.783 rifugiati, mentre 1.766 sono state le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato (1) .
A monte delle cause sopra accennate vi è comunque, quella "originaria" consistente nel forte divario tra i tassi di natalità della popolazione dei sistemi sociali ad economia avanzata e quella dei Paesi sottosviluppati. In sostanza si tratta della discrasia demografica, oltre che economica, Nord-Sud del "Mondo".
L'afflusso di immigrati in Italia non è stato, però, controbilanciato da una corrispondente richiesta di manodopera, cosicché molti soggetti si sono adattati a vivere di espedienti ed a svolgere attività marginali od abusive, fino ad arrivare a rinforzare le fila dei clandestini e degli emarginati. Da ciò si generano ulteriori sacche di emarginazione sociale e sorgono problemi di ordine pubblico. E', infatti, tale "bacino" di clandestini ed emarginati che diviene serbatoio ideale di reclutamento sia per lo sfruttamento con il "lavoro nero", sia per la microcriminalità, sia per la criminalità organizzata autoctona e straniera, sia infine per attività devianti quali la prostituzione, l'accattonaggio, ecc..
E' chiaro che, a questo punto, viene spontaneo chiedersi quale sia la consistenza del predetto "bacino". La risposta, trattandosi di soggetti non registrati, non può che essere approssimativa e consequenziale ad un ragionamento induttivo basato su dati certi.
Tutte le stime sul numero dei clandestini sono state fatte nel periodo a ridosso dell'emanazione della Legge Martelli, basandosi sul rapporto tra regolarizzati e permessi di soggiorno, nonché su altri fattori socio-demografici. Tali valutazioni non sono più valide al presente, soprattutto perché rispetto a qualche anno fa, la pressione migratoria si è modificata, come si rileva dai permessi di soggiorno. Gli stessi cambiamenti, nell'assetto politico dell'Europa orientale e nei conflitti interetnici emergenti, producono mutamenti nei flussi migratori regolari ed irregolari. In ogni caso una prima indicazione la si può avere analizzando i dati sugli intimati e sui segnalati per l'espulsione (2) .
Come si legge nella Tab. 1 la numerosità degli irregolari incappati nei controlli delle forze dell'ordine è andata progressivamente aumentando nei sei anni considerati; ciò può attestare due fatti: sia l'effettivo incremento delle immigrazioni clandestine, sia il più pressante controllo da parte delle forze di polizia. Comunque la variazione percentuale in totale del 411.8‚ appare particolarmente significativa.
Per quanto riguarda poi la distribuzione regionale si ha (Tabb. 2 e 3) che nell'ultimo anno (1995) il grosso delle situazioni irregolari continua a concentrarsi nell'Italia Settentrionale (46 %), mentre l'Italia Meridionale registra un sorpasso rispetto alla Centrale (24.8 %) con il 29.2% dei casi tra intimati e segnalati.
Da ciò si può inferire che l'area della irregolarità clandestina si sviluppa maggiormente, da un lato, nelle zone più industrializzate e quindi economicamente più avanzate, che offrono maggiori opportunità di lavoro, dall'altro, nelle aree dove è più facile entrare clandestinamente nel nostro Paese (aree di confine terrestri del Nord-Est e marittime della Puglia e della Sicilia).
Quest'ultimo aspetto è strettamente collegato con quello relativo alla nazionalità dei soggetti colpiti da provvedimenti di espulsione. Si ha, infatti, che, limitatamente agli intimati per l'espulsione, prevalgono nel 1995 i provenienti da Albania (20.43%), Marocco (13.45%), Algeria (5.48%), Romania (5.24%), Turchia(4.77%), ex Jugoslavia (4.43%), Tunisia (4.22%), Cina Popolare (4.10%), Senegal (4.08%) e così via (3) . In pratica le aree di provenienza sono rimaste più o meno costanti nel quinquennio con variazioni percentuali legate alle contingenze belliche ed economiche di quei Paesi (Tab.4). E' un dato di fatto importante per indirizzare una politica di aiuti ai Paesi sottosviluppati e di contenimento delle immigrazioni nel nostro Paese. Si può avere, inoltre, un quadro di massima aggiornato dei mutamenti dei flussi clandestini anche riguardo al coinvolgimento delle organizzazioni criminali.
Ma vi è un'altra considerazione da fare: non tutti i clandestini entrano illegalmente nel nostro Paese; esistono anche soggetti che, una volta entrati con regolare permesso di soggiorno, per esempio con visto turistico valido tre mesi, divengono successivamente clandestini non rimpatriando allo scadere del permesso. Ciò significa che è necessario, per una più adeguata valutazione del fenomeno, tener conto anche degli stranieri regolari. Si evidenzia, così, con la Tab. 5 ed il Graf.1, come anche i cittadini stranieri provvisti di regolare permesso di soggiorno siano andati progressivamente aumentando dal 1990 (781.138) al 1995 (991.419).
GRAF.1 - Cittadini stranieri soggiornanti in Italia al 31 dicembre - Anni 1990-95
Limitatamente agli ultimi due anni, si può vedere come le ragioni, che spingono gli allogeni a soggiornare in Italia, per un periodo più o meno lungo, siano, a parte il turismo, il lavoro subordinato, il desiderio di ricongiungersi alla famiglia, l'iscrizione alle liste di collocamento, i motivi di studio e religiosi (Tab. 6).
In definitiva, più del 50% degli stranieri chiede il permesso di soggiorno per poter svolgere un'attività lavorativa, mentre oltre il 17% adduce motivi familiari. Quest'ultimo aspetto è lievitato negli anni ed è presumibile che costituirà sempre più uno dei fattori dominanti per la richiesta di permesso di soggiorno, se non il principale.
Le conseguenze sono oggi sotto gli occhi di tutti: il delinearsi, anche in Italia, di una società multirazziale e multietnica con la diffusione di famiglie di immigrati, la nascita di bambini stranieri che potrebbero diventare italiani se dovesse prevalere lo "ius loci" sullo "ius sanguinis", come già in parte realizzato con il D.P.R. 572 del 12 ottobre 1993 ("Regolamento di esecuzione della L. n. 91, 5 febbraio 1992"), recante nuove norme sulla cittadinanza, in particolare quella acquisita per nascita.
Anche per quanto riguarda la distribuzione territoriale dei regolari si rileva poi una netta prevalenza nelle regioni settentrionali (51.2%), seguite dal Centro (34.1%) e dal Sud (14.7%) (Tab. 7).
Mentre per quanto concerne la nazionalità si ritrovano in parte le stesse provenienze degli irregolari, rafforzando l'ipotesi che verso i Paesi dai quali provengono più massicciamente regolari e clandestini vadano dirette le attività sia di cooperazione, sia di contenimento. Come si rileva dalla Tab.8, infatti, confrontata con la Tab. 4 relativa agli intimati per l'espulsione, le nazionalità più rappresentate sono quelle del Marocco, della ex Jugoslavia, della Tunisia, dell'Albania, del Senegal, della Romania, della Cina Popolare, per citarne alcune.
Molte frequenze, quindi, coincidono dimostrando come spesso i regolari rappresentino un polo di attrazione notevole per i connazionali clandestini.
Non va dimenticata, infine, la categoria degli stranieri entrati come turisti senza bisogno di visto, e poi passati nella irregolarità. Costoro, come i precedenti, sfuggono facilmente a qualsiasi tipo di controllo. Per tale motivo appare molto difficile avanzare una stima complessiva sulla presenza degli stranieri in Italia senza incorrere in sopravvalutazioni. C'è chi sostiene che raggiungano la cifra di 500.000, altri ne ipotizzano 800.000. Tali cifre appaiono piuttosto esagerate in quanto si basano su dati già di per sé gonfiati: i permessi per motivi di turismo, per esempio, andrebbero calcolati per persona poiché lo stesso soggetto può richiederli più volte, trimestralmente nell'arco dell'anno; così non si sa quanti siano gli intimati per espulsione realmente rimpatriati e poi rientrati nel nostro Paese; o ancora non si ha notizia di quanti entrati regolarmente o irregolarmente siano rimpatriati o si siano recati altrove, utilizzando l'Italia come Paese di transito; non si possono quantificare, infine, quegli extracomunitari che entrano con un passaporto falso comunitario (per es. gli albanesi che transitano in Grecia e poi, con passaporto greco contraffatto, entrano in Italia).
In conclusione va detto che, seppure si accolga la valutazione minima di 500.000 irregolari, non si arriva ad un milione e mezzo di presenze straniere sul territorio dello Stato, il che equivale a circa il 2.6% della popolazione totale del nostro Paese.
L'incidenza percentuale sul totale della popolazione residente si delinea però molto inferiore a quello di altri Paesi europei come la Germania (8.0%), la Francia (6.3%), il Belgio (8.9%%), i Paesi Bassi (5.0%).
E' un dato ormai assodato che anche nel settore delle immigrazioni clandestine si è innestata la criminalità organizzata italiana e non, con le sue complesse strutture, la diffusione capillare sul territorio e la disponibilità di ampie risorse finanziarie. Vi è chi sostiene che il traffico di cui si tratta abbia addirittura surclassato, in volume di affari, quello di sostanze stupefacenti, divenendo così il business principale di più organizzazioni criminali. Certo, alcune di esse si sono riciclate passando da un'attività meno lucrosa (come il contrabbando di T.L.E.) e più pericolosa a questa, più redditizia, mentre altre hanno affiancato ai precedenti impegni illeciti (traffico di droga, di armi, ecc.) l'interesse per la nuova "materia prima". Ma sembra eccessivo, a chi scrive, il ritenere tale settore preponderante rispetto agli altri. In ogni caso, molte "mafie" si sono inserite nella gestione dell'immigrazione clandestina, ognuna seguendo i rispettivi connazionali nel loro migrare verso condizioni di vita più umane. Ciò ha portato ad un aggravarsi del fenomeno negli ultimi tempi tanto per la numerosità dei coinvolti, quanto per l'intensificarsi di aspetti deteriori, quali ad esempio l'aumento della criminalità degli stranieri e della prostituzione, da un lato, e gli episodi di intolleranza razziale e xenofoba, dall'altro.
Venendo in particolare alle "rotte" utilizzate dalla criminalità organizzata per tale traffico, è notorio come siano privilegiate quelle del basso Adriatico. La posizione geografica è ovviamente determinante per tale scelta: soltanto quarantuno miglia marine, cioè 74 Km di mare, separano Valona, in Albania, da Otranto: si coprono mediamente con una traversata di tre ore. Dalla baia di Valona, infatti, si imbarcano albanesi, ex jugoslavi, curdi, cinesi, pakistani, cingalesi. Lo stesso avviene da Bar e Cattaro nel Montenegro. Sia a Valona sia nel Montenegro si sono installate basi della Sacra Corona Unita pugliese che gestisce il traffico insieme alle mafie albanese, russa, turca e cinese. Si è creata in pratica una sorta di holding che si distribuisce i proventi in base ai rispettivi interventi nelle diverse fasi del flusso migratorio. La mafia cinese, ad esempio, porta i connazionali fino a Valona: qui subentra l'organizzazione albanese che li passa a quella italiana per il trasporto marittimo con gli scafi ed i gommoni dei contrabbandieri. Lo stesso dicasi per la mafia turca per il passaggio dei Curdi che, comunque, hanno come meta definitiva la Germania.
Il contrabbando di esseri umani in Albania è diventato ormai parte integrante del sistema economico anche attraverso vie legali. Infatti vengono utilizzati, in certi casi, i traghetti di linea che collegano l'Italia, Bari in particolare, con l'Albania, la Grecia e il Montenegro, usufruendo di documenti falsi od artefatti venduti sempre dalle organizzazioni criminali.
I costi dei passaggi clandestini degli scafisti variano da un minimo di 400 dollari per gli albanesi a più di mille per gli asiatici. Un discorso particolare merita il traffico di immigrati cinesi, gestito come si è detto, dalle triadi cinesi (soprattutto il Drago Verde) attraverso la Russia e la Romania, fino all'Albania per poi concludersi in Toscana, in Lombardia o nel Lazio. Spesso pagano il viaggio i proprietari dei ristoranti o dei laboratori cinesi che versano all'organizzazione circa venti milioni per immigrato. Una volta in Italia i clandestini, privati di qualsiasi documento, vengono ridotti in "schiavitù" e costretti a lavorare in condizioni subumane dagli "investitori" loro connazionali, che hanno spostato i loro capitali ed i loro "investimenti" specialmente da Hong Kong verso l'Europa e l'Italia in particolare, in previsione del passaggio della colonia britannica sotto il governo di Pechino. La mafia albanese, poi, che ha raggiunto un alto livello di specializzazione grazie anche all'addestramento svolto con la Nuova Sacra Corona Unita, utilizza la stessa rotta del Canale d'Otranto per il traffico di bambini: li acquista dai familiari per circa trenta milioni e li immette sul territorio italiano rivendendoli per accattonaggio, prostituzione, adozioni illegali e traffico di organi. Tale reificazione e mercificazione di esseri umani è sicuramente la più odiosa e drammatica!
Non di minore importanza è l'altro percorso sfruttato dalle organizzazioni e dai singoli per entrare clandestinamente in Italia, cioè quello costituito dai circa 60 valichi compresi nei 223 km di confine tra Tarvisio e Trieste. Questo è il passaggio preferenziale dei clandestini provenienti dalla ex Jugoslavia, dalla Bulgaria, dalla Romania, dalla Polonia e dalla Macedonia. Per avere un'idea della situazione basti dire che nei primi nove mesi del 1995 sono incappati nei controlli di polizia e respinti alla frontiera triestina ben 10.740 soggetti. L'attraversamento avviene a volte in nascondigli su mezzi di trasporto pesanti, ma, più spesso, si effettua a piedi con l'ausilio dei così detti "spalloni" o "passatori" che conoscono molto bene la topografia della zona.
I sudamericani, brasiliani (viados e non), argentini, e negli ultimi tempi soprattutto peruviani, seguono invece un percorso migratorio che passa attraverso la Germania, dove non c'è bisogno di visto, la Svizzera e l'Austria per arrivare in Italia.
Da quando la frontiera di Chiasso, infatti, è diventata meno sicura, si è dirottato il traffico da Francoforte a Salisburgo dove alla stazione i "passatori" prendono in consegna i clandestini e li fanno immigrare dal confine austro-italiano.
Tale traffico è gestito da un'organizzazione formata da italiani e sudamericani che ha la propria sede centrale a Milano in Piazza Duomo. La tariffa si aggira intorno ai 1.200 dollari per passare dalla Germania in Italia.
Anche le "catene migratorie" provenienti dalle Filippine, costituite soprattutto da donne, utilizzano la frontiera svizzera e lo stesso tipo di organizzazione criminale in alternativa con la frontiera francese. In questo caso il costo raggiunge i 18 milioni, così come arriva a 15 milioni la tariffa pagata dai clandestini provenienti dallo Sri Lanka sia attraverso la Francia (Ventimiglia) sia attraverso la ex Jugoslavia. Ovviamente il peso così oneroso di tale investimento non ricade più sul singolo immigrato o sulla sua famiglia ma è sostenuto da un finanziatore o meglio da un'organizzazione finanziaria che diventa in pratica padrona dell'immigrato clandestino o regolare, munito di visti e/o passaporti falsi o comprati da funzionari corrotti. Il vincolo di soggezione di questo "nuovo schiavo" non si esaurisce se non con l'estinzione del debito verso l'organizzazione, evento che non può verificarsi se non dopo mesi od anni per l'impossibilità stessa del clandestino di inserirsi in un'attività di lavoro o quasi, seppur in "nero". Spesso è condannato a svolgere attività illecite (reati, prostituzione) che gli vengono imposte con minacce di ritorsione nei confronti suoi e dei familiari rimasti in patria. La subordinazione diviene totale anche perché gli viene sequestrato il passaporto o qualsiasi altro documento; va sottolineato che spesso la persona che accetta di essere oggetto dell'investimento sa bene a cosa va incontro, anzi deve dimostrare di essere consapevole e consenziente, altrimenti non offre garanzie sufficienti per beneficiare della fiducia dell'investitore. E' ovvio che tale atteggiamento sia dettato da problemi di sopravvivenza, vissuti in patria, e dalla speranza comunque di riuscire in tempi brevi ad emanciparsi.
Un'ultima rotta per il traffico dell'immigrazione clandestina è costituita dalle coste della Sicilia meridionale, in particolare la zona di Ragusa e dall'isola di Lampedusa. Qui giungono i nordafricani, marocchini, algerini, tunisini. Molti svolgono lavoro stagionale sui pescherecci; altri si inseriscono nel traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Il costo‚ contenuto tra 500 mila ed un milione di lire. Da quando si sono intensificati i controlli in tale aree, il viaggio dal Nord Africa a Malta e da qui alle coste della Sicilia non è più il canale privilegiato e si preferisce transitare dalla Francia. Lo stesso vale per gli altri africani, soprattutto donne nigeriane che finiscono, numerose, nella prostituzione.
Questi i percorsi utilizzati per entrare clandestinamente in Italia ma, come si è già detto, anche se l'aumento delle immigrazioni clandestine ha provocato un incremento di criminalità degli stranieri in Italia, ciò non significa che "clandestino" sia sinonimo di "criminale" o che chi è fuori legge sia anche contro la legge. Essere fuori legge è più una condizione di cui i clandestini sono vittime, mentre essere contro la legge è una condizione di cui sono colpevoli.
L'introduzione della robotica e delle tecnologie avanzate nelle attività produttive ha certamente modificato il mercato del lavoro sia per quanto riguarda l'uso della forza lavoro sia per la regolamentazione del lavoro stesso. Ciò ha provocato anche uno sviluppo di attività irregolari quali il secondo lavoro ed il lavoro nero, quest'ultimo sempre più frequente tra gli stranieri extracomunitari. Se la situazione è tale nell'industria e nel terziario, lo è ancora di più in agricoltura dove le mansioni sono in prevalenza a carattere stagionale e vi è quindi la necessità che i lavoratori siano disponibili saltuariamente. In tale settore produttivo, poi, vi è una organizzazione sindacale meno forte e la contrattazione assume spesso carattere individuale, a giornata, che permette agli stranieri di inserirsi con più facilità essendo disponibili a lavorare con un salario più basso.
A ciò si aggiunga l'interposizione, soprattutto nel Centro e nel Sud d'Italia, dei così detti "caporali", che sfruttano l'esercito dei clandestini per il loro stesso status concorrenziale sul mercato del lavoro. Gli Ispettorati del Lavoro hanno rivolto particolare attenzione al fenomeno soprattutto in Puglia e in Campania, ma anche nel Lazio dove è presente in maniera abbastanza consistente il "pullmanismo", così definito per il fatto che i lavoratori sono prelevati dai caporali con pulmini e portati sul posto di lavoro. Tali forme illecite di intermediazione di manodopera sono ormai appannaggio anche della criminalità organizzata, in particolare della camorra campana e della SCU pugliese.
Da più parti si rileva l'apparente contraddizione esistente tra la presenza di lavoratori stranieri e l'elevato tasso di disoccupazione degli italiani, ma ciò si spiega con il carattere specifico di quest'ultima. Si tratta, infatti, in gran parte di giovani che preferiscono rimanere inoccupati piuttosto che essere occupati in attività dequalificate e dequalificanti o lontano dalle loro dimore. Per gli immigrati invece la disponibilità a svolgere ogni tipo di lavoro, nei tempi e nelle forme stabilite dalla domanda, è correlata alla loro debolezza legale che implica mancanza totale di garanzie previdenziali, assicurative e contrattuali. Comunque, parlando di lavoro nero, va ribadita la distinzione tra immigrati regolari, irregolari (con permesso di soggiorno e senza autorizzazione al lavoro) e clandestini, privi anche del permesso di soggiorno. Queste ultime due categorie svolgono lavoro in "nero" ed è difficile farne una descrizione completa data la loro scarsa visibilità e la loro notevole mobilità. La componente irregolare del lavoro domestico è costituita da quei soggetti che non sono riusciti a regolarizzarsi o che hanno perso lo status di regolarità. E' il caso spesso di chi, giunto in Italia con regolare permesso di soggiorno turistico, ha trovato lavoro ma per regolarizzarlo avrebbe dovuto finora tornare nel proprio paese e farsi richiedere nominativamente dal datore di lavoro attraverso il Consolato. E' ovvio che la farraginosità della procedura e il timore di perdere il posto impediscono tale scelta. La loro condizione appare precaria pur avendo, però, spesso un trattamento economico complessivo simile a quello dei regolari. La recente sanatoria, in tale situazione, appare la soluzione più adatta.
Il caso degli occupati nel settore della ristorazione è forse quello più diffuso nei grandi centri urbani come Roma. Si tratta in prevalenza di nordafricani e cinesi che svolgono mansioni di lavapiatti e di uomini di fatica in ristoranti, pizzerie e locali simili; rari i cuochi o i camerieri. Il rapporto di lavoro irregolare è quasi sempre a tempo definito ed è perciò spesso intervallato da periodi più o meno lunghi di disoccupazione. A volte queste attività si alternano con quelle di guardiano di garage, di facchinaggio, ecc.. Il commercio ambulante è un altro importante settore di occupazione in "nero".
Riguarda in particolare gli africani, commercianti per tradizione, che nei centri urbani, nelle fiere di paese e nelle località turistiche vendono prodotti, di fabbricazione soprattutto italiana, con falsi marchi. La flessibilità del commercio ambulante è la caratteristica che lo rende preferibile da parte dei clandestini. I continui spostamenti rendono difficili i controlli da parte delle forze dell'ordine.
Come si è detto, la presenza di irregolari nell'agricoltura è diffusissima in molte realtà regionali (Trentino, Campania, Puglia, Sicilia, basso Lazio) e si concentra nei periodi delle raccolte e dei lavori stagionali. Così il lavoro nero aumenta durante le campagne dei pomodori, delle olive, dei cocomeri nel Sud e delle mele al Nord. Attività parallela nella quale prevale la manodopera straniera in nero è quella dell'allevamento del bestiame.
Proprio tali mansioni mettono in luce come i clandestini siano disposti a svolgere lavori socialmente svalutati e sgradevoli rifiutati dagli autoctoni. Va, però, sottolineato che, mentre al Nord ciò avviene in maniera complementare per colmare i vuoti occupazionali non graditi e perciò scoperti, nel Sud invece i clandestini vengono utilizzati in termini concorrenziali, anche dalle organizzazioni criminali, per mantenere bassi i salari ed alimentare condizioni di lavoro precarie e non tutelate.
Nell'industria il lavoro nero è meno frequente, anche perché più soggetta a controlli sia da parte degli organi competenti sia da parte delle organizzazioni sindacali che di categoria.
Il discorso cambia per il settore edile. L'edilizia è tradizionalmente un polo d'attrazione per gli immigrati, in quanto nei cantieri si può lavorare a giornata o a cottimo. Il fenomeno è molto sviluppato in tutte le regioni italiane e presenta problemi specifici relativi alle norme di sicurezza ed all'infortunistica, essendo un'attività ad alto rischio, spesso non tutelata adeguatamente ed in cui gli stranieri vengono sfruttati totalmente dai datori di lavoro: nel costo ridotto della manodopera, nel non versare i contributi previdenziali e per l'assistenza sanitaria, nel far svolgere le mansioni più pericolose senza le precauzioni previste dalla normativa, nel non rischiare denunce in caso di danni e lesioni fisiche per timore dell'espulsione.
Vi sono, infine, i cosiddetti "schiavi", se ne è già accennato, importati clandestinamente allo scopo di farli lavorare in piccole imprese manifatturiere, come ad esempio la lavorazione del pellame nei laboratori gestiti da cinesi o da locali in Toscana.
In conclusione, il lavoro nero diviene ulteriore causa di emarginazione per il popolo dei "fuorilegge" vittima delle necessità di sopravvivenza e di datori di lavoro, quasi sempre italiani ma anche connazionali loro sì, "contra legem" nel vero senso del termine.
A questo punto è però necessario valutare quanti siano gli immigrati "contro" la legge, tenuto conto che la criminalità commessa va rapportata non solo ai clandestini ma a tutti gli stranieri presenti sul territorio nazionale. Mai come in questi ultimi tempi, infatti, paure e pregiudizi sono alla base della diffusa convinzione che gli immigrati siano spesso coinvolti in delitti non solo di violenza e che rappresentino una seria minaccia per la sicurezza dei cittadini e dello stesso Stato.
Va, quindi, valutata, in prima istanza, attraverso i dati del Ministero dell'Interno quale sia la reale consistenza della loro delittuosità. Gli stranieri denunciati-indagati, nell'arco dei cinque anni considerati, sono andati progressivamente aumentando dai 28.345 del 1991 ai 57.190 del '95, a parte il 1990, anno particolare per l'entrata in vigore della L. n. 39. Quanto alla distribuzione geografica (Tab. 9), si rileva il primato negativo nel 1995 della Lombardia (18.74%), del Piemonte (11.64%), dell'Emilia Romagna (11.29%), del Veneto (10.86%) e del Lazio (10.29%). In questi ultimi anni il controllo sociale formale è stato più cogente nell'Italia Settentrionale (67.71%), rispetto alla Centrale (22.77%) e alla Meridionale e insulare (9.51%). Ciò si spiega con il fatto che nel Nord si concentrano sia i regolari sia i clandestini attratti dall'elevato benessere economico e dalle maggiori opportunità di lavoro; di conseguenza si riscontra anche un maggior numero di devianti. Inoltre nel Sud le attività illecite sono controllate soprattutto dalla criminalità organizzata, per cui le opportunità di delinquere per gli stranieri sono limitate a quelle che non "interferiscano con" o a quelle gestite dalle organizzazioni stesse.
Un elemento di sicura importanza per la valutazione del fenomeno è rappresentato dalla nazionalità. Il processo di criminalizzazione, infatti, si concentra prevalentemente su alcune provenienze. Come evidenziato nella Tab.10, gli stranieri più colpiti da denuncia provengono costantemente negli anni sempre dagli stessi Paesi: in particolare nel 1995 Marocco (20.62%), Jugoslavia (14.22%), Albania (11.50%), Tunisia (5.77%), Senegal (5.69%) e così via. Verso tali comunità, che sono peraltro le più numerose in Italia, va diretto quindi in modo più significativo il controllo di polizia risultando le più pericolose per la sicurezza. Va, comunque, segnalato che anche cittadini comunitari, e perciò non clandestini, sono presenti in tale graduatoria, mentre per l'area asiatica sono numerosi solo i cinesi.
L'analisi dei provvedimenti di denuncia a carico di stranieri secondo il motivo della segnalazione fornisce ulteriori elementi conoscitivi. Le tipologie di reato dimostrano come la componente socio-economica sia sempre la principale nella spinta in senso criminale. Detenzione e spaccio di stupefacenti, da un lato, e reati contro il patrimonio (furti soprattutto), dall'altro, costituiscono più del 60% dei reati commessi da stranieri. Il resto è costituito in prevalenza da falsità in genere, inosservanza dei provvedimenti dell'autorità, violazione delle leggi di PS, contravvenzioni, falsa identità, oltraggio, resistenza e violenza a P.U.
In effetti i reati che denotano una forte aggressività, quali quelli contro la persona, sono limitati e soprattutto rivolti verso componenti della stessa etnia o di comunità rivali; di rado i comportamenti violenti sono diretti verso gli autoctoni.
Venendo ora all'analisi degli stranieri arrestati, emerge come il loro numero sia molto inferiore a conferma del fatto che le tipologie di reato per cui essi sono denunciati-indagati non sono di particolare gravità.
Passano, infatti, dai 12.768 del 1991 ai 22.244 del 1995 con una variazione percentuale del 74.22. Nella distribuzione regionale un dato interessante è costituito dalla prevalenza di arresti nel Lazio, in Lombardia e in Piemonte rispetto ad altre regioni. Ciò fa ritenere che in tale zona gli stranieri commettano con più frequenza delitti per i quali sia previsto l'arresto obbligatorio o che le forze dell'ordine facciano un uso più intenso dell'arresto facoltativo o che, infine, si verifichino entrambe le situazioni. Per quanto riguarda le nazionalità e le tipologie di reato degli stranieri arrestati i dati rimangono invariati rispetto ai denunciati-indagati.
Fin qui si è parlato della criminalità degli stranieri quale risulta dal controllo sociale messo in atto dalle forze dell'ordine, ma come si sa, la criminalità effettiva è quella che risulta in base ad una condanna definitiva. E' necessario, perciò, a questo punto considerare quanti dei denunciati o segnalati si possano definire "criminali" in senso stretto. Dalla Tab. 11 si può vedere come il numero dei condannati (4) abbia, anch'esso, subito un forte incremento dal 1991 in poi, da 7.674 a 18.991, con una variazione percentuale del 147.47%.
In pratica gli stranieri erano il 4.8% del totale dei condannati nel 1991, sono diventati il 9.2% nel 1994. Lo stesso incremento è rilevabile anche in ambito penitenziario, dove gli entrati dallo stato di libertà di cittadinanza straniera dai 9.363 del 1990 sono diventati 26.175 nel 1994, cioè il 26% del totale della popolazione penitenziaria, percentuale che è rimasta invariata nel 1995 (Tab. 12).
Gli aumenti, comunque, vanno considerati in rapporto alla popolazione di derivazione, cioè quella degli stranieri presenti in Italia, che, come si è detto parlando dei flussi, ha subito uno sviluppo non indifferente.
Per quanto riguarda, poi, le nazionalità più rappresentate, e nell'universo dei condannati e nella popolazione penitenziaria, si configurano già quelle considerate: Marocco, Tunisia, ex Jugoslavia soprattutto. In pratica, quasi il 50% dei soggetti proviene dall'Africa, in particolare maghrebina, e più del 30% dalla ex Jugoslavia.
La circostanza è di fondamentale importanza sia per le attività di prevenzione e di controllo sociale sia per la organizzazione e la gestione delle attività all'interno delle strutture carcerarie.
Un ultimo dato interessante riguarda i detenuti presenti al 31 dicembre di ogni anno negli Istituti penitenziari. Come si rileva dalla Tab. 13, le presenze straniere alla fine del 1995 rappresentavano il 17.4% del totale, cioè una percentuale inferiore a quella degli ingressi, a dimostrazione del fatto che vengono arrestati e detenuti prevalentemente per reati che non prevedono una lunga permanenza in carcere.
Infatti, anche le tipologie dei reati per condanne e detenzione rispecchiano la situazione già evidenziata per le denunce. Risulta, infatti, una netta preponderanza per i reati contro il patrimonio, furto in primis, e per i reati relativi alle sostanze stupefacenti.
Va, infine, sottolineato che la composizione percentuale di tali reati nell'arco degli ultimi cinque anni è rimasta più o meno invariata. Si nota, comunque, un lievitare dei delitti di prostituzione e delle violenze carnali.
La pericolosità sociale degli stranieri presenti in Italia va vista alla luce delle reali dimensioni del fenomeno. Riassumendo i dati statistici finora considerati e prendendo a riferimento il 1994 (per cui si hanno i dati completi) si ha una popolazione di partenza di circa un milione e mezzo di soggetti tra regolari (922.706) e clandestini stimati. Di essi ben 63.162 sono intimati o segnalati per l'espulsione. Ne vengono inoltre denunciati-indagati dalle forze dell'ordine 57.080; di questi ne sono poi arrestati 23.062.
Nelle patrie galere nell'arco dell'anno ne finiscono 26.175 e, per ultimo, ne arrivano alla condanna definitiva 18.991. E' per questi ultimi che secondo il dettato costituzionale, si può parlare di vera e propria criminalità: cioè circa l'1.3% della popolazione di partenza.
Si ha, dunque, uno sviluppo ad imbuto (Graf. 2) della devianza degli immigrati, che attraverso le maglie del controllo penale e le varie fasi del procedimento finisce per risultare molto meno "allarmante" di quanto si pensi. Anche considerando il problema del "numero oscuro", il discorso non cambia; anzi, come dimostra la discrasia quantitativa tra denunciati e condannati, si può affermare che esso è meno influente nei confronti degli stranieri in quanto più "visibili" e più soggetti all'attività di controllo sia formale, sia informale.
Ciò che appare più importante, invece, è rilevarne la peculiarità Un aspetto è quello della nazionalità. Si è visto come i più devianti siano gli immigrati di provenienza africana, (Marocco, Tunisia, Algeria) e gli europei extracomunitari, soprattutto della ex Jugoslavia e dell'Albania. Verso tali etnie, perciò, andrebbero intensificati i controlli ed indirizzate le attività di prevenzione.
Esse, infatti, sono anche tra le più numerose nella popolazione di riferimento, sia regolare sia clandestina, ma anche le più emarginate ed in stato di bisogno. Anche la tipologia di reato commessa dagli stranieri è indicativa: detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e reati contro il patrimonio, in primis il furto, costituiscono quasi il 60% dei delitti per i quali vengono condannati e configurano una delinquenza di basso livello, sovente al margine di grosse organizzazioni criminali che, come si è già sottolineato, li gestiscono dall'inizio facendoli entrare clandestinamente in Italia ed utilizzandoli come "schiavi" nel lavoro nero e come manovalanza nelle attività illecite. E' questa microcriminalità diffusa, perciò, che crea allarme sociale e reazioni di intolleranza razziale che minano la convivenza sociale e creano problemi di ordine pubblico.
Si parla - si badi - di intolleranza, di conflitto tra culture diverse, non di razzismo con i connessi giudizi di valore. Gli episodi di questi ultimi tempi dimostrano come siano rari i casi di vero e proprio razzismo, mentre sono frequenti quelli di conflitto culturale dove appunto vi è da parte degli italiani disagio ed esasperazione per la presenza ingombrante di soggetti "diversi" e da parte degli allogeni difficoltà o veri e propri rifiuti ad adattarsi ai nostri modelli culturali.
Sembra quindi utopico sperare di risolvere il problema della formazione di una armonica società multietnica delegando la soluzione alle forze dell'ordine ed ai giudici o a leggi solamente repressive.
L'azione, che richiede tempi certamente non brevi, deve indirizzarsi verso un'opera di "integrazione", cioè di convivenza di più culture, sempre nel rispetto delle regole della cultura di accoglienza. Gli immigrati vengono attirati dal modo di produzione e dagli stili di vita occidentali che, oltre ad annullare la fame, offrono anche il superfluo, per lo meno nell'immaginario collettivo. Ben vengano: il nostro Paese ha bisogno anche della loro forza-lavoro per più motivi (calo demografico, invecchiamento della popolazione, ecc.), a condizione di non contrastare le norme giuridiche e le regole della nostra società.
Solo così potranno ottenere la tolleranza presupposta da un mondo di culture diverse, non in conflitto, e pretendere di non essere assimilati con la distruzione degli originari loro valori culturali. E' per tale motivo che si rende indispensabile una migliore regolamentazione dei flussi migratori, un più ferreo controllo delle frontiere nei punti caldi per contrastare l'immigrazione clandestina, una pianificazione del mercato del lavoro (ad esempio di quello stagionale), un'armonizzazione della legislazione italiana con quelle comunitarie e soprattutto una più adeguata politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo.
Migliorando lo standard di vita nei paesi da cui prevalentemente provengono gli immigrati e riequilibrandone la produttività, si potranno ridurre i flussi migratori a livelli fisiologici e, di conseguenza, contenere la criminalità degli stranieri fino ad evitare conflitti sociali e rafforzare, almeno per questo aspetto, la sicurezza sociale.
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