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Per Aspera Ad Veritatem n.7
I Servizi d'intelligence e l'interesse nazionale

Alessandro CORNELI




In un'intervista rilasciata al settimanale "Famiglia Cristiana" (1) il ministro della Difesa, Beniamino Andreatta, ha affrontato anche il tema dei compiti dei Servizi d'informazione, a pochi giorni di distanza dal cambio ai vertici della comunità d'intelligence italiana, deciso dal Governo il 18 ottobre 1996. In particolare ha detto: "occorre anche una presenza maggiore dell'esecutivo che fissi in concreto i compiti del servizio, che controlli i risultati delle operazioni, tenendo anche conto che si spende denaro pubblico". Parallelamente, la trasmissione "Radio anch'io", andata in onda il 30 ottobre su Radio-1, ha trattato a lungo la questione dei Servizi d'informazione con la partecipazione del ministro Andreatta, del ministro dell'Interno, Giorgio Napolitano, e del Presidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti (Copaco), Franco Frattini.
Nel corso di questa trasmissione, il ministro Andreatta ha ripreso con maggiori dettagli, rispetto all'intervista, la questione delle direttive che il potere politico deve fornire ai Servizi: "Io credo - ha detto - che l'elemento fondamentale è che si superi la mentalità che non ci si sporca con i Servizi, non ci si occupa dei Servizi. Molti politici italiani hanno avuto questa mentalità. Non si sono interessati di dare compiti precisi e, per compiti precisi, intendo non la indicazione di un'area da cui provengono i pericoli, ma sapere le operazioni, discutere in anticipo se quelle operazioni sono utili, quale raccolta di informazioni è utile. Occorre avere - ha aggiunto - maggiore scambio tra le informazioni che la Farnesina raccoglie dalla sua rete diplomatica, e che non vengono comunicate ai Servizi, e viceversa... È necessario che si faccia un lavoro simile a quello del National Security Council, cioè che alcuni ministri assumano la fatica di considerare i Servizi come uno dei compiti di governo. E lo facciano al di fuori di quella mentalità giuridica che purtroppo rende spesso l'attività di decisione del nostro Paese... un atto amministrativo. Occorre avere il senso delle politiche, delle policies, e questo per portare i Capi dei Servizi, non solo a livello massimo ma anche i responsabili dei settori, in contatto con una domanda che viene richiesta in relazione al cambiare dei pericoli e della situazione geostrategica del Paese. Ci siano dei consumatori, altrimenti i Servizi tendono a produrre migliaia e migliaia di documenti, e l'unico referente dei Servizi diventano i Servizi di altri Paesi con cui scambiare informazioni".
Nella stessa sede, il ministro Napolitano ha detto : "Io credo che innanzitutto sia importante che i cittadini e le forze politiche non guardino più ai Servizi come a qualcosa di cui diffidare o a qualcosa che non serve. Servono, ce n'è bisogno e c'è la possibilità di renderli pienamente affidabili e controllabili. Ci sono minacce che vengono dall'esterno al nostro Paese e al nostro sistema democratico e ci sono minacce, attentati alle istituzioni che possono venire dall'interno. Di ciò si debbono occupare i Servizi. Bisogna ristabilire chiari confini per quel che riguarda i compiti tra i diversi Servizi, bisogna assicurarne il coordinamento e bisogna dare maggiori poteri al Comitato parlamentare". Su quest'ultimo punto, l'on. Frattini ha precisato: "Il Cesis serve al coordinamento tra i due Servizi. In realtà questo potere di coordinamento è stato molto limitato tanto che uno dei punti chiave su cui si sta discutendo è come potenziare la funzione di forte coordinamento e non più solo di coordinamento politico che il presidente del Consiglio dovrebbe avere, a mio avviso, in un sistema riformato dei Servizi di informazione".
Abbiamo riportato queste dichiarazioni anzitutto per segnalare il fatto positivo che dei Servizi si cominci a parlare da parte di coloro che ne hanno la responsabilità politica. Questo è un fondamentale contributo alla formazione, anche in Italia, di una cultura d'intelligence, senza la quale è impossibile non solo procedere a una riforma della legge che disciplina i Servizi ma anche considerare la funzione di questi nella loro vera natura, che è quella di organi dello Stato, quindi chiamati a contribuire, secondo le loro caratteristiche particolari, alla formazione della volontà e alle decisioni dello Stato stesso. In secondo luogo, queste citazioni ci consentono di sviluppare alcune considerazione sui temi che esse, più o meno direttamente, implicano, e cioè il rapporto tra l'attività dei Servizi d'intelligence e la definizione, con le conseguenti misure di tutela e promozione, dell'interesse nazionale e della sicurezza nazionale, termini spesso adoperati ma che acquistano un significato operativo quando entrano profondamente nella cultura politica di un Paese andando al di là dei luoghi comuni o delle reticenze.
Qualsiasi analisi su questi temi implica anche uno sforzo di storicizzazione, cioè la necessità di collocarla sullo sfondo degli eventi e delle tendenze in atto. Da diversi decenni, l'idea dello Stato come "ente sovrano", che non riconosce al di sopra e al di fuori di sé nessun'altra autorità, deve fare i conti con la realtà di una sempre più fitta rete di accordi internazionali (e in qualche caso sovranazionali) che in buona parte l'hanno ridotta o annullata, andando oltre la fase della pura, e sempre esistita, interdipendenza. A ciò si deve aggiungere che i processi di liberalizzazione (dei movimenti delle persone, delle idee, dei capitali, dei beni, dei servizi, delle conoscenze, delle informazioni) hanno accresciuto il numero dei soggetti nazionali, intesi come operanti all'interno della cornice dello Stato-nazione, sempre più operanti e pensanti in termini transnazionali, che è qualcosa di diverso da internazionali.
Se la sicurezza militare, intesa come l'insieme delle condizioni che consentono la normale e ordinata sopravvivenza dello Stato, continua a fare affidamento su parametri concettualmente collaudati, anche se continuamente aggiornati alle diverse forme delle minacce, non si può dire altrettanto per la sicurezza economica di uno Stato, intesa come l'insieme delle condizioni che permettono il soddisfacimento crescente dei bisogni elementari e di quelli secondari, contenendo quelle minacce che lo mettono in pericolo attraverso la caduta della produzione e degli scambi, l'elevato livello di disoccupazione, l'incidenza rilevante di forme illegali di attività economica, l'azione ostile di altri soggetti verso la moneta o comparti produttivi. Quanto alla sicurezza economica, l'analisi deve tenere conto della struttura sempre più pregnante che si riassume nel concetto di globalizzazione, che modifica i quadri di riferimento concettuale e i criteri operativi dello Stato-nazione.
Il perseguimento della sicurezza militare e della sicurezza economica, cui può associarsi la sicurezza politica, intesa come mantenimento delle condizioni di esercizio delle libertà democratiche, costituisce l'oggetto proprio dell'interesse nazionale. È quindi opportuno procedere per gradi: esaminare anzitutto le diverse interpretazioni tradizionali dell'interesse nazionale; analizzare il quadro normativo vigente italiano; considerare i mutamenti in atto per cercare di individuare i possibili percorsi normativi e operativi che possono guidare il perseguimento dell'interesse nazionale e inserire in essi il ruolo dei Servizi d'intelligence. Dopo questa analisi storico-comparativa, sarà necessario affrontare il problema epistemologico del concetto di interesse, che non può essere dato per scontato.


Il concetto di interesse nazionale, espresso talvolta con altre formule quali interesse dello Stato, bene comune, interesse collettivo, si distingue intuitivamente per contrapposizione all'interesse privato (o interesse particolare); ha una forte caratura culturale e ideologica; dipende, quanto alla concreta definizione dei suoi contenuti, dalle circostanze storiche; è di difficile configurazione giuridica. Esso appartiene principalmente alla geopolitica (e in tempi più recenti alla geoeconomia) e viene usato nel linguaggio della politica, sia per quanto riguarda la politica interna sia per quanto riguarda la politica estera.
L'idea di un interesse superiore della comunità politica (o statuale o nazionale), come distinto dagli interessi particolari - di singoli individui o di gruppi o soggetti economici, politici e in genere sociali - risale all'antichità e presuppone, in maggiore o minore misura, una concezione organica della società, concepita per analogia naturalistica all'organismo umano o alla famiglia. Bisogna arrivare alle rivoluzioni americana (1776) e francese (1789) per avere una formulazione più precisa dell'interesse nazionale che si forma per contrapposizione a quell'interesse dello Stato che, fino a quel momento, si era identificato con quello di ogni singola dinastia, nell'ambito della cosiddetta concezione patrimoniale dello Stato, ovvero dello Stato come patrimonio della Corona per cui il perseguimento dell'interesse di questa coincideva con l'interesse di quello.
In generale si può osservare che, da queste due rivoluzioni in poi, l'idea di interesse nazionale si è sviluppata secondo quattro linee ideologico-concettuali principali, ciascuna con conseguenze precise sulla disciplina normativa:
- quella legata all'ideologia rivoluzionaria francese, orientata sul concetto prevalentemente giuridico di nazione, e concentratasi sul valore (e nell'obiettivo) dell'indipendenza
- quella legata al processo costituzionale americano, orientata sulla definizione puntuale dei compiti e dei mezzi della politica estera e degli organi ad essa preposti, e concentratasi sulla estensione a livello mondiale di alcuni princìpi e metodi
- quella legata al marxismo attraverso la teoria della lotta di classe e poi attuata dagli Stati socialisti attraverso una combinazione del fattore nazionale e dell'internazionalismo, e concentratasi in un'azione di disturbo verso gli Stati "capitalistici"
- quella legata alle ideologie totalitarie di destra, orientata sul concetto prevalentemente etnico di nazione, e concentratasi in un tentativo di conseguire l'egemonia con la forza.
Storicamente, si è registrato il fallimento degli ultimi due modelli, la cui intima debolezza risiedeva nella sostanziale negazione delle libertà fondamentali dell'individuo. Nella presente fase storica, restano a confrontarsi i primi due, che probabilmente sono alla ricerca di un compromesso poiché, per la maggioranza degli individui, il dato locale è quello dove si realizza quasi esclusivamente l'esperienza di vita, ma i suoi contenuti sono influenzati dalle scelte globali dei diversi soggetti (compresi gli Stati intesi come Governi). Per questo motivo in Giappone è stato coniato il termine glocale, che indica la risultante dell'azione degli altri due.

a. L'interesse nazionale secondo la tradizione rivoluzionaria francese
Nella "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" del 26 agosto 1789, benché l'accento sia posto sull'individuo, l'art.1 afferma che "le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull'utilità comune"; l'art.4 afferma il principio di nazione come entità distinta dai particolari (individui o gruppi): "Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo, nessun individuo può esercitare un'autorità che non ne emani direttamente". L'art.17 introduce, relativamente ai contenuti economici, il concetto di necessità pubblica: "Essendo la proprietà un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato se non per pubblica necessità".
Nelle "Disposizioni fondamentali" della prima Costituzione francese del 1791 viene introdotto il concetto di sicurezza pubblica. L'art.1 della Sezione III del Capitolo IV esprime il concetto di sicurezza nazionale in questi termini: "Solo il re può intrattenere relazioni politiche con l'esterno, condurre i negoziati, fare dei preparativi di guerra proporzionati a quelli degli Stati vicini". L'art.3 afferma il concetto di bene dello Stato: "spetta al re decidere e firmare con tutte le potenze straniere tutti i trattati di pace, d'alleanza e di commercio e le altre convenzioni che giudicherà necessario al bene dello Stato, salva la ratifica del Corpo legislativo". Da rilevare che vengono precisati gli organi preposti a riconoscere tale "bene dello Stato" e ad agire per la sua realizzazione: il Re e il Corpo legislativo (che rappresenta la Nazione). I contenuti, inoltre, appaiono identificabili nella guerra e nella pace, nella conclusione di accordi diplomatici e nei trattati di commercio; essi sono quindi riducibili alle dimensioni militare ed economica, in prevalente funzione di politica estera.
Le idee fondamentali espresse in questi primi documenti sono rimaste in quelli successivi, con variazioni dovute alle circostanze. Come tendenza storica, si può solo rilevare il progressivo slittamento di tali concetti verso il perimetro della politica interna e in particolare nel campo economico e sociale. Il "Preambolo" della Costituzione del 27 ottobre 1946 stabilisce che "qualsiasi bene, qualsiasi impresa, la cui utilizzazione ha o acquisisce i caratteri di un servizio pubblico nazionale o di un monopolio di fatto, deve diventare proprietà della collettività". Parallelamente, "la Nazione assicura all'individuo e alla famiglia le condizioni necessarie al loro sviluppo". Si tratta di un rovesciamento delle posizioni del 1791, che si nota anche per quanto riguarda la politica estera e di sicurezza allorché, nello stesso "Preambolo", si afferma che "la Repubblica francese, fedele alle sue tradizioni, si conforma alle regole del diritto internazionale. Essa non intraprenderà nessuna guerra in vista di conquista e non impiegherà mai le sue forze contro la libertà di nessun popolo. Sotto riserva di reciprocità, la Francia consente alle limitazioni della sovranità necessarie all'organizzazione e alla difesa della pace".
L'art.5 della Costituzione del 4 ottobre 1958 (quella attualmente in vigore) afferma che "il presidente della Repubblica veglia al rispetto della Costituzione. Egli assicura, con il suo arbitrato, il funzionamento regolare dei poteri pubblici come pure la continuità dello Stato. Egli è il garante dell'indipendenza nazionale, dell'integrità del territorio, del rispetto degli accordi e dei trattati". Risulta implicito che questi compiti sono considerati di interesse nazionale. L'art.15 precisa che "il presidente della Repubblica... presiede i consigli e comitati superiori della difesa nazionale".
L'orientamento di fondo in tema di interesse nazionale, che si ricava dai testi e dalla storia della Francia, porta a concludere che il concetto-base o valore che lo ispira è quello della sovranità/indipendenza. Esso orienta le scelte dei diversi organi: Capo dello stato, governo, ecc. La conseguenza è che sul piano diplomatico, militare, economico, scientifico-tecnologico, finanziario, ecc., l'obiettivo prioritario resta quello di assicurare al Paese l'autonomia e l'autosufficienza.

b. L'interesse nazionale secondo la tradizione americana
Nella "Dichiarazione d'indipendenza" degli Stati Uniti (4 luglio 1776) è proclamato il principio che tutti gli uomini hanno alcuni diritti inalienabili. Fra questi, "vi sono la vita, la libertà e il perseguimento del benessere" per cui ai governi spetta favorire la realizzazione di tali diritti. Il Presidente (art.2°, Sezione 2) "informerà di tanto in tanto il Congresso sulle condizioni dell'Unione e raccomanderà all'esame del Congresso quei provvedimenti che riterrà necessari e convenienti". L'art.3°, Sezione 3 precisa che "sarà considerato tradimento contro gli Stati Uniti soltanto l'aver impugnato le armi contro di essi, o l'aver fatto causa comune coi nemici degli Stati Uniti, fornendo loro aiuto e soccorsi". In pratica spetta al Presidente, capo dell'Esecutivo, dotato degli strumenti che egli riterrà più opportuni (dipartimenti, agenzie, ecc.), individuare di volta in volta la politica da seguire nell'interesse del Paese.
Sul piano normativo, il National Security Council, creato da Harry Truman nel 1947, è l'organo di consulenza del Presidente per quanto riguarda le grandi opzioni politico-strategiche. Nel 1993, Bill Clinton ha creato l'Economic Security Council che ha il compito di fornire al Presidente le informazioni e i suggerimenti nel campo economico, nell'ottica dell'interesse nazionale. Le grandi linee decisionali vengono prese attraverso le direttive presidenziali, alcune delle quali possono restare segrete.
Nel sistema americano dei "pesi e contrappesi", altri organi interferiscono nell'elaborazione della politica nazionale. Anzitutto i dipartimenti di Stato, della Difesa, del Tesoro e del Commercio, il Congresso con le sue commissioni, i "think tank". Ma al processo decisionale americano concorrono anche i mass media e la pubblica opinione.
Nell'ambito della cultura politologica americana prevale una visione pragmatica dell'interesse nazionale. Risolto il problema di chi deve definirlo, assumendosene la responsabilità, l'attenzione si concentra su quali fattori sostanzialmente permanenti devono essere presi in considerazione. Questi sono raggruppati secondo criteri:
- criterio economico. Viene considerato di interesse nazionale tutto ciò che rafforza il potere economico degli Stati Uniti: bilancia commerciale, accesso alle materie prime e ai mercati, controllo nazionale su alcune industrie o settori
- criterio ideologico. Viene considerato interesse nazionale degli Stati Uniti il rafforzamento dei regimi liberaldemocratici, e viceversa una minaccia all'interesse del Paese l'affermazione di potenze che non riconoscono o contrastano i princìpi democratici (e del libero commercio)
- criterio del potere. Teorizzato da Hans Morgenthau (e per quanto riguarda l'aspetto marittimo da Mahan), questo criterio porta gli Stati Uniti a sostenere quelle politiche che consentono un'affermazione della loro influenza nel mondo
- criterio militare. O della sicurezza militare, cresciuto a mano a mano che gli Stati Uniti hanno perduto la loro invulnerabilità territoriale, nel corso del tempo, e in funzione dei progressi tecnologici, ha originato diverse dottrine (della rappresaglia massiccia o immediata, della risposta flessibile, della risposta avanzata, della sufficienza strategica)
- criterio morale-legale. È molto sentito e spesso applicato, anche se talvolta finisce per coprire decisioni ispirate alla Realpolitk.
In sintesi, l'approccio risulta pragmatico nelle scelte e ancorato a pochi princìpi. Si ammette che, all'interno dello stesso Stato, individui e gruppi possono avere idee diverse dell'interesse nazionale in un dato momento. Resta però ben individuato chi deve, in ogni caso, definirlo e cercare di perseguirlo, assumendosene le responsabilità. Il concetto orientante l'interesse nazionale risulta quello che tende a creare le condizioni esterne, a livello internazionale, più favorevoli al suo manifestarsi e realizzarsi.

c. L'interesse nazionale secondo la tradizione marxista
L'ideologia marxista ruppe la nozione organica dell'interesse nazionale attraverso la teoria della lotta di classe. In base a questa, infatti, ogni classe sociale ha un proprio interesse. La classe borghese, servendosi del nazionalismo, avrebbe cercato di camuffare il suo interesse di classe nell'interesse nazionale e, secondo Lenin, il suo sbocco sarebbe stato di tipo imperialistico. L'esperienza concreta del socialismo reale ha dimostrato che gli Stati più forti - Urss, Cina - hanno di fatto perseguito il proprio interesse secondo i parametri del più tradizionale nazionalismo e della geopolitica classica.
È da notare che l'ideologia marxista, attraverso l'internazionalismo proletario, ha combattuto, almeno apparentemente, il concetto di interesse nazionale, ma in pratica, dopo la conquista del potere da parte dei bolscevichi, l'Urss ha affermato che il successo finale della classe lavoratrice di tutto il mondo sarebbe dovuto passare anzitutto per il sostegno dell'interesse nazionale di quello che per molti anni restò l'unico Paese socialista.
La dissoluzione dell'Urss ha dimostrato che le sue componenti "nazionali" (le diverse Repubbliche "socialiste") avevano conservato una specifica visione del proprio interesse. La nuova Federazione di Russia ha ripreso, cautamente, una politica ispirata dall'interesse nazionale. Il concetto dominante dell'interesse nazionale secondo la visione marxista, pur con gli equivoci derivanti dal riferimento all'internazionalismo, si è concretizzato sostanzialmente nella difesa del modello socialista e in una molteplicità di iniziative miranti a indebolire il modello contrapposto, che era d'altronde ritenuto come minato da insanabili contraddizioni.

d. L'interesse nazionale secondo la tradizione totalitaria di destra
I casi classici sono quelli del fascismo e del nazismo. Essi affondano le loro radici, da un lato, sul terreno culturale, con riferimenti alla storia e alla Nazione, ma insistendo specialmente su una visione biologica, e quindi razziale, del popolo; dall'altro lato affermano una concezione etica dello Stato in base alla quale l'individuo è in funzione dello Stato. In un discorso a Udine il 20 settembre 1922, Mussolini disse: "Lo Stato non rappresenta un partito, lo Stato rappresenta la collettività nazionale, comprende tutti, supera tutti, protegge tutti e si mette contro chiunque attenti alla sua imprescrittibile sovranità" (2) . A questi due elementi affiancano l'adesione alle dottrine geopolitiche che teorizzano per gli Stati una specie di determinismo analogo a quello che reggerebbe gli organismi viventi: in questo, sono analoghi al determinismo della teoria marxista sulla ineluttabilità della vittoria finale del proletariato e della scomparsa del sistema capitalistico.
Il punto fondamentale fra i tre ricordati è il secondo, poiché intorno alla concezione etica dello Stato fu costruita una impalcatura giuridica che attribuiva a un organo (il Führer in Germania e il Duce insieme al "Gran consiglio del fascismo" in Italia) il potere di definire l'interesse nazionale. (In Giappone questo potere era formalmente attribuito all'Imperatore; di fatto, fino alla sconfitta del 1945, fu gestito dalle varie fazioni delle forze armate).
Mussolini cercò, prima della redazione della voce fascismo per l'Enciclopedia Treccani, di fissare alcuni concetti. Il 4 ottobre 1922, nel discorso alla Sciesa di Milano, affermò: "Il dissidio è fra Nazione e Stato. L'Italia è una Nazione. L'Italia non è uno Stato. L'Italia è una Nazione, poiché dalle Alpi alla Sicilia, c'è una unità fondamentale dei nostri costumi; c'è una unità fondamentale del nostro linguaggio, della nostra religione... La Nazione italiana esiste: piena di risorse, potentissima, lanciata verso un glorioso destino. Ma alla Nazione deve darsi lo Stato. E lo Stato non c'è... Quando noi diciamo Stato intendiamo qualcosa di più. Intendiamo lo spirito, non soltanto la materia inerte ed effimera" (3) . A Napoli, il 24 ottobre 1922, quattro giorni prima della Marcia su Roma: "Per noi la Nazione è soprattutto spirito e non è soltanto territorio... Una Nazione è grande quando traduce nella realtà la forza del suo spirito" (4) .
Alfredo Rocco (1875-1935), giurista napoletano e ministro Guardasigilli dal 1925 al 1932, cercò di razionalizzare ed esprimere in termini precisi la natura dello Stato fascista : "Le caratteristiche dello Stato liberale democratico sono... due. Anzitutto esso è un organismo estraneo alle forze vive operanti nel Paese, che pone tutte alla stessa stregua e tutte egualmente tutela. In secondo luogo, esso è un organismo privo di un suo contenuto concreto, senza ideali propri, aperto a tutti gli ideali e a tutti i programmi. Le conseguenze di questa duplice premessa sono evidenti. Lo Stato liberale democratico non domina le forze esistenti nel Paese, ma ne è dominato: sono queste che decidono, lo Stato subisce la decisione e la esegue. Non basta, lo Stato liberale democratico, non avendo una sua idea da imporre, diviene il campo aperto alle lotte di tutte le correnti e di tutte le forze che esistono nel Paese: tutte hanno diritto, volta a volta, di penetrare nello Stato, o alternativamente, ovvero, peggio ancora, concorrentemente, in proporzione della importanza di ciascuna... La conquista dello stato da parte del Fascismo doveva portare necessariamente alla sua trasformazione... Dico Stato fascista e non Stato nazionale, come pur si usa da taluni, perché l'espressione è più comprensiva e più esatta. Lo Stato fascista è infatti lo Stato, che realizza al massimo della potenza e della coesione l'organizzazione giuridica della Società. E la società, nella concezione del fascismo, non è una pura somma di individui, ma è un organismo, che ha una sua propria vita e suoi propri fini, che trascendono quelli degli individui, e un proprio valore spirituale e storico. Anche lo Stato, che della società è la giuridica organizzazione, è per il Fascismo un organismo distinto dai cittadini, che a ciascun momento ne fanno parte, il quale ha una sua propria vita e suoi propri fini, superiori a quelli dei singoli, a cui i fini dei singoli debbono essere subordinati... cioè una propria funzione e una propria missione. Lo Stato fascista non è agnostico, come lo Stato liberale, in ogni campo della vita collettiva; al contrario in ogni campo ha una sua funzione e una sua volontà. Lo Stato fascista ha la sua morale, la sua religione, la sua missione politica nel mondo, la sua funzione di giustizia sociale, infine il suo compito economico" (5) . Da qui la sua adesione alla "formula mussoliniana": "tutto per lo Stato, nulla fuori dallo Stato, nulla contro lo Stato" perché "solo attraverso lo Stato può il cittadino trovare le vie del proprio benessere" (6) .
Nel 1932, consolidatosi al potere, Mussolini affermò, nella voce fascismo redatta per l'Enciclopedia Italiana Treccani che, "per il fascista, tutto è nello stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello stato. In tal senso il fascismo è totalitario, e lo stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo... Non è la nazione a generare lo stato... Anzi la nazione è creata dallo stato, che dà al popolo, consapevole della propria unità morale, una volontà, e quindi un'effettiva esistenza.. Caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello stato, della sua essenza, dei suoi compiti, delle sue finalità. Per il fascismo lo stato è un assoluto, davanti al quale individui e gruppi sono il relativo. Individui e gruppi sono "pensabili" in quanto siano nello stato. Lo stato liberale non dirige il giuoco e lo sviluppo materiale e spirituale delle collettività, ma si limita a registrare i risultati; lo stato fascista ha una sua consapevolezza, una sua volontà; per questo si chiama uno stato "etico"... Lo stato fascista ha rivendicato a sé anche il campo dell'economia... Lo stato fascista è una volontà di potenza e d'imperio" (7) .
Le basi ideologiche del nazismo furono diverse da quelle del fascismo. Riguardo la concezione dello Stato, in Mein Kampf Hitler aveva scritto: "la verità fondamentale è che lo Stato non è un fine, ma un mezzo. Senza dubbio è necessario alla creazione di una civiltà superiore, ma non ne è la causa. Questa impresa sarebbe impossibile se non esistesse, anteriormente allo Stato, una razza dotata delle qualità richieste per generare la civiltà" (8) (il termine tedesco Kultur significa tanto cultura quanto civiltà: questo secondo significato esprime più correttamente il pensiero di Hitler).
Al congresso del partito nazista, il 10 dicembre 1934, Hitler definì il rapporto tra Stato e partito, quale era stato sistemato il 1° dicembre 1933 con la legge "per il consolidamento dell'unità del partito e dello Stato" in cui si affermava che il partito nazional-socialista è il fondamento dell'idea dello Stato tedesco ed è indissolubilmente legato a questo Stato. Nel congresso del partito del 1936 fu ulteriormente chiarito che "il partito non fa che incarnare la volontà del popolo, ma ne è anche l'organo esecutivo grazie al suo particolare legame con lo Stato... Il partito e lo Stato non sono la stessa cosa, poiché i loro compiti sono diversi. Il partito dà gli ordini allo Stato, ma non è lo Stato. Il partito rappresenta la direzione politica mentre lo Stato è investito della funzione amministrativa... Il capo del partito è allo stesso tempo capo dello Stato... Grazie al partito nazional-socialista, la direzione dello Stato è legata alla vita stessa della nazione" (9) .
Pur nelle varianti tra fascismo e nazismo, la concezione dell'interesse nazionale nella visione totalitaria di destra resta centrata su tre elementi: il ruolo del "capo" come interprete ed esecutore della volontà del "popolo" (inteso prevalentemente come gruppo etnico omogeneo); il ruolo-guida del "partito" (analogamente al leninismo); l'affermazione dell'egemonia sul mondo esterno.

e. l'interesse nazionale nella tradizione italiana
Prima dell'unificazione, e fino a quando gli Stati italiani conservarono la loro indipendenza, l'interesse "nazionale" di ciascuno fu sostanzialmente percepito nel mantenimento dell'equilibrio (sancito nella pace di Lodi del 9 aprile 1454) per evitare che uno di essi potesse estendere la propria egemonia sugli altri. Allo Stato pontificio interessava questo equilibrio perché gli consentiva di mantenere la propria autonomia. La convinzione che per la missione della Chiesa il fardello della gestione politica di uno Stato fosse d'impaccio si affermò solo negli ultimi decenni del secolo scorso.
Dopo la Rivoluzione francese e l'epoca napoleonica, l'interesse nazionale fu identificato nell'obiettivo dell'unificazione politica della penisola e della liberazione di parte di essa dalla diretta dominazione straniera. Questo obiettivo fu conseguito, tutto sommato, in poco tempo e a basso costo in termini di sacrifici militari, ma ebbe anche scarsa partecipazione popolare. L'unificazione politica tra il 1859 e il 1870 avvenne, inoltre, contro la volontà della Chiesa, provocando un conflitto nella coscienza di molti italiani. Una delle ragioni che spinsero il Governo ad entrare nella guerra europea scoppiata nel 1914 fu la convinzione che questa prova avrebbe fuso e amalgamato le varie parti del Paese. Dopo la guerra, fu convinzione che la classe politica non fosse riuscita, al tavolo della pace, a difendere l'interesse nazionale (concetto di "vittoria mutilata" utilizzato dal fascismo).
Il fascismo utilizzò il concetto di interesse nazionale in tre fasi e modi distinti:
1. la prima fase fu quella del sostanziale allineamento con i vincitori della Grande Guerra nella speranza di partecipare al bottino delle riparazioni di guerra addossate alla Germania; venuta meno questa possibilità, l'interesse nazionale fu identificato nella "ricostruzione" interna attraverso il modello corporativo, che era una riproposizione del modello organico della società, non sgradito alla Chiesa. I punti salienti di questa politica furono la Carta del lavoro (21 aprile 1927) e il Concordato (11 febbraio 1929)
2. la seconda fase cominciò con l'estendersi all'Europa degli effetti della "grande depressione" americana e con la chiusura in sé e nei loro possedimenti coloniali dei due maggiori Stati europei ed ex alleati dell'Italia in guerra: Francia e Inghilterra. Con l'avvento di Hitler al potere, si profilò in Europa un'alternativa politica all'asse Parigi-Londra. In questa seconda fase, l'interesse nazionale fu gradualmente individuato nella riproposizione del modello imperiale romano, che era evidentemente una forzatura, e che si tradusse: nell'intervento nella guerra civile spagnola (per dimostrare autonomia verso la Francia e l'Inghilterra); nella faticosa e dispendiosa conquista dell'Etiopia (la ricostituzione dell'Impero); nell'annessione dell'Albania. In questa fase vennero amplificati i miti nazionalistici, ma venne anche attenuata l'attenzione al rapporto tra fini e mezzi che non dovrebbe mai essere trascurato nella definizione dell'interesse nazionale. Questa fase si chiuse con l'accordo strategico con la Germania (Patto d'acciaio, 22 maggio 1939)
3. la terza fase fu quella della guerra, che doveva dimostrare l'insanabile contrasto - ideologico e geopolitico - tra l'Italia (e la Germania e il Giappone) da una parte e le "potenze demoplutocratiche" dall'altra parte. Questa fase dimostrò che i meccanismi politico-giuridici messi a punto per identificare e perseguire l'interesse nazionale erano scollegati tra loro e inadeguati: il processo decisionale intorno a Mussolini procedette tenendo in scarsa considerazione il coordinamento tra dimensione diplomatica, dimensione militare e dimensione economica mentre i dissidenti annidati in questi ambienti non riuscirono a far sentire la loro voce o semplicemente non si esposero, pensando che solo la guerra e la sconfitta avrebbero provocato la fine del fascismo. Mancò quindi un dibattito libero o almeno approfondito sull'interesse nazionale che non poté essere definito con oggettività e ponderatezza. Ma più di tutto mancò una visione strategica, sostituita dal volontarismo ideologico.

f. L'interesse nazionale nella Costituzione repubblicana
La sconfitta e la guerra civile aprirono la strada all'affermazione di forze politiche a marcata caratura ideologica (di matrice cattolica e di matrice marxista) e quindi portatrici di una particolare visione dell'interesse nazionale. Questo venne ben presto considerato come ancorato a, o condizionato da (secondo gli opposti schieramenti), uno schieramento politico-strategico preciso, quello facente capo agli Stati Uniti nella logica della Guerra fredda.
Le nuove forze politiche dominanti avevano un denominatore comune: l'avversione al nazionalismo (o meglio al nazionalismo esasperato), identificato con la politica fascista che aveva condotto alla guerra e alla sconfitta. Inoltre, mentre quelle di ispirazione marxista si ricollegavano all'ideologia internazionalista, quelle di ispirazione cattolica mutuavano dalla Chiesa l'orientamento sovranazionale. È da notare, fin dall'art.2 della Costituzione, l'uso del termine Paese in luogo di Nazione. Quest'ultimo termine compare nell'art.9, comma 2: la Repubblica "tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". L'adozione del termine in questo contesto aveva lo scopo di depoliticizzarlo al massimo.
Nell'art.11, che tratta del ripudio della guerra e della disponibilità a riduzioni di sovranità, viene espressa una visione antitetica a quella attribuita al fascismo e alla sua retorica, di derivazione futuristica, della guerra. Come pure, nel Titolo I della Parte I, dedicato ai "rapporti civili", molte garanzie individuali sono predisposte in funzione di garanzia preventiva contro gli arbitri polizieschi del fascismo.
Il concetto di interesse generale appare nell'art.42, comma 3 relativo all'espropriazione della proprietà privata. Esso riappare nell'art.43 sotto la forma di utilità generale in relazione al passaggio sotto il controllo dello Stato di imprese o categorie di imprese.
Il concetto di politica nazionale si trova nell'art.49: "Tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Il concetto di pubblico interesse appare nell'art.82: "Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse". La formula "politica generale del Governo" appare nell'art.95
Il concetto di sicurezza nazionale si rinviene solo nell'art.126, comma 3, che prevede che un Consiglio regionale possa essere sciolto "per ragioni di sicurezza nazionale". In tale contesto appare anche il concetto di interesse nazionale. L'art.127, comma 3, afferma infatti: "Il Governo della Repubblica, quando ritenga che una legge approvata dal Consiglio regionale ecceda la competenza della Regione o contrasti con gli interessi nazionali o con quelli di altre Regioni, la rinvia al Consiglio regionale nel termine fissato per l'approvazione del visto". Dopo un'impugnazione del Parlamento, in ultima istanza spetta alla Corte costituzionale decidere. E' da notare il poco meno che implicito riconoscimento dell'esistenza anche di un interesse regionale.
Questo è l'unico caso, significativo anche per il contesto, in cui la Costituzione introduca il concetto di interesse nazionale. Riconosciuta la difficoltà oggettiva della sua definizione, il costituzionalista (e già membro autorevole della Costituente) Costantino Mortati ha scritto: "uopo è concludere che al parlamento possono essere denunciate leggi regionali in tutto conformi alle norme ed ai princìpi che ne delimitano la sfera d'azione e che tuttavia siano rivolte all'attuazione di indirizzi politici suscettibili, se realizzati, di apportare grave turbamento agli indirizzi di politica generale dello stato (per es. in materia di programmazione economica interferente con la materia di competenza esclusiva" (10) .
È opportuno al riguardo segnalare una recente (1989) puntualizzazione del costituzionalista Paolo Biscaretti di Ruffia: "Si è a lungo discusso in dottrina circa l'esatto significato del menzionato interesse nazionale, rilevando, fra l'altro, che la Corte costituz. ha talora ricondotto fra i vizi di legittimità costituzionale della legge talune violazioni di principi generalissimi contenuti nella Cost., che avrebbero pure potuto esser considerate, per la loro indeterminatezza, quali vizi di merito e, in generale, ha mostrato la tendenza (di per sé non accettabile) a trasferire sul piano della legittimità il limite degli interessi codificando (per così dire) fattispecie ritenute di interesse nazionale. Così che, volendo differenziare il cit. interesse nazionale sia dall'indirizzo politico delineato dalla maggioranza (art. 95 Cost.), sia dal comune interesse generale (artt. 35 e 42 Cost.), sia dal pubblico interesse (art. 82 Cost.), sia dall'utilità generale e dal preminente interesse generale (art. 43 Cost.), sembra esatto farlo coincidere con la tutela di taluni fondamentali valori caratterizzanti la nazione italiana, che non risultano ancora normativizzati, restando, quindi, nel dominio del pregiuridico" (11) .
Il fatto che il concetto di interesse nazionale non sia normativizzato fa sì che esso rimanga del tutto affidato all'indirizzo politico espresso dal Governo, che è ovviamente dipendente dalle maggioranze politiche che lo sostengono (e che possono variare nel tempo). In termini generali, di fatto l'interesse nazionale è stato identificato, con coerenza nel lungo periodo, nelle macropolitiche dell'europeismo e dell'atlantismo.
Si deve rilevare, in ogni caso, la discontinuità di un dibattito sul tema dell'interesse nazionale, spesso confuso con il pregiudizio nazionalistico e respinto con esso. Solo da qualche anno, con un certo ritardo rispetto ad altri Paesi, anche in Italia cominciano a circolare i concetti ricavati dalla geopolitica e dalla geoeconomia. Ma c'è ancora molto da fare, soprattutto sulla strada della normativizzazione, cioè della fissazione di alcuni punti di riferimento relativi sia ai contenuti (concreti, permanenti in alcuni casi e mutevoli in altri casi) dell'interesse nazionale sia agli organi deputati a perseguirlo al di là, ma non certo contro, dei cambiamenti di indirizzo politico generale. Si può citare, al riguardo, come sintomo dell'accresciuto interesse per l'argomento, il recente studio di Portinaro sul rapporto tra interesse nazionale e interesse globale (12)


È quasi superfluo rilevare quanto sia importante, per i Servizi d'informazione, l'idea di interesse nazionale che sta a monte e che si riflette sulla normativa che riguarda la loro operatività. I Servizi d'informazione italiani sono attualmente disciplinati dalla legge 24 ottobre 1977, n.801, denominata "Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato" (13) L'aspetto innovativo più importante fu la divisione dell'unico Servizio in due: il SISMI (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare) e il SISDe (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica). Questa divisione fu suggerita sia dalle polemiche che avevano travagliato la vita del precedente servizio unico (SIFAR, SID) sia dalla necessità di fronteggiare in modo coordinato il fenomeno del terrorismo politico, iniziato alla fine degli anni '60, che minacciava le istituzioni democratiche. Inoltre vennero istituiti il CIIS (Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza) con funzioni di consulenza e proposta, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, sugli indirizzi generali e sugli obiettivi fondamentali da perseguire nel quadro della politica informativa e di sicurezza ; e il CESIS (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e di sicurezza). Al Capo del governo furono attribuiti l'alta direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza " nell'interesse e per la difesa dello stato democratico e delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento" (art.1, comma 1).
In questo contesto, i due termini interesse e difesa rappresentano un unico concetto e hanno un unico referente: lo Stato democratico, che si esprime nelle istituzioni poste in essere dalla Costituzione. Dalla formula prescelta dal legislatore, non si può dedurre l'esistenza di due momenti (e conseguentemente di due compiti) distinti: "interesse dello Stato" e "difesa della struttura democratica" dello Stato medesimo. Questo fatto non è irrilevante: sembra che compito dei Servizi d'informazione - ovvero il contenuto del loro campo operativo - si riduca alla difesa della struttura democratica dello Stato, vincolando a questo anche il campo d'azione del presidente del Consiglio dei ministri. Ciò che trova una conferma nello stesso art.1, comma 2 : "Il Presidente del Consiglio dei Ministri impartisce le direttive ed emana ogni disposizione necessaria per l'organizzazione ed il funzionamento delle attività attinenti ai fini di cui al comma precedente; controlla l'applicazione dei criteri relativi alla apposizione del segreto di Stato e alla individuazione degli organi a ciò competenti ; esercita la tutela del segreto di Stato".
Se si può comprendere il clima generale del momento in cui fu redatta la legge, caratterizzato dalla minaccia portata dal terrorismo proprio alle istituzioni democratiche, può sembrare giustificato che i Servizi d'informazione venissero orientati primariamente in questa direzione, e quindi nell'attività informativa e preventiva nei confronti delle possibili diverse minacce, divise tra un versante esterno (affidato schematicamente al SISMI) e un versante interno (affidato schematicamente al SISDe).
La legge passa quindi a definire i contenuti dei due Servizi. Per il SISMI, l'art.4 recita:" Esso assolve a tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa sul piano militare dell'indipendenza e della integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione. Il SISMI svolge inoltre ai fini suddetti compiti di controspionaggio".
Questo articolo salva gran parte dei compiti tradizionali di un servizio d'informazioni nato, come tutti gli altri, dall'ambiente militare. La minaccia implicita e di riferimento resta quella tradizionale della guerra. Pur avendo la Costituzione (art.11) ripudiato la guerra "come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", i compiti istituzionali del SISMI si concentrano nella individuazione di minacce in tal senso, che comprende sia l'acquisizione di informazioni sui potenziali nemici sia la difesa delle informazioni di tipo militare, nazionali o nell'ambito di alleanze difensive (caso dell'appartenenza dell'Italia alla NATO e alla UEO), sia, più recentemente, in occasione di partecipazione alle missioni di pace dell'ONU. Il terrorismo di matrice estera è entrato nel campo d'interesse del SISMI. Non c'è dubbio che un certo tipo di terrorismo possa minacciare l'integrità (da intendersi non necessariamente come territoriale) dello Stato. Nel termine indipendenza potrebbe farsi rientrare la dimensione economica: ad es., assicurare la regolare fornitura di materie prime o di petrolio o di tecnologie contribuisce infatti ad assicurare l'indipendenza della struttura produttiva nazionale. Ma potrebbe anche rientrare in questo campo la protezione, sempre attraverso la raccolta di informazioni, delle risorse valutarie nelle misura in cui queste fossero oggetto di attacchi speculativi provenienti dall'estero. Il SISMI, inoltre, nell'ambito delle direttive del COCOM, ha sempre svolto un'attività di intelligence "economica" finalizzata alla sicurezza e quindi all'interesse nazionale, concepiti anche nell'ambito di alleanze multilaterali. È logico che nello svolgimento di tali compiti non sia sempre possibile limitarsi all'estero.
L'art.6, istitutivo del SISDe, afferma che "esso assolve a tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento contro chiunque vi attenti e contro ogni forma di eversione". Tale articolo riprende la formulazione dell'art.1, ma con due importanti integrazioni. Una riguarda, comprensibilmente con il momento politico in cui fu varata la legge, il contrasto, attraverso l'informazione, dell'eversione. L'altra consiste nella precisazione: "tutti i compiti", ma non è chiarito se questa seconda implichi un diritto di esclusiva oppure consenta un'azione parallela, e talvolta coincidente, con quella di altre strutture dello Stato (Carabinieri, Polizia, Guardia di finanza, Dia, ecc.) che svolgono anch'esse, e non potrebbero non svolgere, un'attività anche informativa in questa stessa direzione.
In generale si afferma che il SISMI opera all'estero e sull'estero mentre il SISDe opera all'interno. Di fatto (e di diritto) non è così. La legge non prevede una simile rigida distinzione e in questa chiave si può leggere l'art.3 che prevede che il CESIS svolga opera di coordinamento tra i due Servizi, ma questo coordinamento è anche prefigurato come supporto alla funzione di "alta direzione" attribuita al Capo del Governo. La partecipazione del ministro degli Esteri è prevista all'interno del CIIS (art.2), ma questo organo ha solo funzioni di "consulenza e proposta".
La situazione normativa, con riflessi operativi, si complica se si considera anche l'art.95 della Costituzione per il quale "i ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri". In pratica, "l'alta direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza", che l'art.1 della legge n.801 attribuisce al Capo del Governo, dovrebbe integrarsi con quanto allo stesso attribuisce l'art.95 della Costituzione : "Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo promovendo e coordinando l'attività dei ministri". In altre parole, le direttive globali impartite dal Capo del Governo ai Servizi d'informazione rientrano nella sua funzione di direzione della politica generale del Governo stesso, che ovviamente comprende la definizione dei contenuti dell'interesse nazionale e dei percorsi operativi per conseguirlo. Poiché questa funzione del Governo è, a sua volta, sottoposta al giudizio del Parlamento, ne segue che questo deve avere un potere di controllo sull'attività dei Servizi d'informazione: ciò che la legge n.801 ha stabilito minuziosamente.
Nel Parlamento, com'è ovvio in un regime di libertà, sono rappresentate forze politiche che possono avere, e di fatto hanno, una diversa visione dell'interesse e della sicurezza, e quindi in termini più generali, della difesa dello Stato. Ne segue in modo inevitabile che sull'attività dei Servizi d'informazione, quando essa fosse illustrata in modo dettagliato, penderebbe sempre il giudizio conflittuale delle varie forze politiche, mentre se venisse illustrata per sommi capi, qualsiasi giudizio da parte delle forze politiche non potrebbe che essere sommario, di schieramento e strumentale.
Sommando tutte le precedenti considerazioni, dall'analisi di questi primi articoli della legge n.801 si ricavano due elementi.

a) Il primo consiste in una insufficiente chiarezza dei ruoli e compiti non solo tra le strutture definite dalla legge stessa ma anche tra quelle cui essa implicitamente rimanda. La situazione non è sanata da quanto disposto dall'art.7, comma 3, in base al quale i due servizi e il CESIS, "possono utilizzare, per determinazione del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta rispettivamente dei Ministri per la difesa e per l'interno e di concerto con gli altri Ministri interessati, mezzi e infrastrutture di qualsiasi amministrazione dello Stato". Questa disposizione, a parte la questione dei "tempi" di attuazione, rischia di "isolare" i Servizi rispetto alle altre strutture dell'Amministrazione dello Stato e non è attenuata nemmeno dal comma successivo che prescrive che "il SISMI e il SISDe debbono prestarsi reciproca collaborazione e assistenza".
Se è comprensibile che gli appartenenti ai Servizi d'informazione non rivestano la qualità di ufficiali o di agenti di polizia giudiziaria (art.9, comma 1), desta qualche perplessità il successivo comma 3, in base al quale i Direttori dei Servizi hanno il generico obbligo "di fornire ai competenti organi di polizia giudiziaria le informazioni e gli elementi di prova relativi a fatti configurabili come reati". Ciò contrasta con la filosofia e la natura dei Servizi d'informazione che, per conseguire proprio le loro finalità di acquisizione di informazioni certe, soprattutto in funzione preventiva, non sempre sono interessati a bloccare le loro operazioni quando si imbattono in un reato. Il comma 4 attenua la portata della disposizione: "L'adempimento dell'obbligo di cui al precedente comma può essere ritardato, su disposizione del Ministro competente con l'esplicito consenso del Presidente del Consiglio, quando ciò sia strettamente necessario per il perseguimento delle finalità istituzionali dei Servizi". Ma la difficoltà di attuazione di questa norma è duplice: sono in gioco, infatti, il ruolo dei "tempi" e la "riservatezza".
Si ricava da tutto questo una impressione generale, confermata dalle dichiarazioni dei Ministri riportate all'inizio: che il potere politico, all'epoca della formulazione della legge 801, non avesse una piena fiducia nei Servizi d'informazione, soprattutto per timore di "deviazioni" dalle finalità indicate nell'art.1. Questa situazione era la conseguenza di due fattori: uno, generale, consistente nella relativa giovinezza dello Stato democratico, dubbioso sul radicamento delle proprie istituzioni a tutti i livelli della società; l'altro, particolare, legato a vicende non troppo remote dal momento della formulazione della legge. Vale però il principio generale che eventuali "deviazioni" - di singoli più che dei Servizi in quanto tali - sono tanto più probabili quanto più imprecise sono le norme che regolano l'attività dei Servizi stessi e i loro rapporti con altre istituzioni e organi dello Stato. Si è già visto quanto sia sfuggente, nella Costituzione, l'identificazione dell'interesse nazionale e del soggetto preposto a definirlo. Risultano quindi quanto mai opportune le espressioni del ministro Andreatta, riportate all'inizio, sulla necessità di una più sistematica attenzione della classe politica, e dell'opinione pubblica in generale, verso i Servizi e l'attività di intelligence.

b) Il secondo elemento riguarda il problema della circolazione di informazioni sull'attività dei Servizi estesa a un numero elevato di organi e sedi istituzionali che, contrastando con quel principio di riservatezza che sembra fondamentale per l'efficace espletamento dell'attività dei Servizi d'informazione di tutto il mondo e in ogni tempo, induce i Servizi stessi - quando i loro responsabili non siano pronti ad affrontare con fermezza le conseguenze delle loro decisioni - a una particolare prudenza che può sconfinare in una ridotta attività. Ovvero può indurli a non comunicare tutto, esponendosi al rischio di numerose accuse. Con un'altra conseguenza importante: che i Servizi d'informazione di altri Paesi, amici o alleati, possono ritenere conveniente mantenere ai livelli minimi la loro collaborazione con i loro omologhi italiani.
L'analisi della legge n.801 non sarebbe completa se non si affrontasse anche il tema del "segreto di Stato", formula che ha sostituito quella precedente di "segreto politico o militare". Ciò ha creato una impressione di equivocità. La problematica dei Servizi d'informazione, infatti, non è coincidente con quella della tutela del segreto di Stato. Anzitutto i Servizi d'informazione non sono, come comunemente si dice, segreti: lo dimostra il fatto che sono istituiti mediante una legge approvata dal Parlamento. In secondo luogo, l'attività dei Servizi d'informazione, per quanto sopra, è del tutto lecita e legittima; ma essa è riservata, ciò si svolge spesso in modo riservato, cosa ben diversa dall'essere segreta. La riservatezza è funzionale al conseguimento dei fini istituzionali e in questo si contrappone alla pubblicità. Se non potessero operare con riservatezza, i Servizi d'informazione sarebbero altro.
Altra questione, ovviamente, è se alcune informazioni prodotte dai Servizi possano o debbano restare segrete: il che vuole semplicemente dire a disposizione di altri soggetti o organi dello Stato che se ne servono per fini politici all'interno del loro processo decisionale. L'art.13 afferma che "in nessun caso possono essere oggetto di segreto di stato fatti eversivi dell'ordine costituzionale". Molto rassicurante; ma questo vuol dire che il segreto di Stato potrebbe essere apposto a qualsiasi altro oggetto (fatto o informazione). E questo è tutt'altro che rassicurante. Molto opportunamente il ministro Napolitano ha toccato il tema della revisione delle norme relative al segreto di Stato.
Come si vede, al di là delle indicazioni generalissime sugli obiettivi dei Servizi d'informazione, ben poco viene precisato dalla legge in vigore che possa aiutare a definire l'interesse nazionale e la sicurezza che del primo è parte inscindibile.


La lettura delle "relazioni semestrali" del Governo al Parlamento "sulla politica informativa e di sicurezza, e sui risultati ottenuti", la cui presentazione è prescritta dall'art.11 della legge 801, consente di registrare, a posteriori, le priorità e i campi d'azione che nel tempo hanno caratterizzato l'attività dei Servizi. Come è naturale, ognuno di questi documenti, oltre a portare un contributo di chiarezza sul funzionamento dei due Servizi, ha riflesso le problematiche prevalenti (14) e quindi consente di verificare, almeno parzialmente, alcuni contenuti dell'interesse nazionale.
La prima relazione si riferì al semestre 22 novembre 1977-22 maggio 1978. Quindi coprì il periodo in cui avvennero la strage di via Fani, il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro (rispettivamente il 16 marzo e il 9 maggio 1978). Il terrorismo è rimasto a lungo il tema dominante delle relazioni, organizzate secondo uno schema quasi sempre rispettato: una parte generale volta ad illustrare le linee direttrici della politica di informazione e di sicurezza impartite dal Capo del Governo; il coordinamento da parte del CESIS; i campi specifici d'intervento del SISMI e del SISDe divisi per paragrafi (del tipo: terrorismo interno e internazionale, collaborazione internazionale, sicurezza militare, controspionaggio, ecc.). Con il passare degli anni, i successi conseguiti nella lotta contro il terrorismo e lo spostamento della minaccia su altri settori sono stati registrati dalle relazioni semestrali che hanno confermato la concentrazione dell'attività dei Servizi sulla criminalità organizzata e sull'eversione di origine "sociali": "dal carcerario alla politica economica e sindacale, dall'ecologia al pacifismo, dai problemi del disarmo all'antimilitarismo" (relazione del semestre 23 maggio - 22 novembre 1983); sull'integralismo islamico e i riflessi sull'Italia della guerra Iran-Irak (relazione del semestre 23 novembre 1983 - 22 maggio 1984); sul "problema degli stranieri" (relazione del semestre 23 novembre 1984 - 22 maggio 1985).
Nella relazione del semestre 23 maggio - 22 novembre 1987 appare, per la prima volta, un paragrafo specifico che può essere considerato propriamente di intelligence economica, intitolato "Penetrazione economica. Dipendenze strategiche dal terzo mondo. Traffici di tecnologia e di armamenti"; in questo paragrafo si affermava: "dall'attività di controllo è emersa una massiccia presenza nel nostro territorio di iniziative imprenditoriali sia a capitale interamente straniero sia a capitale misto. L'analisi condotta al riguardo ha evidenziato il malcelato obiettivo di acquisire tecnologie di avanguardia nei settori industriali che presentano aspetti di interesse strategico". Se si può considerare questo documento come il primo in cui venga ufficializzata una politica di intelligence economica organica, seppure di tipo principalmente difensivo e limitata a settori di interesse strategico, si ricavano anche alcuni elementi di identificazione dell'interesse nazionale.


Le osservazioni precedenti debbono comunque essere riviste alla luce dei due fattori strutturali emersi a livello mondiale nell'ultimo decennio. Il primo è di carattere politico-militare-strategico-ideologico, e deriva dalla fine del comunismo nell'ex area sovietica; il secondo è di carattere economico-informativo, e deriva dall'estensione della globalizzazione dell'economia, strettamente legata all'affermazione della cosiddetta "era dell'informazione" a sua volta caratterizzata non solo dall'aumento quantitativo delle informazioni prodotte e consumate dai diversi soggetti, ma dalla velocità di distribuzione, accesso ed elaborazione delle informazioni stesse.
Benché i due fenomeni siano emersi con chiarezza nel corso dell'ultimo decennio, le loro radici affondano in un passato più lontano. Entrambe le trasformazioni strutturali in esame incidono sul concetto di Stato-nazione e di sovranità nazionale, e quindi sul concetto di interesse e di sicurezza nazionale. L'aspetto più importante è che, sia su base di accordi multilaterali, sia per la maggiore autonomia concessa ai soggetti infranazionali o transnazionali, il potere decisionale degli Stati (in pratica dei governi) sta perdendo il tradizionale carattere di supremazia e tende ad allinearsi, su un piano orizzontale, a fianco del potere decisionale di numerosi altri soggetti, i cui interessi sono sempre meno facilmente contenibili all'interno dei perimetri della sovranità degli Stati.
La struttura piramidale e verticistica del potere si sta trasformando in una struttura orizzontale a rete (network) dove i parametri della strategia diretta sono sempre più sostituiti dai parametri della strategia indiretta, nella quale il ruolo della gestione del flusso delle informazioni diventa il fattore decisivo. Sotto un primo aspetto, come è stato osservato da alcuni studiosi, il ruolo dei Servizi d'informazione, visto però nel nuovo contesto strutturale, è destinato a crescere. Basti qui citare, al riguardo, l'opinione di Alvin Toffler per il quale l'intelligence "sarà uno dei più grandi affari dei prossimi decenni. Non solo le spie continueranno ad esistere, ma assisteremo ben presto a una rivoluzione dell'intera industria" dell'intelligence (15) . Sotto un secondo aspetto, legato al primo, e che in questa sede non può essere trascurato, per usare le parole dell'ex direttore della CIA, William Colby, l'intelligence (dello Stato) è sfidata sul suo stesso terreno - raccolta ed elaborazione delle informazioni - dall'intelligence privata, il cui mercato è in piena espansione.
L'informazione, in altre parole, sta diventando sempre più - oltre a esserlo sempre stato - un bene commerciale che si produce e si scambia ad un certo prezzo. Un bene i cui elementi costitutivi sono di diversa natura: politica in senso stretto, strategico-militare, sociale, diplomatica, finanziaria, tecnico-scientifica. Nessuno di questi campi è da solo autonomo; in nessuno di questi campi può essere presa una decisione in base ad un solo parametro (politico, economico, strategico, ecc.). La globalizzazione è un fenomeno che non riguarda solo l'economia, ma tutti gli aspetti della vita dei soggetti individuali e degli Stati.
La distinzione tra "interno" ed "estero" sfuma. Ma allo stesso tempo sfuma la possibilità di esercitare un certo tipo di autorità, da parte dello Stato, sul processo decisionale dei diversi soggetti sui quali ha giurisdizione. Il referente "interesse nazionale" è di sempre più difficile applicazione, ad es., nei confronti di un'impresa privata, detentrice di un considerevole patrimonio tecnologico, che decide di associarsi ad un'impresa estera che in tal modo verrà a disporre di quel patrimonio. L'interesse nazionale, in questo caso, non scompare, ma deve essere perseguito, generalmente, in forme diverse dall'esercizio autoritativo. Aprire il proprio Paese agli investimenti esteri implica la valutazione di un complesso di parametri che deve integrare la volontà politica con una considerazione a tempo variabile (breve, medio o lungo) degli effetti di una tale decisione sul piano produttivo, finanziario, commerciale, occupazionale, delle conseguenze sul territorio, ecc.
La posizione estrema di studiosi come Kenichi Omahe, sostenitori della "fine dello Stato-nazione" e dell'affermazione degli "Stati-regione transfrontalieri" sulla base della convergenza di interessi economici - suffragata dal reale emergere di queste strutture sempre più insofferenti verso i condizionamenti esercitati dai poteri centrali degli Stati, ma anche dalle esplosioni di conflitti etnico-religiosi (con l'aggiunta di interessi economici o di influenze esterne) all'interno di singoli Stati - deve essere presa in considerazione almeno nella misura in cui essa dimostra l'esistenza di potenti forze in azione. Ma anche sotto un altro e interessante punto di vista: la snazionalizzazione delle imprese transnazionali, diverse dalle tradizionali imprese multinazionali, che conservavano al primo posto l'interesse della società-madre nazionale, porta alla formazione di una struttura produttiva integrata attraverso più Stati, rendendo ogni parte vulnerabile ai conflitti politico-militari tradizionali, e quindi ostile ad essi, svuotando in buona parte proprio il concetto di interesse nazionale. I sistemi produttivi, sempre meno nazionali e sempre più transnazionali, non hanno più convenienza alla guerra e quindi alle politiche nazionalistiche conflittuali.
L'affermazione di una logica transnazionale, parallela alla fine della maggiore contrapposizione dell'ultimo mezzo secolo, tra l'Est ad economia pianificata e l'Ovest ad economia di mercato, sembra avere allontanato la prospettiva di un conflitto militare tra le maggiori potenze: un conflitto già da tempo definito irrazionale perché sostanzialmente antieconomico in quanto i vantaggi sarebbero stati superati dagli svantaggi anche per i vincitori. Ciò non ha però eliminato la competizione, la corsa per l'accaparramento dei benefici, né ha eliminato l'insorgenza di nuove difficoltà e minacce.
In sintesi, come diventa più difficile individuare l'interesse nazionale (e quindi i contenuti della sicurezza nazionale), così diventa più difficile individuare le minacce. È sempre possibile redigere una lista delle minacce, aggiornandola di continuo (traffico di materiale militare, riciclaggio di denaro sporco, ecc.), ma il lavoro dell'intelligence continua a qualificarsi principalmente per le sue capacità previsionali: di dedurre da alcuni dati verificati le intenzioni e gli effetti dei diversi soggetti. Solo che il campo d'interesse dei Servizi diventa più flessibile nella misura in cui diventa più flessibile il continuo aggiornamento dei contenuti dell'interesse e della sicurezza nazionale.
Il punto centrale della questione torna allora quello dello stretto coordinamento tra l'attività dei Servizi d'informazione e gli indirizzi politici, generali e particolari, che provengono da quelle autorità cui i Servizi stessi fanno capo. Ciò significa che i Servizi non sono, e non possono essere considerati, "corpi separati" all'interno della società e dello Stato. Sono, invece, "corpi integrati", con funzioni precise, nel processo decisionale dello Stato, lasciando agli organi dello Stato cui essi riferiscono il compito di far circolare, nel modo più opportuno, quel flusso di informazioni che viene ritenuto necessario a perseguire l'interesse nazionale e a mantenere la sicurezza nazionale. Ciò implica un salto di qualità della cultura d'intelligence, di cui in Italia si avvertono solo i primi segnali. L'eventuale legge di riforma dei Servizi dovrà tenere conto di tutto questo, guardando al ruolo futuro dell'informazione nel processo decisionale degli Stati nel quadro dei mutamenti strutturali caratterizzanti l'era della globalizzazione e dell'informazione.



Al termine di queste considerazioni si ripropone il problema epistemologico dell'interesse, senza la cui soluzione è impossibile procedere alla sua traduzione in norme. Da quanto detto, l'interesse (nazionale dello Stato-nazione o di altri soggetti infra-nazionali, inter-nazionali, sovra-nazionali o trans-nazionali) appare definito dai suoi contenuti (militari, territoriali, ideologici, economici, ecc.), e questo aspetto non può essere eliminato: non può esistere, infatti, un interesse vuoto. Le dottrine geopolitiche hanno cercato di rendere fisso e stabile nel tempo questo contenuto, cercando elementi oggettivi nella conformazione del territorio, nelle risorse naturali, nelle caratteristiche dei popoli. In buona misura sono stati privilegiati i dati materiali, ma da tempo, ormai, la risorsa fondamentale appare la conoscenza, che combina il fattore umano con quello tecnologico, e appare sempre più indipendente dai fattori materiali tradizionali anche se, per analogia, ad esempio, la conquista territoriale di un tempo può ripresentarsi aggiornata sotto la forma di conquista dei mercati o di controllo delle tecnologie o del potere finanziario.
Occorre una definizione dell'interesse che tenga conto del contenuto materiale (variabile) e allo stesso tempo ne fornisca la chiave strutturale (permanente). Proponiamo quindi la seguente formula: "l'interesse è il legame necessario di fini e di mezzi". Evitiamo in questo modo di vincolare l'interesse a contenuti fissi, di natura storico-intuitiva. Una tesi geopolitica tradizionale, ad es., è stata quella che attribuiva alla Russia la "direttrice" verso i "mari caldi" per cui l'interesse nazionale russo sarebbe stato quello di raggiungerli attraverso una costante espansione. Di fatto, invece, la Russia-Urss ha raggiunto una forte presenza in campo marittimo, sia come flotta militare sia come flotta mercantile, pur non avendo mai ottenuto il controllo dei "mari caldi". L'invasione dell'Afghanistan alla fine del 1979 fu interpretata in questa chiave, che era sbagliata. Bisogna quindi rinunziare all'idea che l'interesse (nazionale) sia qualcosa di immutabile. Lo stesso discorso vale in campo economico: la convinzione che l'interesse primario di un'impresa sia il profitto ha ceduto il posto all'altra che il suo interesse sia piuttosto il controllo del mercato, eventualmente con profitti più bassi.
Di fatto, l'interesse di un soggetto viene da questo percepito come il legame tra i fini che esso si pone e i mezzi di cui può disporre. La formulazione dei fini resta quindi sufficientemente libera, ma anche sufficientemente condizionata dai mezzi. Quando questa percezione è alterata da fattori di disturbo (soprattutto riconducibili a impostazioni di natura ideologica), si ottiene uno squilibrio tra fini e mezzi che altera il processo decisionale e conduce ad operazioni in cui il costo risulta superiore al ricavo con un risultato negativo.
L'interesse, così concepito, risulta all'origine del processo decisionale di qualsiasi soggetto e al termine del processo stesso. L'interesse non ha quindi una realtà oggettiva, al di fuori del processo decisionale. È il processo decisionale in atto, ne è il motore. Particolare attenzione deve quindi essere posta nel processo decisionale, in cui essenzialmente si distinguono i sistemi democratici da quelli autoritari. Tralasciando questi ultimi, nei primi è sempre più importante la disponibilità di informazioni relative ai fini che un soggetto si pone e ai mezzi di cui dispone. Informazioni che riguardano anche i fini e i mezzi di tutti gli altri soggetti coinvolti. Gli stessi obiettivi e gli stessi mezzi, anche se in quantità e qualità diverse, sono a disposizione contemporaneamente di più soggetti: e da questo deriva il dinamismo all'interno delle società e tra gli Stati e tra tutti i soggetti al di sopra, al di sotto e tra questi.
Ad una razionale predisposizione dei fini e dei mezzi concorrono tutte le fonti che possono raccogliere e valutare le informazioni. Il soggetto "Stato", tra i vari strumenti di cui dispone, ha anche i Servizi d'informazione, che in un processo decisionale reso sempre più complesso dalla globalizzazione (non solo dell'economia, ma di tutti gli altri fattori di dinamismo sociale, anche conflittuali, anche illeciti) svolgono una funzione fondamentale, come è stato riconosciuto dal ministro Napolitano, purché siano integrati nel processo decisionale dello Stato, come ha raccomandato il ministro Andreatta. È infatti dalle loro affermazioni che ha preso spunto la presente riflessione come contributo alla formazione di una cultura d'intelligence nel mondo che cambia.


(1) Cfr. Famiglia Cristiana, 31 ottobre 1996. All'interno delle citazioni riportate tra virgolette è stata rispettata la grafìa (maiuscola o minuscola) del testo originale.
(2) Mussolini, Benito, Scritti e discorsi, Hoepli, Milano 1934, Vol.II, p.319.
(3) Mussolini, Benito, Scritti e discorsi, op.cit., p.329.
(4) Mussolini, Benito, Scritti e discorsi, op.cit., p.346.
(5) Rocco, Alfredo, La trasformazione dello Stato, "La Voce" Anonima Editrice, Roma 1927, pp.12-17.
(6) Rocco, Alfredo, La trasformazione dello Stato, op.cit., p.31.
(7) Mussolini, Benito, voce Fascismo in Enciclopedia Italiana, vol..XIV, Roma 1932.
(8) Hitler, Adolf, Mein Kampf, Mon combat, traduzione francese di Gaudefroy, Demonbynes e Calmettes, Nouvelles Éditions Latines, Paris 1934, p.389, cit. da Brissaud, André, Hitler et l'Ordre Noir, Librairie Académique Perrin, Paris 1969.
(9) Cit. da: Brissaud, André, Hitler et l'Ordre Noir, op.cit., pp.167-168.
(10) Mortati, Costantino, Istituzioni di diritto pubblico, CEDAM, Padova 1969, t.II, p.1306.
(11) Biscaretti di Ruffia, Paolo, Diritto costituzionale, Jovene, Napoli 1989, p.769. Sono state riprodotte in corsivo, per dare maggiore evidenza, le espressioni che nell'originale sono tra virgolette.
(12) Portinaro, Pier Paolo, Interesse nazionale e interesse globale, Franco Angeli, Milano 1996. Si tratta di un lavoro concepito per conto del CeMiSS (Centro militare di studi strategici).
(13) Per un'analisi approfondita della legge dal punto di vista giuridico, cfr. il volume Segreto di stato e Servizi per le informazioni e la sicurezza, edito dall'Università degli Studi di Roma, Veschi, Roma 1978, pp.344, che contiene contributi di Fulvio Mastropaolo, Carla Romanelli Grimaldi, Giovanni Cocco, Camillo Troisio, Claudio Franchini, Gregorio Arena. Le citazioni della legge sono tratte da questo volume ma l'uso del corsivo è funzionale al presente lavoro.
(14) Le citazioni sono tratte da: I servizi di sicurezza in Italia, Camera dei Deputati, Roma 1988.
(15) Toffler, Alvin, Powershift. La dinamica del potere, Sperling & Kupfer, Varese, 1991, p.357.

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