Il primo grande teorico dello spionaggio è stato il cinese Sun Tzu che, già nel IV secolo, indicava lo spionaggio come strumento indispensabile dell'arte della guerra.
Egli individuava 5 categorie di "operatori di intelligence": le "spie native", reclutate tra le persone nate in territorio nemico; gli "infiltrati interni", arruolati tra gli ufficiali nemici; le "spie doppie" quelle cioè che già sono le "spie dell'avversario"; le "spie votate alla morte", destinate a ingannare il nemico con false informazioni e infine le "spie destinate a sopravvivere", in quanto incaricate di riferire al termine di ogni missione.
Circa l'impiego delle spie, Sun Tzu sosteneva: "chi non è profondamente saggio non le può utilizzare, chi non è giusto e umano non può farle agire, chi non è sottile e astuto non può ottenere la verità".
Tra i primi apparati informativi va ricordato, per la sua efficienza, quello della Repubblica di Venezia tramite il quale, nel XV secolo, attraverso la creazione di ambasciate permanenti all'estero, il Doge acquisiva informazioni di strategico rilievo per la sua politica estera.
Con lo sviluppo degli stati nazionali e delle guerre di religione, nel XVI e XVII secolo, apparvero in Occidente i primi veri esperti di intelligence: ministri e capi di gabinetto che dedicavano gran parte delle loro energie all'organizzazione della raccolta di informazioni segrete.
Basti citare il Cardinale di Richelieu, che diede inizio alla costruzione del Servizio più efficiente del XVII secolo.
La Rivoluzione Francese segnò un cambiamento nell'utilizzazione dell'intelligence introducendo la distinzione tra sicurezza interna e sicurezza esterna dello Stato, con conseguente impiego di due distinti apparati.
La scelta era motivata dalla crescita del dissenso interno e dalla minaccia di sollevazioni popolari che, mettendo in pericolo la stabilità dei vari regimi europei, indussero i sovrani a servirsi di organi di polizia politica.
Il XIX secolo vide gli apparati informativi assumere una fisionomia più "moderna" e svolgere un'attività professionalmente più raffinata.
Ciononostante alla vigilia della 1ª guerra mondiale, i Servizi segreti delle maggiori potenze europee si rivelarono inadeguati, per organizzazione e strumenti, alla complessità del conflitto che di lì a poco avrebbe insanguinato l'Europa.
Fu la Gran Bretagna che avvertì per prima l'esigenza di riorganizzare i propri Servizi dando vita ai longevi e famosi: MI6 per lo spionaggio militare, e MI5 per il controspionaggio.
Con la 2ª guerra mondiale, le maggiori Potenze mutuarono questa impostazione dotandosi di almeno due Servizi Segreti: uno spiccatamente militare e amalgamato con le Forze Armate, l'altro per gli affari politici e riservati.
Nell'Italia appena unificata, venne costituito nel 1863 il primo Ufficio Informazioni Militare, mentre nel 1867 fu costituito presso il Gabinetto del Ministro della Guerra un "Ufficio addetto agli Affari Riservati e Segreti".
Due Servizi curarono l'attività informativa per la sicurezza interna. Nel 1900 nacque il primo "Servizio Informativo militare del Corpo di S.M.E.", mentre l'anno successivo Giovanni Giolitti, Ministro dell'Interno, creò un "Servizio Informazioni Riservate" che, nel 1913, divenne "Ufficio Affari Politici e Riservati".
Non mi soffermerò sulle vicende, peraltro molto controverse, della organizzazione dell'intelligence in Italia durante la 1ª e la 2ª guerra mondiale, ma ricordo soltanto che tra le due guerre l'attività informativa fu intensificata con la creazione della MVSN e dell'OVRA.
Con riferimento a tempi più recenti l'attività informativa per la sicurezza dello Stato non è stata mai regolata legislativamente prima della legge n. 801 del 1977.
Precedentemente il DPR n. 1477 del 18 novembre 1965, attribuiva al S.I.D. (Servizio Informazioni Difesa) il generico compito di provvedere "a mezzo dei propri reparti, uffici e unità, ai compiti informativi di tutela del segreto militare e a ogni altra attività d'interesse nazionale per la sicurezza e la difesa del Paese ...".
Una successiva circolare del Ministero della Difesa precisò gli obiettivi dell'attività operativa. Un ulteriore contributo informativo era offerto dai SIOS istituiti presso le tre Armi, con compiti limitati alla valutazione delle "situazioni interessanti i problemi offensivi e difensivi dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica".
Per l'attività informativa, il Ministero dell'Interno si avvaleva dei suoi organi periferici di pubblica sicurezza.
Al centro, il coordinamento dell'attività era affidato ad un Ufficio della Direzione Generale della P.S. che, con decreto ministeriale del 6 ottobre 1955, assunse il rango e la denominazione di Divisione Affari Riservati, con compiti di prevenzione e repressione dei delitti contro la sicurezza dello Stato e contro l'economia pubblica, nonché di vigilanza sugli stranieri pericolosi per la sicurezza delle Istituzioni.
Successivamente, in conformità alle decisioni adottate dal Consiglio dei Ministri nel maggio del 1974, fu istituito l'Ispettorato Generale per l'azione contro il terrorismo con compiti di coordinamento operativo delle informazioni e di intervento ai fini della sicurezza interna, per la prevenzione e repressione del terrorismo.
Nel 1976, lo stesso Ispettorato, mantenendo inalterata l'originaria struttura, assunse il nome di Servizio di Sicurezza - SdS - e un anno dopo trasferì le funzioni d'intelligence al SISDe.
Nella perifrasi "informazioni per la sicurezza democratica" contenuta nell'acronimo SISDe emergono tre concetti: l'attività informativa, la sicurezza e l'ordinamento democratico dello Stato. Tali concetti, interdipendenti fra loro, collegano la funzione informativa con la sicurezza dello Stato e del suo ordinamento.
Importante è la ricerca del fondamento costituzionale della funzione informativa.
Si trovano riferimenti, segnatamente, all'art. 126 della Costituzione, laddove viene esplicitato il concetto di sicurezza nazionale, all'art. 52 che sancisce per i cittadini il sacro dovere della difesa della Patria e all'art. 54 che indica il dovere di fedeltà alla Repubblica e al suo ordinamento.
La fedeltà non è soltanto un dovere e una pretesa della Comunità nazionale. Costituisce il presupposto del patto sociale, consacrato nella forma repubblicana dello Stato e riguarda tanto i singoli cittadini quanto i soggetti sociali, le Istituzioni e le Amministrazioni. Obbliga a comportamenti e prestazioni coerenti con i valori della difesa e della sicurezza nazionale la cui protezione è richiesta a ciascuno nell'interesse di tutti.
La fedeltà, inoltre, si deve coniugare con i "doveri inderogabili di solidarietà" promossi dall'ordinamento anche a sostegno e concreta affermazione dei valori di difesa e sicurezza dello Stato.
Quegli stessi doveri di difesa e di fedeltà obbligano il Governo all'impegno di procurarsi tempestivamente ogni informazione utile a prevedere e prevenire attività interne o esterne contrarie agli interessi statuali. Si traducono, altresì, nel dovere di proteggere, con il segreto, quelle notizie che, in caso di divulgazione, potrebbero essere causa di nocumento agli stessi valori tutelati.
Lo Stato e i valori fondamentali della società che lo ha generato costituiscono, pertanto, l'interesse primario da tutelare attraverso la funzione e l'attività informativa di sicurezza.
L'attività di ricerca, raccolta, valutazione, analisi ed elaborazione delle informazioni esige un'organizzazione e una disciplina che il nostro ordinamento ha introdotto con la legge 24 ottobre 1977, n. 801.
In materia di sicurezza, il primato spetta, per volontà politica, all'attività di prevenzione.
Tale principio è stato tradotto in un sistema che organizza e impiega uomini, mezzi e attività decisamente orientati ad anticipare eventi lesivi della sicurezza dello Stato, delle persone e delle loro attività sociali. In particolare, per quanto attiene al momento previsionale delle minacce e, comunque, dei pericoli incombenti sulla sicurezza generale del Paese, la legge ha inteso attribuire specifica e rilevante competenza ai Servizi di informazione, facultati ad agire sotto copertura nel perseguimento dei legittimi obiettivi.
Le competenze affidate ai Servizi e la dipendenza diretta dalla Autorità Politica implicano l'esistenza di spazi di ricerca informativa di loro esclusiva responsabilità, ferme restando le attività informative di diversa tipologia espletate dalle Forze di Polizia.
L'esclusività del ruolo svolto dai Servizi non attiene, infatti, all'azione di procurarsi informazioni, né all'atto di informare, ma si riferisce contestualmente alla particolare natura dei fenomeni oggetto di interesse, al momento evolutivo in cui essi vengono percepiti, nonché all'origine delle minacce.
Poiché molte di esse traggono matrice e coltura dalle dinamiche sociali, le attività di osservazione, ricerca e valutazione devono di necessità scaturire da una precedente attività previsionale svolta a largo spettro.
È così possibile considerare l'attività previsionale e di ricerca informativa come un vero e proprio investimento dello Stato per la propria sicurezza democratica.
Ovunque, negli ultimi anni, i Servizi di intelligence sono stati al centro di un vivace dibattito tra i fautori e i denigratori della loro utilità.
Sta di fatto che nell'attuale fase evolutiva degli assetti politici mondiali e di quelli interni a molti Stati, è fortemente avvertita la potenzialità destabilizzante di una quantità di "conflitti a bassa intensità" e la proliferazione di minacce sconosciute in precedenza.
Squilibri economici che non sono più giustificati e governati dalle ideologie, flussi migratori che stanno mutando demografia ed etnia degli Stati, straordinarie trasformazioni socio-culturali indotte dal progresso tecnologico avanzato e altri rilevanti cambiamenti esigono attenzione politica e tempestività di intervento, possibili soltanto con il contributo determinante di un'intelligence moderna.
La circostanza che oggi, nel mondo, sia disponibile e circoli una grande quantità di informazioni, costituisce per l'intelligence contestualmente un vantaggio e uno svantaggio.
Apparentemente, il contributo fornito dalle fonti aperte consentirebbe di ridurre la ricerca informativa delle fonti umane. Ma la massa dei dati disponibili è tale da esigere un grande impegno di verifica, di analisi e di selezione volto alla ricerca di ciò che è essenziale conoscere. Talché l'attività dei Servizi tende ad aumentare quantitativamente richiedendo un superiore impegno delle intelligenze.
Qualitativamente gli obiettivi non militari dell'intelligence stanno diventando preponderanti. Ciò comporta la concentrazione e l'impegno di tutti gli Organismi Informativi al fine di rendere completamente disponibili le risorse di ognuno per il contrasto delle effettive attuali minacce.
Quanto al rapporto fra società civile e servizi di informazione si impone una revisione profonda dei reciproci atteggiamenti, distinguendo, fra l'altro, ciò che deve rimanere segreto (informazioni, informatori, copertura di attività, metodi, identità delle persone), da quanto può essere divulgato senza pericoli per le persone, per gli alleati e per il prosieguo della ricerca (risultati acquisiti, obiettivi di massima), nell'interesse di mantenere un dialogo aperto con la società.
Non può da ultimo sottacersi che i Servizi operano nell'ambito di una comunità d'intelligence internazionale la quale si regge sull'affidabilità e sulla convenienza finalizzate alla collaborazione e agli scambi informativi.
In conclusione, il rapporto di stretta fiducia che lega i Servizi al Governo e al Parlamento è una condizione irrinunciabile al corretto funzionamento degli OO.II. ai quali non può però mancare anche il consenso del Paese reale.
La legge n. 801 del 24 ottobre 1977 ha introdotto nel nostro ordinamento la disciplina organica della funzione di governo relativa alle informazioni per la Sicurezza dello Stato e al Segreto di Stato.
Con un unico provvedimento il legislatore ha regolato aspetti ordinamentali, sostanziali e procedurali che hanno innovato profondamente l'esercizio della funzione medesima.
Una nuova filosofia ha permeato la disciplina dell'attività informativa a protezione dello Stato democratico garantendo che anche tale supremo interesse sia perseguito nel rispetto della funzione giurisdizionale, e ammettendo l'opposizione del segreto entro limiti ben circoscritti.
La prima novità che la legge presenta nel suo testo è l'individuazione della responsabilità di Autorità Nazionale per la Sicurezza nel Presidente del Consiglio dei Ministri, al quale compete l'alta direzione e la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza nell'interesse e per la difesa dello Stato democratico e delle Istituzioni poste a suo fondamento.
Per l'esercizio delle Sue funzioni, il Presidente si avvale del Comitato Interministeriale per le Informazioni e la Sicurezza (CIIS) e del Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza (CESIS).
Il CIIS svolge una funzione consultiva e propositiva in merito agli indirizzi generali e agli obiettivi fondamentali da perseguire nel contesto della politica informativa e di sicurezza. È un organo collegiale che viene convocato periodicamente per la trattazione di problemi che implicano valutazioni di ordine politico e internazionale. È presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e composto dai Ministri degli Affari Esteri, dell'Interno, di Grazia e Giustizia, della Difesa, delle Finanze e dell'Industria. Alle riunioni del CIIS possono essere comunque invitati altri Ministri, i Direttori dei Servizi, altre Autorità ed esperti.
Il CESIS fornisce al Presidente gli elementi di conoscenza per la concreta attuazione del coordinamento delle attività informative svolte da SISMi e SISDe. Anch'esso organo collegiale, è presieduto dal Presidente del Consiglio che può delegare tale funzione a un Sottosegretario di Stato. Ne fanno parte, oltre al Segretario Generale del Comitato, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, il Capo della Polizia, il Segretario Generale del MAE, i Comandanti Generali dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, i Direttori del SISMi e del SISDe nonché il Segretario Generale della Presidenza del Consiglio.
L'ufficio del Segretario Generale assicura all'organo continuità provvedendo alla raccolta organica e coordinata delle informazioni per il Presidente del Consiglio.
La prassi ha modificato l'origine meramente consultiva del CESIS in organo esecutivo destinato a tramitare indirizzi, indicazioni ed esercizio di attribuzioni dell'Autorità Nazionale per la Sicurezza.
V'è poi il Comitato Parlamentare di Controllo (CO.PA.CO.), voluto per l'esercizio del controllo bicamerale sull'applicazione dei princìpi stabiliti dalla legge. Esso si compone di quattro Senatori e di quattro Deputati, nominati con criterio proporzionale dai Presidenti dei due rami del Parlamento.
Un'ulteriore forma di controllo è esercitata, infine, dal Parlamento sulla relazione semestrale che il Governo ha il dovere di presentare sulla politica di sicurezza e sui risultati ottenuti.
La posizione ordinamentale dei due Servizi, SISMi e SISDe, si colloca in un rapporto di dipendenza funzionale dai rispettivi Vertici delle amministrazioni ministeriali e di autonomia strutturale e organizzativa.
La peculiarità dei compiti ne giustifica la specialità dell'assetto e dei collegamenti, facendo attribuire loro il carattere di Uffici autonomi governativi, raccordati attraverso l'attività di coordinamento del CESIS all'Autorità Nazionale per la Sicurezza e, per l'ordinamento interno e il funzionamento, ai Ministri della Difesa e dell'Interno.
La normativa prevede la competenza degli stessi Ministri a regolamentare l'attività e l'organizzazione dei due Organismi.
L'art. 4 della legge n. 801 del 1977 attribuisce al SISMi (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare) tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa sul piano militare dell'indipendenza e dell'integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione. Il SISMi svolge inoltre ai fini suddetti compiti di controspionaggio.
Il successivo art. 6 della legge, con l'istituzione del Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica (SISDe), attribuisce ad esso tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa dello Stato democratico e delle Istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento contro chiunque vi attenti e contro ogni forma di eversione.
Come si evince, il criterio distintivo delle competenze istituzionali per i due Servizi è individuato sulla base del principio ratione materiae.
In sostanza, la qualificazione delle competenze dei Servizi è individuata dal tipo di attività, informativa e di sicurezza, e dagli interessi in vista dei quali essa è svolta.
Nessuna attività comunque idonea per l'Informazione e la Sicurezza può essere svolta al di fuori degli strumenti, delle modalità, delle competenze e dei fini previsti dalla legge.
Oggetto dell'attività del SISDe è la difesa dello Stato democratico e delle Istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento contro chiunque vi attenti e contro ogni forma di eversione.
Obiettivo primario dell'Organismo è quindi ogni manifestazione di infedeltà o di ostilità alla Repubblica e al suo ordinamento, che assuma i connotati della volontà di un mutamento istituzionale non democratico perseguito al di fuori della norma costituzionale.
I concetti di "attentato" e di "eversione" non sottendono necessariamente l'obiettivo di un cambiamento mirato alla sostituzione nel potere da parte di chi lo pone in essere. Ecco perché tra i compiti dell'attività informativa deve ricomprendersi anche il contrasto di quelle forme di attentato rivolte alla destabilizzazione del Paese attraverso il metodo terroristico, la diffusione di comportamenti illegali, le interferenze al sistema economico nazionale, la disobbedienza sociale, la immigrazione clandestina, ecc.
La legge n. 410 del 1991 ha attribuito, poi, specificamente ai Servizi compiti di attività informativa per il contrasto della criminalità organizzata, mai prima di allora ritenuta portatrice di un disegno eversivo contro lo Stato.
L'art. 5 della legge n. 801/77 consente di individuare gli aspetti tipici dell'attività del Servizio.
L'attività informativa ha carattere cognitivo essendo rivolta alla ricerca e alla raccolta di dati, notizie e informazioni. Tali elementi costituiscono base di valutazione e interpretazione per formulare diagnosi e ipotesi previsionali. La singola informazione è soltanto un parziale contributo al processo assai più articolato dell'intelligence; che coniuga e sintetizza i risultati dell'attività.
L'evoluzione dei concetti è tanto incalzante da rendere problematica la comprensione del linguaggio più semplice. Anche quello di "sicurezza dello Stato" non è esente dall'insidia, e ciò rende opportuno identificarla nella sua più attuale accezione. Ecco allora che, fra i suoi connotati vecchi e nuovi, oggi sicurezza è stabilità politica, credibilità delle Istituzioni, difesa del sistema economico nazionale, lotta alla criminalità e ai suoi traffici, fiducia che promuove i rapporti economici e commerciali, pace sociale, diffusa affermazione del principio di legalità, crescita dell'occupazione, disciplina dell'immigrazione, protezione dei risultati della ricerca scientifica e industriale, ecc.
Mi sembra allora che tale concezione dell'intelligence sia veramente distante dall'uso corrente e deteriore delle espressioni "spionaggio" e "servizi segreti".
L'attività d'intelligence al servizio dello Stato investe responsabilità che si riflettono su decisioni politiche e, quindi, sugli interessi della Comunità. Per questo richiede l'impegno superiore di uomini affidabili, motivati e di grandi qualità intellettuali.
Gli agenti dei Servizi, che non sono agenti e ufficiali di polizia giudiziaria, hanno il dovere di fare rapporto esclusivamente al Direttore del Servizio. Questi, a sua volta, è obbligato a fornire ai competenti organi di polizia giudiziaria le informazioni e gli elementi di prova relativi a fatti configurabili come reati. Tuttavia, tale adempimento può essere ritardato su disposizione del Ministro competente e con l'esplicito consenso del Presidente del Consiglio, quando ciò sia strettamente necessario per il perseguimento delle finalità istituzionali dei Servizi.
La legge n. 801 prevede, poi, che tutti gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria debbono fornire ogni possibile cooperazione al personale dei Servizi che vanno attivati anche quando i predetti organi di p.g. svolgono attività informative per il raggiungimento di finalità preventive o repressive e incontrano situazioni coinvolgenti la sicurezza esterna o interna dello Stato.
Siffatte enunciazioni chiariscono il regime dei rapporti istituzionali fra i Servizi di Informazione e la Forze di Polizia.
In precedenza sono stati posti in risalto i principi che il diritto positivo offre a supporto della "funzione informativa di sicurezza", non solo per ancorare l'esistenza dei Servizi alla precisa volontà del legislatore, ma anche per fornire uno strumento interpretativo delle norme più controverse contenute nella specifica regolamentazione.
Sulla disciplina del Segreto di Stato si è, ad esempio, sviluppato un dibattito acceso fra costituzionalisti e processualisti.
In effetti, la legge non assicura una sufficiente forma di garanzia per gli appartenenti ai Servizi, nell'espletamento delle attività istituzionali.
Né può fungere da "scudo politico" la facoltà del Presidente del Consiglio di confermare l'eventuale opposizione del segreto di Stato da parte dell'agente dei Servizi chiamato a deporre davanti al magistrato, salvo che non si tratti di fatti eversivi dell'ordine costituzionale, per i quali è categoricamente esclusa.
Gli operatori dei Servizi sono necessitati, talvolta, ad agire sotto copertura e a fare uso di metodi "non convenzionali" per ricercare informazioni non altrimenti ottenibili per la Sicurezza dello Stato o per svolgere azioni di controspionaggio.
Ove si ritenga che ciò sia interdetto, sarebbe quanto mai problematico comprendere le ragioni della presenza dei Servizi d'Informazione e di Sicurezza, giacché le attività informative convenzionali vengono già svolte a cura delle Forze di polizia.
Relativamente al Segreto di Stato, va detto che esso attiene non soltanto agli atti, ai documenti e alle notizie, ma anche alle attività e a quant'altro possa recare danno all'integrità dello Stato democratico, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle Istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento.
L'art. 202 del vigente Codice di Procedura Penale stabilisce per i pubblici ufficiali, impiegati e incaricati di pubblico servizio, l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal Segreto di Stato.
Tuttavia, la valutazione dell'esigenza di segretazione presenta un elevato grado di discrezionalità, che non offre all'appartenente ai Servizi certezze riguardo alla uniformità del suo giudizio con quello dell'Autorità Nazionale per la Sicurezza.
Va detto, peraltro, che una circolare del Presidente del Consiglio pro tempore del 30 luglio 1985 ha tentato di introdurre una disciplina dettagliata, seppure parziale, della delicata materia, con il proposito di stabilire regole, limiti e facoltà noti a priori.
Il legislatore non lo ha fatto. La legge n. 801/77 indica soltanto ciò che non può costituire oggetto di Segreto di Stato. Ma la dizione è talmente ampia da privare dei necessari elementi di certezza chi è chiamato ad una valutazione meramente tecnico-operativa rispetto all'organo che, avendo la responsabilità della conferma del segreto, giudica con criteri squisitamente politici.
Com'è noto, negli ultimi anni è mutato l'assetto politico mondiale. L'equilibrio bipolare che lo connotava non esiste più.
La scomparsa del temuto visibile avversario ha scompaginato le alleanze e ha affievolito la solidarietà fra gli Stati, scatenando un'obiettiva competizione.
Ad aggravare questa situazione sta emergendo, in tutta la sua drammaticità, lo squilibrio economico fra l'Occidente ricco ed il resto del mondo.
La globalizzazione dell'economia ha generato soggetti interstatuali capaci di influenzare e condizionare scelte politiche ed economiche dei Governi.
Tutto ciò fa intuire quale ruolo svolgerà "la comunità di intelligence" delle maggiori potenze nei futuri assetti del mondo.
I Servizi che saranno attrezzati a formulare le più verosimili analisi previsionali in campo economico e sociale, assicureranno vantaggi preziosi ai Paesi per i quali operano, in termini di stabilità e influenza politica, benessere economico, competitività, efficienza e consenso.
Il rilievo dell'interdipendenza fra società, politica, economia degli Stati ed i loro rapporti internazionali è tale da esigere un coordinamento contestuale di tutte le informazioni disponibili, avendo presente che la realtà "rappresentata dai media" non è tutta la realtà che produce i cambiamenti sociali.
Ne consegue che ogni Governo ha necessità di acquisire dalla società (interna ed esterna) il plusvalore informativo funzionale alle decisioni politiche più adeguate e convenienti da assumere.
La contestuale comprensione di eventi e fenomeni è necessitata dall'istantaneità e capillarità delle comunicazioni di massa, che inducono e sollecitano ovunque trasformazioni molto rapide.
Queste considerazioni assumono valenza maggiore per un Paese come il nostro, eccezionalmente esposto all'influenza della fenomenologia esterna in virtù della sua posizione centrale nell'ambito di un'area geografica nella quale si affacciano tre continenti.
In questo contesto l'Italia si identifica con il baricentro di una regione cosmopolita che ospita popoli di quattro civiltà diverse (la ellenica, la latina, la slava e quella islamica), separati da condizioni di sviluppo profondamente distanti fra loro.
Questa specialissima posizione impone responsabilità e opzioni che, se favoriscono e sono condivise da certi soggetti nazionali e internazionali, inevitabilmente suscitano il dissenso e/o l'allarme di altri.
L'evoluzione dell'intelligence, nel nostro Paese, è stata confusa con il dibattito sui "servizi segreti", promosso all'interno di un clima culturale viziato da fatti contingenti. In particolare, sono stati emotivamente trasferiti alla funzione informativa e di sicurezza giudizi negativi da circoscrivere alle individuali responsabilità.
L'Italia si è trovata ai margini di un conflitto civile, quello che ha tormentato l'ex Repubblica di Jugoslavia, di proporzioni spaventose.
Le frontiere del nostro Paese sono difficili da controllare e il numero degli immigrati clandestini è tale da sottrarsi a qualsiasi calcolo.
Mai la Repubblica ha vissuto frangenti tanto interessanti e convulsi per quantità e qualità del mutamento socio-politico. Le vicende quotidiane ne provano la straordinaria vitalità ma anche la condizione di maggiore vulnerabilità.
Dall'esterno, il nostro Paese potrebbe essere interessato a manifestazioni terroristiche di varia provenienza.
All'interno, la crisi economica e la disoccupazione potrebbero rappresentare strumenti di diffusione del dissenso ribellistico, amplificando le attitudini eversive di gruppi marginali interni e/o di interessi ostili ultranazionali.
Ve n'è abbastanza per provare che l'Italia ha bisogno di un grande sforzo di produzione dell'intelligence, per rispondere adeguatamente alle minacce paventate, valendosi del concorso di tutte le forze interne e della cooperazione internazionale.
Ne consegue l'importanza di conoscere le azioni e i progetti ostili volti a minare la sicurezza dello Stato dall'interno e dall'esterno.
Occorre approfondire anche gli elementi che consentono di comprendere i processi decisionali di quei soggetti che vogliono affievolire le condizioni di sicurezza del Paese e/o produrre danni agli interessi nazionali.
L'attenzione da rivolgere alle organizzazioni criminali autoctone non va disgiunta, poi, dai riflessi delle tendenze economiche meno controllabili, che rendono più ardua la lotta alle omologhe strutture criminali straniere (mafia russa, turca, colombiana, triade cinese, yakuza giapponese).
Anche le propaggini residue delle formazioni terroristiche interne vanno seguite alla luce dei loro collegamenti internazionali.
Gli attentati che, tempo fa, hanno sconvolto il Giappone e gli Stati Uniti e, più recentemente, la Francia dimostrano il carattere "multidimensionale" della minaccia terroristica e della oggettiva vulnerabilità delle società aperte.
Tale devastante strumento di lotta sociale si avvia pericolosamente a divenire un fattore usuale attraverso il quale gruppi, avulsi da qualsiasi ideologia politica, tentano di destabilizzare la pace sociale dei Paesi liberi, in modo discriminato.
Questa prospettiva trova ulteriore conferma in tre elementi venuti alla ribalta in tempi recentissimi:
– il primo è dato dal proliferare di sette di carattere religioso, esoterico o millenarista, per le quali la civiltà industriale o post-industriale è il nemico, assoluto e totale;
– il secondo è insito nell'effetto di mimèsi che, nel richiamato "villaggio globale" del mondo contemporaneo, scaturisce da comportamenti clamorosi o da iniziative che - in tempo reale - raggiungono ogni angolo del globo;
– il terzo elemento si identifica con un uso sofisticato degli strumenti a disposizione della società tecnologica per finalità eversive.
È il caso degli hackers che, attraverso il computer, aggrediscono le "banche dati" per finalità di sabotaggio, oppure di quei gruppi che fanno della telematica uno strumento per la diffusione di messaggi rivoluzionari o di destabilizzazione economico-finanziaria.
Qualche riflessione, infine, sull'intelligence economica.
Le analisi economiche non si possono circoscrivere ai soli interessi nazionali poiché nel nuovo ordine mondiale l'interazione economica non consentirà di distinguerne i confini.
L'esasperazione della concorrenza può favorire il potenziamento di private strutture di intelligence difensiva e offensiva nell'ambito dei grandi gruppi industriali multinazionali.
Fenomeni di spionaggio di tipo economico-finanziario possono interessare settori particolarmente sensibili come la privatizzazione di aziende pubbliche, il Credito, o il Terziario avanzato, nonché la fabbricazione di materiali strategici in settori nevralgici quali l'ingegneria nucleare, spaziale, genetica, informatica, ecc.
Né si può trascurare l'effetto dei vasi comunicanti prodotto dall'aumento degli squilibri economico-commerciali fra paesi ricchi e poveri. Esso si traduce nella tendenza delle popolazioni povere, e in notevole crescita demografica, a ricercare nuovi sbocchi verso Paesi più sviluppati.
Tutto questo occorre considerare e ripensare per la formulazione di analisi e previsioni che possano corrispondere all'interesse della Sicurezza Nazionale attraverso la tempestiva informazione dell'Autorità Politica.
Si è già detto quanto e perché la sicurezza internazionale e quella interna abbiano accresciuto l'esigenza qualitativa del fabbisogno informativo del nostro Paese. Disporre di un'intelligence incisiva significa, infatti, dare forza al Governo nel difendere lo Stato dalle minacce e dai pericoli.
Un'intelligence è valida quando è capace di conoscere e comprendere i fenomeni, quando sa valutarli ed è in grado di fornire chiavi di lettura e prevederne i verosimili sviluppi.
In tale scenario si va a posizionare la struttura ordinamentale e organizzativa centrale del SISDe, ponderata in ragione del tipo, della quantità e della qualità delle nuove minacce. Essa mira a delineare un apparato prevalentemente destinato alla ricerca delle informazioni, all'analisi metodologica e alla previsione delle situazioni.
L'organizzazione è impostata su due Dipartimenti, uno destinato alla gestione delle informazioni e l'altro alla gestione delle risorse umane e materiali.
Il primo Dipartimento si articola su due Reparti.
Il Primo Reparto provvede all'analisi generale di tutto il materiale raccolto. Ciò consente di approntare quadri di previsione per il Direttore del Servizio, al quale competono le scelte di indirizzo operativo.
Il Secondo Reparto, avvalendosi dei Centri periferici, svolge un'attività operativa mirata alla produzione d'intelligence per contrastare le minacce emergenti.
Disponendo di una grande quantità di informazioni, tra aperte e riservate, agli analisti dell'intelligence spetta tracciare un quadro della realtà osservata e richiedere informazioni specifiche per verificare la fondatezza della loro analisi.
D'altra parte, agli stessi operatori del Secondo Reparto compete attivare un rapporto sinergico con i loro Colleghi, creando un circuito d'intelligence che accresca fortemente la capacità complessiva del SISDe nel prevedere e nell'anticipare i progetti lesivi della sicurezza del Paese.
La nuova configurazione ha comportato l'indifferibile esigenza di un adeguamento culturale da parte degli Operatori dell'Organismo verso un modello di intelligence induttivo e dinamico.
Si ritiene che sia questa una cultura dell'intelligence aggiornata e previdente. Essa va sostenuta da un'adeguata, intensa attività formativa, da inquadrarsi in una sana e trasparente pianificazione della politica di gestione delle risorse umane.
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