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Per Aspera Ad Veritatem n.3
Comitato Parlamentare per i Servizi di informazione e di sicurezza. Primo rapporto sul sistema di informazione e sicurezza (terza ed ultima parte)








Nel luglio del 1991, l'ambasciatore Francesco Paolo Fulci, Segretario generale del CESIS ed Autorità nazionale per la sicurezza (in base alla delega del Presidente del Consiglio Andreotti) venne a conoscenza di una situazione irregolare, relativa a due funzionari del SISDe, Michele Finocchi e Gerardo Di Pasquale. Il primo era Capo di Gabinetto del Servizio, il secondo era dirigente dell'Ufficio logistico. Risultò che essi rivestivano la carica di soci in una società di viaggi, la Miura Travel, dal marzo 1988, svolgendo così un'attività commerciale (81). Non si trattava di una società di copertura del Servizio. Molto semplicemente, l'attività dei due funzionari era privata ed aveva scopi di lucro. Ma la Miura Travel era l'agenzia presso la quale venivano acquistati tutti i biglietti di viaggio e prenotati i soggiorni fuori sede dei dipendenti, per una disposizione interna che era stata impartita già a maggio 1987 dal direttore del SISDe, prefetto Riccardo Malpica. Tale direttiva era in contrasto con un elementare criterio di riservatezza, poiché i viaggi dei dipendenti del SISDe divenivano così assai più facilmente individuabili. I biglietti venivano acquistati tutti a prezzo intero. Contemporaneamente, l'agenzia utilizzava attrezzature e personale del Servizio. Assumeva personale, che veniva poi dirottato nel SISDe, come il figlio di Gerardo Di Pasquale o il figlio di Matilde Martucci, segretaria del prefetto Malpica.
Questa situazione offrì lo spunto all'ambasciatore Fulci per aprire un'indagine più ampia. Egli aveva comunicato prima al presidente del Consiglio Andreotti, poi al suo successore Amato ed al direttore del SISDe, prefetto Alessandro Voci, le informazioni dalle quali scaturiva una necessità di approfondimento. Si trattava di informazioni fondamentalmente rispondenti al vero, come si sarebbe visto più avanti, le quali delineavano un quadro impressionante di clientelismo, di favori personali e di inefficienza nella gestione del SISDe.
A parte la vicenda dell'agenzia di viaggi, vi erano altri aspetti preoccupanti. Anzitutto, le assunzioni nel SISDe avvenivano al di fuori di qualsiasi criterio oggettivo, sulla base di segnalazioni da settori politici o dall'interno della pubblica amministrazione. In secondo luogo, per favorire la carriera di alcuni funzionari del Servizio, si ricorreva ad un sistema ingegnoso: essi venivano restituiti all'amministrazione di appartenenza, al solo scopo di essere promossi, ed immediatamente dopo ritornavano nel SISDe, ove percepivano, quasi senza soluzione di continuità, retribuzioni fortemente maggiorate (il sistema veniva denominato navetta) (82). Era infine facilmente visibile, almeno per chi operasse all'interno degli apparati di sicurezza, l'uso distorto di auto ed autisti del SISDe, in relazione ad esigenze non istituzionali.
Le informazioni da cui muoveva l'ambasciatore Fulci avevano natura riservata. Nascevano cioè dall'ambiente dei Servizi. Egli ha tra l'altro dichiarato all'Autorità giudiziaria di avere ricevuto notizie, da fonte interna, in merito a manovre intimidatorie poste in essere nei suoi confronti.
Del resto, ancor prima che Fulci assumesse l'incarico di Segretario generale del CESIS, nel pieno del periodo di direzione del prefetto Malpica, vi erano già voci di una certa consistenza circa una gestione disinvolta del SISDe. Ciò risulta indirettamente dal processo verbale di una riunione del Comitato parlamentare del 3 agosto 1989, dedicata all'audizione del ministro dell'interno Antonio Gava. Nella fase conclusiva della riunione era intervenuto il presidente Mario Segni per informare il Ministro del fatto che gli erano pervenute da parte di alcuni componenti del Comitato «voci su una presunta gestione scorretta di taluni fondi riservati del SISDe». La formulazione era premonitrice. Ed era chiarissimo il riferimento ad una categoria peculiare di fondi e di spese che hanno una funzione rilevante nell'attività del Servizio. Essi sono infatti separati dai fondi ordinari, e dai normali rendiconti, in quanto destinati a finanziare operazioni coperte dal segreto. Non per questa ragione si può tuttavia accettare che siano sottratti a qualsiasi controllo.
Il verbale reca traccia della risposta fornita dal rappresentante del Governo: «Il Ministro assicura che si interesserà anche di questo problema». Ma la sollecitazione era destinata a cadere nel vuoto.
Il Ministro Gava non diede alcun seguito all'impegno preso. L'uso scorretto dei fondi riservati continuò.


Nel giugno 1991, appena assunta la Segreteria generale del CESIS, l'ambasciatore Fulci operò per abolire il sistema della navetta, nonostante le pressioni del prefetto Malpica. Una circolare del Presidente del Consiglio dei Ministri, emanata il 13 luglio 1991, intervenne ad impedire quel meccanismo (83).
Successivamente, Fulci promosse una indagine sull'affidabilità dei funzionari del SISDe e perciò dispose nel 1992 la creazione di un nucleo composto da elementi dell'UCSI e del CESIS (perché all'UCSI il personale non era sufficiente), con il compito di svolgere accertamenti patrimoniali sul personale. «Vennero fuori cose incredibili: e cioè che Finocchi, Di Pasquale, Martucci e Broccoletti erano riusciti a procurarsi cospicui ed improvvisi arricchimenti» (84).
Occorre ricordare che Michele Finocchi e Gerardo Di Pasquale, essendo stata accertata la loro partecipazione alla Miura Travel, come soci di maggioranza, furono allontanati alla fine del 1992 dalle funzioni di Capo di gabinetto e Capo del servizio logistico, che avevano ricoperto durante la direzione di Malpica. È difficile credere che nell'allontanamento vi sia stata una sanzione. Essi infatti rimasero inquadrati nel SISDe, con le indennità che ciò comportava e con compiti rilevanti: il primo con funzioni di collegamento tra il Servizio e la Direzione generale dei servizi civili del Ministero dell'interno, il secondo come responsabile del collegamento tra il Servizio e la Direzione generale della polizia criminale del Ministero dell'interno. Anche Maurizio Broccoletti, avendo cessato di far parte del SISDe nel giugno 1991, era rimasto nel Servizio con una imprecisata posizione di «funzionario di fatto» ed aveva continuato ad amministrare la società di copertura del Servizio. Tali circostanze sono già state segnalate con un giudizio fortemente critico dal Comitato parlamentare, durante la scorsa legislatura (85).
Fulci aveva inviato, l'8 giugno 1992, una lettera al prefetto Alessandro Voci, direttore del SISDe, con la quale si denunciavano «specifiche responsabilità disciplinari e penali». Dopo un'indagine interna, il prefetto Voci concluse, nello stesso mese di giugno, con un provvedimento di archiviazione. Non era emersa alcuna responsabilità.
D'altro canto, risulta che nel luglio 1992, mentre continuavano a girare le dicerie circa la spregiudicatezza e gli arricchimenti illeciti di quei funzionari, giunse al presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Giuliano Amato, dalla Segreteria nazionale del PSI, la sollecitazione a designare Finocchi per un alto incarico nell'ambito del Servizio (Direttore o Vicedirettore). La cattiva fama di questi, l'iniziativa dell'ambasciatore Fulci e il dissenso espresso dal nuovo ministro dell'interno Nicola Mancino, in un colloquio con il presidente Amato (86), valsero evidentemente a bloccare la nomina. Tuttavia le autorità politiche di governo non assunsero alcun serio impegno per fare luce sui fatti. Il Segretario generale del CESIS non riuscì mai a comunicare personalmente i risultati della indagine al presidente del Consiglio Amato, né i suoi messaggi scritti, inviati al Segretario generale di Palazzo Chigi, ebbero risposta.
Il Comitato osserva che un sollecito e rigoroso intervento della Presidenza del Consiglio (nel 1991 con Andreotti o nel 1992 con Amato) avrebbe potuto mettere in moto l'opera di bonifica che era necessaria, facendo risparmiare tempo ed energie. Lo stesso sarebbe avvenuto se l'ambasciatore Fulci (che aveva ravvisato ipotesi di responsabilità non solo disciplinare, ma anche penale, nei comportamenti dei funzionari del SISDe) si fosse prontamente rivolto all'Autorità giudiziaria.


La magistratura cominciò ad occuparsi del SISDe pochi mesi dopo.
Il 19 dicembre 1992 il prefetto Angelo Finocchiaro, Direttore del Servizio, fu convocato dal sostituto procuratore Vinci della Procura di Roma, che indagava sulla vendita di immobili a prezzi maggiorati, destinati a ministeri ed enti pubblici (con relative tangenti). Nel corso di una indagine presso la Banca Carimonte, il dottor Vinci si era imbattuto in conti bancari, intestati a funzionari del SISDe (Broccoletti, Di Pasquale, Finocchi, Galati e Sorrentino), per un valore di 14 miliardi di lire. I funzionari, interrogati dal magistrato nei giorni successivi, dichiararono di detenere quelle somme in nome e per conto del Servizio, a titolo fiduciario, per scopi istituzionali, e l'indagine si concluse con la restituzione dei fondi al prefetto Finocchiaro.
Nel febbraio 1993 ebbe inizio una nuova indagine, sulla bancarotta fraudolenta relativa al fallimento della società Miura Travel, affidata al sostituto procuratore Frisani. Questi scoprì altri conti correnti bancari, intestati agli stessi funzionari del SISDe, presso l'istituto di credito San Marino, per un valore di 38 miliardi di lire. Ma gli ulteriori accertamenti dovevano rivelare la disponibilità da parte di costoro di somme ancora superiori.
Il procedimento penale, che vedrà, a partire dal maggio 1993, una serie di richieste di provvedimenti di custodia cautelare da parte del dottor Frisani e poi vari arresti, ha riguardato Broccoletti, Di Pasquale, Finocchi, Galati, Malpica, Martucci e Sorrentino. Secondo l'accusa, essi si sarebbero appropriati in più circostanze di ingenti somme di denaro assegnate al Direttore del SISDe per finalità istituzionali, sotto il titolo di «fondi riservati». In particolare, Malpica avrebbe consentito che tali somme fossero nella disponibilità degli altri funzionari che, d'accordo con lui, se ne erano appropriati. Egli avrebbe omesso di segnalare la giacenza all'atto del passaggio delle consegne al prefetto Voci (subentrato alla direzione del SISDe) ed avrebbe attestato falsamente di aver autorizzato la devoluzione di quei fondi agli stessi funzionari per pretese ragioni di copertura. Inoltre, Finocchi e Di Pasquale, contribuendo a garantire alla Miura Travel di cui erano soci una esclusiva per tutte le esigenze del SISDe ed un incasso a tariffa piena, avrebbero commesso il reato di abuso d'ufficio.
Il 2 febbraio 1994 sono stati disposti i rinvii a giudizio. Il 20 dicembre 1994 il Tribunale di Roma ha pronunciato la sentenza, con le seguenti condanne: Broccoletti, 9 anni; Di Pasquale, 9 anni; Finocchi, 8 anni e 6 mesi; Galati, 6 anni e 6 mesi; Malpica, 3 anni e 3 mesi; Martucci, 2 anni e 2 mesi; Sorrentino, 2 anni e 10 mesi.


Il prefetto Malpica e gli altri funzionari avevano fornito al dottor Vinci, dopo la scoperta dei depositi bancari presso la Carimonte, una falsa versione dei fatti. Quelle somme in realtà non erano detenute a titolo fiduciario, in nome e per conto del SISDe. Esse derivavano da una serie di illecite appropriazioni di quote dei fondi riservati del Servizio.
La falsa versione fu concordata nel dicembre 1992 con il nuovo Direttore del Servizio, come è emerso in sede giudiziaria. Di essa non risulta essere stato al corrente il ministro dell'interno Mancino (87).
Ma quando è emerso che i patrimoni accumulati da quei funzionari andavano ben al di là dei primi quattordici miliardi e quando si è ricostruito il meccanismo istituzionale su cui si fondava l'arricchimento illecito, la falsa versione originaria è franata del tutto. Sommando i patrimoni che essi avevano in pochi anni acquisito, attraverso prelievi sui fondi riservati del SISDe, l'Autorità giudiziaria requirente ha calcolato un ammontare complessivo di circa 58 miliardi (88).
Le responsabilità dei funzionari che parteciparono all'accordo fraudolento, volto a nascondere al dottor Vinci l'esistenza di gravi scorrettezze, sono ancora oggetto di accertamenti giudiziari. E sui reati commessi attraverso l'uso dei fondi riservati, sebbene vi sia stata una serie di significative condanne in primo grado, occorrerà ancora aspettare per giungere ad una sentenza definitiva.
Nel frattempo, è compito del Comitato parlamentare stabilire, in primo luogo, attraverso quali meccanismi istituzionali sia possibile un arricchimento illecito come quello per cui i funzionari SISDe sono già stati condannati; in secondo luogo, a chi vada attribuita l'eventuale responsabilità politica per una omessa vigilanza; in terzo luogo, quali misure regolamentari siano più idonee a garantire il Servizio contro il rischio di simili deviazioni.


È certo che le scorrettezze, per cui un ristretto gruppo di dirigenti amministrativi del SISDe è giunto a percepire decine di miliardi, si sono verificate con la direzione del prefetto Malpica che durò dal 2 febbraio 1987 al 1° settembre 1991.
Sotto la direzione del prefetto Malpica fu accumulata una riserva di danaro senza precedenti, attraverso accantonamenti di somme erogate al Servizio, destinate ai fondi riservati e non spese (89). A tali accantonamenti si riferì lo stesso Malpica nell'audizione davanti al Comitato parlamentare, il 7 luglio 1993. Allora giustificò questa scelta di gestione con lo scopo di evitare che a fine anno le somme non spese andassero in economia. I fondi riservati potevano essere accantonati e conservati per l'anno successivo. Ciò appare in contrasto con le norme della contabilità dello Stato le quali prevedono comunque che i fondi non spesi siano recuperati; ma per i fondi riservati, non essendovi un obbligo di rendicontazione, la norma veniva tranquillamente elusa.
Concentrando le erogazioni sui fondi riservati, veniva alimentato il fondo delle società di copertura del Servizio (di cui Broccoletti, direttore amministrativo fino al 1991, era anche amministratore), ma soprattutto si distoglievano per usi non istituzionali le somme stanziate in bilancio. qualsiasi possibilità di verifica contabile veniva meno, per effetto dello spostamento di capitoli di spesa dai fondi ordinari ai fondi riservati.
Il meccanismo ha dato al prefetto Malpica un notevole potere, anche se non risulta un suo personale arricchimento. Stando alle sue stesse dichiarazioni, egli sembrava piuttosto interessato a costituirsi una propria rete di collegamenti: un gruppo di stretta fiducia all'interno del Servizio (composto di persone alle quali rendeva cospicui favori) ed un sistema più vasto di amicizie e di riferimenti in vari uffici della pubblica amministrazione.

Il Comitato parlamentare segnala nella prassi del SISDe, quale è stata ricostruita nell'ambito del processo penale, altri comportamenti in contrasto con le norme di legge.
È significativo il quadro di rapporti riservati che il prefetto Malpica, davanti all'Autorità giudiziaria, ha dichiarato di aver intrattenuto con funzionari pubblici. «Come Direttore del Servizio - ha affermato tra l'altro - avevo necessità di essere informato su tutto e avere centinaia di occhi, visto che i miei non erano sufficienti, avevo quindi necessità di avere… delle persone che potessero all'occorrenza consentirmi di contattare altre persone che io non avevo materiale possibilità di annoverare fra i miei amici. Le porto un esempio: se io avevo bisogno di un'informazione riguardante un'ambasciata, certo non potevo telefonare e farmi ricevere, però c'era… un ambasciatore addetto all'ufficio stampa del Ministero degli esteri, il quale invece ben poteva, per ragioni del suo ufficio, farmi la cortesia di fare questo accertamento». Lo stesso avveniva per un prefetto, collegato al SISDe, il quale prestava servizio presso il Quirinale e che «non andava certo lì a collaborare facendo la spia al presidente Cossiga; aveva il compito di mettere, se necessario, a mia disposizione la rete di conoscenze e facilitarmi i contatti» (90).
Si tratta evidentemente di comportamenti anomali, tanto più se vi è stata la elargizione di somme di denaro. Il personale che già dipende dalla pubblica amministrazione può essere trasferito alle esclusive dipendenze dei Servizi, in base all'articolo 7 della legge n. 801 del 1977, ma non può prestare collaborazione a tempo parziale; né tanto meno sembra consentita l'assunzione di funzionari pubblici come informatori.
L'articolo 7 indica tassativamente il tipo di rapporto che i Servizi possono stabilire con dipendenti civili e militari dello Stato, così come indica, in forma ugualmente tassativa, quali sono le categorie di persone che i Servizi non possono avere alle loro dipendenze, in modo organico o saltuario: membri del Parlamento, consiglieri regionali, provinciali, comunali, magistrati, ministri di culto e giornalisti professionisti (91).
A giudizio del Comitato così va interpretato l'articolo 7. I Servizi possono stabilire con altri uffici della pubblica amministrazione e segnatamente con quelli addetti a funzioni di sicurezza rapporti di cooperazione istituzionale, ma non possono reclutare l'uno o l'altro funzionario per indefinite attività di collaborazione. Né possono servirsi di giornalisti o di parlamentari come informatori, in cambio di danaro o di favori.
È da ritenere che molti abusi, nell'ambito del sistema d'informazione e sicurezza ed in particolare nel SISDe, siano nati dalla disapplicazione o dall'applicazione non corretta di queste previsioni normative.


È emerso in sede giudiziaria che le scorrettezze dei funzionari relative all'uso dei fondi riservati sono incominciate con l'assestamento di bilancio del 1987. Era una somma che ancora non raggiungeva i livelli degli anni successivi: 6 miliardi e 780 milioni, prelevati dalla Tesoreria centrale il 3 dicembre 1987. Nello stesso giorno è documentato un versamento di 100 milioni da parte di Finocchi, presso il già citato istituto di credito di San Marino. Ciò sembra dimostrare che la spartizione dei fondi riservati era iniziata.
L'assestamento negli anni successivi è cresciuto vertiginosamente. Nel 1988 è stato di 35 miliardi; nel 1989 di 34 miliardi; nel 1990 di 42 miliardi. Alla fine del 1991, essendo stato già nominato un nuovo direttore, l'assestamento è stato nullo. Una svolta così netta conferma che la prassi degli anni precedenti non era dettata da inderogabili necessità istituzionali, come pure si era sostenuto.
In realtà, il prefetto Malpica usava richiedere che in sede di assestamento tutta la somma venisse erogata sul capitolo n. 1117, vale a dire sui fondi riservati. Il Pubblico ministero nel processo contro i funzionari SISDe ha esibito una lettera del 17 settembre 1990, nella quale il Direttore chiedeva, come aveva fatto negli anni precedenti, che l'assestamento andasse per intero nei fondi riservati. E si trattava, nel 1990, di una erogazione di 42 miliardi. A ciò deve aggiungersi l'abitudine di spostare durante l'anno forti somme di danaro dai fondi ordinari a quelli riservati (92).
Già nella scorsa legislatura il Comitato parlamentare ha svolto un'approfondita indagine per mettere a fuoco le modalità di impiego dei fondi riservati e chiarire i rischi di abusi che ne derivano. Sono state dedicate a questo tema dodici audizioni. Anche durante l'attuale legislatura il tema è stato nuovamente affrontato nel corso delle audizioni e sulla questione sono stati complessivamente acquisiti venti documenti.
Si può richiamare al riguardo un'affermazione del ministro dell'interno Maroni, che denota quanta preoccupazione vi sia ancora circa la possibilità che i comportamenti illeciti si riproducano. «Sull'esistenza di fondi neri in altre parti del mondo, devo esprimere l'augurio che non ci siano. Tuttavia, proprio perché si tratta di fondi neri e quindi non registrati nella contabilità, non possiamo saperlo con certezza. Mi auguro che non ci siano, ma non sono in grado di escluderlo».
Le conclusioni a cui giunse il Comitato nella Relazione del 14 febbraio 1994 restano tuttora valide. Tra queste si deve ricordare la denuncia di una diffusa negligenza nell'amministrazione, con una lunga consuetudine di assunzioni clientelari di personale, poi rilevatosi inadeguato ed inaffidabile.
Inoltre, il fatto che tra una Direzione e l'altra del Servizio si creassero vere e proprie soluzioni di continuità, con passaggi di consegne assai approssimativi, ha contribuito alla cattiva amministrazione. In realtà, coloro che controllavano davvero la gestione complessiva delle spese riservate, e dunque anche dei fondi distratti dal Servizio, erano il fiduciario del Direttore (prima Ugo Timpano, dal 1987 fino a tutto il 1989; poi Antonio Galati, dal gennaio 1990 in poi) e il direttore amministrativo Maurizio Broccoletti che gestiva i fondi ordinari.
Tra la fine del 1987 ed il 1991 si è fatto metodicamente ricorso ad anticipazioni dai fondi ordinari ai fondi riservati. Le somme venivano destinate a spese sulle quali non vi era controllo. A fine anno, a seguito dell'assestamento, le somme anticipate venivano restituite ai fondi ordinari o mediante la consegna di contanti ovvero provvedendo a pagare sui fondi riservati spese di pertinenza di quelli ordinari. In tal modo, venivano indebitamente assunte sui fondi riservati spese che avrebbero dovuto essere a carico di quelli ordinari e per esse veniva meno la possibilità di una verifica contabile, pur non essendovi alcuna ragione di segretezza (93).
Ancora, l'esclusione dell'autorità politica e del comitato parlamentare di controllo dalla vigilanza sulla gestione dei fondi riservati, la rendicontazione lacunosa ed irregolare e la distruzione a scadenze ravvicinate della documentazione riguardante spese di natura delicata o confidenziale, secondo la circolare emanata dal Presidente del Consiglio dei Ministri nel 1986, sono stati altrettanti elementi che hanno consentito la deviazione (94).


Il controllo dell'autorità politica sull'uso dei fondi riservati è stato gravemente carente. Il rapporto fiduciario che si stabilisce tra i responsabili politici ed il capo del Servizio non può intendersi nel senso che il Ministro competente ed il Presidente del Consiglio rinuncino ad un esame delle principali attività del Servizio medesimo e ad una valutazione circa la congruità tra le spese erogate (anche quelle riservate) e le operazioni compiute. Proprio questo invece è avvenuto: un pericoloso fraintendimento del rapporto fiduciario. Gli effetti negativi di un mandato così ampio e privo di reali verifiche sono stati anche riconosciuti dal ministro dell'interno Nicola Mancino, in un'audizione davanti al Comitato, il 1° luglio 1993.
Si è determinata, alla fine degli anni 80, una situazione nella quale gli abusi erano favoriti. D'altra parte, nel sistema dei fondi riservati - quando mancano la rendicontazione e il controllo, quando non si conserva la memoria delle operazioni e delle spese - non sono soltanto più facili gli abusi. È anche più difficile individuare e distinguere le responsabilità. A maggior ragione lo è in un quadro attraversato da accuse che vanno in tutte le direzioni, talvolta poi ritrattate (come alcune accuse di Malpica). Per azzerare o sminuire le responsabilità specifiche di chi ha amministrato scorrettamente i fondi del SISDe, si è cercato di gettare sospetti, anche privi di qualsiasi riscontro, su ogni spesa riservata effettuata da parecchi anni a questa parte nell'ambito del Ministero dell'interno. Erano tra queste, ad esempio, fino al 1992, tutte le spese relative ai collaboratori di giustizia.
Ciò rende particolarmente delicato ed impegnativo il lavoro dell'Autorità giudiziaria che è su tutti questi casi in pieno svolgimento. Va ricordato in proposito che nella Relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario tenuta a Roma il 14 gennaio 1995 dall'Avvocato generale presso la Corte d'appello sono stati menzionati con speciale rilievo i procedimenti aventi ad oggetto le deviazioni dei Servizi segreti.
In un campo d'indagine così arduo da delimitare sono possibili versioni artefatte della realtà ed accuse calunniose. È incerta o inesistente la documentazione e non è affatto semplice sceverare e valutare i singoli fatti.
Questo naturalmente non può essere il compito di un organo parlamentare. Il Comitato può e deve valutare difetti istituzionali e responsabilità politiche, anche muovendo dalla considerazione di fatti che appaiono già accertati in sede giudiziaria. Spetta invece ai magistrati, in piena indipendenza ed autonomia, individuare tutte le responsabilità penalmente rilevanti. Ed occorre evitare ogni interferenza.
Vi è stato, nella vicenda dei fondi riservati, un fattore scatenante: il loro fortissimo aumento, a partire dal 1988, realizzato attraverso gli assestamenti. Si è trattato di un fattore decisivo, perché, su grandi quantità di danaro, i tradizionali controlli dell'autorità politica, assai limitati come si è detto, sono divenuti clamorosamente insufficienti.
Secondo il Pubblico ministero nel processo contro i funzionari SISDe, gli abusi avrebbero cominciato ad attenuarsi già alla fine del 1987, sia pure in misura modesta. Era precisamente il 3 dicembre 1987 ed era allora ministro dell'interno il senatore Amintore Fanfani, subentrato all'onorevole Oscar Luigi Scalfaro da cinque mesi.
Non si può parlare di una omissione di vigilanza da parte del senatore Fanfani. Non vi erano ragioni specifiche di sospetto. L'incremento dei fondi riservati era ancora contenuto né vi erano elementi per ritenere che il Direttore del Servizio venisse meno al proprio dovere di lealtà.
Diversa è stata invece la situazione nei tre anni successivi, in cui il SISDe è stato ancora diretto da Malpica, fino al 1° settembre 1991. In questo periodo sono stati ministri dell'interno l'onorevole Antonio Gava (dal 13 aprile 1988, per circa due anni e mezzo) e l'onorevole Vincenzo Scotti (dal 16 ottobre 1990).
Gli assestamenti e i fondi riservati sono stati sei e sette volte superiori a quelli del 1987. I due Ministri non sembrano aver avuto dubbi sul corretto funzionamento del Servizio; né hanno svolto accertamenti di alcun genere in ordine alla destinazione dei fondi riservati. Ciò è tanto più da deplorare, se si tiene conto della richiesta di informazioni sulla gestione di quei fondi, già rivolta al ministro Gava dal Presidente del Comitato parlamentare, il 3 agosto 1989.


Rendere più puntuali e costanti le notizie circa le operazioni e le spese riservate che dal Servizio giungono al Ministro competente: questo è il primo passo per rafforzare il controllo.
Si può inoltre proporre che in merito alla gestione dei fondi riservati vi sia una contemporanea responsabilizzazione del Ministro e del Presidente del Consiglio.
Nella scorsa legislatura, il Comitato ha sottoposto ad attento esame la circolare emanata dal Presidente del Consiglio il 10 gennaio 1986. Dei rilievi che erano stati avanzati in sede parlamentare ha poi tenuto conto la nuova circolare del Presidente del Consiglio, dell'8 novembre 1993.
Si deve sottolineare, nelle norme regolamentari del 1986, un aspetto discutibile e rischioso. Esso consisteva nell'aver previsto una distruzione annuale dei documenti di spesa e comunque una distruzione all'atto del cambio del Direttore del Servizio o del Ministro competente. D'altro canto, la previsione relativa al rendiconto era ancora generica.
La circolare dell'8 novembre 1993 intende ovviare a tali limiti, prevedendo «esaurienti consuntivi», che devono essere approvati dall'autorità politica con cadenza trimestrale. Inoltre essa stabilisce che alla fine di ciascun esercizio finanziario, ovvero quando cambia il Direttore del Servizio o il Ministro, i documenti di spesa siano chiusi in busta sigillata e conservati per dieci anni. Si tratta di innovazioni positive.
A questo proposito, pur nell'ambito dell'attuale legislazione che traccia confini angusti al controllo parlamentare, e in attesa che a questo sia riconosciuta normativamente una più ampia portata, sarebbe opportuno che le autorità di governo, relativamente ai fondi riservati, dessero sempre tempestiva comunicazione al Comitato dell'avvenuta e regolare approvazione periodica del consuntivo e, alle scadenze previste, delle operazioni di raccolta e conservazione dei documenti di spesa.
Occorre inoltre che sia espressamente vietata la possibilità di ricorrere ad anticipazioni dai fondi ordinari ai fondi riservati, come ogni altro meccanismo tale da consentire che vi siano spese riservate, con controllo attenuato, per attività che nulla hanno a che vedere con le esigenze di segretezza del Servizio.




Il Comitato parlamentare ha rilevato l'esistenza di una singolare e grave anomalia nei rapporti che, sulla base di norme regolamentari, si sono stabiliti tra i Servizi d'informazione e di sicurezza e la Corte dei conti. L'anomalia si ricollega ad un uso illegittimo dei fondi riservati.
Il Presidente del Senato, il 13 febbraio 1995, ha inviato al Comitato una nota del SECIT (Servizio centrale degli ispettori tributari), concernente un'indagine relativa al SISDe. La nota ha una particolare rilevanza istituzionale, poiché in essa «sono rappresentate plurime ipotesi di irregolarità di governo, amministrative e di controllo da parte della Corte dei conti, oltreché di veri e propri reati a carico di funzionari pubblici non nominativamente indicati». Il Presidente del Senato è stato investito della questione, insieme a una serie di altri uffici, destinatari della lettera, dal momento che la richiesta al SISDe di documenti necessari ad accertare i fatti oggetto di indagine era rimasta senza risposta.
La nota del SECIT ricorda che la legge n. 801 del 1977 prevede, all'articolo 7, che i magistrati non possano essere dipendenti dai Servizi d'informazione e di sicurezza. Di conseguenza, non possono percepire alcuna indennità dal SISDe, come dal SISMi.
Risulta invece - così prosegue la nota - che un regolamento emanato nel 1989 (classificato come segreto) riconosce una indennità a favore dei magistrati della Corte dei conti addetti al controllo degli atti del SISDe.
È il SISDe a corrispondere tale indennità. Ne ha dato conferma il dottor Gaetano Pellegrino, magistrato delegato al controllo consuntivo sui rendiconti, la contabilità e la gestione del Ministero dell'interno, dichiarando di aver rifiutato «somme di denaro offerte in nero dal dottor Broccoletti del SISDe», pur essendo tali erogazioni previste dal citato regolamento del 1989. Egli considerava quel denaro «offerto in modo illegale e quindi senza la possibilità di adempiere regolarmente agli obblighi fiscali». Precisava di non escludere che altri magistrati avessero percepito somme allo stesso titolo.
Avendo richiesto al SISDe la documentazione necessaria ad accertare i fatti, il SECIT ottenne una risposta interlocutoria dal Direttore del Servizio, il 15 febbraio 1994. Il prefetto Domenico Salazar si riservò di trasmettere quei documenti, dopo aver ottenuto l'assenso del Procuratore della Repubblica di Roma. I fatti erano oggetto di un procedimento penale e una parte dei documenti erano stati già acquisiti dall'Autorità giudiziaria. La documentazione richiesta, a cominciare dal regolamento del 1989, non è mai stata trasmessa al SECIT, che pure la giudicava fondamentale.
Il Comitato ha provveduto a verificare l'esattezza di quanto affermato nella nota ed ha ottenuto dal SISDe la trasmissione di alcuni documenti che il SECIT non era riuscito ad avere.
Si è così riscontrata l'esistenza di una ulteriore situazione abnorme nell'amministrazione del SISDe. L'articolo 27, comma 1, del regolamento emanato dal Ministro dell'interno il 13 marzo 1989 dispone: «Per l'esercizio del controllo da parte dei magistrati della Corte dei conti e del Direttore della Ragioneria centrale del Ministero dell'interno, che viene svolto in via successiva, sono posti a disposizione appositi locali presso la sede del SISDe, con modalità idonee ad assicurare la sicurezza e la segretezza dei documenti». Si vuole circondare l'attività di controllo di speciali cautele, impedendo che i documenti materialmente si spostino dai locali del Servizio. Ma subito dopo, al secondo comma, troviamo una previsione che non ha nulla a che fare con le esigenze di sicurezza: «A detto personale compete, per la durata dell'incarico, l'indennità di cui all'articolo 33 del DPCM n. 7 del 21.11.1980». Il rinvio al citato articolo 33 implica che l'indennità sia determinata con decreto del Presidente del Consiglio.
Si tratta di una retribuzione aggiuntiva a favore di quei magistrati, per l'assolvimento di un compito istituzionale che è già retribuito con lo stipendio.
La norma regolamentare è evidentemente illegittima. Essa comporta che somme di denaro vengano corrisposte ai magistrati della Corte dei conti incaricati del controllo degli atti del SISDe, in violazione dell'articolo 7 della legge n. 801 del 1977.
Ma il regolamento del 1989 ricalca una norma anteriore, ugualmente illegittima. L'articolo 33 del DPCM n. 7 del 21.11.1980 (citato dal regolamento del 13 marzo 1989) già indica quali siano i destinatari della indennità da determinarsi con decreto del Presidente del Consiglio. Prevede infatti che essa sia erogata «al personale che presta servizio presso gli uffici indicati nel precedente articolo 31».
Quest'ultima norma non si riferisce, come pure ci si aspetterebbe, a personale del Servizio, ma a personale che esercita «il controllo sugli atti concernenti lo stato giuridico e il trattamento economico di attività e di quiescenza del personale degli organismi di informazione e di sicurezza, nonché sulle spese imputate al capitolo di organizzazione e funzionamento iscritto nello stato di previsione della spesa della Presidenza del Consiglio dei Ministri». Tale controllo, specifica ancora l'articolo 31, «è esercitato dalla Corte dei conti e dalla Ragioneria generale dello Stato presso la sede della Segreteria generale del CESIS», e la relativa «assegnazione del personale è disposta rispettivamente dal presidente della Corte dei conti e dal Ragioniere generale dello Stato».
Appare chiaro che la corresponsione dell'indennità, così disciplinata, si applica alle attività di controllo sull'insieme dei Servizi. Le somme devono essere erogate attingendo ai fondi riservati. L'articolo 18 del DPCM n. 8 del 21 novembre 1980 dispone infatti: «Ferme restando le misure nette attualmente stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, le indennità […] sono assoggettate a ritenuta, a titolo di imposta, nella misura del 25 per cento, sulla parte eccedente il 60 per cento del loro ammontare. La spesa inerente a dette attività grava sui fondi del capitolo riguardante spese riservate».
Non si comprende quale sia il senso di una simile scelta. Né sembra che vi siano, in questo caso, ragioni di sicurezza le quali impediscano di attingere ai fondi ordinari. C'è forse qualche motivo per mantenere segreto l'esercizio di questa specifica attività di controllo? In base a criteri di normale ragionevolezza, la risposta non può che essere negativa.
Resta dunque un dato innegabile. Le norme regolamentari esaminate prevedono che i magistrati della Corte dei conti percepiscano indennità aggiuntive dalle strutture amministrative che sono oggetto del loro controllo. È una retribuzione che l'ente controllato eroga a favore dei controllori, in netto contrasto con l'indipendenza (costituzionalmente garantita) della magistratura contabile. Per di più, in questo caso - trattandosi di Servizi di informazione e sicurezza - siamo di fronte a una violazione palese della legge che vieta ai magistrati di stabilire rapporti di dipendenza, anche in modo saltuario, con questi organismi.
Il Comitato richiama l'attenzione del Parlamento e del Governo sulla illegalità di tali disposizioni e dei compensi che da esse hanno avuto origine.




Il Consiglio di Stato, con parere della prima sezione (n. 1876/86 del 14 novembre 1986) ha riconosciuto che tra i poteri attribuiti al Presidente del Consiglio dall'articolo 1 della legge n. 801 del 1977 rientra l'emanazione di disposizioni intese a dettare una disciplina ad hoc nel settore degli archivi dei Servizi.
A seguito di tale pronuncia è stata emanata la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15 febbraio 1988 che fissa i princìpi generali in materia di organizzazione degli archivi dei Servizi di sicurezza, poi resi esecutivi, rispettivamente, dal SISMi il 28 aprile 1988 e dal SISDe il 29 aprile 1988, ferme restando le disposizioni di cui alla direttiva n. 4012/1 del 10 gennaio 1986, in materia di gestione delle spese.
Sono acquisibili agli archivi dei Servizi gli atti di origine esterna comunque pertinenti ai fini dello svolgimento delle attività istituzionali e di qualsiasi origine.
Gli atti interni sono prodotti in esclusiva funzione dell'attività di istituto. Esaurito il procedimento di formazione sono trasferiti negli archivi ove è conservata la documentazione relativa a tutta l'attività svolta. Gli atti interni devono risultare coerenti con i compiti istituzionali, avuto riguardo alle situazioni del tempo in cui vengono prodotti.
Gli archivi sono distinti, secondo il criterio adottato nelle pubbliche amministrazioni, tra archivi correnti e archivi di deposito. Nell'ambito di ogni Servizio può essere istituito un archivio storico. Più in particolare, il regolamento del SISMi specifica che gli archivi correnti sono quelli che conservano la documentazione di immediata necessità, mentre gli archivi di deposito custodiscono la documentazione afferente affari già espletati, ma richiamabili anche in successivi e diversi contesti. Il regolamento del SISMi dispone la costituzione dell'archivio storico del Servizio.
Il regolamento del SISDe accenna alla costituzione di un archivio di documentazione storica come obiettivo «da porsi».
I Servizi non sono tenuti al versamento agli archivi di Stato dei documenti relativi agli affari esauriti. Sono versati all'archivio di Stato qualora gli atti si riferiscano ad affari esauriti da oltre 40 anni, siano di rilevante interesse storico e non sussistano i presupposti di tutela del segreto.
Le strutture periferiche devono detenere la documentazione relativa alle operazioni in corso e alle questioni che si ritengono non esaurite nonché la documentazione essenziale riguardante la gestione del personale e dei mezzi.
I Direttori possono stabilire le modalità di registrazione della corrispondenza, della tenuta dei registri di protocollo, della circolazione interna, dell'archiviazione, della conservazione e dello scarto o della riproduzione della documentazione.
I regolamenti del SISMi e del SISDe dettano entrambi la normativa di esecuzione di tale principio fissato dalla direttiva.
Sono nominate dai Direttori commissioni interne per gli archivi con il compito di disporre le operazioni di scarto in vista dei versamenti negli archivi di deposito o nell'archivio storico, nonché di indicare i documenti da distruggere in quanto ne sia venuta meno l'utilizzabilità ai fini istituzionali.
Il regolamento del SISDe istituisce una commissione interna costituita dal Capo di gabinetto, dal Capo del reparto logistico, dal Capo del II reparto e da un funzionario del servizio ispettivo con il compito di disporre le operazioni di scarto in vista della preparazione dei versamenti dall'archivio di deposito a quello storico (da costituire) e tali operazioni, da svolgersi periodicamente, dovranno anche indicare i documenti riservati da distruggere in quanto ne sia venuta meno l'utilizzabilità ai fini istituzionali; di dare parere su tutte le questioni ad essa sottoposte in materia di organizzazione, ordinamento, funzionamento e tenuta dell'archivio.
Il regolamento del SISMi prevede che ogni articolazione del Servizio, provvista di archivi propri, deve costituire un'apposita commissione, composta da almeno tre membri, con il compito di individuare i documenti da mantenere negli archivi correnti e di deposito in quanto di attuale e permanente interesse ai fini istituzionali e per lo svolgimento delle attività di competenza; di raccogliere gli atti di valore storico-istituzionale che devono essere consegnati all'archivio storico; di proporre la distruzione degli atti ritenuti non più necessari né di interesse o esuberanti. E la distruzione deve essere specificamente autorizzata dal Direttore del Servizio.
È consentita l'utilizzazione di strumenti tecnologici (informatica, microfilmatura), disciplinata da speciali regolamenti emanati dai Direttori e i regolamenti del SISMi e del SISDe dettano entrambi, al riguardo, una normativa di dettaglio.


Fin qui si sono esaminate le regole di funzionamento attuali. È centrale in esse - per entrambi i Servizi - la distribuzione tra archivio corrente ed archivio storico. Nel passaggio dall'uno all'altro vi sono le operazioni di «scarto», affidate ad una valutazione del tutto discrezionale. Così, una parte della memoria va perduta.
A giudizio del Comitato, la distruzione di documenti originati dall'attività del Servizio andrebbe invece evitata.
I problemi più rilevanti riguardano comunque la formazione dei documenti, le modalità della loro conservazione, la loro reperibilità e quindi l'accesso agli archivi.
La relazione ha già preso in esame episodi nei quali i documenti sono stati formati illegittimamente (per esempio i fascicoli del SIFAR negli anni 60) o sono stati fin dalla loro origine manipolati (l'informativa Tanzilli); o sono scomparsi, pur essendo inclusi negli archivi, per poi riemergere successivamente (informativa su Gelli; documenti sottratti ai Servizi ed in possesso di Pecorelli; documenti SISMi solo recentemente acquisiti e menzionati nella nota del giudice Salvini).
In qualche caso, risulta singolare la totale assenza di documentazione (si pensi alla clamorosa reticenza del SISMi di Santovito sul rapporto Servizi-massoneria).
Su tutta la vicenda relativa alla strage di Ustica, l'Autorità giudiziaria non ha potuto ricevere dagli archivi del SISMi null'altro se non pochi ritagli di stampa. Si può ritenere che quel fatto sia stato considerato una semplice sciagura o che, in presenza di indagini dell'Autorità giudiziaria e per non interferire con esse, non vi sia stata alcuna attività informativa.
Ma certamente non costituisce una prova di efficienza per il Servizio l'essere rimasto inerte e non avere avuto nulla da segnalare.
In altri casi, all'atto dell'acquisizione di documenti da parte dell'Autorità giudiziaria, appare evidente il disordine, determinato dal fatto che documenti di epoche diverse si mescolano e si sovrappongono e che la conservazione appare del tutto approssimativa.
Così è nella documentazione del SIOS Aeronautica sempre a proposito della strage di Ustica, acquisita di recente dal giudice istruttore Rosario Priore. Insieme a documenti prima mai trasmessi, in più contenitori apparirono - a quanto ha segnalato al Comitato il dottor Priore - «comunicazioni ed atti interni e preliminari all'invio all'Autorità giudiziaria della documentazione richiesta» nonché «disposizioni sul comportamento da tenere negli interrogatori davanti all'Autorità giudiziaria».
Inquietanti elementi di fatto - già indicati nella presente relazione - suggeriscono inoltre ipotesi di una manipolazione dei documenti, relativi alla VII Divisione ed alla struttura Gladio, che sono stati trasmessi all'Autorità giudiziaria.
La funzione di un archivio dovrebbe essere proprio quella di evitare tali inconvenienti. Dovrebbe essere quella di raccogliere puntualmente tutti i documenti prodotti, in base a criteri e con modalità tali da consentirne il reperimento.
Il fatto che ciò non avvenga per l'attività dei Servizi di informazione e di sicurezza è un aspetto di quel cattivo uso della discrezionalità che è più volte emerso nella storia di questi apparati.
Agire sulle forme di raccolta e di conservazione per nascondere documenti e renderli inconsultabili è infatti una deviazione. È importante definire in modo certo le modalità di formazione dell'archivio e le modalità di accesso. Occorre assolutamente evitare che vi siano criteri di sistemazione dei documenti diversi da quelli apparenti e noti soltanto ad alcuni soggetti e che così si realizzi un archivio con settori occulti. Ciò avviene quando informazioni gravi o comunque significative vengono incluse in altri documenti o in fascicoli di argomento estraneo, o nei quali comunque chi consulta l'archivio non andrebbe a cercarli.
Il ministro Maroni ha segnalato come questo sistema sia stato largamente in uso nel SISDe. Egli ha parlato in proposito di «galleggiamento delle informazioni o dei fascicoli, con spostamento a seconda delle opportunità del momento da un fascicolo all'altro». Il Ministro ha citato il caso limite di una informativa illegittimamente acquisita all'epoca della direzione Salazar e contro le direttive di questi. Si trattava di un'informativa senza contenuto, una «non notizia», relativa al senatore Francesco Cossiga. L'esistenza di questo documento suscitò giustificate censure, ma il dato più rilevante - oltre l'illegittimità e l'assenza di contenuti informativi - era, secondo quanto ha dichiarato il Ministro, che esso fosse incluso in un fascicolo intestato alla forza politica di Rifondazione comunista, divenendo perciò, a causa di questa inclusione, irreperibile, salvo che per alcuni soggetti.
Si comprende facilmente a quali abusi può dare luogo una simile prassi.
Per realizzarsi comunque essa richiede il concorso di più operatori e non può essere il frutto di una iniziativa individuale.




Per entrambi i Servizi, è possibile identificare in sintesi le fondamentali ragioni politiche delle deviazioni. Esse non coincidono, anche se fanno parte di un medesimo contesto storico ed istituzionale.
Un filo comune lega e rende spiegabili le deviazioni del Servizio segreto militare, nelle vicende che prima, a titolo di esempio, si sono descritte. Ciascuno di quei comportamenti, anche il più lontano dalla legalità, aveva come sfondo ed usava come giustificazione il quadro internazionale della guerra fredda.
I cattivi usi della discrezionalità, la strumentalizzazione dell'attività informativa a fini di parte, il depistaggio di indagini giudiziarie sulle stragi sono comportamenti tutti riconducibili ad un intendimento politico: agire sempre per la stabilizzazione dei rapporti di forza, per la continuità del ceto di governo e contemporaneamente per protrarre oltre ogni limite ragionevole la logica della guerra fredda.
Le deviazioni del servizio segreto interno erano invece direttamente connesse ad un quadro istituzionale e politico di estrema debolezza dei controlli. La inamovibilità di quel sistema era una condizione da mantenere. Gli abusi nel SISDe si sono determinati perché una parte del gruppo dirigente ha approfittato della debolezza dei controlli, allo scopo di acquisire illegittimamente e conservare potere e denaro.
La trasformazione del quadro internazionale (95) e i cambiamenti nello scenario politico italiano possono diventare l'occasione perché mutino radicalmente, perché siano ricondotte alle regole costituzionali e ad un rigoroso controllo da parte dell'autorità politica e del Parlamento le finalità e la prassi dell'intero sistema di informazione e di sicurezza.
Questa è la prospettiva che il Comitato indica al Parlamento e al Governo. Per realizzarla appare indispensabile procedere ad una verifica della lealtà, della preparazione e delle attitudini del personale, anche prevedendo una selettività più rigorosa nel reclutamento ed un limite temporale di permanenza nel Servizio. Occorre inoltre al più presto fissare nuove regole che disciplinino organicamente l'intera materia del segreto di Stato, che introducano garanzie certe su alcuni punti essenziali: la memoria di tutte le operazioni dei Servizi di informazione e di sicurezza, la temporaneità del segreto, la responsabilità dell'autorità politica di governo e l'efficacia del controllo parlamentare.




Il primo ed essenziale passo per la riforma dei Servizi di informazione e di sicurezza consiste nel rinnovare la composizione, nell'adottare una nuova disciplina relativa al reclutamento.
Occorre fissare anzitutto due princìpi generali: un termine massimo di appartenenza per coloro che provengono dalle amministrazioni statali ed una assunzione selettiva (attraverso un vero e proprio esame di concorso ed in base al giudizio di una commissione) di quelli che non sono già stati precedentemente assunti da un'altra amministrazione pubblica.
Nel campo del reclutamento e dello status del personale regna la confusione più autentica. Non sono stati chiariti i criteri che hanno portato all'allontanamento, percentualmente rilevante, di personale, effettuato nel 1994.
Gli elementi provenienti dalle amministrazioni civili e militari dello Stato vengono, quasi sempre, «chiamati» su indicazione nominativa espressa dall'interno, cioè da parte di componenti dei Servizi, oppure su «segnalazione» di esponenti politici o di altri personaggi di rilievo.
È facile comprendere come i meriti, le capacità e le specifiche attitudini in più occasioni non vengano minimamente considerati e come, invece, possa verificarsi un complesso fortemente negativo di favoritismi e di condizionamenti preventivi.
Circa, poi, il personale reclutato direttamente, sono fin troppo note le polemiche sul clientelismo delle assunzioni. Appare indispensabile ed urgente provvedere a un radicale cambiamento di regole: il personale proveniente dalle varie amministrazioni statali dev'essere richiesto non nominativamente ma quantitativamente, sulla base di ben definiti profili professionali; le stesse amministrazioni destinate a fornire il personale dovrebbero scegliere in base a fattori tecnici e professionali; le amministrazioni potrebbero fornire un elenco comprendente la totalità dei soggetti in possesso dei requisiti richiesti e delle caratteristiche professionali ritenute necessarie e su questo elenco il Presidente del Consiglio dei Ministri per il CESIS, il Ministro della difesa per il SISMi e il Ministro dell'interno per il SISDe dovrebbero operare la scelta sotto la propria esclusiva responsabilità; gli elementi da reclutare direttamente dovrebbero essere selezionati con procedure e modalità tali da offrire la massima garanzia contro qualsiasi forma di favoritismo o discriminazione. Le commissioni di esame, ad esempio, non dovrebbero comprendere, o per lo meno non dovrebbero comprendere in modo esclusivo, funzionari dei Servizi. Occorrerebbe assicurare in esse la presenza determinante di persone di chiara rettitudine e di provate capacità, nominate sotto la propria responsabilità, dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche in questo caso potrebbe essere ideato un controllo del Comitato parlamentare; si potrebbe anzitutto prevedere un obbligo di consegnare i verbali delle commissioni d'esame al Comitato; il personale chiamato a far parte dei Servizi non dovrebbe, almeno in linea di massima, permanere nei medesimi oltre un limite di tempo troppo prolungato.
Per quanto riguarda i soggetti provenienti da altre amministrazioni dello Stato, la questione può essere convenientemente risolta con la fissazione di un limite di tempo, graduato secondo l'importanza degli incarichi ricoperti, da considerare improrogabile, stabilendo che in nessun caso, anche a distanza di un lungo periodo, possano aver luogo dei «rientri» negli organici.
Per chi è reclutato direttamente mediante concorso, si può prevedere il passaggio dei soggetti, dopo una certa permanenza, ad altre amministrazioni dello Stato.
Uno degli aspetti più negativi della politica del personale nell'ambito dei Servizi è costituito dalla circostanza che una certa parte dei componenti collocati a riposo per limiti di età continua ad «orbitare» nel giro dei Servizi stessi. Due, fondamentalmente, i sistemi adottati: o il soggetto viene assunto come «consulente», oppure viene reclutato come «fonte». È evidente la necessità di definire norme dirette ad interrompere questo fenomeno e che non permettano sotterfugi. Occorrerebbe che sul problema venissero impegnati i dirigenti responsabili e in primo luogo i Direttori dei Servizi.
Altre norme volte al rinnovamento dovrebbero prescrivere:
a) la cessazione immediata dalla carica e dall'appartenenza ai Servizi di tutti coloro che ricoprono o hanno ricoperto, anche non continuativamente e con funzioni diverse, incarichi direttivi per un periodo di tempo da ritenere sicuramente troppo lungo, da fissare, ad esempio, a dieci anni;
b) l'adozione dello stesso provvedimento nei riguardi di coloro che, pur non ricoprendo incarichi direttivi, hanno periodi di permanenza particolarmente protratti, ad esempio da quindici anni;
c) la fissazione a regime di limiti di permanenza massima (distinguendo gli incarichi direttivi e gli altri: potrebbero essere rispettivamente cinque e dieci anni) per il periodo a venire, con carattere di assoluta obbligatorietà e senza eccezione alcuna.


La scelta prevalente dei maggiori paesi e la specifica esperienza italiana, verificata negli anni, inducono il Comitato a confermare la validità del sistema binario, articolato su due Servizi, secondo la divisione di compiti stabilita dalla legge n. 801 del 1977.
Vanno eliminate le sovrapposizioni e le interferenze. Il Comitato non ritiene utile la creazione di Centri SISDe all'estero. Questo Servizio deve assumere il ruolo di intelligence interna, con la capacità di stabilire rapporti di collaborazione con Servizi di altri paesi, soprattutto per seguire gli itinerari ed i collegamenti delle grandi organizzazioni criminali. Va ricordato che una intelligence anticriminalità sul versante estero spetta anche al SISMi. Si pone un problema di coordinamento.
Il Comitato non ignora le ragioni di chi sostiene la unificazione del sistema di informazione e di sicurezza, proprio allo scopo di eliminare disarmonie operative e concorrenza tra le due attuali strutture. Si ritiene tuttavia che la bipartizione offra maggiori garanzie, anche per una distribuzione di poteri in questo delicato settore.
Il Comitato sottolinea l'esigenza di una integrazione delle strategie di intelligence e di una elaborazione unitaria di situazioni e previsioni. Deve esserci un responsabile tecnico che organizza per il Presidente del Consiglio la elaborazione dei dati provenienti dalle due strutture operative, ma anche di dati che vengono richiesti ad altri organi di indagine preventiva (per esempio la DIA).


L'Autorità politica di governo deve assumere la piena responsabilità degli atti di indirizzo e di controllo sul sistema della sicurezza. Al tempo stesso occorre che tutte le funzioni relative alla determinazione ed alla tutela del segreto di Stato vengano direttamente ricondotte ad un responsabile politico. Non può essere un Ministro tra gli altri. Non certo uno dei due già responsabili delle strutture operative, né tanto meno un terzo.
È bene che la titolarità delle funzioni indicate resti del Presidente del Consiglio. Ma il Comitato ritiene che debba essere istituzionalizzata la delega di tali funzioni ad un Sottosegretario di Stato.
Finora, in base all'articolo 3, comma 3, della legge n. 801 del 1977, vi è stata per alcuni anni una delega a presiedere il CESIS e quindi ad esercitare compiti di coordinamento non meglio definiti. Occasionale e parziale, quella delega politica non ha dato buona prova. Ha allontanato ancora di più il Presidente del Consiglio da una effettiva responsabilizzazione. Né i Sottosegretari delegati avevano un potere reale di guida e di controllo.
La delega può funzionare se, accanto alla responsabilità della politica informativa ed al compito di presiedere il CESIS, vengono assegnate al Sottosegretario anche le funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza.
Il Sottosegretario di Stato, con questa fisionomia istituzionale, assicurerebbe al Comitato parlamentare, munito di poteri più vasti e penetranti rispetto a quelli attuali, una continuità di rapporti con l'Esecutivo, oggi, molto difficile da realizzare. In relazione all'insieme dei poteri spettanti in questo campo alla Presidenza del Consiglio, da quelli relativi al segreto fino alla procedura di rilascio dei NOS, che va debitamente regolata in sede legislativa, il Segretario generale del CESIS andrebbe ricondotto al ruolo di responsabile tecnico, sotto la guida ed il controllo di un'autorità politica specificamente competente.


Il Segretario generale del CESIS deve svolgere funzioni di coordinamento operativo tra i Servizi, di integrazione delle strategie e dei dati informativi che provengono da essi. Nella legge attuale questo ruolo non è riconosciuto.
Il Comitato ritiene che il centro unitario delle attività di intelligence, capace di analizzare gli elementi comunicati dai Servizi e di elaborare le relative situazioni, da sottoporre all'autorità politica per la definizione degli obiettivi strategici e per l'assunzione di direttive conseguenti, debba individuarsi in un responsabile tecnico, con un alto livello di competenza e di capacità professionale. Esso deve essere affiancato da un personale ristretto, adeguatamente specializzato nell'elaborazione dei dati informativi. Le valutazioni d'insieme sui dati elaborati e le conseguenti scelte di indirizzo che i due Servizi tradurranno sul piano operativo vengono discusse e definite all'interno di una struttura collegiale snella. Presieduto dal Sottosegretario competente, titolare - secondo quanto si è appena proposto - delle funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza, il CESIS comprenderà, oltre al Segretario generale, i due Direttori dei Servizi. Altre autorità possono, di volta in volta, partecipare alle riunioni su singoli temi, per i quali sia necessaria una consultazione o un'intesa.


Istituito come contrappeso collegiale del potere monocratico del Presidente del Consiglio, il CIIS (Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza) ha dimostrato scarsa utilità, essendo privo di significative competenze, ridotto a funzioni di consulenza e proposta in un'area di attività esclusiva del Presidente del Consiglio. La specificità degli apporti di conoscenza, il contributo dell'uno o dell'altro Ministro e la possibilità di un raccordo esecutivo sono meglio realizzabili senza un organo stabile, ma anzi puntando su forme più flessibili di concertazione, attraverso conferenze interministeriali di volta in volta promosse in relazione alle tematiche da affrontare.
La conservazione del CIIS non è giustificata neppure dall'adozione di specifici atti riguardanti l'ordinamento dei Servizi. Il Consiglio dei Ministri (ad esempio per la nomina dei Direttori) o i singoli Ministri (per la determinazione degli organici, per il trattamento giuridico ed economico del personale) possono adeguatamente provvedere senza il superfluo appesantimento del parere del CIIS.


Le competenze dell'UCSI devono essere ridimensionate e definite per legge, come l'intera materia del segreto.
L'UCSI deve diventare l'Ufficio che cura l'applicazione delle norme sulla segretezza, sulla classificazione e declassificazione, sulla temporaneità del segreto, relativamente ad atti, documenti e materiali rilevanti per la sicurezza dello Stato.
Occorre fissare regole certe sul rilascio del Nulla Osta di Segretezza.
Il Presidente del Consiglio dovrebbe comunicare al Parlamento i criteri per la concessione del NOS individuale e per l'abilitazione delle imprese, nonché gli eventuali accordi internazionali a cui i criteri si riconducono.
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, si dovrebbero indicare gli organi amministrativi centrali e periferici che rilasciano le abilitazioni, in rapporto ai lavori da svolgere ed ai livelli di segretezza ai quali accedere. Va evitata la concentrazione in un solo ufficio di tutte le decisioni. Le informazioni, raccolte presso l'amministrazione di provenienza e presso gli organi di polizia, devono escludere ogni considerazione delle opinioni o dell'appartenenza politica dei candidati.
All'interessato va riconosciuto il diritto di ottenere, previa richiesta, una comunicazione del provvedimento. Egli, entro un termine dalla data di comunicazione, dovrebbe avere diritto di chiederne la revisione al Presidente del Consiglio. Copia della istanza dovrebbe essere inviata al Comitato parlamentare. Ugualmente, il Presidente del Consiglio dovrebbe dare comunicazione all'interessato ed al Comitato parlamentare della decisione finale assunta.


Al Comitato parlamentare dev'essere riconosciuto un potere di controllo sia sulla responsabilità politica dell'Esecutivo, nelle sue diverse articolazioni (il Presidente del Consiglio, il Sottosegretario ai Servizi, i Ministri della difesa e dell'interno) sia sulla gestione tecnica dei Servizi.
Al controllo sull'applicazione dei princìpi stabiliti dalla legge, quale è previsto dalla normativa vigente, deve sostituirsi un controllo sulle attività dei Servizi e sull'esercizio delle funzioni dell'Autorità nazionale per la sicurezza relative al segreto, nonché sulle procedure di rilascio dei NOS. Al Comitato dev'essere riconosciuto il potere di acquisire direttamente atti e documenti dei Servizi relativi ad operazioni già compiute, ferma restando la salvaguardia delle fonti informative.
All'ampliamento del controllo parlamentare deve corrispondere l'obbligo dei responsabili dell'Esecutivo e dei Servizi di fornire tempestivamente al Comitato informazioni sugli obiettivi che si perseguono, sui risultati raggiunti e su ogni fatto rilevante (concretizzarsi di nuovi rischi, mutamento degli indirizzi relativi alla gestione del servizio, inchieste amministrative, provvedimenti disciplinari nei confronti di funzionari). L'ambito della opponibilità del segreto di Stato al Comitato parlamentare deve essere rigorosamente circoscritto alle operazioni in corso ed alle fonti informative da salvaguardare.
Va inoltre previsto l'obbligo del Comitato di presentare almeno una relazione annuale al Parlamento sulle attività di controllo svolte.


Nel sistema della legge n. 801 del 1977, interlocutori del Comitato sono soltanto il Presidente del Consiglio ed i Ministri competenti. Nella prassi, numerosi altri soggetti sono stati chiamati a dare il loro apporto di conoscenze all'organo parlamentare e a fornire specifiche informazioni: responsabili ed ex responsabili dei Servizi, ex esponenti del Governo e perfino soggetti estranei all'amministrazione.
Occorre che la legge riconosca il diritto del Comitato di ottenere informazioni direttamente dai funzionari dei Servizi e di altri apparati di sicurezza, ai vari livelli, nonché da soggetti estranei.


Il legislatore deve intervenire in materia di conservazione dei documenti e di accesso del Comitato parlamentare.
La circolare del Presidente del Consiglio dell'8 novembre 1993 dispone la conservazione dei documenti relativi alle spese riservate, a chiusura di ogni esercizio, in busta sigillata per dieci anni. Poi è prevista la distruzione.
Analogamente, nei regolamenti adottati dal SISMi e dal SISDe in materia di archivi, si prevede la nomina, da parte dei Direttori, di commissioni interne, con il compito, tra l'altro, di indicare i documenti da distruggere, in quanto ne sia venuta meno la utilizzabilità ai fini istituzionali.
L'unica struttura, nel sistema di informazione e di sicurezza, che non ha mai distrutto documenti raccolti nell'attività informativa è il II Reparto della Guardia di finanza.
Una riforma legislativa volta a garantire il controllo deve prevedere l'obbligo dei Servizi di conservare la documentazione di ogni operazione, compresa la registrazione puntuale delle spese riservate.


Al Comitato parlamentare deve riconoscersi il diritto di accedere direttamente ai documenti conservati e quindi alla conoscenza di operazioni già concluse (ferma restando l'esigenza di copertura delle fonti informative).
Si renderebbe così possibile una valutazione - da compiere ex post, evitando rischi di cogestione - circa l'attuazione degli indirizzi di politica dell'informazione e della sicurezza nonché circa il rapporto tra costi sostenuti e risultati conseguiti (96). Ciò consentirebbe di eliminare ogni ombra in relazione alle spese sostenute nell'attività informativa, non trascurando le operazioni svolte in occasione dei sequestri di persona.


Ordinamenti di numerosi paesi - Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania - affidano al Parlamento, secondo diverse procedure, il controllo sulla formazione e sulla gestione del bilancio dei servizi, ma soprattutto un controllo successivo sulla gestione.
Questa funzione può essere assegnata al Comitato, purché esso disponga di adeguati strumenti conoscitivi, che gli permettano di esprimere un circostanziato parere alle Commissioni bilancio del Senato e della Camera.
Va in ogni caso salvaguardato il principio per cui la rendicontazione è obbligatoria. Per le spese riservate è necessaria una precisa assunzione di responsabilità dell'autorità di governo, con responsabilità duplice del Ministro competente e del Presidente del Consiglio. E vi è poi la successiva verifica, ad opera del Comitato parlamentare, sulla conformità agli indirizzi politici e sulla congruità del costo del risultato.


Se il controllo parlamentare dev'essere potenziato, sono necessarie nuove disposizioni che, a tutela del segreto, garantiscano ulteriormente i responsabili politici e tecnici del sistema di informazione e di sicurezza, quando forniscono al Comitato notizie relative all'attività di intelligence ed alla sua organizzazione.
È necessario che il dovere di mantenere il segreto sui lavori del Comitato venga tutelato attraverso la previsione di sanzioni.
Si prospetta, al riguardo, l'adozione di nuove norme dei Regolamenti delle Camere che dispongano la decadenza dal Comitato, la esclusione da determinati collegi parlamentari, quali le Commissioni di inchiesta, e la sospensione per lunghi periodi dai lavori parlamentari.


L'organizzazione degli archivi dei Servizi non è soltanto inadeguata sotto il profilo della efficienza o carente ai fini del controllo. Essa è stata, in occasione di numerosi procedimenti penali che avevano ad oggetto l'attività dei Servizi e le loro deviazioni, un impedimento alla ricerca della verità. La confusione, la difficoltà di trovare documenti su determinate vicende, l'assenza di risposte dagli archivi hanno costituito un vero e proprio depistaggio passivo di quelle indagini giudiziarie.
È necessaria una riorganizzazione complessiva che muova da un principio. Per ogni nome di persona e per ogni fatto deve esservi una unità informativa - fascicolo o scheda informatizzata - che risulti autonomamente reperibile.
Per le modalità di archiviazione vanno stabiliti criteri tassativi. Può esservi al riguardo una delega mediante legge al Governo, con la definizione dei princìpi cui le norme delegate dovranno attenersi e con la previsione di un parere obbligatorio da parte del Comitato parlamentare.
È opportuno creare un'agenzia autonoma che, trascorso un certo numero di anni, acquisisca e conservi tutta la documentazione dei Servizi e degli altri apparati di sicurezza, con criteri certi di archiviazione.


Il Comitato ritiene necessario giungere all'adozione di una normativa che definisca compiutamente le condizioni per la determinazione della segretezza di atti, documenti e materiali: i soggetti che hanno il potere di segretazione ed i criteri del suo esercizio. La disciplina del Regio decreto legislativo n. 1161 dell'11 luglio 1941 va sostituita da una organica regolamentazione del segreto di Stato.
Le norme che delineano il sistema di classificazione devono essere seguite da precise disposizioni sulle procedure di declassificazione. La declassificazione deve articolarsi in procedure sia automatiche sia a discrezionalità vincolata.
Devono essere graduati i livelli di segretezza che andrebbero limitati a due soltanto invece dei quattro attuali.
La durata temporale va fissata in rapporto ai livelli. Il principio base è che nessun atto, documento o materiale può rimanere segreto oltre un limite massimo di tempo.


Qualora il Presidente del Consiglio dovesse opporre al magistrato richiedente gli atti il segreto di Stato, il Comitato dovrebbe essere posto nelle condizioni di compiere una valutazione completa e approfondita, accedendo direttamente agli atti medesimi. Occorre dunque prevedere l'inopponibilità del segreto di Stato al Comitato parlamentare. Questo, se ravvisasse, a maggioranza assoluta dei componenti, l'infondatezza dell'apposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio, ne dovrebbe riferire alle Camere, avendo cognizione analitica degli atti, non più limitata alla «sintetica motivazione» di cui all'articolo 16 della legge n. 801 del 1977. Restando intatta la facoltà del potere giudiziario di sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, al Comitato sarebbe riservato un circostanziato giudizio politico sull'operato del Presidente del Consiglio, da sottoporre al Parlamento.


È assai frequente che si stabilisca un collegamento fra l'attività giudiziaria e la funzione di controllo del Comitato. Esse si sviluppano spesso sui medesimi fatti. Allo scopo di rendere più efficace l'esercizio della funzione di vigilanza del Comitato, è necessario che si preveda la non opponibilità del segreto istruttorio in riferimento agli atti che dovessero essere richiesti dall'organismo parlamentare alla magistratura.
Non è possibile prevedere al riguardo un principio di reciprocità. Le risultanze dell'attività giudiziaria, finalizzata ad accertare fatti e responsabilità penalmente rilevanti, possono infatti contribuire all'esercizio del controllo parlamentare mentre, a tutela delle finalità e delle attività del Comitato, non può che essere previsto un segreto funzionale opponibile a qualunque soggetto dell'ordinamento, compreso il giudice penale. Gli atti formati dal Comitato - in primo luogo le audizioni, costituite da dichiarazioni rese liberamente ad un organo politico, senza l'assistenza del difensore e nel presupposto del segreto, per estendere la latitudine delle acquisizioni conoscitive - non possono evidentemente essere utilizzati ai fini di un procedimento penale.


Il Comitato, nell'adempimento dei propri compiti istituzionali, può accertare una prassi amministrativa illegittima o addirittura conoscere notizie di atti qualificabili come reato. Senza rinunciare al vincolo del segreto sui lavori e sulle informazioni raccolte, che è funzionale all'esercizio dell'attività di controllo, al Comitato dovrebbe essere riconosciuta la facoltà di denunciare irregolarità o reati al Presidente del Consiglio. La decisione di intervenire sul piano amministrativo, con riferimento a specifiche irregolarità commesse dagli apparati dei Servizi, o di investire l'Autorità giudiziaria, sarebbe rimessa alla responsabilità del Presidente del Consiglio.


Deve essere obiettivo del legislatore assicurare agli agenti dei Servizi che nell'attività di informazione e sicurezza sono spesso costretti a violare disposizioni di legge, un meccanismo finalizzato alla non punibilità. È una sorta di «ombrello protettivo», inteso ad armonizzare le esigenze di legalità, di garanzia e di efficienza. D'altra parte, quando non esistesse alcuna giustificazione per modeste violazioni di legge, l'agente dei Servizi entra facilmente in un'area di attività qualificabili come illecite. Ciò può far cadere le remore a commettere illeciti ulteriori.
I Direttori dei Servizi dovrebbero essere autorizzati a prospettare all'autorità politica responsabile - il Presidente del Consiglio - i comportamenti non leciti, ma proporzionati agli obiettivi da perseguire per i quali chiedere una specie di autorizzazione. Il Presidente del Consiglio, con sua direttiva, dovrebbe individuare una serie di atti illeciti, normalmente da compiere per l'effettuazione delle operazioni alle quali sono chiamati i Servizi. Tale indicazione, a carattere generale, è esaminata da un collegio giurisdizionale - è ipotizzabile anche il Tribunale dei ministri - in camera di consiglio. Esso convalida l'atto autorizzatorio del Presidente del Consiglio. Per gli ulteriori, specifici comportamenti illeciti che ogni singola operazione può comportare ed eccedenti l'indicazione «di routine», si eseguirà la medesima procedura. Il magistrato procedente che dovesse accertare una fattispecie concreta illecita, di cui è responsabile un operatore dei Servizi, dovrà limitarsi a verificare se tale fattispecie sia prevista dall'atto autorizzatorio e abbia ricevuto la convalida: accertati tali requisiti si determina la non punibilità dell'operatore del Servizio.


La relazione ha già denunciato le irregolarità accertate nella gestione del CED del Ministero dell'interno. Il Comitato ribadisce che un soddisfacente controllo parlamentare su tale struttura può realizzarsi oggi con un accesso diretto ai dati memorizzati pur «senza riferimenti nominativi». Al Comitato deve essere garantito il diritto di accedere, tramite un proprio terminale, ad ogni livello delle informazioni contenute dall'archivio del CED del Ministero dell'interno.


Il Comitato ravvisa l'esigenza che anche gli archivi dei SIOS di forza armata, strutture integranti del sistema di sicurezza, siano considerati dalla nuova normativa in tema di archivi dei Servizi, posto che si producono e si conservano, presso i SIOS, informazioni sul conto di cittadini, civili e militari, e di aziende.
Il Comitato prospetta altresì l'opportunità di giungere, pur con la necessaria gradualità, alla realizzazione di un organismo unificato di intelligence militare, evidentemente articolato sulle specializzazioni tecniche delle diverse forze armate, ma in grado di coordinare, con maggiore efficacia, l'attività di intelligence degli attuali SIOS.




Il Comitato segnala al Parlamento l'urgenza di una riforma del sistema di informazione e di sicurezza.
In base alla ricognizione condotta sui diversi apparati e sulle loro deviazioni, precedenti e successive alla legge del 1977, il Comitato indica come obiettivi prioritari:
- un complessivo ricambio del personale e, per il futuro, una selezione più rigorosa. Il principio base deve essere quello della temporaneità dell'impiego all'interno dei servizi. Dopo un ragionevole periodo i funzionari di questi apparati devono esser sostituiti e passare ad altre amministrazioni;
- la informatizzazione degli archivi;
- la conservazione della memoria di tutte le operazioni, la temporaneità del segreto;
- una nuova disciplina legislativa dei Nulla osta di segretezza, della struttura e della funzione dell'Ufficio centrale per la sicurezza;
- una più precisa responsabilizzazione dell'autorità politica di governo (anche attraverso l'istituzione di un Sottosegretario che assuma su di sé - per delega del Presidente del Consiglio - le funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza);
- una previsione di garanzie funzionali per l'attività dei Servizi, che consentano l'autorizzazione di determinate deroghe alla legge, con rigorosi controlli e per la realizzazione di legittime finalità istituzionali;
- una estensione del controllo parlamentare che giunga fino ad una verifica delle operazioni compiute e del rapporto fra costi e risultati.


Approfondendo una indagine già avviata nella passata legislatura, il Comitato ha esaminato modalità e motivi della deviazione del SISDe, così come è venuta emergendo nelle indagini giudiziarie dal 1993 ad oggi.
La vicenda della gestione dei fondi riservati - con le violazioni della legge che l'hanno accompagnata e con le responsabilità politiche che si sono individuate - è emblematica delle degenerazioni che l'attuale struttura e la carenza di controllo hanno determinato in questo Servizio, pur chiamato a svolgere delicate e importanti funzioni di intelligence a difesa dello Stato democratico, contro l'eversione e contro la criminalità mafiosa.
Il Comitato osserva che le carenze già presenti all'atto della formazione del SISDe, i gravi difetti nel reclutamento del personale, condizionato fino ad epoca recente da clientelismi e fedeltà di parte, hanno continuato per anni a pesare negativamente. Sono cresciute in questo quadro la cattiva amministrazione e la corruzione.
La bonifica avviata negli ultimi due anni si svolge fra difficoltà e disagi.
Tutto ciò richiede non interventi parziali, ma misure di radicale rinnovamento della struttura.
Il Comitato si impegna a proseguire nell'accertamento dei fatti, nella individuazione delle responsabilità, nella elaborazione di proposte di riforma. Particolare attenzione esso dedicherà alla vicenda dei fondi riservati ed alle attività illegittime denunciate dal Ministro dell'interno nel luglio 1994, di cui ancora non si è potuta accertare la gravità, né si sono individuati e colpiti i responsabili.
Con questo impegno il Comitato svilupperà la propria attività istituzionale di controllo.


(81) Secondo la ricostruzione della pubblica accusa, nel processo a carico di Di Pasquale ed altri (per i fondi neri), per l'acquisto delle quote di questa società sarebbe stato impiegato denaro proveniente dai fondi riservati del SISDe.
(82) Si veda in proposito la deposizione dell'ambasciatore Fulci nel processo a carico di Di Pasquale e altri (Tribunale di Roma, p.p. n. 2124/94 R.G. Tribunale n. 937/94 R.N.R. - Udienza del 26 maggio 1994). A proposito di Maurizio Broccoletti, prima Direttore amministrativo del SISDe, poi Capo del reparto logistico, egli osservava: «… volevo cercare innanzitutto di capire come una persona che era entrata al servizio dello Stato nella carriera esecutiva, di colpo fosse entrata nella carriera principe del Ministero dell'interno, che è la carriera dei prefetti. Volli andare a fondo e mi resi conto che era stato chiesto questo per esigenze di servizio. Capii subito che non c'era nessuna esigenza di servizio per una capo contabile di diventare prefetto. Allora mi chiesi perché tutto questo era stato fatto. E soprattutto trovavo che questo sistema, non per il caso del signor Broccoletti, ma in generale, di fare assumere persone da altre amministrazioni, poi, per esigenze di servizio, farle ritornare in queste amministrazioni da dove provenivano, farle sostare lì solo qualche settimana e poi riportarle indietro, francamente non fosse assolutamente nell'interesse del Servizio. Era solo nell'interesse delle persone».
(83) Si veda, nel già citato processo contro Di Pasquale ed altri, la deposizione dell'ambasciatore Fulci, nell'udienza del 25 maggio 1994.
(84) Cfr. Collegio per i reati ministeriali - Tribunale di Roma n. 3/94 R.G. Coll., vol. IX, p. 93.
(85) Si veda in proposito la Relazione del Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato del 3 agosto 1993, Strutture e attività dei Servizi di informazione e sicurezza: rilievi e proposte, Doc. XLVIII n. 1.
(86) Ciò risulta da una deposizione resa dallo stesso Amato (Collegio per i reati ministeriali, Tribunale di Roma, n. 3/94 R.G. Coll., vol. IX, pg. 57; cfr. la domanda di autorizzazione a procedere nei confronti di Nicola Mancino, Senato Doc. IV-bis n. 8, p. 22). Mancino era stato nominato alla fine di giugno. L'indagine interna di Voci era stata precedentemente archiviata.
(87) Si veda in proposito la richiesta di archiviazione della Procura di Roma del 21 luglio 1994, la domanda di autorizzazione a procedere in giudizio trasmessa il 26 ottobre 1994, la Relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari (Senato, Doc. IV-bis n. 8 A) che proponeva il diniego di autorizzazione e che è stata approvata dal Senato il 17 dicembre 1994.
(88) Cfr. la requisitoria del PM Frisani nel citato processo contro Di Pasquale e altri (udienza del 14 novembre 1994, p. 26 ss.).
(89) Si veda la Relazione del Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato del 14 febbraio 1994, Attività svolta in merito al caso dei fondi riservati del SISDe. Rilievi e proposte, Doc. XLVIII n. 2, pp. 12-13.
(90) Tribunale di Roma, p.p. n. 212/94 R.G. - Tribunale n. 937/94 RNR - Udienza del 18 luglio 1994, p. 36 ss.
(91) Anche a questo proposito è assolutamente inaccettabile l'interpretazione fornita dal prefetto Malpica (udienza cit., p. 39 ss.). Essendo in discussione alcuni nomi di persone compresi negli elenchi di percettori di somme erogate dal Servizio, ed in particolare quelli dell'onorevole Andò (ma l'ex Direttore del SISDe esclude di averlo inserito nell'elenco e di aver effettuato pagamenti a suo favore) e del giornalista Lando Dell'Amico, Malpica ha osservato: «… qui si è fatto anche un poco di confusione; l'articolo 7 della legge 801 del 1977 fa divieto di avere alle dipendenze organiche o saltuarie giornalisti, magistrati eccetera. Alle dipendenze - non di averli come informatori - altrimenti tutti gli informatori sarebbero dipendenti del Servizio». Siamo di fronte a un vero e proprio stravolgimento della norma. Non a caso essa vieta, per quelle categoria, rapporti anche saltuari di dipendenza. Ciò è stabilito proprio per evitare una commistione tra l'attività informativa a beneficio dei Servizi ed alcune funzioni specifiche, di cui va garantita l'autonomia rispetto al sistema della sicurezza e che ci riportano a beni costituzionalmente tutelati quali la sovranità della rappresentanza politica elettiva, l'indipendenza della magistratura, la libertà di informazione. Sono stati compresi d'altro canto, nella elencazione dell'articolo 7, comma 1, alcuni «status d'indole professionale o spirituale, la cui posizione nell'ordinamento implica … il riconoscimento e la garanzia del segreto in rapporto ad atti compiuti per tali status» (cfr. S. LABRIOLA, Le informazioni per la sicurezza dello Stato, Milano 1978, p. 144).
(92) Cfr. la requisitoria del PM Frisani, cit. p. 49 ss.
(93) Già nella Relazione del Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato del 3 agosto 1993, cit., si affermava: «È inaccettabile che si consideri normale… la cesura fra una gestione e l'altra del Servizio il cui bilancio interno, per quanto attiene alle spese riservate, è dunque, anche per questa ragione, invero sorprendente, fuori controllo per la carenza di procedure o di prassi che assicurino continuità di gestione contabile, pur necessaria alla vigilanza di chi assume la responsabilità generale della struttura».
(94) Non è mancato il tentativo di giustificare la deviazione del SISDe. «I Servizi possono violare la legge comune, questo bisogna dirlo. Ora, se noi possiamo violare la legge comune, per esempio sui documenti di identità, fornendo ai nostri agenti documenti falsi, e possiamo fare delle altre operazioni del genere - targhe false delle macchine eccetera - non vedo per quale motivo, ricorrendone i presupposti ed essendoci il rischio di riflessi negativi sulla sicurezza, la discrezionalità del Direttore non possa estendersi anche a dare un compenso al personale». Così Malpica nella udienza già citata, p. 90, ha sostenuto la legittimità di premi che ammontavano a miliardi, presi dai fondi riservati.
(95) Si veda a questo proposito, con spunti interessanti sullo sviluppo delle attività di intelligence economica, che meritano un approfondimento da parte del Comitato, A. Corneli, Servizi segreti, la sfida è sull'economia, in «Il Sole 24 ore», 8 marzo 1995.
(96) Sul controllo parlamentare, sui limiti della legge italiana e sulle prospettive di ampliamento dei poteri, cfr., in un'ottica comparativistica che è indispensabile per superare le strettoie attuali, G. ARENA, Le attribuzioni del Parlamento in materia di Servizi per le informazioni e la sicurezza in Italia e negli Stati Uniti, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1978, p. 485 ss.; e inoltre C. TROISIO, Controllo parlamentare e Servizi di sicurezza nell'ordinamento italiano, Roma 1981.

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