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Per Aspera Ad Veritatem n.28
La guerra dopo la guerra
Fabio Mini - Einaudi Editore, Torino, 2003



“La guerra dopo la guerra”, sottotitolo: “Soldati, burocrati e mercenari nell’epoca della pace virtuale”, è un originale e interessantissimo libro scritto dal Tenente Generale dell’Esercito italiano Fabio Mini, già Capo di Stato Maggiore del Comando Nato delle Forze alleate Sud Europa, con una lunga esperienza maturata sul campo in diversi paesi e aree di crisi, dalla Cina al Kosovo. Sbaglierebbe chi, nell’accostarsi al testo, immaginasse di confrontarsi con un “classico” della strategia militare, un’analisi più o meno stereotipata o di parte degli eventi bellici che hanno caratterizzato il dopoguerra. Si tratta, al contrario, di un libro sorprendente per capacità di analisi, in molti casi ardita, decisamente eccentrica, circostanziata, ricca di riferimenti culturali e densa di esperienze vissute in prima persona. Per certi versi possiamo dire che si tratta di un libro rivoluzionario, nel senso letterale del termine, un testo in altre parole che rivoluziona, capovolge, le prospettive di analisi più diffuse e accreditate.
Il lavoro di Mini è articolato in tre parti: Occidente e Oriente, Guerra e Guerrieri, I dopoguerra. Apre il libro un’introduzione dedicata alla voglia di impero – imperi dell’informazione, dell’economia, della finanza, della guerra, del terrore, del crimine, che hanno ormai perso connotazioni nazionali o etniche per divenire trasversali, trasnazionali, multinazionali, privi di radici culturali o dinastiche, mere strutture di potere e di dominio – e lo chiude un breve epilogo dal titolo assai significativo: il giorno dopo.
La prima parte è dedicata ad un’analisi comparata del concetto di guerra, nel mondo occidentale e in quello orientale. L’Autore evidenzia le profonde differenze filosofiche tra due realtà molto diverse, potremmo dire con Mini, geneticamente. Comparazione particolarmente interessante nella misura in cui consente di comprendere concetti come quello di a-linearità e asimmetria applicati alla strategia militare o allo studio dei processi sociali e politici. Alla mentalità lineare della sequenza ragionativa occidentale si contrappone quella a-lineare (e per noi talvolta illogica) degli orientali……Una mentalità che in qualsiasi occasione valuta le interazioni tra gli opposti-complementi, tende al raggiungimento d’equilibri, dinamici, non statici, ma non si spaventa…..…degli squilibri, delle disarmonie, delle conflittualità e delle aberrazioni della vita politica e di quella quotidiana. Il fondamentalismo islamico, nelle sue metodologie d’azione così come manifestatesi in tempi recenti, rappresenta sicuramente uno degli aspetti asimmetrici che attualmente tanto inquieta l’Occidente, forse impreparato, proprio a causa della visione del mondo di cui è permeato, ad affrontare questo genere di minaccia. L’Occidente si è dovuto drasticamente rendere conto del fatto che il modo di pensare e i modelli di vita che ha adottato, nonostante i tentativi del periodo coloniale, non sono così facilmente esportabili né trapiantabili altrove. E, osserva Mini, è curioso come esista una stretta connessione tra le attuali zone di crisi e le aree geografiche che in passato hanno subito il dominio dei grandi imperi coloniali.
L’Autore dedica poi ampio spazio all’approfondimento del concetto di terrorismo, notando come gli eventi più recenti abbiano evidenziato, contrariamente a quanto accadeva in passato, che tragici attentati, come quelli del settembre 2001, non sono stati seguiti da chiare e precise rivendicazioni. L’obiettivo prevalente era infatti quello di seminare la paura, il terrore appunto, come fatalmente discende dal fatto che tali azioni vengono innescate in contesti sociali che tanto hanno da perdere rispetto al resto del mondo. Una realtà, la nostra, in cui non si è più abituati alla sofferenza e si rifiuta l’idea stessa della morte. La fruizione della ricchezza ha portato la paura della povertà, …, la fruizione della logica e della razionalità ha portato le paure della religione e della fede, la fruizione dell’unità etnica e nazionale ha portato la paura dell’immigrazione, della diversità e dell’integrazione, la fruizione della pace ha portato la paura della guerra. Purtroppo, gli apparati di sicurezza e le leadership politiche, ad avviso dell’Autore, non hanno dimostrato l’adeguatezza necessaria per affrontare tali paure, al punto che si rischia un paradosso secondo il quale, è ancora l’opinione di Mini, la vera minaccia emergente si concretizza non tanto nel terrorismo, quanto nella difficoltà delle organizzazioni politiche e di quelle preposte alla sicurezza ad affrontarlo e gestirlo.
L’analisi del Gen. Mini prosegue esaminando l’evoluzione, anche storica, del concetto di guerra. I riferimenti obbligati sono a terminologie e concetti ormai divenuti di pubblico dominio come guerra preventiva, guerra globale, operazioni umanitarie, azioni di peace-keeping o peace-making, e così via. Proprio sulle azioni di peace-keeping viene espressa una valutazione piuttosto disincantata.
Ma sembra che, secondo Mini, il concetto di guerra sia mutato anche per coloro che dovrebbero farla, cioè i militari. D’altro canto, il ruolo degli apparati militari, fa notare Mini, è sostanzialmente piuttosto “limitato”: la guerra in genere non è decisa da chi la fa. Chi la decide non è quasi mai un guerriero, ma un personaggio in abiti civili o in uniforme che non ha il contatto né con la guerra né con la morte di cui essa è intrisa. In effetti, secondo Mini, il vero uomo d’armi è colui che odia la guerra più di ogni altro individuo, proprio perché la conosce e la sperimenta nella sua realtà di morte e distruzione.
Molto interessante è l’ultima parte del libro, che il gen. Mini dedica ai dopoguerra. Nessuna guerra dovrebbe essere intrapresa, è l’opinione dell’Autore, se non con un chiaro obiettivo post bellico. Anzi, spesso è proprio nella fase post bellica che si esplicitano le ragioni, reali e non dichiarate, che hanno spinto un paese o più a muoverla. Eppure, rileva Mini, esiste un sostanziale deficit del mondo occidentale in generale, e degli Stati Uniti in particolare, a gestire il periodo post-bellico. …gli antichi strateghi cinesi invitavano a non distruggere i paesi da occupare… In Iraq come in Somalia, Kosovo, Afghanistan, è invece risultata assente, sostiene Mini, la capacità di gestire la realtà post-bellica, è mancato il coraggio da parte dei vincitori di affermare la propria responsabilità e il proprio controllo sul territorio: nessuno si è più assunto la responsabilità di dire: da questo momento qui comando io. Queste sono le regole. Chi le infrange verrà punito. Questa assenza di potere o di responsabilità ha portato a lunghi periodi di confusione e anarchia, che hanno recato danni infiniti, grandi difficoltà e ritardi nella ricostruzione dei paesi interessati.
Timor Est, Afghanistan, Kosovo, Iraq: situazioni belliche differenti che Mini ci aiuta a comprendere anche in risvolti meno noti. In particolare, molto interessante la parte riguardante la situazione del Kosovo, che l’Autore ha vissuto in prima persona, e che ci descrive ponendo non poche questioni su quello che è stato il ruolo, o meglio, il non ruolo, delle Nazioni Unite. Questioni riprese anche con riferimento alla guerra in Iraq, dove il vuoto relativo al ruolo delle Nazioni Unite rischia di permanere a lungo almeno fino a quando queste non si doteranno di propri ed effettivi strumenti di intervento sul territorio.
Il lavoro del gen. Mini è utile senz’altro per una riflessione scevra di ideologismi e prese di posizione legate alla contingenza degli eventi.
Va in particolare apprezzato lo sforzo di guardare “da dentro” il mondo occidentale, prima che al di fuori dei suoi confini, cercando un’obiettività di giudizio che non può non fondarsi su una conoscenza personale e diretta di uomini e situazioni.
Un libro scritto, tra l’altro, con una leggerezza linguistica che appassiona, con l’unica pecca, se così si può dire, di essere stato scritto prima della cattura di Saddam Hussein e degli attentati di Madrid, privandoci della possibilità, anche per questi eventi, di ricorrere ad uno strumento di comprensione tanto prezioso quanto non convenzionale.



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