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Per Aspera Ad Veritatem n.28
Terrorismo e terroristi
Marco Fossati
Bruno Mondadori Editore, Milano, 2003



“Terrorismo e terroristi” è l’analisi accurata, cui non sfugge una prospettiva storica di significativo spessore, di un fenomeno drammatico, probabilmente uno dei più catastrofici che segna i nostri giorni.
Si tratta, come d’altro canto il titolo suggerisce, del terrorismo, dramma del secolo che stiamo vivendo, che manifesta i suoi effetti nefasti con stragi, attentati e attacchi suicidi, condotti da organizzazioni, spesso internazionali, che a partire dall’11 settembre si insinuano nella ineluttabile vulnerabilità del nostro vivere civile con tutto il portato di orrore delle loro azioni
Marco Fossati cerca una definizione calzante del termine “terrorismo”, per iniziare a navigare nella storia incerta di un fenomeno antico e complesso. Questo termine, che compare per la prima volta durante la rivoluzione francese (nel periodo appunto del cosiddetto terrore), rappresenta all’origine eventi ed atti compiuti da gruppi minoritari rivoluzionari contro il potere costituito.
Tuttavia, per definire cosa il terrorismo sia e cosa invece appartenga a categorie storiche di altra natura, l’Autore passa in rassegna una sequela di episodi storici cercando di rintracciare delle possibili categorie di uniforme interpretazione.
L’uccisione dell’arciduca Ferdinando (che scatenerà la Grande Guerra), la resistenza francese che compie atti di sabotaggio e uccide i soldati delle truppe tedesche di occupazione (nella II guerra mondiale), gli atti compiuti dai palestinesi e dagli israeliani, gli attentati dei partigiani italiani nei confronti dei fascisti e dei nazisti negli anni ’40: cosa hanno in comune questi eventi e cosa viceversa li distingue?
In quanti modi si può dire terrorista? Chi è terrorista? Chi non lo è?
È terrorista l’attentatore suicida o la guerriglia ribelle? Il fronte di liberazione o le forze armate governative? I gruppi armati religiosi o le etnie oppresse rivoluzionarie? O tutti questi?
È ovvio, riferisce l’Autore, che chiunque abbia un minimo di sentimento morale considererebbe orribili gli attacchi su bersagli indifesi, come gli ignari passeggeri di un’aereo o di un bus. Ma questo non è il punto di vista del terrorista. Lui vuole vittime innocenti proprio perché sono innocenti. Con questi atti dimostra al mondo che può raggiungere il suo scopo.
Il tema, anche nella sua definizione giuridica, è com’è noto assai complesso.
Nel rimandare sul punto al lavoro di Roberta Barberini, pubblicato in parte prima, non si può non richiamare come molte convenzioni internazionali si siano arrestate davanti alla necessità di una definizione di terrorismo, proprio per la rilevanza che contesti storici, considerazioni etiche, questioni politiche esercitano sul tavolo di una possibile intesa comune.
Esistono, è vero, tanti terrorismi, ma anche tanti soggetti che si ritengono legittimati a definire terrorismo l’azione dell’antagonista, sia pure statuale.
Guardando all’Europa, basti pensare al terrorismo degli estremisti di sinistra degli anni settanta in Italia e in Germania e al suo impatto sulle sinistre europee; alle azioni stragistiche di matrice neofascista nello stesso periodo, per capire in senso globale che il “terrorismo” ha molteplici aspetti, radici e fini diversi. Chiave etica o chiave politica per l’interprete?
L’excursus storiografico dell’Autore non serve a diminuire la drammaticità dei caratteri del fondamentalismo islamico e del terrorismo suicida con cui abbiamo a che fare dall’11 settembre, ma, si chiede Fossati, “bisognerà allora considerare il terrorismo come un problema che riguarda le società islamiche di oggi e i loro rapporti con il resto del mondo? O piuttosto come un fenomeno antico, che ha trovato nella modernità forme di manifestazione e vie di diffusione particolarmente favorevoli, e nel quale si esprime oggi una frangia del radicalismo religioso islamico così come altre volte vi si è espresso il radicalismo politico laico?”.
Non siamo, secondo l’Autore del testo, nel mezzo di uno scontro di civiltà, ma di un sanguinoso conflitto politico. Nel quale bisogna condurre una lotta in difesa del diritto.
Fondamentale è anche la sua lucida visione del fenomeno: “Nessuno è disposto a chiamare se stesso terrorista. Questo è il nome che si riserva al nemico”. Ognuno è quindi giustificato dalla propria motivazione.
Fossati indica nel diritto penale, nazionale e internazionale, l’unica risposta dotata di senno per contrastare gli atti criminali effettuati con stragi suicide che si sono succedute dall’11 settembre.
Rimane ancora molto da capire per la cultura politica e giuridica occidentale riguardo alla “razionalità” del terrorismo suicida, riguardo alle ragioni, ai sentimenti che un “Kamikaze” porta con se, conseguenza dell’addestramento fisico e mentale al quale viene sottoposto.
Rimane il problema della risposta.
La storia, specialmente quella recente, ci fa interrogare, secondo Fossati, sull’efficacia delle guerre “preventive”, se queste insomma possano contribuire a rendere più sicure le nostre società, ovvero giustifichino semmai solo coloro che con l’alibi dell’oppressione danno sfogo a quanto di più distruttivo un uomo può fare di se stesso per gli altri, essere un terrorista.
È un interrogativo aperto, politico, etico, che la ricerca storica, la riflessione profonda, può aiutare a definire, per individuare le scelte più opportune o necessarie per contrastare il terrorismo dei nostri giorni.



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