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Per Aspera Ad Veritatem n.28
Spie in Vaticano - Spionaggio e complotti da Napoleone all'Olocausto
David ALVAREZ
Edizioni Newton Compton, Roma, Settembre 2003



David Alvarez, docente di Scienze Politiche al Saint Mary College di California, non è nuovo all’argomento trattato nel volume che presentiano. E’ stato, infatti, tra l’altro, coautore di un altro libro,Nothing Sacred: Nazi Espionage against the Vatican, 1939-1945, insieme al grande storico gesuita, Robert Graham. Il padre gesuita e due suoi confratelli, ebbero nel 1963 l’invito, per conto della Santa Sede, ad esaminare tutti i documenti concernenti l’attività diplomatica del Vaticano durante la Seconda Guerra mondiale, al fine di estrapolarne i più significativi da destinare, poi, alla pubblicazione. Questo studio portò all’elaborazione di un unico lavoro in dodici volumi: “Atti e Documenti della Santa Sede relativi alla Seconda Guerra Mondiale”. Ma Padre Graham, da allora, è rimasto a lavorare su tali tematiche contribuendo, con interviste e articoli, ad approfondire quel periodo, spesso interloquendo con molti degli attori principali del tempo (ex funzionari dei Servizi Segreti tedeschi e italiani, diplomatici pontifici, assistenti e confidenti di Pio XII). Insomma, alla fine lo storico ed “inquisitore” gesuita aveva raccolto una mole voluminosa di documenti che, alla sua morte, nel 1997, sono rientrati in Vaticano e non sono più accessibili a ricercatori esterni. La peculiarità di Alvarez è quella di aver avuto accesso a molte di queste carte, e di averne fotocopiate alcune tra le più significative, in virtù proprio della collaborazione professionale con p. Graham.
Spie in Vaticano, che in maniera molto precisa analizza alcuni dei momenti topici della storia vaticana recente, coglie una fondamentale “inadeguatezza”, da parte della Santa Sede, nel confrontarsi sulla stessa linea con gli altri Stati nel campo dello spionaggio. Il saggio prende in specifica considerazione il periodo compreso tra la fine dello Stato Pontificio e il termine della Seconda Guerra Mondiale. Molti gli spunti interessanti, ma un primo dato che emerge con chiarezza è quello di una grossa differenza tra l’epoca dello Stato Pontificio e quello successivo alla presa di Porta Pia. Se prima il Vaticano aveva anche la possibilità di disporre di un “braccio secolare” che, più o meno, poteva acquisire informazioni rilevanti per lo Stato del Papa – anche se più attraverso la buona volontà dei singoli funzionari di polizia che non in maniera sistematica – dal 1871 le informazioni hanno seguito i soli canali diplomatici. Una prima nota dolens, afferma l’Autore, è proprio il tipo di preparazione ricevuta dai Nunzi pontifici che, per la maggior parte dei casi, erano ottimi teologi o pastori d’anime ma non valenti agenti segreti ovvero semplicemente persone interessate ad “acquisire” informazioni. Quando vi sono state delle eccezioni, queste hanno di fatto confermato tale inadeguatezza. Così, ad esempio, durante i moti rivoluzionari francesi dell’89, quando per motivi di sicurezza fu richiamato in Patria il Nunzio Apostolico, fu inviato come rappresentante del Papa a Parigi l’Abate de Salamon, uomo coraggioso e pieno di risorse capace non solo di stabilirsi a Parigi nel periodo massimo della bufera politica ma, anche, di rappresentare da “orecchie” e “occhi” del Vaticano. Si espose per questo a numerosi rischi e, arrestato e imprigionato, riuscì a sopravvivere ai massacri di Settembre. Al termine della prigionia tornò a Roma per illustrare la situazione. Così, oltre a figure isolate e piene di iniziativa, come taluni Nunzi Apostolici – quale il Nunzio in Olanda tra il 1829 e il 1831, Mons. Capaccini – di fatto “gli standard di Capaccini e de Salamon furono raggiunti solo sporadicamente dai loro colleghi che, nell’insieme, tesero a trascurare l’elemento che più gli competeva, la segretezza” (pg.22). Altro aspetto – che spesso riempie la fantasie di quanti immaginano una rete mondiale informativa di prim’ordine, quale dovrebbe essere quella della Chiesa – è quello relativo alla potenziale rete informativa segreta composta da Vescovi, preti, e ordini religiosi che si estendono in ogni parte del mondo. Tuttavia, dice Alvarez, questa fu raramente sfruttata. In realtà, ad esempio, su oltre duecentodieci lettere e rapporti presentati in Vaticano da preti e suore che si trovavano negli Stati Uniti, tra il 1840 e il 1862, solo una dozzina facevano riferimento a questioni politiche, ed anche queste erano solo brevi note di una o due frasi. Altro grosso problema che sembra essere stato il vero filo rosso che ha legato l’intero periodo preso in questione dall’Autore, è la quasi totale mancanza di canali di comunicazione affidabili. Questo fattore ebbe forti ripercussioni sulla gestione della Chiesa in generale. Infatti, conosciute le intenzioni del Papa o conoscendo i rapporti dei vari Nunzi, attraverso i diversi strumenti che via via si erano perfezionati (dal controllo di tutte le missive presso l’ufficio postale italiano che smistava la posta vaticana, alla decrittazione di quasi tutti i messaggi) i vari governi erano in grado di pianificare anche risposte tempestive e adeguate.
Peculiarità significativa di questo saggio è quella di cogliere – oltre alla differente strategia diplomatica dei Papi succedutisi sul Soglio di Pietro – come sempre più la Santa Sede si sia spinta su posizioni contrarie alla guerra (sia per la Prima che per la Seconda Guerra Mondiale) pur di fatto non essendo mai veramente neutralista. Se pure la Santa Sede lo è stata durante la Prima Guerra Mondiale – ma lo scandalo dell’affaire Garlach scosse profondamente le mura leonine, con l’accusa di favorire gli Imperi Centrali quando si scoprì che il sacerdote bavarese Garlach, ciambellano privato e confidente del Papa, era in realtà una spia dei servizi segreti tedeschi – certamente non lo è stata durante il secondo conflitto bellico. Infatti, Pio XII in persona era a conoscenza, attraverso uomini di sua fiducia, di un movimento anti nazista tedesco che aveva come suoi promotori alcuni Generali dell’esercito e dei servizi segreti militari. Il Papa ne mise a parte l’ambasciatore inglese il quale, a sua volta, era anche consapevole delle difficoltà nel ritrasmettere tali notizie a Londra senza mettere in pericolo l’operazione e la stessa neutralità della Santa Sede. L’unica cosa di cui, infatti, tutti erano certi, era la quasi totale impossibilità di trasmettere in “sicurezza” determinate informazioni. Altro dato che emerge con chiarezza è quello che, proprio a causa della mancanza di un vero servizio segreto e di una rete protetta di comunicazioni, quando arrivarono in Vaticano le notizie sull’Olocausto queste erano già note a molti dei servizi segreti Alleati, inglesi in primis. Ma “l’Inghilterra non fu l’unica a sapere, prima del Vaticano, delle atrocità compiute in Russia; in realtà, al tempo in cui il rapporto di Monsignor Burzio raggiunse Roma, almeno altri sei Governi disponevano di sufficienti informazioni sul l’argomento”. Alla fine, insomma, si delinea un Vaticano incapace di acquisire informazioni sensibili secondo i metodi tipici dello spionaggio, sia per mancanza di cultura specifica da parte dei soggetti che avrebbero potuto svolgere tali mansioni, sia per una totale carenza nella sicurezza dei canali di comunicazione. Da un punto di vista storico, questo libro contribuisce anche a mettere una parola chiara sulla querelle intorno alla figura di Pio XII e alle sue presunte simpatie filo-naziste, smentendole di fatto ed evidenziando, invece, l’omissivo silenzio di altri e più informati Governi alleati.



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