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Per Aspera Ad Veritatem n.27
Camera dei Deputati - XIV LEGISLATURA

Relazione sulla politica informativa e della sicurezza (primo semestre 2003) presentata dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dr. Gianni Letta





Nell’accingersi a tratteggiare le linee essenziali dell’attività di intelligence nel primo semestre 2003 appare opportuno ricordare che essa, improntata ad un’ottica di tipo preventivo ad ampio spettro, si muove all’interno di un panorama in cui da tempo le minacce alla sicurezza interagiscono in chiave dinamica con gli sviluppi in atto sulla scena nazionale ed internazionale, subendo accelerazioni ed acquisendo connotazioni che riflettono le situazioni emergenti.
In questo senso, peculiare impegno è stato rivolto, e resta centrato, pure nell’attuale fase post-bellica, ai profili di rischio collegati all’intervento militare in Iraq. Esso ha imposto un articolato quadro di attivazioni in direzione del pericolo terroristico, di quello legato ad azioni controindicate ad opera di elementi fedeli al regime di Baghdad ed in relazione alla proliferazione delle armi di distruzione di massa, anche con riferimento al loro eventuale impiego da parte dell’islamismo armato.
L’attività legata alla crisi irachena si è innestata nell’alveo di quelle linee strategiche di intelligence che, in un quadro di ampia collaborazione internazionale, coprono la vasta gamma del fattori di rischio – tanto endogeni quanto esogeni – suscettibili di riflettersi sulla sicurezza nazionale.
A sviluppo della ridefinizione degli assetti info-operativi e degli orizzonti di intervento imposta dagli eventi dell’11 settembre, obiettivo prioritario dei Servizi è stato il terrorismo internazionale, con peculiare riguardo a quello di matrice islamista.
L’insidiosità del fronte internazionalista di Bin Laden ha richiesto infatti costante attività di monitoraggio e vigilanza nei confronti di quel radicalismo confessionale. Confermandosi una minaccia di lungo periodo, esso ha mostrato, con gli attentati del maggio in Arabia Saudita e Marocco, capacità di reviviscenza e notevole pervicacia offensiva nella promozione dei propri disegni, in cui l’antioccidentalismo si associa alla destabilizzazione di taluni regimi arabi ed all’antisionismo”.
La possibilità che le citate tematiche portanti catalizzino il malcontento delle popolazioni in contesti disagiati o di crisi induce a guardare con preoccupata attenzione ai segnali di penetrazione integralista anche in talune aree africane – dalle quali muovono o transitano traffici illegali di vario genere – ed assegna prioritaria rilevanza alla composizione di conflitti in cui è presente una pronunciata dimensione “confessionale”, primo fra tutti quello israelo-palestinese.
I dati raccolti sul fenomeno islamista – corroborati da approfondimenti d’analisi e dalle indicazioni che provengono dai Servizi collegati – hanno posto in luce il perdurante dinamismo, anche entro i nostri confini, di filiere internazionaliste collegate a teatri di ripiegamento o di impiego operativo di Al Qaida e di gruppi consociati, impegnati in attività volte a garantire la mobilità dei militanti ed il rafforzamento dei ranghi integralisti.
L’impegno in direzione dei vettori di rischio di matrice internazionale o comunque a connotazione transnazionale si è altresì focalizzato sulle principali rotte dell’illecito utilizzate dal crimine organizzato per movimentare droga, armi e migranti.
In tale contesto, l’attenzione dei Servizi si è particolarmente appuntata sulla problematica dell’immigrazione clandestina e sui reticoli delinquenziali che la gestiscono, incentrandosi sull’individuazione di epicentri, direttrici e snodi all’estero. Il fenomeno è stato oggetto di una forte strategia di contrasto che è tra le priorità dell’agenda governativa e che trova fulcro nello strumento della cooperazione internazionale e nel sinergico rapporto tra versante informativo, investigativo e diplomatico.
L’azione dell’intelligence sul fronte estero, che ha ricompreso il monitoraggio dei contesti geopolitici sensibili, ha continuato a tradursi in una costante e mirata attività a protezione dei contingenti militari schierati nelle zone “a rischio”. In un’ottica estesa di tutela degli interessi nazionali è proseguito inoltre l’impegno a supporto della nostra diplomazia, anche con riferimento ad esercizi multilaterali attinenti alle tematiche del terrorismo e della proliferazione. Il comparto intelligence ha fornito il proprio contributo istituzionale in vari fori in relazione alla minaccia di tipo non convenzionale e per individuare i canali economici di cui si avvalgono i protagonisti della destabilizzazione internazionale e del grande crimine.
In stretto e costante raccordo con le Forze di polizia è parallelamente proseguita l’azione in direzione del terrorismo endogeno, che costituisce una delle priorità strategiche del settore informativo. In una cornice nella quale le questioni occupazionali hanno affiancato, e sovente sopravanzato, le istanze dell’antimperialismo rinfocolate dal conflitto in Iraq, restano alla particolare attenzione le BR. Pur a fronte del colpo subìto il 2 marzo (scontro a fuoco sul treno Roma-Firenze), è a tale formazione che rimandano i principali pericoli di natura eversiva rilevati dall’intelligence, non solo per le capacità rigenerative mostrate in passato, ma anche in ragione di una congiuntura che – segnata da un’accentuata pressione intimidatoria volta a condizionare la dialettica sindacale – vede realizzare nuove fasi di quei progetti di riforma del mercato del lavoro in cui sono maturati gli omicidi D’Antona e Biagi. Il monitoraggio informativo e la correlata analisi hanno riguardato altresì le formazioni eversive minori, nelle cui sortite operative e propagandistiche è parso cogliersi il tentativo di inserirsi nel dibattito “virtuale” sulla definizione di percorsi e progettualità rivoluzionarie, con la proposta di vie complementari, se non alternative, all’opzione massimalista del brigatismo e con il ricorso ad una flessibilità concettuale e di linguaggio suscettibile di guadagnare più ampio consenso.
Cospicuo impegno è stato riservato alle dinamiche della criminalità organizzata nazionale, da cui, nel perdurare di una fase di “inabissamento”, provengono segnali di pericolosità; le formazioni malavitose straniere, dal canto loro, proseguono, entro i nostri confini, il tentativo ed, a volte, l’effettiva infiltrazione all’interno di spazi illeciti.
È in tale articolato scenario, alla cui composizione concorrono attori interni ed esterni e diversificati vettori di minaccia, che si muove l’azione del comparto informativo, chiamato a garantire, tra l’altro, piena copertura di intelligence in proiezione del semestre europeo a presidenza italiana.




a. Brigatismo e sinistra extraparlamentare
Il cruento conflitto a fuoco del 2 marzo e la conseguente cattura di un elemento di vertice delle “Brigate Rosse - per la costruzione del Partito Comunista Combattente” hanno interrotto, o quantomeno deviato, il percorso strategico ed organizzativo rilanciato in questi anni dalla formazione, che resta, tuttavia, fattore qualificante della minaccia endogena.
L’attività info-investigativa scaturita dall’episodio di Arezzo e l’analisi della documentazione prodotta dalla militante arrestata – nonché dagli “irriducibili” che dal carcere ribadiscono la propria vitalità sulla scena eversiva – hanno concorso a lumeggiare alcuni aspetti dell’attuale brigatismo:
– sul piano strutturale, corroborando le ipotesi che delineano l’esistenza di un nucleo centrale di “effettivi” – nel quale un ruolo importante è tuttora svolto da latitanti e soggetti passati alla clandestinità – verosimilmente supportato da “irregolari” disposti, all’occorrenza, ad operare direttamente;
– sotto il profilo territoriale, lasciando scorgere una presenza concentrata per lo più in talune regioni dell’Italia centro-settentrionale, ove si è riproposta la pratica delle rapine per autofinanziamento;
– a livello propagandistico, palesando la determinazione offensiva di un impianto ideologico nel quale riveste perdurante pregnanza il “fronte interno”, pur non mancando il rituale richiamo ad auspicate alleanze internazionali, in una chiave antimperialista che non implicherebbe necessariamente saldature operative con il terrorismo islamico.
Ad avviso dell’intelligence è probabile, pertanto, che la formazione continui a considerare ambiti prioritari della lotta armata i progetti di riforma – soprattutto in materia di lavoro – estendendo il ventaglio degli obiettivi all’imprenditoria ed al mondo sindacale, nel tentativo di innescare una crisi di fiducia tra Istituzioni e settori strategici della produzione, nonché di scardinare ogni forma di unità sindacale.
L’organizzazione, costretta ad un ripiegamento difensivo, potrebbe sentirsi tentata, per esigenze tattiche, ad allentare le maglie del tradizionale “elitarismo” rivoluzionario, guardando con inedita attenzione ai fermenti in atto nella composita galassia eversiva.
Anche in quest’ottica , l’analisi operata dal settore informativo ha conferito rilievo alla rivitalizzazione dell’intero circuito clandestino che, come puntualmente accade sulla scia di eventi di particolare risonanza, si è tradotta in un’intensificazione di episodi dimostrativi e propagandistici, con vecchie e nuove sigle in cerca di visibilità.
Secondo la consueta propensione a modulare i propri interventi sui temi di maggior presa, nel Nord-Est, in concomitanza con le operazioni belliche in Iraq, sono tornate all’azione, sia pure con gesti di basso profilo, quelle frange di matrice marcatamente anti-USA e anti-NATO che, per quanto costantemente tese a riaffermare la propria ortodossia br, hanno mostrato segnali di apertura nei confronti dell’antagonismo.
Il monitoraggio intelligence, volto a cogliere ogni possibile segnale di adesione al messaggio brigatista, ha registrato un ventaglio articolato di orientamenti ideologici e linee programmatiche. Specie con riferimento all’area lombarda, ma più in generale nei quadranti industriali del Paese, si è confermata la già rilevata tendenza, da parte di alcuni gruppi, a differenziarsi dalle scelte “militariste” delle br ed a riproporre vecchie tesi di “sindacalismo armato”. Si propugna il ricorso ad azioni di non particolare spessore, ma di elevato valore simbolico, nel verosimile intento di incunearsi tra i segmenti radicali del rivendicazionismo operaio e di ricompattare quei nuclei estremisti sinora propostisi con attivazioni episodiche e scoordinate. In questo scenario, si è inserita la pressione intimidatoria contro rappresentanze sindacali, specie della CISL, ma pure di UIL e CGIL, nel quadro di una strategia che mira a condizionare la dialettica fra le parti, alimentando tensioni nei più importanti momenti contrattuali.
Con il riacutizzarsi della conflittualità sociale, è andata accentuandosi la pervasività di ulteriori formazioni di rigida ortodossia marxista-leninista – alcune delle quali in posizione intermedia tra l’avanguardia armata e l’antagonismo oltranzista – interessate a strumentalizzare il tema occupazionale. A questo riguardo, la valutazione dei rischi di infiltrazione eversiva nel mondo del lavoro – oggetto di trattazione in apposito tavolo interforze – ha posto in luce la ricerca, da parte di aggregazioni estremiste, di forme contrappositive al di fuori della dialettica sindacale. Acquisizioni informative hanno riguardato tentativi di penetrazione nelle grandi aziende impegnate in vertenze (FIAT, PIAGGIO e settore metalmeccanico), nel comparto dei servizi pubblici (segnatamente sanità, istruzione, trasporti e poste), nonché in quelle realtà giovanili impiegate in nuove tipologie professionali e contrattuali.
Mirata attenzione è rivolta alla componente eversiva sarda, propensa, da un lato, a superare i limiti del “localismo” per stabilire convergenze tematiche a livello nazionale e, dall’altro, a favorire in ambito isolano l’aggregazione tra istanze marxiste-leniniste, anarchiche ed indipendentiste, tutte accomunate da sentimenti di ostilità verso le Istituzioni. A testimonianza di tali dinamiche sono intervenuti episodi di terrorismo diffuso, una copiosa produzione documentale ed una fertile progettualità che hanno delineato un’area di ribellismo sociale in fase evolutiva, con ulteriori fattori di rischio derivanti da contaminazioni criminali e possibili sinergie con ambienti separatisti europei.
La vitalità e l’aggressività dell’anarco-insurrezionalismo sui temi della cd. “repressione” e del carcerario hanno trovato nuove conferme in una serie di attentati, tra cui l’azione incendiaria (21 gennaio) contro una cabinovia dell’Abetone e quella dinamitarda (17 giugno) contro il liceo spagnolo Cervantes di Roma. Secondo evidenze informative, tale componente, impegnata a ricercare compattezza sul piano nazionale e coordinamento a livello europeo, potrebbe intraprendere nuove iniziative contro strutture penitenziarie o settori imprenditoriali ad esse collegati, nel quadro di una campagna propagandistica che fa registrare l’interesse anche di altre formazioni dell’antagonismo più radicale.
Contatti ed intese tra segmenti estremisti di varia ispirazione sono stati rilevati pure nell’ambito delle contestazioni contro la guerra in Iraq, che nella prima metà del semestre ha catalizzato l’attenzione dell’intero movimento antagonista. Qui, peraltro, è andata accentuandosi la frattura fra le componenti moderate ed alcuni gruppi oltranzisti di diversa matrice, compresa quella insurrezionalista, che hanno dato vita ad azioni di danneggiamento e sabotaggio contro simboli statunitensi e che, con la fine delle operazioni belliche, hanno orientato la protesta verso aziende accusate di produrre alta tecnologia a fini militari.
Muovendo dal tema del conflitto, alcuni gruppi dell’Autonomia hanno rivendicato la necessità di porsi in una “prospettiva rivoluzionaria”, tentando anche di coinvolgere strumentalmente gli immigrati provenienti da Paesi arabi e mediorientali.
La frammentazione e le difficoltà organizzative mostrate dall’eterogeneo contesto della protesta no-global potrebbero accrescerne la permeabilità ad inserimenti di natura radicale, specie in occasione dei principali vertici internazionali in programma nel nostro Paese durante il semestre di presidenza italiana della UE. Mirata vigilanza informativa viene rivolta a quei settori più intransigenti che potrebbero stabilire intese con altre aggregazioni d’oltreconfine per attuare iniziative di contestazione violenta.


b. Destra extraparlamentare
L’intervento militare in Iraq, la questione occupazionale ed il carcerario hanno costituito spunti ricorrenti nella mobilitazione di alcune componenti della destra radicale, impegnate a riguadagnare dimensione militante su tematiche di forte presa, ritenute in grado di favorire maggiore visibilità e più estesi consensi. L’attività informativa ha seguito l’evolversi di progettualità miranti a riaggregare gruppi e movimenti che restano, tuttavia, caratterizzati da significative e talora non conciliabili differenze ideologiche.
Le tradizionali pulsioni antistatunitensi ed antiebraiche hanno trovato espressione sia in formazioni di impronta nostalgico-reducista, inclini a stabilire più solide intese con ambienti skinhead, sia in settori dalla marcata connotazione antioccidentale, ove alcuni convertiti alla fede musulmana operano – anche attraverso iniziative editoriali e mediatiche – quali tessitori di rapporti con circoli fondamentalisti in Italia. In altri casi, segnatamente in certe zone del Nord-Est, istanze ultra-tradizionaliste hanno finito con il suffragare atteggiamenti anti-islamici suscettibili di degenerare in episodi di intolleranza nei confronti della popolazione immigrata proveniente da Paesi di fede musulmana.
L’uccisione a Milano, il 16 marzo, di un giovane della sinistra ha contribuito ad accentuare la conflittualità tra estremisti di opposto segno che, già tradottasi, soprattutto nel centro-nord, in atti di natura intimidatoria o ritorsiva, potrebbe riproporsi in occasione di concomitanti manifestazioni di piazza.
Hanno continuato ad evidenziarsi alcune frange, non prive di connotazione delinquenziale, determinate a trasferire negli stadi dinamiche di violenta contrapposizione. Si è rilevato, in proposito, come in alcune tifoserie calcistiche estreme stia assumendo crescente rilevanza il richiamo ideologico, in virtù del quale sono stati sviluppati patti di “solidarieta”’ con altri gruppi “ultras”, anche europei.
La tendenza a consolidare i rapporti con omologhe realtà estere ha costituito, del resto, un elemento comune a molte formazioni dell’ ultradestra italiana, ora partecipi di un disegno volto alla costituzione di un movimento paneuropeo, ora impegnate in iniziative pseudo-culturali di stampo negazionista, ora interessate alla realizzazione di concertate piattaforme ai limiti della legalità.




L’impegno rivolto dall’intelligence, in via prioritaria, al fenomeno terroristico internazionale ha continuato a rilevare la preminente centralità dei profili di rischio legati all’islamismo armato, cui, secondo i dati acquisiti anche in un contesto di collaborazione internazionale, sono tuttora da riconnettere plurime e diversificate pianificazioni antioccidentali.
È infatti a tale vettore di minaccia – alla particolare attenzione dei Servizi anche in relazione all’intervento militare in Iraq – che sono da ricondurre le nuove, eclatanti sortite operative realizzate, nel mese di maggio, in Arabia Saudita ed in Marocco.
Ambedue le azioni valgono a suffragare quanto già osservato dal comparto informativo circa la frammentazione del movimento radicale e la strategia perseguita dal fronte collegato ad Al Qaida, che associa alla lotta contro gli “ebrei” ed i “crociati” quella condotta contro i Paesi arabi definiti “miscredenti”, in un progetto di lungo periodo incline ad avvalersi delle spinte eversive locali e di passaggi ritenuti favorevoli alla propagazione del messaggio integralista.
Gli attentati perpetrati a Riyadh e Casablanca – effettuati con il ricorso alla tattica dell’azione suicida, che domina gli sviluppi terroristici anche nell’ambito ceceno, oltreché in quello, consolidato, dell’oltranzismo palestinese (entrambi segnati pure dall’impiego di elementi femminili) – sono stati preceduti e seguiti da pronunciamenti dei vertici di Al Qaida e di nuovi esponenti radicali. In tali messaggi quella leadership (riparata, secondo più segnalazioni, lungo il confine afghano-pakistano nonché in territori contermini all’Afghanistan, ove godrebbe della compiacente acquiescenza e/o del sostegno di settori istituzionali) non ha mancato di minacciare azioni di forte impatto in Occidente e di richiamare crisi dalla marcata connotazione confessionale, cui il movimento transnazionale verosimilmente guarda sia come bacini di reclutamento che come epicentri di irradiamento in quadranti geopolitici di rilievo.
Le risultanze informative disegnano uno scenario composito, segnato da plurimi indicatori di minaccia, con picchi nel teatro mediorientale – dove si registra l’aggravarsi della cornice di sicurezza in Afghanistan e resta problematica la pacificazione dell’Iraq, mentre più elementi, anche di tipo analitico, attestano l’esposizione a rischio della Giordania – e nell’intero continente africano, che l’intelligence ritiene possibile, ulteriore sponda di penetrazione dell’integralismo, che trova ideali condizioni di diffusione nel disagio socio-economico di vaste aree.
La riconosciuta propensione del fronte islamista a muoversi in un’ottica universalista – raccordando conflitti e gruppi confessionali in un disegno unitario – ha trovato nuove conferme nelle acquisizioni relative alla presenza di militanti di Al Qaida ed all’attivismo di formazioni ad essa consociate nel subcontinente indiano, nel sud-est asiatico, in Asia centrale e nel Caucaso, ambito, quest’ultimo, da cui originano “filiere” internazionaliste evidenziatesi per uno specifico interesse all’uso di aggressivi non convenzionali e per tentativi di infiltrazione in Europa.
Costante attenzione è stata nel contempo riservata dai Servizi alle evoluzioni del conflitto israelo-palestinese che, con l’attentato perpetrato da kamikaze britannici in aprile, è tornato a palesare la propria valenza aggregante, in grado di propiziare convergenze trasversali all’interno delle reti del terrorismo internazionale.
Particolarmente significativa appare l’inedita comparsa di attentatori suicidi di provenienza estera. Ai recenti segnali di composizione negoziata provenienti da quella scena, potrebbero corrispondere, ad avviso dell’intelligence, nuove attivazioni della militanza internazionalista – intese a ribadire la centralità della “questione palestinese” nella sua variante massimalista – ovvero saldature in chiave antioccidentale tra gli ambienti del terrorismo multinazionale di Al Qaida e le frange irriducibili dell’oltranzismo locale.
Specifico monitoraggio è stato dedicato dal comparto informativo alle manovre espansive del radicalismo in aree sensibili, dove l’islamismo appare ricercare, oltreché un riparo, margini di agibilità anche al fine di incidere su delicate dinamiche regionali. Trova piena conferma, nelle acquisizioni e nella correlata analisi, la già rilevata versatilità del movimento, che lo vede impegnato, come nei Balcani e nel Golfo, a riorganizzare reti intra - e trans-regionali e lo pone, a livello propagandistico quando non propriamente operativo, a fianco della guerriglia afghana, irachena, cecena e filippina, nonchè delle formazioni kashmire ed indonesiane e di quelle, a varia strutturazione, che operano in Africa.
In tale contesto, di rilievo risultano le indicazioni raccolte dai Servizi sulla penetrazione nel Corno d’Africa e nella fascia subsahariana – entrambe zone ripetutamente emerse anche come potenziali terreni per azioni terroristiche – e quelle sui legami mantenuti con le espressioni armate algerine. Proprio la componente nordafricana resta preponderante nei “ranghi esteri” del movimento, specie con riferimento al continente europeo, dove quei gruppi – da tempo convertitisi ad un orientamento salafita – dispongono di sicuri riferimenti e di consolidati circuiti relazionali e logistici, talora contigui ad ambienti già individuati dall’azione di contrasto, intenti ad accentuare il proprio mimetismo.
Il peculiare impegno riservato dall’intelligence alle proiezioni radicali in Europa ribadisce la rilevanza di tale ambito territoriale nei disegni e nell’organizzazione terroristici.
I dati che provengono dall’attività informativa e di analisi, corroborati dai procedimenti giudiziari e dalle operazioni di polizia succedutisi in diverse nazioni, fanno stato del fatto che il continente, mantenendo un significativo ruolo di sponda logistica – pure quale trait d’union con i territori di addestramento ed impiego operativo – non manca di ricorrere quale possibile teatro per iniziative offensive, come evidenziato dalle acquisizioni concernenti l’arrivo di nuclei incaricati di attività di ricognizione e sulla presenza di personaggi di spicco della galassia estremista.
La valenza del contesto europeo – cui rimandano anche notizie sui canali di finanziamento del terrorismo islamista, che ne rispecchiano l’ampiezza e la capillarità – deve leggersi altresì in relazione al processo di radicalizzazione che interessa talune frange dell’immigrazione cd. di “seconda generazione”, in cui le spinte ribellistiche vengono canalizzate verso l’estremismo confessionale. Tale processo, già all’origine di un flusso di volontari del jihad parallelo e contrario a quello che dalle aree di crisi attinge il continente, appare rappresentare, in prospettiva, l’humus su cui possono maturare contiguità ideologiche tra diversi fronti di minaccia accomunati dall’antioccidentalismo.
L’azione informativa ha continuato a rilevare l’esistenza di strette interconnessioni, a livello sia europeo che extraeuropeo, tra reti e singoli soggetti, ed il proseguire delle attività di supporto, specie per quanto riguarda la raccolta di fondi, il reclutamento di combattenti ed il procacciamento di documenti falsi, nonchè il consolidarsi di una dimensione multinazionale delle cellule. Detto quadro ha trovato significativo riscontro investigativo, per quanto concerne il nostro Paese, nell’individuazione di due nuclei integralisti, a Milano e Cremona, collegati a basi, soggetti e gruppi radicali siti nell’Iraq settentrionale, segnalati fra l’altro per la produzione e la sperimentazione di sostanze chimico-batteriologiche. Di particolare rilievo appare la presenza, tra gli indagati, di un somalo sospettato di coinvolgimento nell’attacco antiebraico di Mombasa del novembre 2002 e di un marocchino indicato per i contatti con elementi della cd. “cellula di Amburgo”, sponda europea per gli attentati dell’11 settembre.
In un panorama associativo di orientamento generalmente moderato, profili di rischio si rintracciano tuttavia nell’inclinazione integralista di alcuni luoghi di culto presenti in Italia e nei fermenti talvolta registrati nelle maggiori comunità di fede islamica, all’interno delle quali sono emersi accenti radicali, con espliciti inviti ad unirsi alla resistenza armata nei confronti dell’”invasione” statunitense ed espressioni di consenso per le azioni dirette contro gli USA ed i loro alleati.
Ciò, specie in correlazione con gli sviluppi della crisi irachena, rispetto alla quale è stato particolarmente articolato il dispositivo preventivo di intelligence, che ha dovuto coprire un’ampia gamma di potenziali fattori di pericolo, con particolare riguardo a possibili attivazioni degli apparati di sicurezza iracheni e di plurimi, significativi protagonisti della scena terroristica.
In altro ambito si collocano le acquisizioni relative all’eventuale arrivo in Italia di esponenti della dissidenza iraniana. Questa – priva del sostegno fornitole dal regime di Baghdad, sotto la cui egida ha mantenuto cospicue capacità militari – deve misurarsi con il problema dell’esilio della leadership e della sua stessa sopravvivenza e potrebbe trovare un referente per le connesse “trattative” nella diaspora insediata in Europa, inclusa l’Italia.
Se l’islamismo armato ha costituito un’indiscussa priorità dell’azione dei Servizi – che continuano ad aggiornare moduli operativi e d’analisi per contrastare una minaccia in continua evoluzione – la ricerca informativa si è del pari indirizzata verso altri attori del panorama terroristico internazionale. In questo senso, attenzione è stata riservata alle espressioni dell’eversione ideologica del bacino del Mediterraneo – specie in relazione a possibili collegamenti con le formazioni nazionali – ed ai movimenti di natura irredentista ed indipendentista attivi nei Balcani e nell’ambito del conflitto che oppone l’etnia tamil al Governo di Colombo nonché a quelli di matrice curda, tutte formazioni che hanno nel tempo evidenziato una presenza entro i nostri confini imponendo attivazioni mirate del comparto informativo con riferimento all’eventuale impiego del territorio nazionale per azioni a sostegno dell’attività armata condotta nei Paesi d’origine ovvero quale teatro “alternativo” per iniziative controindicate.




L’ampiezza e le interconnessioni del crimine interno ed internazionale nel quadro della minaccia generale hanno continuato a richiedere una ferma attivazione dell’intelligence, anche in sede di scambi con omologhi servizi stranieri.
Per quanto concerne i gruppi endogeni, essi hanno accentuato la già rilevata tendenza a diversificare ambiti e metodologie di intervento, coniugando tradizionali forme di illecito arricchimento ad affinate capacità di reinvestimento e di contaminazione dei circuiti economico-finanziari. Mentre la dimensione “affaristica” delle varie mafie ne è andata accentuando le proiezioni transnazionali, in talune realtà locali le esigenze tattiche di ridotta visibilità si sono intrecciate con dinamiche di emergente o conclamata conflittualità.
L’attività informativa ha confermato la strategia di “mimetizzazione” tuttora privilegiata da “cosa nostra” siciliana, nel tentativo di pianificare una fase di riassetto e rilancio dell’organizzazione. La struttura criminale, nonostante i risultati conseguiti dagli organi di contrasto, sembra ancora disporre di una flessibilità operativa che le consente di inserirsi in attività particolarmente rimunerative. Rientrano in questo contesto il sistematico ricorso alle estorsioni ed il costante interesse verso gli appalti, cui è da riconnettere, oltretutto, la prospettiva di un considerevole incremento degli stanziamenti pubblici, di fonte statuale e comunitaria.
Per quanto riguarda gli equilibri di vertice, i segnali raccolti confermano le difficoltà che incontrano le leadership storiche, fautrici di una strategia di “basso profilo”, ritenuta maggiormente funzionale allo svolgimento delle attività illecite, nel raggiungimento di un compromesso con gli esponenti dell’ala “stragista”, molti dei quali oggi reclusi e sottoposti al 41-bis.
Questi ultimi sono particolarmente attivi nella campagna di pressione contro il regime detentivo speciale, avviata lo scorso anno da elementi di spicco dell’organizzazione mafiosa anche ai fini di catalizzazione del consenso, e contestano ai boss in libertà di non adoperarsi abbastanza per la concreta soluzione del problema.
L’analisi delle dinamiche nell’ambito del circuito penitenziario, che ha assunto una rilevanza strategica sotto il profilo dei livelli decisionali, ha posto in luce reazioni non univoche alla descritta iniziativa aggregativa, alla quale avrebbero sin qui aderito i detenuti inquadrabili nei gruppi più agguerriti, inclusi i cd. “stiddari”, con il conseguente acuirsi delle divisioni nell’ambito della stessa comunità carceraria. L’ipotesi di un rafforzamento di detto schieramento ha trovato peraltro conferma nell’evoluzione dei rapporti interclanici della Sicilia Orientale.La ‘ndrangheta continua a connotarsi, in ambito nazionale ed internazionale, come una delle più insidiose strutture criminali, abile nella gestione di risorse finanziarie e attività imprenditoriali. Il monitoraggio dell’intelligence ha registrato reiterati tentativi di infiltrazione nelle gare di appalto, attraverso collaudate e differenziate metodologie di stampo intimidatorio che non escludono temporanee alleanze con altre organizzazioni delinquenziali, operanti anche al di fuori della regione. A ciò si è aggiunto il sempre più frequente inserimento in attività commerciali mediante partecipazioni occulte, pratiche estorsive ed usurarie.
In prospettiva, appaiono destinati ad attirare l’attenzione delle ‘ndrine, pronte a diversificare le opportunità di lucro, gli ingenti finanziamenti (segnatamente i fondi comunitari 2001/2005) collegati alle iniziative di rilancio economico della regione, nonché le risorse finalizzate alla realizzazione di centrali elettriche, ma soprattutto alla costruzione del ponte sullo stretto di Messina.
Il più redditizio settore di intervento resta comunque il traffico di stupefacenti, attese le opportunità di sviluppo favorite dalle ampie proiezioni internazionali delle organizzazioni coinvolte. Le famiglie – specie quelle localizzate sulla costa ionica – sono in grado non soltanto di incidere sul mercato nazionale, ma anche di controllare i flussi di importazione della droga dai luoghi di produzione fino all’Europa. Si valuta, in particolare, che i legami instaurati con i “cartelli” colombiani abbiano consentito alla mafia calabrese di assumere un ruolo pressoché egemone nel commercio di cocaina.
Le acquisizioni informative hanno evidenziato come le cosche siano al momento orientate ad evitare scontri interni, onde perseguire quell’ottimizzazione dei proventi già alla base dei tradizionali accordi di suddivisione delle aree di influenza. Ciononostante, si sono rilevate situazioni di instabilità (nel Reggino, a Lamezia Terme, nell’entroterra di Vibo Valentia ed in provincia di Crotone) testimoniate da tensioni ed omicidi suscettibili di innescare nuove faide.
Un incremento di atti violenti, riconducibili a ritorsioni od a mire espansionistiche, è emerso anche con riferimento alle organizzazioni camorriste che, pur mostrando un calo delle scissioni interne, hanno mantenuto inalterato il livello di conflittualità. Soprattutto nel comprensorio partenopeo, accanto alla sostanziale tenuta degli equilibri tra i gruppi dominanti, si è verificata una recrudescenza di uccisioni riconducibili a vecchie ostilità fra i clan operanti nella periferia.
Le risultanze dell’intelligence hanno delineato, del resto, una presenza criminale dinamica e priva di strutture monolitiche che, in ambito regionale, continua a caratterizzarsi per l’attenzione verso i flussi di denaro pubblico, secondo logiche di profitto che non hanno mancato di orientare l’interesse malavitoso anche verso il comparto dell’illegalità ambientale, anche in ragione dell’esiguità delle pene previste per tale tipologia di reati.
Prevalentemente correlate al traffico di droga appaiono le proiezioni esterne dei sodalizi campani, che denotano una crescente capacità di ramificazione nelle aree di produzione e di canalizzazione dei narcotici. Sono stati altresì raccolti segnali in merito al possibile utilizzo del territorio ligure come snodo logistico (verosimilmente anche per il transito di elementi della camorra), su contatti con bande marsigliesi e sulla presenza di basi in Germania.
In un contesto tuttora attraversato da tensioni, che risente oltretutto delle frequenti interferenze della ‘ndrangheta, le consorterie pugliesi hanno evidenziato un sensibile innalzamento della conflittualità, specie nel capoluogo e nel Foggiano. In quest’ultima provincia, e segnatamente nel comprensorio di Manfredonia, si sono rilevati, oltre ad un significativo incremento delle estorsioni in danno degli armatori e di altre imprese dell’indotto portuale, tentativi di infiltrazione nel polo industriale locale.
Se il commercio degli stupefacenti, per lo più di provenienza balcanica, risulta attualmente il settore maggiormente rimunerativo, l’ambito “tradizionale” dei sodalizi pugliesi resta il contrabbando di tabacchi. In tale settore l’attività di intelligence ha posto in rilievo un notevole dinamismo organizzativo e gestionale, secondo moduli operativi che prevedono, tra l’altro, lo stoccaggio delle merci nell’Europa orientale, il trasporto via mare su motoscafi d’altura o per mezzo di navi sulle quali sono imbarcati autoarticolati con appositi carichi di copertura, l’utilizzo dei principali porti dell’Adriatico e del Tirreno o di nuove rotte che interessano altri tratti delle coste italiane.
Secondo acquisizioni informative, le aggregazioni lucane hanno fatto registrare processi di consolidamento e di emulazione delle organizzazioni di stampo mafioso, con le quali mantengono importanti collegamenti. Sono emersi all’attenzione alcuni gruppi che sembrano aver compiuto un salto di qualità, pure attraverso il controllo di società ed imprese operanti nel campo delle costruzioni e delle forniture edili, nella gestione del ciclo dei rifiuti e nel settore idrico e fognario. Anche in questo contesto, i vari finanziamenti pubblici in fase di assegnazione potrebbero attirare l’interesse dei sodalizi più strutturati, soprattutto del Potentino, influenzando l’evoluzione di quello scenario criminale, tuttora caratterizzato da una fase di ridefinizione degli equilibri dovuta anche alle pressioni invasive delle cosche calabresi e pugliesi.




Ambito di rilievo verso il quale si è orientata l’attività dei Servizi è rimasta l’immigrazione clandestina: il fenomeno si riflette infatti in modo significativo sulla sicurezza nazionale, in primo luogo in relazione alla configurazione del traffico di migranti quale voce di spicco dei bilanci delle organizzazioni delinquenziali (che vi trovano inoltre strumento per consolidare il proprio radicamento all’estero), nonchè per la crescente presenza entro i nostri confini di clandestini che finiscono talora per alimentare circuiti macro e microcriminali attivi specie nei reati predatori, nel narcotraffico e nello sfruttamento della prostituzione.
Alla costante attenzione dell’intelligence è, poi, l’eventualità che le reti impiegate per l’ingresso illegale, che annoverano un fiorente “terziario” dedito al falso documentale, vengano utilizzate da militanti delle formazioni terroristiche.
La ricerca informativa – condotta d’intesa con Forze di polizia e Ministero degli affari esteri anche mediante la costituzione di un dispositivo “dedicato”, in cui le attività HUMINT vengono supportate da assetti di intelligence tecnologica – delinea una mappatura dei circuiti impiegati per l’ingresso illegale nel nostro Paese che conferma come rotte ed andamento del fenomeno riflettano la flessibilità organizzativa dei sodalizi criminali coinvolti nella sua gestione.
Vanno letti in tal senso la generale flessione degli arrivi clandestini provenienti dai quadranti “tradizionali” ed il parallelo interessamento di altre direttrici marittime, che riflettono le difficoltà incontrate dai network delinquenziali a fronte dell’incisiva azione di contrasto che il nostro Paese conduce, avvalendosi di affinati strumenti operativi e promovendo la più ampia cooperazione internazionale.
In questo contesto, ulteriore fattore di variabilità sembra dato, oltreché dalle contrazioni determinate dalla rafforzata vigilanza disposta da taluni Paesi di origine e transito – da ultimo anche con riferimento all’emergenza sanitaria collegata alla SARS – dal riorientamento di alcuni sodalizi delinquenziali verso altri, più complessi settori di attività.
Così, sebbene i Balcani continuino ad alimentare parcellizzati arrivi clandestini – che includono anche minori e giovani donne, specie moldave, avviate alla prostituzione già in quella regione – si registra una decisa diminuzione del flusso che attraversa l’area e, parallelamente, un decremento delle partenze dall’Albania verso le coste adriatiche e del ricorso agli itinerari terrestri che insistono nel quadrante, luogo di raccolta anche per migranti provenienti dall’Estremo Oriente.
Risulta, di contro, in crescita, in base a dati raccolti dai Servizi, l’interessamento del territorio ellenico sia per trasferire in Italia cinopopolari sia quale snodo dei movimenti clandestini che trovano scaturigine o fanno tappa in Turchia, puntando ai porti dell’Italia meridionale, specie calabresi, ed ai litorali settentrionali.Assoluta priorità ha poi assunto, nel semestre, il massivo utilizzo delle rotte che muovono dalla sponda meridionale del Mediterraneo attingendo le isole di Pantelleria e Lampedusa, approdi ricorrenti di imbarcazioni di fortuna gestite da gruppi criminali nordafricani.
Il monitoraggio informativo non ha mancato di riguardare le principali modalità impiegate per il trasferimento degli illegali, specie per quanto concerne unità navali e strutture di copertura e l’individuazione dei terminali operanti entro i nostri confini, anche mediante specifica azione intelligence in direzione dei clandestini arrivati in Italia avvalendosi dei circuiti criminali. Tale monitoraggio ha, in particolare, evidenziato la rilevanza, in Marocco, delle città di Tangeri e Tetouan e delle enclaves spagnole di Ceuta e Melilla; l’interessamento dei porti tunisini di Sfax, Tunisi e Sousse; l’importanza di Cipro – scalo intermedio per il trasbordo degli illegali da natanti di ridotte dimensioni, che salpano da approdi defilati, ad unità di stazza maggiore, deputate a coprire l’intera tratta verso l’Italia – soprattutto, la centralità delle località libiche di Zouara, Abu Kammash, Zliten e Tobruk, terminali di considerevoli flussi provenienti dalle aree centro-meridionali del continente africano.
Ciò, in un quadro generale in cui i principali scacchieri interessati dagli espatri verso l’Occidente restano:
– l’area subsahariana, dove è stata tra l’altro, rilevata una direttrice per il transito di somali che, oltre il Sudan (tradizionale tappa dei flussi del Corno d’Africa), tocca anche l’Etiopia e dove i circuiti clandestini provenienti dalle zone centrooccidentali corrono sugli itinerari terrestri del contrabbando che confluiscono in Libia, Tunisia ed Algeria (da ultimo adottati in alternativa alla rotta nord/sud che si concludeva in Marocco con imbarco finale per la Spagna);
– il quadrante asiatico, con epicentri nello Sri Lanka e nelle regioni cinesi dello Zhejiang e del Fujian;
– la regione anatolico/mediorientale, con significative concentrazioni lungo le coste turche e libanesi.
A fronte delle linee di tendenza palesate dal fenomeno migratorio clandestino, le iniziative assunte dal comparto intelligence si sono tradotte prioritariamente nella ricerca dei terminali delle organizzazioni criminali operanti in territorio nazionale ed in mirate attività info-operative nelle zone, specie del Mediterraneo orientate, dove si canalizzano i flussi più cospicui. Peculiare accelerazione è stata impressa, nel contempo, alla cooperazione con i Servizi dei Paesi maggiormente interessati dalla problematica. È di rilievo, al riguardo, la collaborazione stabilita con gli omologhi organismi informativi sloveni, egiziani e libici, particolarmente incentrata sulle rotte che attingono le nostre frontiere nord-orientali, sui transiti nel Canate di Suez, sul contrasto delle partenze dalle coste della Tripolitania e sulla permeabilità delle frontiere della Libia.
La movimentazione dei clandestini non sembra al momento rientrare negli ambiti di intervento privilegiati dalle organizzazioni mafiose italiane: sinergie solo episodiche e strumentali sono state rilevate limitatamente alla cooptazione degli illegali nei circuiti criminali.
Il business migratorio resta infatti campo elettivo per sodalizi stranieri sovente impegnati su fronti illeciti complementari o contigui, dal falso documentate al narcotraffico, dallo sfruttamento della prostituzione al lavoro nero. Il coinvolgimento nel traffico di esseri umani e nelle attività illegali connesse rappresenta, secondo quanto rilevato dalla ricerca informativa, un dato comune alle consorterie criminali estere operanti in territorio nazionale.
L’attivismo entro i nostri confini di gruppi esogeni – non di rado inauguratosi proprio con l’insediamento di terminali operativi dei circuiti migratori clandestini – qualifica in modo pregnante la scena del crimine organizzato evidenziando, sul piano generale un’espansione di quei clan, tanto geografica quanto operativa, che ne rispecchia le rispettive “specializzazioni” delinquenziali, strettamente correlate al ruolo assunto dai territori di provenienza nei maggiori traffici illeciti.
I dati di intelligence ribadiscono la pericolosità dei gruppi albanesi che, potendo contare su basi logistiche ed operative sull’intero territorio nazionale, hanno notevolmente esteso il proprio raggio d’azione ed incrementato progressivamente la capacità di interagire – seppure in chiave contingente – con i sodalizi endogeni, cui forniscono armi e stupefacenti.
Nel settore del narcotraffico, i clan schipetari sovente in associazione con altre espressioni criminali balcaniche, hanno ormai assunto un ruolo di assoluto rilievo, rappresentando “referenti mediterranei” per le organizzazioni che dominano le tratte – di origine e transito – di movimentazione degli stupefacenti. L’attività informativa ha, nello specifico, evidenziato canali di importazione di eroina turca ed afghana nonchè di marijuana albanese, che si sviluppano prevalentemente lungo la direttrice Durazzo-Puglia-Emilia Romagna.
Il monitoraggio informativo delle proiezioni entro i nostri confini della malavita esteuropea pone in luce la crescita delle consorterie ucraine, particolarmente attive nel campo delle estorsioni e del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, come confermato dall’individuazione, con il supporto dell’intelligence, di una struttura delinquenziale operante in Campania, con collegamenti con il crimine locale ed allogeno e diramazioni in Piemonte, Lombardia, Lazio e Calabria. Cosi pure rileva il dinamismo dei gruppi rumeni, attestati nelle regioni del centro-nord, spesso in posizione subalterna ai clan albanesi, di cui sembrano emulare le spinte espansive.
Si inquadrano, inoltre, nell’attivismo delle organizzazioni dell’Europa dell’est gli elementi raccolti dai Servizi in ordine ad organizzazioni attive nel commercio di droga ed armi e su sodalizi sospettati di gestire il traffico di organi umani.
Non mancano segnali informativi relativi al perdurare di tentativi di penetrazione nel circuito economico-imprenditoriale di esponenti della criminalità russa, indicata per il coinvolgimento nel riciclaggio e nel contrabbando, oltreché nell’immigrazione clandestina e nello sfruttamento della prostituzione, anche in collaborazione con elementi italiani.
Secondo quanto rilevato dalla ricerca intelligence, i sodalizi cinesi confermano cospicua autonomia nell’esercizio di condotte tipicamente mafiose, dimostrandosi particolarmente attivi nel traffico di immigrati clandestini, per la gestione del quale si giovano pure di alleanze a fini logistici con esponenti della criminalità russa e balcanica. Il tradizionale coinvolgimento in tale specifico settore illecito – cui è connesso quello dello sfruttamento della manodopera – ha determinato una crescente “specializzazione” di quei clan nel reperimento di falsa documentazione, strumentale anche alla mimetizzazione di soggetti a vocazione criminale. In un contesto in cui la malavita asiatica risulta da tempo operare prevalentemente in danno delle stesse comunità di connazionali, si registra la diffusione di fronti di illegalità più “visibili”, quali la gestione di bische e di “case d’appuntamento”.
In un’ottica di intelligence finalizzata a cogliere linee di sviluppo e principali tendenze dei fenomeni criminali allogeni, appaiono del pari significative la crescita numerica di esercizi commerciali e la costante espansione di società immobiliari e finanziarie, potenzialmente impiegabili quali coperture per usura e riciclaggio. Ciò, mentre i più recenti dati informativi segnalano un’estensione delle attività criminali anche contro cittadini italiani e la formazione di gruppi misti dediti soprattutto alle estorsioni, alle rapine ed ai sequestri-lampo.
Per quanto attiene alla criminalità nigeriana, ne risulta ormai consolidato l’insediamento in aree geografiche ed operative di presidio esclusivo, come in Campania, specie sul litorate domitio, dove quei gruppi gestiscono in posizione apicale il traffico della prostituzione e della droga, soprattutto cocaina, nonché la falsificazione di documenti ed il riciclaggio dei proventi illeciti in attività commerciali e nel campo dei servizi.
Di rilievo, la parziale disarticolazione, nel Casertano, sulla base di input informativi, di una strutturata organizzazione dedita allo sfruttamento della prostituzione – con proiezioni in Portogallo, Gran Bretagna, Olanda, Germania e nell’Europa orientale – composta di cittadini nigeriani e ghanesi, cui è stato contestato per la prima volta il reato di associazione di tipo mafioso.
L’azione di intelligence condotta nei confronti dei sodalizi stranieri presenti in territorio nazionale si articola anche nel monitoraggio operato in seno ai contesti esteri di origine.
In tale ambito, peculiare attenzione è stata rivolta dai Servizi alla regione balcanica, che resta rilevante piazza del traffico di droga ed armi, settore, quest’ultimo, cui fanno riferimento le indicazioni relative alle connivenze tra gruppi delinquenziali e formazioni del locale irredentismo.
Nel dettaglio, la ricerca informativa ha rilevato, in Albania, la prosecuzione del flusso di stupefacenti verso le nostre coste – attraverso trasferimenti diretti ovvero l’instradamento sulla Grecia – nonché l’incremento dell’attivismo criminale nei confronti della locale imprenditoria, significativo della crescita di quei clan e dell’intento di acquisire il controllo di settori-chiave del tessuto economico del Paese.
Pronunciata conflittualità segna la scena delinquenziale in Serbia ed in Kosovo, entrambi contesti nei quali, come nella limitrofa Bosnia-Erzegovina, gli odierni assetti malavitosi e la fluidità che li caratterizza riflettono passate o correnti contiguità con esponenti e formazioni di quel quadro politico. Ciò, mentre sono emerse, in Montenegro, indicazioni circa la riattivazione di traffici illeciti in transito verso Occidente – secondo rotte che prediligono, al momento, gli itinerari terrestri via Bosnia-Erzegovina e Croazia – e si registrano, nella FYROM, tensioni per il controllo della tratta di giovani donne avviate alla prostituzione.
Le acquisizioni sul perdurante porsi dei Balcani quali tappa dei flussi degli oppiacei rimanda alle evidenze sull’incremento della produzione e del commercio di eroina in Afghanistan nonché sui riflessi di tale fenomeno in Tagikistan – che ha consolidato il proprio ruolo di principale area di transito verso l’Europa – ed in Iran, dove è in crescita il consumo interno di stupefacenti.




L’attività di intelligence resta costantemente rivolta all’individuazione delle minacce alla proiezione estera degli interessi economici nazionali e dei potenziali rischi connessi ai tentativi di penetrazione nell’assetto produttivo e finanziario del Paese.
Per quanto attiene agli investimenti italiani oltreconfine, l’azione di monitoraggio ha continuato a riguardare le dinamiche straniere di maggior interesse in relazione sia alla situazione del Paese di riferimento, sia alle possibili azioni in danno dell’imprenditoria nazionale. Sul fronte interno, è stata ulteriormente implementata la ricerca – mediante l’acquisizione di elementi su specifiche operazioni finanziarie poste in essere da strutture economiche straniere – sui profili di vulnerabilità di comparti produttivi nazionali esposti a possibili inserimenti di capitali di illecita provenienza, soprattutto in riferimento a società quotate sui mercati azionari.
L’intelligence ha proseguito nell’opera volta ad individuare, in sinergia con altre amministrazioni dello Stato, fonti di finanziamento a sostegno delle organizzazioni terroristiche internazionali. A tal riguardo, l’attività informativa ha effettuato approfondimenti sulle tecniche innovative di compensazione, quali il traffico di diamanti, oro ed altri minerali di rilevante interesse economico/strategico, provenienti per lo più da Paesi africani che, caratterizzati da instabilità politica, favoriscono fenomeni di contrabbando. Particolare oggetto di analisi hanno costituito i legami di alcune organizzazioni non Governative (OnG) con gli ambienti dell’estremismo islamico, in ragione di vincoli sempre più stretti con i personaggi della opposizione politica (islamica e non) dei Paesi in cui operano, connotati spesso da indici di precarietà economica. Non si è mancato di analizzare il ricorso a fonti di finanziamento alternative da parte di organizzazioni estremiste che utilizzano canali creditizi paralleli o clandestini nonché sistemi di trasferimento di denaro di derivazione solidaristica, come l’hawala, che si sviluppano all’interno di comunità di immigrati e garantiscono l’anonimato nelle transazioni. Inoltre, mirato impegno è stato diretto a verificare le infiltrazioni dei gruppi criminali transnazionali, non solo con connotazione mafiosa, e ad individuare l’anello più debole nelle operazioni di autofinanziamento, rappresentato dalla ricerca di circuiti creditizi legali attraverso cui far transitare i capitali di provenienza illecita.
Nell’ambito di un più esteso monitoraggio informativo sulle connessioni tra associazioni mafiose esogene ed il tessuto economico nazionale/transnazionale, una particolare azione di vigilanza è stata riservata al rischio di infiltrazione della criminalità cinese.




Nel quadro del dispositivo di contrasto ad ingerenze di natura spionistica, corroborato dalla più ampia collaborazione internazionale, precipua attenzione è stata riservata al controllo di personale straniero sospetto, accreditato o comunque in servizio nel nostro Paese, anche al fine di individuarne reti operative, modus operandi ed obiettivi. Sono stati avviati accertamenti nei confronti di agenti esteri presumibilmente coinvolti in operazioni controindicate, anche di riciclaggio, ed è proseguito il monitoraggio informativo sulla condotta di cittadini orientali che, impiegati in istituti scientifici, potrebbero acquisire dati sensibili in quel comparto e nel settore tecnologico-industriale. La vigilanza intelligence ha inoltre riguardato elementi, inseriti in ambienti diplomatici, interessati ad istituzioni cattoliche ed ecclesiastiche. Mirate attività di approfondimento e verifica sono state sviluppate, in relazione alla crisi irachena, in ordine a soggetti a vario titolo presenti sul territorio.
Con specifico riferimento al versante estero, hanno continuato a costituire prioritario ambito di attivazione la prevenzione di violazioni di sicurezza in danno di sedi diplomatiche italiane e la tutela da iniziative di locali Servizi dirette verso il personale operante nelle nostre legazioni, ovvero in direzione di aziende nazionali. Sono stati altresì condotti riscontri in merito a numerosi agenti stranieri dislocati sotto copertura in vari Paesi.




Nell’attività di controproliferazione, in un impegno ad ampio spettro, l’attenzione informativa si è incentrata, tra l’altro, su numerose strutture di ricerca che sorte negli ultimi anni nell’area nordafricana – operano nella tecnologia d’avanguardia. Il dinamismo di tali centri si è estrinsecato nella partecipazione a gare internazionali per l’allestimento di laboratori e/o officine richiedenti know how ed ingenti materiali, nell’invio di studenti all’estero per la formazione in campi specifici e nei tentativi di instaurare collaborazioni con atenei ed istituti scientifici europei. In ordine al settore chimico, l’attività di intelligence sviluppata nell’area mediorientale ha consentito di acquisire informazioni sull’organizzazione ed il funzionamento di enti di supporto allo sviluppo di programmi industriali in comparti strategici civili, sospettati di sovrintendere anche a progetti di natura militare.
Per quanto attiene al procurement, è proseguito il monitoraggio info-operativo sui programmi portati avanti in taluni Paesi per il reperimento di materiali sensibili. La ricerca intelligence è stata rivolta a cittadini stranieri particolarmente attivi in Italia nel procacciarsi beni a duplice uso ed a numerosi contatti con ditte nazionali posti in essere da personaggi appartenenti a compagnie mediorientali di facciata, attive nelle acquisizioni di tecnologie destinate a progetti nel settore nucleare.
L’attività di contrasto ai trasferimenti di materiali d’armamento e dei correlati prodotti dual use ha riguardato trattative condotte da aziende italiane con significativo impatto sul piano della sicurezza nazionale ovvero indirizzate verso aree di tensione e/o verso Paesi proliferanti. Per quanto riguarda il flusso di materiali d’armamento in uscita dall’Italia, sono emerse all’attenzione alcune richieste di esportazione di armi portatili verso Paesi dell’America centro-meridionale, in ordine alle quali l’intelligence ha provveduto a fornire elementi sulle società destinatarie delle prospettate forniture e sul contesto di forte conflittualità esistente nell’area. Sempre nell’ambito del citato flusso di esportazioni, il monitoraggio informativo ha consentito di individuare l’intermediazione condotta da un nostro connazionale in merito ad un presunto trasferimento verso un Paese del Centro-Africa sottoposto a restrizioni internazionali. Sono state, altresì, attivate procedure catch-all (clausola che consente di bloccare il trasferimento di materiali dual use liberamente esportabili quando sussistano sospetti di utilizzo in programmi controindicati) nei riguardi di possibili esportazioni di materiale tecnologico verso Stati proliferanti.
In un’ottica allargata di opzioni praticabili da parte delle formazioni terroristiche transnazionali, da cui non è possibile escludere il potenziale ricorso a mezzi chimici, biologici e radiologici, l’intelligence ha continuato a focalizzare l’attenzione su due aspetti specifici: la valutazione degli aggressivi CBRN, potenzialmente utilizzabili in atti terroristici ed il monitoraggio del rischio radiologico.
Per quanto riguarda il primo aspetto, sono state individuate le sostanze CBRN più “appetibili” per le organizzazioni terroristiche ed il grado di vulnerabilità del “sistema paese”, in relazione alle misure protettive vigenti per fronteggiare organizzazioni di questo tipo. Sul fronte del rischio radiologico connesso con la presenza di impianti nucleari e di materiali radioattivi sul territorio nazionale, l’analisi informativa si è concentrata sugli aspetti suscettibili di incidere sulla sicurezza dei siti e dei rifiuti in essi custoditi. In tale quadro, si è provveduto ad individuare le classi di pericolosità attribuibili sulla base delle caratteristiche e della “sensibilità” dei materiali presenti al fine della formulazione dei correttivi da adottare per diminuire il livello di rischio.




Il supporto informativo e di sicurezza ai contingenti nazionali, specie quelli schierati nei teatri afghano, balcanico ed iracheno (missione ONU “UNIKOM” e preparativi per “Antica Babilonia”), ha costituito momento qualificante dell’attività intelligence sulla scena estera, sollecitando continuità d’azione, capillari dispositivi di ricerca e funzionali forme di coordinamento, a livello interforze ed internazionale. Sono stati introdotti appositi moduli organizzativi e potenziati i meccanismi di raccolta e diramazione delle notizie. La composizione di aggiornati ed aderenti quadri conoscitivi, prioritariamente rispondente alle esigenze di tutela, è stata contestualmente finalizzata a cogliere ogni possibile indicatore di rischio, in grado di ripercuotersi su perduranti situazioni di crisi, incerte fasi negoziali o delicati processi di stabilizzazione.

a. Balcani
Nella complessa realtà d’oltreadriatico, segnata da molteplici fattori di precarietà suscettibili di incidere direttamente sulla sicurezza nazionale, l’azione condotta nel semestre dagli Organismi informativi ha registrato, quale dato emergente, un consistente, ulteriore accentuarsi della instabilità politico-istituzionale. Tale aspetto, che ha interessato in varia misura quasi tutti i Paesi della regione, ha rischiato di rallentare sensibilmente il processo di “normalizzazione” perseguito, non senza difficoltà, dalle amministrazioni delle diverse ed articolate entità politiche locali. Alla fragilità insita nella problematica convivenza interetnica, si è aggiunto un pericoloso riemergere delle istanze centrifughe da rispettivi poteri statuali, tanto più negativo in quanto incidente nella delicata fase della costituzione dell’Unione di Serbia e Montenegro, auspicata anche in sede europea. Sostanziatesi in una diversificata tipologia di rivendicazioni – dall’accentuata autonomia, alla secessione mirata a nuove aggregazioni, fino alla vera e propria indipendenza – siffatte aspirazioni hanno offerto, in qualche caso, strumentale copertura ad interessi malavitosi. Focolai di tensione si sono riaccesi in Serbia meridionale nel Sangiaccato e nel Kosovo.
In particolare, la più volte segnalata contiguità tra settori degli apparati di Pristina e formazioni della guerriglia “irredentista” ha trovato un significativo riscontro nel comprovato coinvolgimento di un elemento del “Corpo di Protezione del Kosovo” (erede del disciolto UCK cui sono riconosciuti meri compiti di protezione civile) nell’attentato del 12 aprile contro il ponte ferroviario di Loziste, rivendicato dall’ ”Armata Nazionale Albanese”. Tale gruppo paramilitare particolarmente attivo nella Repubblica ex Jugoslava di Macedonia (FYROM), è stato dichiarato organizzazione terroristica dall’amministrazione ONU per il Kosovo con conseguente mandato alle forze multinazionali operanti nei Balcani di arrestarne i membri. Non prive di potenzialità destabilizzanti si sono rivelate le numerose iniziative delle frange radicali di diversa etnia: non solo nella provincia kosovara, dove si è riaffacciata l’ipotesi della cantonizzazione, ma anche nella FYROM, dove è stata provocatoriamente rilanciata l’idea della cessione all’Albania ed al Kosovo dei territori in cui è maggioritaria la componente albanese.
Ne è scaturita, nel complesso, una situazione di precarietà che ha accentuato l’esposizione a rischio delle forze di interposizione schierate nell’area, richiedendo un ulteriore, sensibile impegno informativo dei Servizi a tutela dei nostri contingenti militari.
La pervasività del fenomeno criminale e la sua tendenziale incidenza sulle dinamiche politiche – diffusa nell’intera regione – è apparsa evidente, in Serbia con l’omicidio del premier Dijndijc. La gravità dell’episodio, collocatosi oltretutto in una situazione di vuoto istituzionale dovuta alla mancata elezione del Capo dello Stato, ha indotto alla proclamazione dello “stato d’emergenza”: la conseguente adozione di più efficaci misure di contrasto ha consentito di confermare l’esistenza di saldature tra il sodalizio delinquenziale responsabile dell’assassinio ed ambienti dell’apparato istituzionale.
Già da tempo oggetto di specifico interesse intelligence, soprattutto per il pericolo di connivenze con il terrorismo internazionale, la presenza del fondamentalismo confessionale nell’area ha profilato dei rischi per la cornice di sicurezza della Bosnia-Erzegovina: i fermenti ingeneratisi, nella Federazione Croato Musulmana, in vista dell’intervento militare in Iraq, hanno fatto temere la possibile realizzazione di azioni violente ai danni delle rappresentanze diplomatiche dei Paesi che hanno sostenuto l’offensiva contro Baghdad. È apparso altrettanto significativo, in Albania, l’accentuato attivismo di OnG islamiche sospettate di collegamenti con ambienti estremisti, che ha indotto le autorità di Tirana – sempre impegnate a contrastare gli agguerriti sodalizi criminali e la diffusa corruzione dell’apparato istituzionale – a far chiudere la locale sede di un importante ente saudita.

b. Quadrante euroasiatico
Anche nel semestre in esame l’attività informativa ha confermato, tra i principali fattori di instabilità regionale la questione cecena, che ha fatto registrare una violenta recrudescenza dell’attività della guerriglia, nonostante l’avvio da parte di Mosca di iniziative volte a “normalizzare” la situazione, assicurando adeguata legittimazione ai futuri assetti politico-istituzionali della repubblica: significativa, al riguardo, è stata l’approvazione referendaria di una nuova carta costituzionale che definisce la Cecenia come parte integrante della Federazione russa. I gravi attentati di maggio – contro gli edifici governativi di Znamenskoye ed ai danni del responsabile dell’Amministrazione temporanea – hanno confermato la capacità operativa dei gruppi armati. Le modalità esecutive (con il reiterato ricorso all’azione suicida) hanno ulteriormente ribadito l’emergere, all’interno delle formazioni cecene, di fazioni confessionali di orientamento radicale, di cui più segnali attestano la connessione con le reti del terrorismo islamista.
Quanto all’Ucraina, al Belarus ed alla Moldova – sempre segnata, quest’ultima, da dispute territoriali – non si sono riscontrati mutamenti di rilievo rispetto al semestre precedente per quanto attiene ai profili di interesse per la sicurezza.
Le Repubbliche caucasiche della Comunità degli Stati Indipendenti vedono ancora il quadro politico legato a contrasti interetnici e ad annosi contenziosi, con il perdurante stallo dei negoziati tra Armenia ed Azerbaigian sulla questione del Nagorno-Karabak. In Georgia, oltre che con le spinte autonomiste di alcune regioni (Abkhazia e Ossezia meridionale) e con le attività estremistiche e delinquenziali nella Valle di Pankisi, il governo di Tbilisi deve misurarsi con una recrudescenza della criminalità comune ed organizzata.

c. Medio Oriente
L’attenzione degli Organismi informativi in direzione del quadrante mediorientale – sempre elevata in ragione dei rischi insiti nella cronica instabilità del contesto – è stata accentuata, nel semestre, in relazione agli sviluppi della crisi irachena ed alle ripercussioni che la campagna militare è andata determinando nell’intera regione. Il pericolo di penetrazione nei Paesi contermini di elementi addestrati all’attuazione di azioni destabilizzanti (ricerca di contatti con formazioni integraliste, operazioni di guerriglia, pianificazione di attentati ed altre iniziative intese ad innescare sollevazioni popolari in funzione antioccidentale ed antiamericana) ha preceduto e costantemente accompagnato l’evoluzione della crisi, moltiplicando l’esigenza di acquisizione e verifica informativa.
Notevole, sotto questo profilo, l’interesse catalizzato dalla Siria, in virtù della posizione geostrategica e del ruolo politico svolto in campo interarabo. A fronte dei sospetti di connivenze con il regime di Baghdad e con il terrorismo internazionale nonché di coinvolgimento in programmi per l’acquisizione di armi di distruzione di massa, la dirigenza di Damasco ha assunto posizioni di spiccato pragmatismo. Ciò, pur continuando ad esprimere, sulla questione palestinese, un atteggiamento decisamente critico nei confronti della Road Map e confermando la propria forte influenza sul Libano. In tale contesto, hanno assunto rilievo il ruolo della componente estremista presente nei campi profughi palestinesi e l’attività di Hizballah contro obiettivi israeliani di confine.
Nella prima fase dell’intervento armato in Iraq gli Organismi informativi non hanno mancato di seguire le forti tensioni interne – poi progressivamente rientrate col procedere dell’offensiva contro Baghdad – che hanno segnato la Giordania. Nella monarchia hashemita la presenza di un’influente componente islamica, facente capo al movimento dei Fratelli Musulmani, e di una consistente comunità palestinese costituiscono, infatti, immanenti fattori di precarietà cui si è affiancato, nel periodo un accresciuto rischio di derive estremiste.
Anche lo Yemen non è stato esente da manifestazioni di protesta: la cornice di sicurezza, quantomeno nell’area della capitale, è stata tuttavia assicurata da un’incisiva azione delle forze governative, che hanno compiuto arresti di estremisti islamici sospettati di connivenze con il terrorismo internazionale di matrice wahabita. Più problematica si è rivelata la situazione nel restante territorio, ove, secondo le notizie acquisite, merita attenzione “l’Esercito islamico di Aden-Abyan”, gruppo legato agli ambienti tribali ed islamici vicini ad Al Qaida. Inequivocabili segnali di una notevole recrudescenza del fenomeno eversivo sono stati raccolti in Arabia Saudita, in concomitanza con una sensibile crescita del sentimenti antioccidentali, strumentalmente fomentata dagli ambienti integralisti in relazione all’autorizzazione all’impiego delle basi americane dislocate sul “sacro suolo” saudita. La rilevanza della complessa situazione cui sono state chiamate a far fronte le autorità di Riyadh – che ha sollecitato una particolare attenzione dei Servizi – è emersa in tutta evidenza con il verificarsi dei gravi attentati del 12 maggio: altrettanto importante, anche se meno visibile, è apparsa la questione del coinvolgimento di enti sauditi nell’attività di proselitismo ideologico e nel finanziamento di organizzazioni fiancheggiatrici della rete di Bin Laden.
Pur in costanza del conflitto iracheno, hanno richiesto notevole impegno, per il comparto intelligence, le dinamiche proprie della crisi israelo-palestinese, la cui centralità, nella dimensione strategica mediorientale, è stata riproposta all’attenzione della comunità internazionale dall’ennesima ondata di gravi episodi terroristici e dal rinnovato impulso al negoziato conferito dalla mediazione statunitense all’indomani della caduta di Saddam Hussein. Particolare cura gli Organismi informativi hanno dedicato all’analisi delle acquisizioni concernenti numerosi aspetti “sensibili” che caratterizzano la difficile situazione sul campo. Basti pensare, tra l’altro: alla complessità dei rapporti di forza nell’ambito dell’Autorità Palestinese, alla sempre maggiore frammentazione dei gruppi integralisti, che ne diminuisce sensibilmente la effettiva controllabilità, e, sul fronte israeliano, alla resistenza, da parte di ambienti estremisti ed ultraortodossi, a concessioni funzionali al dialogo.Altrettanto rilevante – non solo per gli equilibri regionali ma, più in generale, per il potenziale impatto con le strategie internazionali convergenti nell’area – è apparsa, nell’ottica della sicurezza, la situazione dell’Iran, costantemente seguita dalla nostra intelligence. All’inasprirsi del confronto tra l’apparato conservatore e la componente più moderata ha corrisposto un’ulteriore fase di tensione politica e sociale, acuita dalla grave congiuntura economica, che ha contribuito al delinearsi, nel Paese, di una sorta di “stallo istituzionale” impedendo, di fatto, qualunque concreta iniziativa riformista. Se il repentino collasso del regime di Baghdad è stato salutato con soddisfazione dal governo iraniano, per l’eliminazione di un nemico storico e l’apertura di favorevoli prospettive per la comunità sciita irachena, la crescente influenza di “attori” esterni ha aperto un periodo di forti pressioni sulla leadership di Teheran, di cui sono stati a più riprese denunciati l’attivismo nella proliferazione degli armamenti non convenzionali (specie nel settore nucleare) e l’atteggiamento nei confronti del terrorismo internazionale, non immune da sospetti di strumentali connivenze.
Le dinamiche della crisi che hanno interessato l’Iraq nel semestre di riferimento – tradottesi nell’avvio delle operazioni militari sul territorio iracheno e nella conseguente caduta di Saddam Hussein – sono state oggetto di specifica attenzione da parte dell’intelligence, anche in un’ottica di tutela del contingente nazionale.
All’indomani del vertice delle Azzorre del 16 marzo, conclusosi con un ultimatum al regime iracheno a rispettare incondizionatamente le risoluzioni ONU, ha preso avvio il 20 marzo, l’intervento anglo-americano che, protrattosi per quattro settimane, ha determinato il crollo del regime del rais.
L’esigenza di trovare una formula politica finalizzata alla costituzione di un governo transitorio, prodromico all’instaurazione di un modello statuale democratico, ha visto impegnata l’Amministrazione statunitense in una serie di iniziative il cui obiettivo è stato quello di riunire le varie entità tribali e religiose locali. Tuttavia, i contrasti sorti sia sulla composizione del futuro organismo ad interim sia sull’esclusione di alcune componenti religiose hanno portato alla costituzione di un Comitato Politico Provvisorio di 25/30 componenti con il compito di agevolare la fase di transizione.
Sotto il profilo della sicurezza, lo scenario – costantemente monitorato dall’intelligence – ha continuato ad essere caratterizzato da attacchi contro le forze della coalizione e da attentati contro la rete di distribuzione di greggio.
Tali episodi, correlabili a molteplici fattori, appaiono riconducibili a forme di resistenza locale, specie di matrice sunnita, causate da un generalizzato disagio sociale, economico e culturale ed alimentate dalla propaganda antioccidentale di religiosi locali, impegnati a fomentare disordini ed atteggiamenti di aperta ostilità contro le truppe USA. Dietro le azioni destabilizzanti figurano altresì gruppi di ex paramilitari “Feddayn-e Saddam”, esponenti dei disciolti Servizi di intelligence ed arabi reclutati da elementi tribali sunniti che avrebbero costituito l”’Esercito di Liberazione dei Feddayn”, mentre un’altra formazione denominata “Ritorno”, composta da ex membri del partito Ba’th, avrebbe intensificato la propaganda per incoraggiare la resistenza.

d. Nordafrica
L’analisi complessiva del quadro di situazione dell’area nordafricana – che resta sponda privilegiata anche dell’azione diplomatica intesa a creare una zona di sicurezza e stabilità nel Mediterraneo – evidenzia come la regione, accanto agli sviluppi che riflettono la specificità dei singoli contesti nazionali, registri processi che ne attestano la pregnante interazione con le principali dinamiche in atto nella scena internazionale. Nel semestre, ciò è parso tanto più visibile in connessione con l’intervento anglo-statunitense in Iraq, cui hanno corrisposto manifestazioni di protesta antioccidentali. Quanto sopra, in un contesto – all’attenzione dei Servizi in relazione a quegli sviluppi di situazione che si raccordano alle principali minacce transnazionali – nel quale da tempo le opposizioni islamiste si giovano della valenza della crisi israelo-palestinese per stigmatizzare l’asserita “accondiscendenza” delle Autorità nordafricane verso le posizioni di Tel Aviv e verso la connessa politica USA.
Nella regione non mancano eventi ed evidenze informative che pongono in luce l’esistenza di fenomeni di radicalizzazione.
La presenza di fermenti eversivi autoctoni raccordati, almeno sul piano ideologico, al movimento islamista internazionale è emersa in modo eclatante in Marocco, con gli attentati del maggio a Casablanca. Effettuate a pochi mesi dalle elezioni amministrative del settembre 2003, quelle azioni terroristiche potrebbero riflettersi sulle prospettive del processo di modernizzazione avviato dal Sovrano, anche per le ripercussioni negative sul quadro economico. Secondo le valutazioni dell’intelligence, il richiamo esercitato dalle istanze radicali presso talune fasce popolari, peraltro, può estendersi in ragione della veicolazione strumentale da parte dei settori estremisti delle misure adottate per il rafforzamento del sistema di sicurezza.
Segnali in ordine al diffondersi della propaganda radicale e sul connesso rischio di nuove iniziative di matrice islamista, anche contro interessi stranieri, sono stati raccolti dai Servizi pure con riferimento alla Tunisia, dove la tenuta della linea politica del presidente ha garantito condizioni di stabilità, pur a fronte dell’insorgere di un clima di intolleranza nei confronti dell’Occidente – riconducile alle reazioni al deterioramento della crisi israelo-palestinese ed all’intervento in Iraq – e del perdurare della stagnazione economica, che rischia di penalizzare l’orientamento del governo inteso ad incoraggiare gli investimenti interni ed esteri mediante l’avvio di programmi di privatizzazione.
Le difficoltà che le Autorità dell’area incontrano nel contemperare l’apertura ed il sostegno all’Occidente con talune istanze del mondo arabo sono confermate dal tentativo golpista dell’inizio di giugno nella capitale della Mauritania. L’azione eversiva, condotta da elementi delle forze armate verosimilmente collegati ad ambienti integralisti islamici, risulta indicativa della tensione che caratterizza la scena interna, dove – specie in correlazione con la crisi irachena e con le iniziative repressive intese a contenere il dissenso – si è acuito il confronto tra i circoli radicali e la dirigenza, fatta oggetto di pressanti critiche per i rapporti di cooperazione con gli USA ed Israele.
Di peculiare rilievo risultano, in proposito, le indicazioni informative sulla penetrazione di ranghi di Al Qaida nella fascia confinaria di Mauritania ed Algeria, Paese, quest’ultimo, tuttora segnato dal terrorismo islamista, particolarmente attivo sia nelle regioni settentrionali che nelle zone meridionali, ove il fenomeno si associa al contrabbando transfrontaliero lungo rotte impiegate per la movimentazione di militanti radicali. A segnare il semestre è intervenuto, accanto alle azioni in danno di obiettivi civili e militari, il sequestro di 32 turisti europei da parte delle locali formazioni armate.
Il ripetersi di attacchi ed incursioni ad opera degli integralisti, il perdurare delle tensioni nella Cabilia – dove si sono registrati frequenti scontri tra forze di sicurezza e manifestanti berberi – e le difficoltà socio-economiche aggravate dal terremoto del maggio rappresentano altrettante sfide per l’esecutivo, specie in vista delle elezioni presidenziali del 2004 e degli impegni assunti per quanto concerne la privatizzazione delle imprese di Stato e la riforma del settore degli idrocarburi.
Manifestazioni di protesta e rischio terroristico – accentuato dalla presenza, nel Paese, di spinte e strutture eversive che hanno nel tempo fornito elementi di spicco al movimento jihadista internazionale – hanno rappresentato le coordinate entro le quali si è mossa anche l’azione dell’Egitto.
Soprattutto in connessione con i passaggi che hanno scandito l’evolversi della crisi irachena, quella dirigenza, che ha ulteriormente rafforzato il dispositivo di contrasto delle locali espressioni estremiste, è stata chiamata a preservare, ad un tempo, il proprio ruolo di interlocutore di spicco dell’Occidente e di protagonista del mondo arabo. Vanno letti anche in tale contesto gli sforzi di mediazione esercitati con riguardo al conflitto mediorientale, specie mediante la promozione di negoziati interpalestinesi.
Si sono innestate sempre nella delicata congiuntura del periodo in esame le frizioni con la Lega Araba della Libia, che – ad ulteriore sviluppo di un orientamento che ne segna da tempo l’azione politico-diplomatica – ha continuato a privilegiare il contesto regionale e le relazioni con l’Occidente.
In questo senso si muovono i significativi progressi registrati in relazione alla cd. “questione Lockerbie”, nonché, per altro verso, i progetti di riforma dell’economia in senso liberista emersi in esito alla riunione annuale del Congresso Generale del Popolo.

e. Corno d’Africa ed Africa subsahariana
In un contesto caratterizzato da una perdurante situazione di precarietà economico-sociale e da un’accentuata instabilità politica, le risultanze informative rilevano un progressivo consolidamento dell’estremismo islamico ed un intensificato attivismo dei gruppi armati clandestini, al punto da far ritenere la regione un’area ad alto rischio di attentati terroristici.
In Etiopia, oltre alla guerriglia dei movimenti di opposizione, si registra una crescente presenza di organizzazioni integraliste, con particolare riguardo alla formazione somala Al Ittihad Al Islami (AIAI), sospettata di legami con Al Qaida. In questo senso, è significativa la partecipazione del Paese ad iniziative di cooperazione internazionale per combattere il terrorismo nell’area. Sul piano esterno, l’elevata tensione con l’Eritrea, determinata dal difficile processo di demarcazione del comune tratto confinario, non pare tuttavia destinata a degenerare nel breve termine. In quest’ultimo Paese, si evidenzia un incremento del fenomeno dell’emigrazione clandestina, legato alla crisi socio-economica.
Sono state raccolte segnalazioni relative alla presenza di militanti di Al Qaida in territorio somalo, dove, in un quadro di elevata conflittualità tra varie fazioni, le forze della coalizione internazionale hanno proseguito l’attività di monitoraggio volta a contrastare l’estremismo islamico mediante operazioni tese ad impedire il trasferimento nel Paese, con l’appoggio di forze locali, di elementi della rete terroristica ed a prevenire eventuali azioni controindicate. Al riguardo, si rileva l’arresto di un presunto membro di Al Qaida accusato di essere coinvolto negli attentati di Nairobi e di Mombasa.
L’intenso attivismo dei gruppi armati islamici nella regione ha indotto il governo del Kenya a rafforzare la presenza militare al confine con la Somalia, ritenuto permeabile all’ingresso di estremisti.
Accanto ad un graduale miglioramento dei rapporti con i Paesi confinanti e con l’Occidente, Karthoum è apparsa fortemente impegnata nei negoziati per la soluzione del conflitto tra il governo e l’opposizione armata attiva nel sud del Paese.
Il ravvivarsi di focolai di crisi in più aree del continente riporta la regione centroafricana all’attenzione internazionale, per sviluppi suscettibili di lacerare ulteriormente Paesi gravemente segnati da variegate rivendicazioni etnicoterritoriali. Valgono, in questo senso, lo stato di conflittualità che sta toccando, tra gli altri, la Liberia, il Burundi e la Repubblica Democratica del Congo, con risvolti umanitari legati a traumatici esodi di popolazioni che versano in gravissime condizioni alimentari e sanitarie. Segnali di consistente instabilità provengono anche dalla Costa d’Avorio e dallo Zimbabwe.

f. Asia centro-meridionale e sud-orientale
Lo scenario politico dell’Afghanistan permane caratterizzato da fattori di tensione ed instabilità, legati agli ostacoli incontrati dalla dirigenza di Kabul nel consolidare la propria autorità su tutto il territorio ed alla mancata neutralizzazione delle sacche di resistenza organizzata dei talebani e dei militanti di Al Qaida. Il dispositivo dell’intelligence in questo contesto ha compreso anche uno specifico monitoraggio informativo di tutela, in relazione alla peculiare situazione di rischio in cui si sono trovati ad operare i nostri militari. La fluidità della situazione, le difficoltà ambientali e la pericolosità del teatro – connotato da una molteplicità di insidiosi fattori di minaccia – hanno richiesto costante impegno, continuità d’azione e stretto coordinamento internazionale, al fine di assicurare un ampio ed efficace “ombrello” protettivo alla missione italiana. Oltre che alla cennata “force protection”, l’attività di supporto è stata funzionale alla pianificazione ed alla condotta delle operazioni del contingente nazionale, in un quadro di massima collaborazione con gli omologhi Organismi degli altri Paesi della coalizione.
Nelle regioni orientali e sud-orientali del Paese, ove è dislocato il contingente italiano, si è in effetti registrato un deterioramento delle condizioni di sicurezza a causa di un’intensificazione dell’attività terroristica e di infiltrazioni di estremisti islamici lungo il tratto confinario con il Pakistan.
Anche nell’area di Kabul si è rilevato un incremento degli attentati contro le forze della coalizione ed obiettivi governativi, accompagnato da un aumento degli episodi di criminalità comune connesso con il consistente flusso dei profughi e con le diffuse condizioni di precarietà sociale.
Viene, peraltro, segnalato qualche disagio nei ranghi delle costituende forze armate afghane, che potrebbe alimentare il rischio di defezioni di militari verso gruppi ostili all’autorità centrale ed al contingente multinazionale.
Nonostante le misure governative volte a contrastare il fenomeno, si rileva un aumento delle attività legate alla produzione ed al traffico di stupefacenti, che figurano tra le principali fonti di finanziamento della guerriglia anti-coalizione.
Nelle Repubbliche dell’Asia centrale ex-sovietica, contigue all’Afghanistan, risultano in espansione i movimenti fondamentalisti islamici, che strumentalizzano le difficili situazioni economiche ed occupazionali per intensificare la propaganda ideologica ed ampliare l’area di proselitismo. Nella regione il rischio di iniziative violente è da ricondurre, in particolare, in base alle evidenze informative, al Movimento Islamico dell’Uzbekistan ed all’organizzazione Hizb ut Tahrir.
In Pakistan, resta salda la guida del Paese nonostante la crescita dell’opposizione islamista e l’attivismo di gruppi radicali, rafforzatosi con l’avvio delle operazioni militari in Iraq.
In politica estera, la campagna diplomatica di rilancio dell’immagine del Paese si è tradotta in un rafforzamento dei rapporti con gli Stati limitrofi. Numerosi sforzi sono stati profusi per migliorare le relazioni con l’Afghanistan – testa di ponte per il commercio con i Paesi dell’Asia Centrale – e con l’Iran, malgrado gli episodi di violenza ad opera di fondamentalisti sunniti a danno della comunità sciita presente in Pakistan.
Nel medesimo contesto, l’analisi informativa non ha mancato di monitorare gli sviluppi tesi alla ricerca di una soluzione con l’India in merito all’annoso contenzioso sul Kashmir. Dopo la forte crisi della primavera dello scorso anno – che indusse a paventare la possibilità di un conflitto su scala regionale – i due Paesi hanno quasi completato il ritiro delle rispettive forze militari, pur mantenendo entrambi un consistente dispiegamento lungo la Linea di Controllo. A rendere problematica una soluzione del citato contenzioso contribuiscono le perduranti infiltrazioni di gruppi estremisti islamici, basati in Pakistan, che hanno continuato ad effettuare azioni terroristiche in territorio indiano mentre New Delhi ribadisce la pregiudiziale di una soluzione sul Kashmir attraverso negoziati bilaterali senza mediazione internazionale.
Anche il Sud-est asiatico si va sempre più imponendo all’attenzione dell’intelligence per fenomeni terroristici e per il ripiegamento operato, in quell’area, da elementi dell’islamismo transnazionale. I rapporti tra elementi di vertice di Al Qaida e dell’estremismo asiatico sembrano essersi sviluppati e organizzati, nel tempo, grazie all’opera silente ed insidiosa di leader spirituali che hanno curato la penetrazione del messaggio radicale nel quadrante. Ciò, in nome di un progetto panislamico che ha reso possibile l’emergere di una rete regionale che lega Jemaah Islamiah indonesiana alle formazioni malesi e filippine e raccorda i gruppi attivi nell’area al disegno internazionalista di Bin Laden.
In Indonesia, tra l’altro, sullo sfondo del perdurante conflitto tra le forze armate e il movimento separatista islamico della provincia di Aceh, si profila un aumento del rischio di attentati terroristici, suscettibili di estendersi a tutto il Paese.

g. Altri contesti di interesse
L’analisi informativa nei confronti della Corea del Nord ha posto in evidenza come, all’indomani dell’intervento militare in Iraq, le relazioni di Pyongyang con gli USA abbiano subito un ulteriore deterioramento, tradottosi principalmente nel boicottaggio, da parte delle autorità nord-coreane, delle iniziative finalizzate all’avvio di un processo di disarmo nella penisola asiatica.
L’asserita delegittimazione delle Nazioni Unite, intervenuta, secondo Pyongyang, dopo la crisi irachena, svincolerebbe la Corea del Nord dal rispetto delle risoluzioni votate da quell’Organismo in merito allo smantellamento del proprio programma nucleare clandestino.
Nonostante il perdurare delle tensioni, in occasione di una riunione ministeriale intercoreana svoltasi nell’aprile, si sono registrati segnali che lascerebbero intravedere, comunque, una soluzione pacifica della crisi. In particolare, sono state raggiunte intese in materia di cooperazione economica e di ripresa dei negoziati tripartiti (Cina, Corea del Nord, USA) con l’eventuale coinvolgimento anche di Corea del Sud, Giappone e Russia.
Nel contesto sudamericano, la ricerca intelligence ha evidenziato: la presenza, nel territorio del Brasile, di basi di appoggio logistico delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) per i guerriglieri in transito, in particolare verso l’Europa; in Perù, il possibile inserimento, a fini destabilizzanti, del movimento guerrigliero Sendero Luminoso nelle tensioni connesse alla crisi economica; in Venezuela, il protrarsi di conflitti sociali che, lungi dal trovare soluzione, fanno temere una deriva del Paese verso condizioni di grave instabilità.


(*) Trasmessa alla Presidenza della Camera dei Deputati il 5 settembre 2003, ai sensi dell’art. 11, primo comma della legge 24 ottobre 1977, n. 801.

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