La globalizzazione e i suoi oppositori, edito lo scorso anno per i tipi della Einaudi, è un libro che racconta un’esperienza diretta. Chi l’ha scritto ne è stato di fatto il protagonista d’eccezione. Joseph E. Stiglitz, Premio Nobel nel 2001, professore di economia alla Columbia University, già capo dei consulenti economici di Bill Clinton alla Casa Bianca durante il primo mandato, non ha solo un curriculum straordinario. Si è trovato anche a ricoprire ruoli operativi di primo piano, come quello di Senior Vice President e Chief Economist della Banca Mondiale dal 1997 al 2000, tuttora osservatorio privilegiato di una realtà complessa e in via di permanente evoluzione.
Da sempre coinvolto nello studio dello sviluppo economico, cui ha dedicato tra l’altro oltre venticinque anni di ricerca e di insegnamento, Stiglitz ha le carte in regola per scrivere sul tema della globalizzazione, argomento tra i più pressanti del nostro tempo, i cui risvolti concreti sono vissuti un po’ ovunque, nei Consigli di amministrazione piuttosto che sulle pagine dei giornali, nelle scuole di tutto il mondo come nei sofisticati dibattiti accademici, sullo sfondo di diffuse contestazioni, soprattutto nei paesi sviluppati, che hanno costretto i policy makers ad un approfondito esame di coscienza.
Stiglitz non è un oppositore della globalizzazione. Vuole piuttosto esprimere il suo pensiero sull’argomento, che è molto critico, non per ciò che concerne il processo in sé, ma per il suo concreto svilupparsi.
Della globalizzazione, intesa come eliminazione delle barriere al libero commercio e come maggiore integrazione tra le economie nazionali, sottolinea infatti con parole dure e prove a Suo avviso inconfutabili gli effetti negativi sui paesi in via di sviluppo, le deficienze ed i fallimenti.
Le critiche riguardano principalmente questo aspetto, mentre l’Autore riconosce il fenomeno in sé, come accennavamo, quale forza positiva potenzialmente idonea a promuovere la crescita e a ridurre la povertà. Il fatto è che le concrete modalità di gestione dei processi economici, nonché le politiche promosse dalle principali istituzioni - tra cui in primis il Fondo Monetario Internazionale – sulla base di una perversa miscela di ideologia e politica impongono ai paesi in via di sviluppo soluzioni standard sorpassate e inadeguate. Tutto ciò, secondo Stiglitz, invece di risolvere i problemi favorisce gli interessi dei paesi industrializzati più avanzati, indebolendo le nuove democrazie.
E’ logoro il presupposto secondo cui i mercati, per loro stessa natura, operano in maniera efficiente. Una passiva accettazione di tale postulato, ha precluso, sostiene il premio Nobel con convinzione, l’intervento di molti governi con provvedimenti e misure adeguate, capaci di guidare la crescita economica a beneficio di tutti.
Seguendo un leit-motiv che sarà ripreso anche nel suo ultimo libro, I ruggenti anni novanta, appena pubblicato negli Stati Uniti e in Inghilterra, Stiglitz sostiene una visione del tutto differente. Auspica una politica economica in cui governo e mercato siano complementari, agiscano in modo congiunto, secondo modalità ovviamente diverse da un paese all’altro in ragione del livello di sviluppo politico ed economico.
Oltre all’incapacità delle istituzioni internazionali nel mettere a punto politiche economiche e programmi di intervento in grado di fronteggiare le crisi e gli squilibri più persistenti, l’Autore denuncia la mancanza di spazio per un dibattito aperto e schietto.
Allo scambio di idee e progetti egli conferisce grande valore, tanto da considerarlo uno dei temi centrali del libro. Confronto delle posizioni, dal quale scaturiscano politiche migliori e, quindi, risultati positivi.
In tale prospettiva, la sua coraggiosa presa di posizione ha certamente anche lo scopo, in parte dichiarato, di suscitare un aperto confronto, che non si deve svolgere soltanto dietro le porte chiuse dei governi e delle organizzazioni internazionali, né restare confinato nella atmosfera più vivace delle università. Le persone le cui vite saranno influenzate dalle decisioni relative al modo di gestire la globalizzazione hanno il diritto di partecipare e sapere.
In definitiva il problema di fondo è come far funzionare la globalizzazione. Su tale interrogativo Stiglitz condensa le considerazioni dell’ultimo capitolo, La strada da percorrere, nel quale traccia a grandi linee le riforme necessarie. Tutte ruotano intorno ad un’esigenza avvertita come fondamentale, un cambiamento di mentalità da parte delle istituzioni economiche internazionali che vada nella direzione di una maggiore apertura e trasparenza.
Si tratta in altre parole di cambiare il modo di intendere la globalizzazione, se si vuole renderla equa ed efficace, e soprattutto funzionale a migliorare il tenore di vita delle popolazioni, in particolare di quelle più povere. Questa è l’essenza della visione che il premio Nobel propone ai Lettori. Viceversa, il malcontento non potrà far altro che crescere e la contestazione potrebbe radicalizzarsi. La sfida dei paesi avanzati è fare la propria parte per riformare le istituzioni internazionali che governano la globalizzazione, in un’ottica di cooperazione, partecipazione e condivisione di responsabilità.
|
|