Dopo la guerra in Iraq si è coagulato un vasto consenso tra i più disparati analisti circa l'inizio di una nuova fase delle relazioni internazionali. Il turning point è costituito dagli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 a New York, Washington D.C. e Pennsylvania. La decantazione di questo cambiamento si è prodotta con la risposta unilaterale degli Stati Uniti. In questo breve e recente torno di tempo, l'America latina è, purtroppo, relegata ai margini nei dibattiti sulla sicurezza internazionale: i suoi problemi di governabilità, la sua frammentazione e “atomizzazione” rendono, infatti, difficile attirare l'attenzione delle potenze globali sulle principali preoccupazioni del subcontinente. Ne è prova, ad esempio, la problematica ricerca di un consenso unanime nell'ambito della Conferenza Speciale sulla Sicurezza nelle Americhe.
Nuovo scenario globale. L’America latina perde rilevanza
La fine della Guerra Fredda ha segnato il termine di un ciclo che aveva caratterizzato il sistema internazionale per quasi 50 anni, alimentando grandi aspettative di collaborazione multilaterale. Il ruolo delle Nazioni Unite parve rafforzarsi e di fatto la sua presenza nella ricerca di risoluzioni ai gravi conflitti che minacciano la pace e la sicurezza internazionale è aumentata. Tuttavia, i meccanismi farraginosi della burocrazia, la crescente mancanza di risorse e, in definitiva, la debole volontà di sostegno politico da parte degli Stati membri dell’Onu determinarono verso la metà degli anni novanta una crisi del multilateralismo.
La ricerca di soluzioni nuove traspare nel Rapporto Brahimi, nella creazione della Commissione sulla sicurezza umana e di quella sull’intervento e la sovranità dello Stato nonché nella Dichiarazione del Millennio. Gli attentati terroristici dell’11 settembre minarono, però, questa discussione, lasciando il campo alle definizioni unilaterali delle priorità strategiche da parte degli Stati Uniti. In aggiunta, come scenario di fondo di tale processo, si possono sottolineare alcune caratteristiche dell’attuale sistema internazionale: la fine della Guerra Fredda; la globalizzazione; l’interdipendenza; i mutamenti di sovranità; i divari nello sviluppo e la nascita di nuovi attori.
L’impatto della fine della Guerra Fredda e la rivoluzione geostrategica che ne è derivata definirono l’Europa – articolata attorno all’Ue – come un nuovo attore globale. Nell’ambito strategico militare la fine del bipolarismo non culminò nell’edificazione di un sistema multipolare; su questo piano apparve un iper-potenza, gli Stati Uniti, che esercita un dominio di tale ampiezza da assicurare un controllo unipolare del mondo.
Un secondo cambiamento di magnitudine è costituito dalla globalizzazione, processo che si riflette nel contesto generale delle relazioni politiche, economiche, sociali e strategiche nel quale sono immersi i principali attori internazionali. Le sue manifestazioni sono, però, segmentate e producono effetti differenziati a seconda delle regioni. Uno dei suoi impatti principali è stata la riduzione del potere degli Stati, che hanno oramai difficoltà a controllare i flussi commerciali, i movimenti finanziari, le comunicazioni e i trasferimenti di tecnologia. In aggiunta, sono aumentati gli illeciti, la criminalità organizzata si è ramificata su scala globale ed il traffico di persone si è intensificato. Il processo di globalizzazione ha così eroso la sovranità statale. Al contempo, ha unificato quei comportamenti, quei consumi e quei valori che influenzano i tratti culturali di differenti paesi del mondo. La mondializzazione ha, infine, cambiato le dimensioni dello spazio e del tempo: attualmente lo scenario è planetario e il corso degli avvenimenti, in qualunque parte del pianeta, richiede effettivamente decisioni in tempo reale.
Parallelamente allo sviluppo della globalizzazione si lega un altro fenomeno che lo rafforza, l’interdipendenza globale, evidenziata sia dalle crisi finanziare che dalla diffusione di epidemie come l’Aids o la Sars. L’intensificazione dei vincoli associativi all’interno delle differenti regioni e in ambito globale costituisce oramai uno dei fenomeni caratteristici di questa epoca.
Anche le nozioni tradizionali di sovranità sono cambiate in modo considerevole. La porosità delle frontiere fa sì che è sempre più difficile differenziare le sfere “esterne” da quelle “domestiche”. L’inter-penetrazione dei sistemi politici e le influenze reciproche sono ancor più intense. Il concetto di sovranità ancorato all’idea di territorialità perde di validità nella misura in cui avanza la globalizzazione. Gli Stati, in particolare i più deboli, hanno, infatti, dimostrato una lenta e difficoltosa capacità di adattamento a questi fenomeni. Come se non bastasse, i cosiddetti “Stati falliti” facilitano lo sviluppo di reti criminali ed il commercio illegale di armi sicché si può affermare che una parte rilevante delle nuove minacce di carattere globale e regionale risiede nell’incapacità di alcuni Paesi di controllare i propri spazi nazionali. Paesi che non hanno nemmeno avuto modo di avviare processi di associazione destinati alla creazione di “sovranità aggregata” attraverso la cooperazione.
Allo stesso modo, altro dato sociale legato ai fenomeni predetti, e che non manca di avere un impatto globale, è costituito dalla crescente iniquità del pianeta. I divari nello sviluppo umano si manifestano oramai con grande virulenza attizzando focolai di conflitto in distinte parti del mondo. Nel caso latino-americano la CEPAL (Comisión Económica para América Latina y el Caribe, n.d.r.) stimava che nel 1999 circa un 44% della popolazione, vale a dire più di 215 milioni di persone, viveva in povertà.
A seguito della fine della Guerra Fredda la presenza di nuovi attori internazionali ha altresì prodotto un cambiamento strutturale, emerso con forza nel corso del decennio passato. L’affermazione di una società civile globale, tuttavia, non è stata affiancata dallo sviluppo di un reale processo partecipativo. L’assetto istituzionale della politica multilaterale continua, infatti, ad essere eminentemente inter-statale, non incorporando adeguatamente manifestazioni di tipo differente della società internazionale.
Prendendo in considerazione la situazione latino-americana in questo nuovo contesto globale, si nota come la regione nel suo complesso abbia perso importanza relativa nelle priorità dell’agenda globale. L’America latina, in sostanza, sta occupando uno spazio marginale nelle preoccupazioni e negli interessi delle grandi potenze.
La crisi di governabilità della regione e le difficoltà riscontrate nell’approntare politiche comuni (indispensabili per parlare con una “sola voce”) tendono ad acutizzare la situazione periferica e di marginalità, aggravatasi a seguito della guerra in Iraq, che ha diviso l’area frazionandola ancor più. In relazione a questo evento, la presa di posizione di paesi importanti dell’America latina non ha solamente inasprito i vincoli con gli Stati Uniti, dal momento che la mancanza di una prospettiva comune ha finito col debilitare le opzioni e le posizioni di tutti. L’attacco compiuto contro l’Iraq dalla coalizione anglo-statunitense, senza l’autorizzazione delle Nazioni Unite (e con il sostegno spagnolo), ha diviso i paesi latino-americani: sette hanno appoggiato la politica della coalizione, ricercando con ciò vantaggi sul piano bilaterale o a livello subregionale con gli Stati Uniti; tre hanno adottato posizioni ambigue mentre altri sette, tra cui i paesi di maggior grandezza dell’area, si sono opposti all’intervento. In poche parole, considerato il maggior significato ed impatto politico dell’America latina, questa non è riuscita a concertare un’adeguata politica comune.
L’articolazione dei consensi in ambito latino-americano in relazione ai nuovi fenomeni globali è, dunque, ridotta. Si dissipano così opportunità di cooperazione e di incidenza nel sistema internazionale. Allo stesso modo, come conseguenza di questo deficit politico, l’America latina perde potere, cosa che non manca di riverberarsi nelle sue relazioni con le grandi potenze, in particolar modo con gli Stati Uniti. Questa erosione di potere si avverte, soprattutto, non appena giunge il momento di stabilire e definire le regole che governano e regolano la mondializzazione.
L’America latina e le sue crisi ricorrenti. Democrazie deboli, instabilità e insicurezza
I cicli ricorrenti di instabilità costituiscono un altro aspetto che ostacola una precisa collocazione internazionale dell’America latina. Questi cicli esprimono, da un lato, la debolezza delle sue democrazie e, dall’altro, più nello specifico, i problemi di governabilità che attanagliano i diversi Paesi dell’area.
Con uno sguardo rivolto agli accadimenti degli ultimi tredici anni, da quando ossia la totalità degli Stati della regione, all’infuori di Cuba, ha guadagnato un sistema democratico, assistiamo a cicli di instabilità istituzionale che si manifestano in colpi di Stato, putch militari e destituzione di Presidenti, soltanto per citare alcuni fatti tra i più ricorrenti. Tutto ciò determina una situazione per la quale le democrazie si caratterizzano per una “bassa intensità e densità”. Di qui, la ragione per la quale il livello di gradimento della democrazia è molto basso (corrispondente soltanto ad un 27%) e il sostegno dei cittadini ad “altre forme di governo” è aumentato con il passare degli anni, secondo gli studi effettuati da Latinobarómetro. Nel 2002 in America del Sud erano presenti quattro governi interinali. Il sostegno dell’opinione pubblica a molte compagini governative non raggiunge il 25%, cosa che paralizza gli esecutivi e incrementa l’ingovernabilità. Emergono così governi deboli, con alte aspettative ma senza mandati effettivi. L’eccezione è oggi rappresentata dal Brasile di Lula.
Ognuna di queste crisi, situazioni di tensione e polarizzazioni incidono seriamente sulle libertà civili. In molti casi hanno determinato una limitazione delle libertà effettive dei cittadini e dei diritti della persona. A ciò si aggiunga che proprio in America latina si manifestano con maggior virulenza le iniquità sociali e il gap nello sviluppo umano. Quanto precede amplifica le tensioni interne di carattere politico, economico, sociale, etnico e culturale, le quali, come conseguenza della debolezza delle istituzioni democratiche e dei fragili meccanismi di partecipazione e controllo sociale, non trovano risoluzione all’interno dei quadri istituzionali esistenti. La regione è così caratterizzata da corruzione quasi endemica, così come da forme di clientelismo (“amiguismo”) nonché da politiche populiste.
Il quadro testé delineato di instabilità e di crisi ricorrenti non manca di incidere sulla sicurezza della regione. Le principali incognite in questo campo sono radicate nelle dispute di carattere internazionale, vale a dire nelle situazioni nelle quali l’impatto della globalizzazione, l’interdipendenza, l’erosione della sovranità e il divario nello sviluppo umano si manifestano attraverso vari conflitti che implicano l’uso della forza. Nell’ambito di questa nuova conflittualità gli attori non statali assumono crescente importanza. La criminalità organizzata, ad esempio, costituisce una seria minaccia alla stabilità, alla governabilità e alla sicurezza. Le reti criminali internazionali, a differenza degli Stati che incontrano crescenti difficoltà nella definizione di strategie e di strumenti di cooperazione inter-governativi efficienti, hanno senza dubbio tratto giovamento dagli sviluppi tecnologici e dalle opportunità generate dalla globalizzazione. Le principali e, chissà, le uniche opzioni a disposizione per affrontare le nuove sfide – le cinque guerre della globalizzazione, come le definisce Moisé Naím – risiedono nell’incremento della cooperazione inter-governativa e nella definizione di strategie condivise. Senza questa prospettiva non c’è modo di risolvere con successo questioni come il narcotraffico o il traffico illegale di armi. Né tantomeno sarebbe capace di farlo l’iper-potenza unilateralmente. La cooperazione e lo sforzo congiunto rappresentano, dunque, l’unica prospettiva per una buona riuscita; ma purtroppo l’America latina si è trovata sistematicamente in difficoltà ogniqualvolta si è trattato di concertare una politica comune.
Eppure, affrontiamo un nuovo contesto internazionale che richiederebbe di pensare alla sicurezza, le cui espressioni variano a seconda delle distinte regioni come conseguenza della multidimensionalità del fenomeno, in modo differente. I Capi di Stato e di Governo delle Americhe compresero in anticipo la necessità di un nuovo approccio e nel secondo Vertice di Santiago del 1998 e nel terzo celebrato nel Québec nel 2001 proposero di realizzare una Conferenza Speciale ad hoc. La responsabilità della sua organizzazione ricadde sulla Commissione per la Sicurezza Emisferica dell’O.S.A. mentre il governo del Messico offerse la propria disponibilità ad ospitare tale evento. Il suo successo richiede la ricerca di un consenso unanime sia sul piano concettuale che su quello operativo. Il processo preparatorio ha dimostrato che si tratta di un compito complesso a causa dell’eterogeneità regionale, della sua frammentazione e della ricerca di opzioni individuali che spesso fanno premio su quelle regionali. Ciononostante, l’interdipendenza della sicurezza è così condizionante da incentivare il raggiungimento di un’intesa elementare in materia di sicurezza nelle Americhe.
Verso una Conferenza di Sicurezza inclusiva
Il sistema di sicurezza internazionale delle Americhe nel secolo XXI risponderà a principi nuovi. Il consenso democratico si costituisce come asse fondamentale attorno cui si organizzeranno, si struttureranno e si proietteranno le attività di prevenzione, protezione e dissuasione. Conseguentemente, è sulla base del rafforzamento della democrazia e dello sviluppo dei processi di cooperazione e di integrazione emisferica che saranno definiti i parametri principali di una nuova architettura internazionale della sicurezza.
Per quanto attiene ai temi tradizionali della sicurezza, vale a dire a quelli di natura territoriale, nel corso degli anni novanta sono stati raggiunti significativi risultati. I contenziosi relativi alle questioni di frontiera sono stati ridotti in modo drastico e le differenze ancora pendenti non sono più percepite come situazioni conflittuali tali da potere implicare l’uso della forza. Se ciò accadesse si assisterebbe ad una condanna immediata della comunità internazionale e verrebbero immediatamente applicate le sanzioni derivanti dalla sottoscrizione di accordi internazionali e regionali.
Le principali domande di sicurezza e le principali fonti di insicurezza si legano alle questioni di natura intra-statale che spesso sfociano in crisi o in situazioni di tensione tra attori non statali e le forze istituzionali. Le vulnerabilità derivanti dalla mancanza di sviluppo e dalle gravi iniquità sociali favoriscono il disappunto e la polarizzazione.
Tuttavia, non è possibile stabilire una correlazione diretta tra le deficienze dello sviluppo e l’uso della forza. La risposta a questo fenomeno e le maggiori domande di sicurezza non passano per la “securitización” dello sviluppo. In altri termini, fare della lotta alla povertà un tema di sicurezza è sbagliato, nonostante tale sfida sia di primaria importanza e priorità. I meccanismi per incrementare lo sviluppo ed eliminare la povertà si legano essenzialmente alla capacità degli Stati di riformare i propri sistemi politici, economici e sociali. In proposito, risulta altresì essenziale intensificare la cooperazione non solo tra Stati ma anche con le istituzioni internazionali che promuovono e finanziano lo sviluppo.
Nelle Americhe gli strumenti di allarme, di prevenzione e di previsione dei conflitti sono deboli sebbene, con riferimento ad alcuni temi afferenti l’agenda tradizionale della sicurezza, siano stati approntati meccanismi sub-regionali efficienti, quali il trattato sulla Sicurezza Democratica in America centrale e gli accordi stipulati in seno alla Comunità Andina delle Nazioni e al Mercosur. Nel caso delle nuove minacce e, specialmente, di quelle di natura asimmetrica (ad esempio, il terrorismo e le attività illecite della criminalità organizzata) lo sviluppo di meccanismi di prevenzione è ancora ad uno stato embrionale. In tal senso, l’accorpamento di organismi ed entità che sono ora atomizzati in una nuova architettura istituzionale di carattere flessibile corrisponde ad una delle principali priorità della Conferenza Speciale della Sicurezza.
L’approccio muldimensionale caldeggiato rende possibile la visualizzazione di un ampio spettro di domande di sicurezza e di misure di azione effettiva per prevenire la violenza ed altre minacce di natura non militare. Ciò presuppone la trattazione, nell’alveo delle istituzioni democratiche, di due aspetti cruciali: a) la questione del pieno esercizio della sovranità statale sull’insieme del territorio nazionale; b) il mantenimento del monopolio statale della violenza.
La multidimensionalità della sicurezza, come ha segnalato la Commissione per la Sicurezza Emisferica, non riflette alcun ordine di priorità, e se dovesse proprio avere un asse portante, questo sarebbe l’uso della forza. Con ciò si eviterebbe di ampliare ed estendere il concetto di sicurezza a qualsiasi fenomeno o accadimento sociale di una certa importanza. Sarebbe così possibile definire in modo chiaro i ruoli delle singole istituzioni, neutralizzando al contempo alcune tendenze negative, quali la militarizzazione della polizia e l’uso delle forze armate a scopi di polizia. In aggiunta, grazie a questa prospettiva, che áncora il concetto di sicurezza esclusivamente alla prevenzione e all’eliminazione delle minacce legate all’uso della forza, si limiterebbero i pericoli di militarizzazione della stessa politica. Per la lotta contro altri fenomeni, come la povertà o le epidemie, rimangono maggiormente appropriati approcci informati a concetti e a principi propri dell’agenda dello sviluppo. Sia in tema di sicurezza che di sviluppo, comunque, la cooperazione, la solidarietà e l’aiuto sono cruciali.
In sintesi, in questa fase della mondializzazione l’unico approccio multidimensionale è quello che permette di incorporare in una visione coerente e comprensiva i distinti livelli (interno, inter-statale, globale) nei quali si materializza la sicurezza.
Nell’ambito di cambiamenti internazionali che pongono sempre più la persona al centro del sistema, è necessario formulare un concetto di sicurezza coerente. L’idea di sicurezza umana contribuisce alla visualizzazione delle vulnerabilità, delle domande di sicurezza e delle prospettive che emergono con riferimento alla salvaguardia delle persone. È poi indispensabile pensare alla sicurezza dello Stato sia in chiave tradizionale che secondo modalità che tengano conto dei nuovi rischi derivanti dai processi di globalizzazione, d’interdipendenza e di erosione della sovranità. Stante l’esistenza di problemi globali e il frequente trasferimento di instabilità da una regione all’altra, il terzo ambito che deve essere tenuto in considerazione è quello che si riferisce alla sicurezza internazionale. La formulazione di un concetto di sicurezza panamericano coerente che comprenda queste tre sfere esige una riflessione comune. Non è un compito facile.
Nonostante quanto precede, l’obiettivo principale della Conferenza Speciale sulla Sicurezza risiede nella formulazione e nell’emissione di una Dichiarazione Politica in cui siano esplicitati i principi cardine della cooperazione, della prevenzione e mitigazione dei conflitti nonché della dissuasione riconosciuti nelle Americhe. Il successo di tale Conferenza si radica nella capacità di sviluppare una prospettiva amplia nella quale l’asse portante deve essere l’uso della forza. Questi due aspetti devono necessariamente essere riflessi in un Piano di Azione, che esprima la solidarietà e la volontà politica di agire congiuntamente al fine di proteggere la democrazia, la pace e la stabilità nelle Americhe.
I progressi ottenuti nell’ultimo torno di tempo con la sottoscrizione della Carta Democratica delle Americhe, la Convenzione Inter-americana contro il Terrorismo, la riaffermazione della volontà di consolidare e sviluppare l’America latina come una zona denuclearizzata e di pace, sono, del resto, di buon auspicio per la Conferenza Speciale sulla Sicurezza.
Lavorare per il buon esito della Conferenza è una responsabilità comune tra i vari attori. Nonostante essa ricada innanzitutto sugli Stati e sui suoi dirigenti che dovranno dare prova di vera leadership, anche gli attori della società civile, le organizzazioni non governative e i centri accademici hanno un loro ruolo di incidenza che è stato assicurato dall’Organizzazione degli Stati Americani. Il risultato finale si materializzerà nello stabilimento di una nuova architettura flessibile della sicurezza internazionale delle Americhe. Lo sviluppo e l’istituzionalizzazione di questi meccanismi faciliterà i compiti di consolidamento della pace in questa parte del mondo, cosa che non mancherà di contribuire alla sta-
bilità globale.
Organizzazione degli Stati Americani
Conferenza Speciale sulla Sicurezza - Città del Messico, 27-28 ottobre 2003
Final Report
Noi, Ministri degli Affari esteri e capi delle delegazioni, rappresentanti degli Stati membri dell’Organizzazione degli Stati Americani, riuniti a Città del Messico, Distretto Federale, nel quadro della Conferenza Speciale sulla sicurezza convocata dall’Assemblea generale dell’Organizzazione nei termini della risoluzione AG/RES. 1940 (XXXIII-O/03), quale espressione del nostro impegno politico per la lotta alle minacce, ai timori e alle sfide che si pongono per la sicurezza degli Stati del Continente americano e in conformità ai mandati dei Capi di Stato e di governo in occasione del Secondo e Terzo Vertice delle Americhe svoltisi, rispettivamente, a Santiago (Cile) e a Città di Quebec (Canada), abbiamo adottato la Dichiarazione allegata sulla sicurezza nelle Americhe.
Al fine di proseguire nell’impegno politico al processo, rinnovato nel corso della Conferenza Speciale sulla Sicurezza, conveniamo di rafforzare le procedure coordinate volte ad ottenere l’applicazione, la valutazione ed il perseguimento degli impegni contenuti nella Dichiarazione sulla Sicurezza nelle Americhe.
Firmato a Città del Messico, D.F., il giorno 28 ottobre dell’anno 2003.