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Per Aspera Ad Veritatem n.26
Mossad. Le guerre segrete di Israele.

B. Morris e I. Black - Rizzoli Editore, Milano, 2003



C’è una lunga storia di pubblicazioni riguardanti il Mossad, il celebre servizio segreto israeliano.
Il libro appena scritto dallo storico Benny Morris e dal giornalista del Guardian Ian Black sceglie di caratterizzarsi per la descrizione di fatti storici ed episodi reali, lasciando da parte narrazioni fantasiose e non controllate.
La vita istituzionale del Mossad è contraddistinta da grandi successi, ma anche, nell’opinione dei due Autori, da incredibili fallimenti.
Il punto di partenza della narrazione è l’attività dell’Haganah (Esercito clandestino prima della costituzione dello Stato) che, basandosi sull’iniziativa e l’intuizione personale di pochi individui, creò la prima rete capillare di informatori, base sulla quale poggeranno le fondamenta dell’attività dell’intelligence israeliana.
Solo successivamente furono costituiti lo Shin Bet (servizio di sicurezza interna), l’Aman (servizio informazioni militari) e il Mossad (servizio per l’estero).
Da questo punto l’efficace ricerca degli Autori porta a raccontare di riunioni segrete, infiltrazioni nelle file nemiche, riunioni politiche, accordi con altri servizi segreti (CIA, MI5), ma soprattutto molteplici storie personali di agenti in missione raccontate direttamente o indirettamente dagli interessati.
È chiaro quali siano le difficoltà di costruire una biografia non autorizzata su fatti ed eventi circondati da particolare riservatezza. Particolarmente apprezzabile è quindi il lavoro meticoloso di ricerca delle fonti dichiarato dai due scrittori, che si basa su giornali, riviste, libri, interviste rivolte a ex membri dei tre servizi dell’intelligence israeliana. Ogni episodio è ricostruito basandosi su testimonianze incrociate.
La lettura, scorrevole ed interessante, si risolve anche in una cronaca scarna e cruda della lunga storia di Israele, evidenziando la capacità dei Servizi del Paese mediorientale di fornire informazioni precise per effettuare operazioni mirate nel campo nemico e per individuare ed eliminare i capi delle organizzazioni estremiste arabe, nel corso di tanti anni che hanno visto ripetersi e riproporsi un conflitto permanente.
Uno dei problemi della ricerca informativa per tutti gli organismi d’intelligence è quello di adottare strumenti utili per selezionare la mole enorme di informazioni oggi disponibili. Ciò costituisce un grande problema, non facilmente risolvibile, anche per le conseguenze di eventuali valutazioni errate.
Questo specifico aspetto costituisce, secondo gli Autori, uno dei punti deboli del Mossad: «i quadri dirigenziali sono molto meno bravi nello scremare la valanga di informazioni che ricevono quotidianamente e elaborare delle indicazioni di strategia da fornire al Governo». Ciò spiega, nella visione di Morris e Black, gli insuccessi clamorosi, come il non essere riusciti a prevedere l’attacco egizio-siriano nel 1973 oppure la prima Intifada palestinese nel dicembre del 1987.
Tra le difficoltà che hanno determinato tali fallimenti, secondo gli Autori, va anche considerato che le strutture politiche arabe sono molto rigide e le gerarchie di comando molto autoritarie. Il loro funzionamento non è basato su principi democratici.
Avviene infatti che la strategia fondamentale da seguire viene scelta da un solo capo che difficilmente condivide le sue scelte con altri componenti dell’apparato.
Quindi «è difficile spiare nella testa di un solo uomo, specie quando manca una libera opinione pubblica».
I due Autori evidenziano chiaramente che la guerra combattuta dal Mossad è molto diversa dalle altre perché la posta in gioco è la sopravvivenza di un popolo e la salvaguardia della sua «nicchia ecologica».
A ben vedere, il nemico da combattere non è il popolo arabo che si pone su posizioni ostili ad Israele, ma il tempo. E’ importante agire cercando di prevenire attacchi a sorpresa e soprattutto conoscere il territorio ostile e le abitudini di vita dei probabili hezbollah.
In questo ambito giova considerareun altro elemento che gli Autori propongono come peculiare della storia dell’intelligence israeliana: la sistematica ingerenza della politica, che ha esercitato controlli e pressioni, per poi sottrarsi alle responsabilità nell’eventualità del fallimento dell’azione.
Questa situazione ha pesato notevolmente, rendendo l’apparato dirigenziale in alcune situazioni molto meno operativo, impedendo talora la previsione di eventi tragici di portata fondamentale ma soprattutto provocando la conseguenza che per lungo tempo fossero nascoste responsabilità e negligenze.
In conclusione, il ruolo del Mossad sarà sempre di primaria importanza per la salvaguardia dello Stato, almeno fino a quando permane il conflitto e la situazione drammatica del popolo palestinese. Una parola di speranza è affidata alle conclusioni: «se il mondo fosse più perfetto, conoscere i propri nemici potrebbe servire per cercare di fare la pace con loro. Ma fino a quel momento, in Israele e altrove le spie saranno in auge».



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