GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
Per Aspera Ad Veritatem n.26
Intervista all'autore: Maurizio CALVI - Luca Sossella Editore, Roma, 2003

Le date del terrore. La genesi del terrorismo italiano e il microclima dell'eversione dal 1945 al 2003
di Maurizio Calvi, Alessandro Ceci, Angelo Sessa, Giulio Vasaturo



D. - Senatore Calvi, come nasce l'idea di un Centro Alti Studi per la lotta al terrorismo e alla violenza politica?

R. - Dal punto di vista formale, il CeAS è un istituto privato che ha la caratteristica di ONLUS. Come ispirazione di fondo, di rilievo statutario, assume la difesa dei diritti civili e, quale elemento di maggiore evidenza della sua attività, l'analisi della violenza politica in tutte le sue forme, con particolare riferimento al terrorismo interno e internazionale. L'istituto ha caratteristiche scientifiche e di analisi. In relazione ai suoi obiettivi di carattere accademico, ha stretto forme di collaborazione con le maggiori Università italiane ed altri enti e organizzazioni. Tra questi, abbiamo ad esempio realizzato memorandum con le Università La Sapienza e Roma Tre, la Link Campus University di Malta, l'UNICRI, l'Agenzia delle Nazioni Unite, il Centro «Gino Germani», Limes, l'Università di Firenze ed altre importanti istituzioni. L'elemento che ci interessa maggiormente é un approccio di carattere scientifico ai temi della violenza politica e del terrorismo. Abbiamo iniziato nel 1998, sulla base di una percezione che ci sembrava straordinariamente interessante. L'analisi di scenario circa l'attività di Osama Bin Laden nel contesto internazionale dell'epoca. Ancora prima del 1998, avevamo pubblicato alcuni contributi sulla Rivista Militare relativi alla sicurezza nel mondo, con i quali avevamo già lanciato l'allarme, verso la comunità nazionale e quella internazionale, sulle nuove caratteristiche del fenomeno terroristico e sulla natura planetaria che, secondo i risultati delle nostre analisi e previsioni, avrebbe assunto nel contesto della geopolitica internazionale. Subito dopo gli attentati di Dar el Salaam e Nairobi avevamo ulteriormente percepito, con maggiore forza, il rischio che gravava sulla comunità internazionale. Di conseguenza, abbiamo tratto l'idea di organizzare un importante seminario Terra, Terrore e Terrorismo, svoltosi in effetti a Priverno nel maggio del 2000. Attraverso un'analisi, presentata in quell'occasione, siamo stati in grado di prevedere che l'attacco sarebbe arrivato in una comunità maggiormente normata, dove si percepivano minori rischi perché le difese erano più forti, individuando persino l'elemento simbolico attraverso il quale il terrorismo internazionale e quindi Bin Laden avrebbero colpito. Avevamo immaginato proprio le Twin Towers, tanto che nello schema che abbiamo presentato in quell'occasione figurava una bomba fra le due torri e il volto di un musulmano. L'attacco sarebbe arrivato molto probabilmente in quel modo. Si trattava di un'analisi che ci aveva portato a circoscrivere, sotto il profilo simbolico, proprio l'attacco agli Stati Uniti, considerato il paese nemico per eccellenza da parte del terrorismo di carattere religioso. Abbiamo poi assistito nel settembre 2001 a ciò che è accaduto. Una forma di violenza politica manifestatasi laddove quest'ultima non esiste più, com'è il caso degli Stati Uniti, in una società normata, dove esiste un sistema di regole sufficientemente forti, rigide, da risultare il detonatore amplificato del terrore applicato. Avevamo immaginato che l'attacco in un simile contesto avrebbe avuto un effetto comunicativo senza precedenti. Così è stato. Naturalmente, è solo un serio approccio di tipo analitico che ha consentito di arrivare a queste conclusioni, cercando di seguire il ragionamento del terrorismo e di Bin Laden. Da questa importante conferma di metodo siamo partiti con il progetto di un altro seminario, svoltosi successivamente e questa volta dedicato all'intelligence, a torto o a ragione fortemente indiziata per il fallimento dell'undici settembre. Un presupposto appariva chiaro: l'attacco era stato reso possibile anche perché nell'intelligence il fattore umano aveva assunto un tono minore, trascurato a favore di una tecnologizzazione della ricerca informativa. Si era pensato di poter affrontare la lotta al terrorismo e alla violenza politica nel mondo quasi esclusivamente attraverso sistemi satellitari, come Echelon. Questo è stato un errore evidente della comunità internazionale, reso clamorosamente visibile dai fatti di New York e di Washington. Sottovalutare il fattore umano ha avuto un'incidenza fortemente negativa per l'azione di prevenzione e di contrasto alla violenza politica.
Riprendendo le fila della sua domanda, vorrei più in dettaglio riferire che l'attività del CeAS si articola in tre principali ambiti: il primo, lo studio e l'analisi, dal punto di vista scientifico, del fenomeno della violenza politica e quindi del terrorismo, sia sul piano interno che internazionale; il secondo, l'attività di alta formazione, che il CeAS ha proposto, di comune accordo con l'allora Presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi Franco Frattini, per diverse tipologie di personale compreso quello dei Servizi, per evitare una sorta di militarizzazione degli appartenenti e delle relative carriere. Negli Stati Uniti, lo cito a titolo di esempio, il direttore della CIA Tenet ha una formazione di carattere umanistico. Il nostro obiettivo era convincere che anche nei nostri Servizi il mondo accademico italiano potesse avere uno spazio. Ciò ci ha portato, per converso, anche ad influenzare il mondo accademico italiano affinché affrontasse i problemi della sicurezza. Tutte queste attività, inizialmente condotte dal CeAS e poi riprese alla Link Campus University dall'On.le Scotti, con il quale avevo ripreso una serie di rapporti, ci hanno consentito di individuare anche un'attività formativa in ambito universitario, il Master su Intelligence e security, che la Link Campus University ha attivato d'accordo con il CeAS ed altri istituti.
Questa è un po' la storia del nostro istituto.
Accanto a queste attività a carattere seminariale e di alta formazione, si è aggiunta più di recente una terza attività, di tipo editoriale, che in un certo senso è nata parallelamente a quella didattica. Infatti, vorrei ricordare che il CeAS è presente nel Master su Criminologia, intelligence e sicurezza presso l'Università La Sapienza di Roma, guidato da Francesco Bruno, nell'ambito del quale gestisce circa cento ore di insegnamento. C'è un'ulteriore presenza, come modulo formativo, nell'ambito del Master in Peacekeeping and security studies presso l'Università Roma Tre. Di recente, il Ministero degli Affari Esteri ci ha proposto un'attività formativa per il personale diplomatico sui problemi della sicurezza, per cui abbiamo avviato e stiamo concludendo un testo specifico sulla politica della sicurezza che nel nostro Paese non era ancora stato scritto. Il problema della sicurezza è stato analizzato dal punto di vista sociologico, politico, istituzionale ma non c'è un testo italiano che affronti il problema in modo organico e completo. Questo lavoro sarà edito a settembre come pubblicazione del CeAS. Accanto a questa iniziale attività editoriale abbiamo concluso un accordo con Sossella Editore, mentre ne stiamo definendo altri. Stanno inoltre per essere pubblicati due instant book. Il primo scritto da me, L'ottava notte, dedicato a come uscire dal terrorismo e dall'insorgenza. L'altro è un testo di Alessandro Ceci, Imitation of life, sui profili della sicurezza in generale. Il testo Le date del terrore nasce invece come conseguenza dal fatto che agli studi sul terrorismo mancava uno strumento di lavoro, un riferimento. Diversi addetti ai lavori, che hanno avuto modo di consultare il testo, l' hanno accolto ' al di là dell'impostazione, che può essere o meno condivisa ' soprattutto come uno straordinario strumento di consultazione, nel mondo militare e in quello scientifico, in quello accademico come in quello istituzionale. A chi vuole ripercorrere gli aspetti più significativi della presenza del terrore nel nostro Paese dal 1945 fino ai nostri giorni, questo libro offre un taglio cronologico, la selezione di una serie di date e di fatti che sono importanti per capire non solo il terrorismo, ma anche le logiche della sua espansione, l'incidenza nel nostro Paese. Il tutto con informazioni di contesto, come l'elenco dei Governi che si sono succeduti dal 1948 in poi. È stato individuato anche un metodo di lavoro, che è consistito nel raccogliere il materiale, come si può immaginare vastissimo, sintetizzarlo, cogliere gli effetti degli avvenimenti più importanti che hanno dato evidenza alla forma del terrore nel nostro Paese secondo una logica efficace e dargli contenuto. Infine, evidenziare anche l'intreccio tra criminalità organizzata e terrorismo, uno degli aspetti più interessanti a mio avviso, che si può anche ritrovare in questo testo.

D. - Quindi il Centro, anche attraverso l'attività editoriale, punta ad una diffusione della cultura della sicurezza nel nostro Paese?

R. - In generale, la mia risposta è affermativa. Ovviamente noi affrontiamo soprattutto i temi della violenza politica perché questo è uno degli elementi di fondo che caratterizza lo statuto del CeAS, proprio per questo aspetto riconosciuto, dal punto di vista scientifico, come uno degli strumenti, non solo in Italia ma anche all'estero (per esempio nella comunità scientifica americana) tra i più significativi.

D. - Come mai in un libro sul terrorismo italiano anche la criminalità organizzata è un soggetto di lavoro? Sappiamo bene che, almeno da un certo punto in poi, le vicende mafiose intrecciano criminalità e terrorismo. Per quanto riguarda gli organismi di intelligence, la legge che nel 1991 ha consentito di rivolgere l'attività informativa anche nei confronti della criminalità organizzata nasceva proprio dal riconoscimento che questa costituisse una minaccia alla sicurezza nazionale. Tuttavia, la scelta è impegnativa. Perché a Suo avviso le vicende di terrorismo e di criminalità organizzata in Italia possono essere trattate in un unico contesto cronologico?

R. - In realtà, rispondendo alla sua domanda, non intendevo propriamente dire che le due questioni debbano essere trattate in un unico contesto. Ci sono stati dei momenti della vita politica italiana in cui la contaminazione tra violenza politica di carattere criminale e violenza politica come forma di terrore si sono incontrati. Ma non c'è stata continuità nei rapporti tra criminalità organizzata e terrorismo. Sulla base della mia esperienza politico istituzionale quale Vice Presidente della Commissione Antimafia, dall'88 fino al '94, posso dire che si sono trovati riscontri di questa contaminazione e quindi i relativi riferimenti nel volume sono stati riportati su mie valutazioni, nel senso che ho ritenuto, come studioso di quest'area e sulla base di fatti acclarati, che connessioni tra network del terrorismo e della criminalità organizzata si siano effettivamente realizzate per fattori di carattere politico, ma anche di carattere interno al terrorismo italiano. Questa è la filosofia che conta di questo libro, sulla base di valutazioni che, ritengo, hanno avuto riscontro obiettivo.

D. - Con riferimento ai contenuti del suo saggio introduttivo, vuole ricordare ai nostri Lettori quali sono in estrema sintesi i fatti nuovi, le novità del terrorismo italiano rispetto ad altre situazioni?

R. - Dal punto di vista dell'analisi, il terrorismo italiano è considerato con una sua autonomia, una sua storia completamente diversa rispetto ad altre forme di terrorismo nel mondo. Noi abbiamo studiato il terrorismo basco, quello irlandese, il terrorismo ceceno, il terrorismo medio orientale. Tutti nascono da una mancata autonomia dei popoli, giusta o no che possa essere la relativa rivendicazione. Ritengo che i problemi irrisolti dalla politica senz'altro abbiano posto il terrorismo italiano in una condizione completamente diversa. Per comprendere a fondo il carattere del terrorismo italiano, la premessa è la storia. La formazione del nostro Stato è avvenuta prima attraverso i partiti. Solo con la loro mediazione si sono formate le Istituzioni. Questa caratteristica non va mai dimenticata ed è estremamente importante. A partire dal 1948, attraverso i fronti di liberazione di varie tendenze ed espressioni che hanno determinato, sotto la spinta dei partiti, la nascita della democrazia nel nostro Paese, il filo nero nella società italiana ha mantenuto un carattere di continuità. È trasmigrato. Si tratta non soltanto del filo nero dell'eversione, ma anche del filo nero dell'appartenenza politica. C'è un consenso compatto nella società italiana che, nella prima fase, la formazione del nuovo Stato, ha dato corpo all'affermazione della Democrazia Cristiana e, successivamente, ha continuato a trasmigrare, di posizione in posizione, fino al governo Berlusconi. Da questo punto di vista, la società italiana ha avuto un carattere di grande continuità. Sul piano scientifico e dell'analisi storica è assai rilevante che i partiti abbiano avuto una prevalenza sulle Istituzioni, al punto da aver costruito la democrazia nel nostro Paese. Tale considerazione è importante per capire il carattere del terrorismo italiano, che ha un carattere eversivo e punta alla sostituzione di un potere con un altro. Questa è la caratteristica, la novità che pone il terrorismo italiano in uno scenario che condiziona la vita istituzionale fino e oltre l'affare Moro. Il carattere eversivo è stata una connotazione tipicamente italiana e quindi non ha confronto con altre forme di terrorismo nel mondo. Per esempio, in Sud America prevale la tendenza al narcotraffico, più legata al problema della gestione di alcune forme di profitto, simili dal punto di vista criminale. Il terrorismo italiano ha invece avuto una connotazione eversiva, che tendeva cioè politicamente a sostituire un governo ad un altro. Su questa condizione di fondo, si sono poi sviluppati anche altri avvenimenti e, alla luce dei delitti Ruffilli, D'Antona e Biagi, una serie di altre considerazioni. Il terrorismo italiano non è stato mai eguale a se stesso al variare dei contesti storici. Mentre il terrorismo di destra ha avuto carattere stragista, quello di sinistra ha avuto carattere selettivo. Le forme di terrorismo che ha vissuto il nostro Paese sono essenzialmente due: abbiamo avuto periodi in cui il terrorismo di destra aveva carattere stragista, per esempio Piazza Fontana e Bologna.
Su Piazza della Loggia, la strage di Brescia, Bettino Craxi diceva: «se vuoi trovare la verità su Brescia devi andare a vedere negli archivi del PCI milanese». È un'affermazione fortissima dal punto di vista politico. Se diceva questo aveva qualche motivo. Io lo dico per la prima volta qui e lo dico per essere stato testimone di questa frase.

D. - Vorrei si soffermasse su un punto, a proposito del carattere eversivo del terrorismo italiano. Il concetto è chiaro quando ci riferiamo agli anni settanta/ottanta, con un partito armato che cercava il collegamento con movimenti sociali fortemente antagonisti. Un'intervista, proprio sulla nostra Rivista, al Prof. Pio Marconi, rifletteva sul fatto che, dopo il delitto D'Antona, questo terrorismo eversivo non esiste più. Il terrorismo di oggi, è l'ipotesi, avrebbe in qualche modo rinunciato al carattere eversivo trasformandosi in terrorismo con obiettivi parziali, settoriali, minimali. Rinunciando alla visione politica di cambiamento generale delle cose si tenta invece di influenzare un processo, un risultato. Se coloro che hanno colpito Biagi e D'Antona non sono più persone che vogliono sostituire un potere ad un altro, cosa vogliono fare? Che ne pensa Lei di tutto questo?

R. - Sono dell'idea che il nuovo terrorismo italiano abbia carattere essenzialmente comunicativo. Si muove innanzitutto per l'effetto che può avere nell'immaginario collettivo. La connessione con le forme di informazione e comunicazione sono momenti centrali nelle scelte del terrorismo di oggi. È innegabile che i delitti D'Antona e Biagi si siano svolti in un'epoca in cui si sono verificate profonde modificazioni nei rapporti sociali del nostro Paese, per la riformulazione della legislazione sul lavoro. Ci sono state tensioni dal punto di vista politico e cambiamenti di scenario nella direzione politica italiana. Dal punto di vista sociale, ricordo la vicenda FIAT. Osservo che quando c'è stato un contrasto di fondo nella comunità italiana, quando ci sono stati obiettivi di quella natura, è esplosa qualche forma di violenza politica. L'effetto comunicativo è probabilmente cercato per creare un network del terrore. Questo è l'effetto più importante della comunicazione, così come ha fatto Bin Laden. Il problema di fondo è che tutte queste forme di violenza politica non hanno fermato un processo, anzi addirittura hanno accelerato il cammino delle riforme. Possono avere un effetto di temporaneo rallentamento, ma non possono impedire un processo, che comunque arriva alle sue conclusioni. Credo che essi stessi lo sappiano, quindi a maggior ragione ritengo e sottolineo che l'effetto comunicativo ha ancora la prevalenza. Non dimentichiamo che l'effetto comunicativo crea anche le condizioni per il proselitismo. Ci sono gruppi che si stanno restringendo e quindi cercano nuove adesioni. La forza della comunicazione ha anche come conseguenza quella dell'adesione delle frange più estremiste.

D. - Il caso Moro ha rappresentato al tempo stesso l'apice della forza militare delle BR e l'inizio del loro declino. Per quanto riguarda il terrorismo internazionale, Gilles Kepel ritiene che le Twin Towers abbiano costituito l'atto più eclatante di formazioni ormai minoritarie e sconfitte politicamente. Proprio perché in declino avrebbero tentato di produrre il massimo risultato in termini mediatici. Condivide tali giudizi?

R. - Con il crollo delle Torri Gemelle di New York è stata scatenata la quarta guerra mondiale, contro un nemico non definibile in termini fisici, che non ha la forma degli Stati, che passa trasversalmente dentro diversi confini e che mobilita i popoli più che i governi. Infatti, mentre le vecchie guerre si svolgevano con lo scontro fra apparati militari, questa nuova guerra si svolge con lo scontro tra militari e militanti: il conflitto travolgente di una forma contro un'azione.
Da un lato ci sono vari governi, che non sono soltanto occidentali, e sono di varia connotazione; dall'altra c'è il terrorismo internazionale, un'azione che ormai ha assunto il ruolo di soggetto unico del conflitto globale, anche grazie al suo riconoscimento come avversario subito dopo lo shock di paura che viaggiava, l'11 settembre 2001, sugli aerei killer che hanno tagliato il mito imperiale dell'infinita edificazione.
Quel riconoscimento, per alcuni popoli arabi e, più che altro, per le persone che vivono in stato permanente di insoddisfazione underground ' come ho già altrove affermato ', ha rappresentato una sorta di legittimazione a contrastare la politica di globalizzazione dell'occidente e ha trasformato i movimenti di rivendicazione violenta locali in un soggetto politico internazionale unico che, sebbene non costituito formalmente, agisce in connessione contro i medesimi obiettivi (come ben illustrato nel documento di rivendicazione dell'assassinio di Marco Biagi da parte delle BR-PCC).
La storia del terrorismo del mondo è una storia nota. Non è vero che il terrorismo c'è sempre stato. Noi possiamo classificare varie tipologie di aggressione al potere, da parte di vari soggetti, in diverse epoche storiche, almeno da quando esiste il potere. Ma la costituzione di organizzazioni militanti e militari per la diffusione calcolata del terrore, finalizzate al governo dei processi politici tramite ricorrenti shock di paura, è un fenomeno della modernità.

D. - Il lavoro di studio e di analisi viene talora visto con sufficienza. Quale proficuo rapporto può instaurarsi tra chi ricerca e coloro che devono decidere e agire in concreto?

R. - È mancato in passato il rapporto tra mondo accademico e mondo istituzionale, tra chi ha responsabilità nell'azione di prevenzione e di contrasto e il mondo accademico e scientifico, che invece ha come elemento di fondo quello della descrizione di uno scenario, anche ipotetico, anche evanescente. C'è un atteggiamento tipicamente militare nella cultura del nostro Paese, per cui i Servizi sono stati affidati sempre a forze di polizia, a militari di varia natura e tendenze. Aver trascurato l'apertura alla società civile è stato ed è un errore. Anche l'intelligence dovrebbe oggi trarre forza dal privato, da quanto si produce in ambienti culturalmente qualificati, per realizzare un prodotto sempre più valido dal punto di vista qualitativo. Le istituzioni devono abbandonare gli atteggiamenti negativi, esclusivisti, che tendono ad impedire che il mondo accademico o il mondo istituzionale privato di carattere scientifico abbiano legittimità a lavorare su un'ipotesi di scenario.

D. - Costituisce lavoro tipico dell'intelligence conoscere in anticipo, per prevenire. A proposito, Lei che ne pensa dell'intelligence italiana?

R. - L'intelligence, com'è naturale, è stata lo specchio delle contraddizioni nel nostro Paese e quindi come tale ha vissuto l'influenza del mondo politico che ha governato. Nell'attuale fase storica ritengo che il mondo politico lasci maggiore autonomia di valutazione a chi è preposto. È cresciuto nel nostro Paese il sistema della sicurezza, nel campo dell'analisi, della prevenzione e dell'azione di contrasto. Credo che in questa fase storica i Servizi italiani siano all'altezza delle responsabilità e debbo dire che l'intelligence italiana nel contesto internazionale e nella comunità scientifica gode di un'alta considerazione. Per quanto concerne l'organizzazione, sono sempre dell'idea che i Servizi debbano essere due: lo scenario internazionale e la difesa interna richiedono interventi e strumenti diversi. È un falso problema quello dell'unicità dei Servizi. Dal punto di vista ordinamentale è bene che i Servizi siano così come sono. Ovviamente, a mio avviso, il coordinamento deve godere di maggiori poteri dal punto di vista legislativo.

D. - Lei ha avuto un'importante esperienza in Parlamento. Per quanto riguarda il controllo, pensa che il sistema funzioni?

R. - Debbo dire, con rammarico, che c'è sempre stata diffidenza. Non sempre il mondo di chi è preposto a questa funzione ha dato al mondo politico le risposte richieste. Bisogna creare una maggiore fluidità tra il Parlamento e il Governo, attraverso il controllo parlamentare. Bisogna dare maggiore prevalenza al momento politico. Nella fase di riforma è giusto dal punto di vista istituzionale che il Parlamento abbia un ruolo più rilevante, più consistente, rispetto a quello che ha attualmente attraverso il Comitato Parlamentare.

D. - Cosa pensa della comunicazione istituzionale dell’intelligence, ne dà una valutazione positiva?

R. - I Servizi hanno sempre avuto un alone di grande mistero, per cui tutto ciò che allontana i Servizi da questo alone di mistero va bene. Anzi, se ci può essere una maggiore comunicazione è certamente una cosa utile per i cittadini. Quando abbiamo ospitato a Priverno i Direttori Mori e Pollari, che hanno parlato pubblicamente, è stato un momento importante, molto ben accolto. È essenziale il rapporto con la società civile, con il mondo accademico, con le articolazioni della società. Credo che ciò sia nell’interesse di chi ha la responsabilità del nostro Paese e che favorisca l’aumento degli spazi di democrazia. La mia grande ambizione è quella di influenzare il mondo politico italiano su questo versante, così come il mondo accademico, perché anche questo affronti i problemi della sicurezza. La contaminazione su cui abbiamo lavorato è un grande risultato politico che innesca una spirale virtuosa sicuramente molto positiva, un vero moltiplicatore di sinergie.


(*) Intervista realizzata il 5 giugno 2003.

© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA