Le ripetute proiezioni del terrorismo interno hanno scandito l’evolversi del panorama eversivo, nel quale le repentine fiammate degli anarco-insurrezionalisti hanno impresso forza destabilizzante alle tematiche più ricorrenti nell’intera area oltranzista, compresa quella dell’estremismo ideologico. Tanto nei toni della propaganda quanto nelle strategie offensive, si è delineato un fronte articolato dalle elevate potenzialità dirompenti, attesa la comune propensione ad innalzare il livello dello scontro. Vanno emergendo frange di “nuove leve” che, prive di quel retroterra dottrinario e comportamentale tipico dell’ortodossia brigatista, potrebbero rendersi disponibili ad osmosi progettuali e convergenze tattiche.
In questo contesto è all’attenzione, in uno sviluppo dinamico ancora tutto da decifrare, il confronto “a distanza” tra tali ambienti e l’organizzazione br dei delitti D’Antona e Biagi, sinora esente da spinte aggregative, ma sempre incline a sfruttare il clima di violenta contrapposizione allo Stato, ovvero a cogliere i passaggi più significativi dell’agenda economico-politico-sindacale e della congiuntura internazionale.
A fronte della centralità assegnata alla questione occupazionale dall’intero circuito radicale, specifico monitoraggio è stato riservato dall’intelligence, in costante raccordo con gli apparati investigativi, ai tentativi di infiltrazione in chiave eversiva nel mondo del lavoro.
La criminalità organizzata è apparsa ancora proiettata a rinnovare schemi operativi specie nell’intento di affinare la strategia di inserimento nel tessuto economico al fine di intercettare i fondi destinati alla realizzazione di importanti opere pubbliche.
Lo scenario delle minacce di matrice internazionale è tuttora dominato dal terrorismo islamico che, confermando le acquisizioni raccolte sulle linee evolutive del fenomeno, ha siglato nuove sortite. Queste appaiono indicative della sua perdurante vitalità, della ricercata interazione con crisi regionali di pronunciata valenza trasversale, nonché di un significativo dinamismo in quadranti ove la militanza arabo-afghana si salda, sul piano ideologico quando non operativo, alle formazioni estremiste locali ed a situazioni di instabilità sulle quali potrebbero innestarsi derive di stampo integralista. Ciò, assecondando un disegno strategico in cui l’offensiva antioccidentale si associa al perdurante intento di destabilizzare i regimi arabi moderati, in un contesto connotato, altresì, da una decisa accelerazione antisraeliana.
L’impegno di intelligence nei confronti della minaccia islamista, proprio in considerazione dei tratti salienti che ne marcano l’insidiosità in termini sia potenziali che concreti, si è esplicato anche in fori interministeriali ad hoc per quanto segnatamente riguarda il pericolo di un impiego a fini terroristici di mezzi non convenzionali e i canali di approvvigionamento finanziario. In proposito, è proseguita l’ampia collaborazione con i Servizi collegati.
La tutela da ingerenze di natura spionistica, il contrasto alla proliferazione di armi di distruzione di massa e la protezione dei contingenti nazionali all’estero hanno costituito doverosi ambiti di attivazione dell’intelligence, unitamente alle situazioni di crisi ed ai processi di stabilizzazione in contesti geopolitici in vario modo di interesse per il nostro Paese, non solo in termini di minaccia terroristica, ma anche in quanto vie di transito di traffici illegali, di correnti migratorie clandestine, ovvero aree di riferimento per importanti progetti di investimento.
Resta sullo sfondo la prospettiva di un conflitto in Iraq che, al di là degli aspetti diplomatici e militari, potrebbe porsi quale spunto ulteriore per attivazioni controindicate della più svariata matrice.
a. Brigatismo e sinistra extraparlamentare
Il quadro dell’eversione e del terrorismo interno resta contrassegnato dall’elevata minaccia rappresentata dalle “Brigate Rosse - per la costruzione del Partito Comunista Combattente”. Secondo le risultanze informative, brigatisti latitanti all’estero potrebbero fornire un apporto, anche operativo, avvalendosi di una ridotta ma efficiente struttura logistica sul territorio nazionale. L’attività di ricerca è volta altresì ad individuare elementi resisi da tempo irreperibili, potenziali ambiti di reclutamento e fiancheggiamento, nonché eventuali collegamenti all’estero, funzionali al progetto di costituzione del cd. “fronte combattente antimperialista”.
Si conferma il ruolo di sostegno di alcuni esponenti detenuti “irriducibili”, impegnati, attraverso un’intensa attività di elaborazione, da un lato a rivitalizzare il “fronte delle carceri”, dall’altro a garantire l’ortodossia br e la continuità con la strategia adottata all’esterno, dalla cd. “avanguardia”, con gli omicidi D’Antona e Biagi. In questo senso, è oggetto di approfondimento l’ipotesi di un coinvolgimento di irriducibili nella stessa definizione delle linee di intervento, al di là del mero imprimatur alle azioni terroristiche.
Nella scelta di obiettivi remunerativi è possibile che i terroristi intendano sfruttare la risonanza del dibattito politico sui progetti di riforma istituzionale (federalismo, devolution), su questioni occupazionali e sulla crisi FIAT, cercando ancora di colpire tra quanti, a livello politico, sindacale ed imprenditoriale, sono più coinvolti nella ricerca di mediazioni e soluzioni.
Negli ultimi mesi del 2002 si è registrato un proliferare di sigle parabrigatiste, che hanno rivendicato episodi intimidatori di vario tenore e firmato volantini inneggianti alla lotta armata. Accanto ad iniziative estemporanee, alcune di queste sigle esprimono ambienti e progetti già ben delineati e particolarmente insidiosi, con agganci all’attuale congiuntura interna ed internazionale.
Sono oggetto di attenzione informativa le frange di matrice br del Nord-Est, tradizionalmente di dichiarata impronta “antimperialista”, che potrebbero, in concomitanza con l’eventuale conflitto in Iraq, attuare una campagna offensiva – analoga a quella lanciata in occasione dell’intervento nella ex Jugoslavia – colpendo obiettivi legati a basi USA e NATO, ovvero ad industrie del comparto militare. L’aspirazione di tali frange a porsi quale “avanguardia rivoluzionaria” di riferimento e fattore aggregante delle varie sigle, ne allargherebbe il raggio d’azione, sino a ricomprendere proiezioni operative connesse con tematiche interne, come quella occupazionale.
Sullo scontro sociale e sulle problematiche economiche, d’altro canto, già operano ambienti eversivi dell’area centro-settentrionale, responsabili di attentati di basso profilo ma di forte impatto. A questo riguardo, va emergendo il recupero di teorie e terminologie degli “anni di piombo”, cui potrebbero non essere estranei vecchi militanti di “colonne” br, con il proposito di ridare vigore alla strategia della “propaganda armata” contro bersagli-simbolo, di più immediata lettura per gli ambienti di riferimento, differenziandosi sia dall’ortodossia delle BR-PCC, sia dal cd. “attendismo” dei gruppi spontaneisti.
In Sardegna, la serrata campagna intimidatoria in direzione di molteplici ambiti appare riconducibile ad una peculiare realtà eversiva, nella quale trovano spazio tematiche indipendentiste, pulsioni anarcoidi, orientamenti parabrigatisti, con innesti di matrice criminale locale. La scelta di determinati obiettivi (tra i quali imprenditoria, sindacati, magistratura, mass media) ed i contenuti di taluni volantini di rivendicazione, con richiami anche di stampo antimilitarista, sembrano indicativi della tendenza ad agganciarsi alle linee propagandistico-operative perseguite da gruppi operanti nel resto del Paese, segnatamente quelli del Nord. E’ ipotizzabile che ad agire siano formazioni ristrette, in cui non è esclusa la presenza di soggetti con esperienze in ambienti contigui al terrorismo degli anni ‘80. L’intento potrebbe essere quello di segnare, con la realizzazione di nuovi gesti dimostrativi, un momento di simmetria operativa, teso ad amalgamare le varie spinte radicali in un fronte comune in grado di superare l’estemporaneità della lotta antisistema sinora intrapresa.
Per quanto attiene alle restanti componenti oltranziste fortemente ideologizzate, sull’intero territorio si vanno inasprendo vieppiù i toni della pubblicistica, con continui richiami a quelle che furono, negli anni ‘70, le linee strategiche di “Autonomia Operaia”, allo scopo di saldare la conflittualità sociale e la mobilitazione di piazza con l’attività dei gruppi eversivi. Mirato monitoraggio info-investigativo, utile a prevenire eventuali derive terroristiche, ha interessato quelle aree – Sud compreso – ove sono stati rilevati tentativi di strumentalizzazione delle crisi di comparti industriali, specie FIAT e relativo indotto.
Con il grave attentato dinamitardo contro la Questura di Genova del 9 dicembre e il successivo invio di una serie di plichi esplosivi in danno di obiettivi spagnoli e della RAI, gli anarco-insurrezionalisti si confermano tra le più pericolose componenti di un vasto fronte eversivo, determinato ad innalzare il livello di scontro con lo Stato. La riconducibilità dei predetti eventi a tale matrice trova sostegno nei modus operandi e nei bersagli prescelti, questi ultimi coerenti con la propaganda del settore, ove si rintracciano espliciti incitamenti a reagire con la violenza delle armi all’azione di contrasto.
Gli attentati potrebbero, secondo l’intelligence, inquadrarsi in una sorta di spontaneismo coordinato che – pur prescindendo da un’organizzazione verticistica – finisce col perseguire modelli e progetti omogenei, specie attraverso: unità autonome composte da pochi militanti, la presenza di un doppio livello (palese ed occulto), la serrata ed aggressiva pubblicistica, i collegamenti telematici. In questa cornice, favorevole alla formazione di un unicum sentire, si realizzerebbe una conforme proiezione operativa che, senza tralasciare le tradizionali tematiche (antimilitarismo, ambientalismo, specie con riguardo alle grandi opere infrastrutturali), e con un mirato interesse verso il mondo del lavoro, punterebbe a reiterare le “campagne” ritorsive contro la magistratura, gli apparati di prevenzione ed il carcerario, cui si aggiungono istituti finanziari e quei media ritenuti funzionali al “potere”. L’avversione strumentale ai regimi penitenziari speciali, compreso il 41-bis, costituisce, poi, fattore propulsivo nei collegamenti internazionali dell’area insurrezionalista italiana, da tempo intenzionata ad assumere un ruolo di “capomaglia” in una rete estesa ad omologhe formazioni straniere, segnatamente spagnole e greche. Anche in seno al movimento antagonista, la convergenza su più questioni, quali quelle del lavoro, della cd. “repressione” e dell’eventuale conflitto in Iraq – che hanno assunto centralità e trasversalità nell’intera area eversiva – ha concorso, nei fatti, a sfumare la tradizionale griglia ideologica di riferimento, favorendo sintonie tra i diversi ambiti della contestazione sia in funzione antigovernativa che contro la NATO e gli USA. Si tratta di uno scenario, per certi versi inedito, che potrebbe agevolare sinergie tra le frange estremiste, suscettibili di tradursi in azioni di maggior spessore verso simboli legati a quelle tematiche, alla propaganda in chiave antisraeliana ed alla questione degli immigrati.
Il regolare svolgimento di significative manifestazioni, tra cui il “Social Forum Europeo” di Firenze (novembre 2002), sembra aver sancito una forte marginalizzazione delle componenti oltranziste nel movimento antiglobalizzazione. Sono, comunque, all’attenzione sia i tentativi di strumentalizzazione da parte di personaggi carismatici, con trascorsi eversivi, assertori di tesi dalla forte caratterizzazione ideologica che potrebbero trovare humus favorevole nell’ala dura, sia taluni contatti a livello europeo, volti all’individuazione di programmi comuni di protesta in occasione dei prossimi vertici (Summit UE in Grecia e G8 in Francia, previsti per giugno 2003).
b. Destra extraparlamentare
Le acquisizioni informative evidenziano come alla frammentazione ideologica ed organizzativa dell’estrema destra sull’intero territorio abbia corrisposto una progressiva accentuazione dell’attivismo delle frange più radicali, numericamente esigue, ma fortemente determinate da acceso fanatismo ed aggressività. Il dinamismo dell’area è testimoniato dai tentativi di dar vita a nuove aggregazioni, ovvero dalla competitività legata all’aspirazione egemonica di talune formazioni emergenti, che potrebbero ispirarsi a più articolate strategie.
Il quadro d’insieme mostra – in singolare simmetria con le tematiche di contestazione dell’opposto segno – la propensione ad individuare i medesimi ambiti di intervento.
In tale prospettiva si inseriscono le iniziative di “solidarietà” con gli operai FIAT, tese anche ad allargare il fronte della protesta, specie nel Sud, alle istanze di altri lavoratori di aziende in crisi e dei disoccupati. Analogo rilievo va assumendo la mobilitazione contro l’eventualità di un intervento militare in Iraq, con il rilancio di posizioni tradizionalmente ostili agli USA, ad Israele ed al modello occidentale, in linea, oltretutto, con taluni ristretti circoli che da tempo guardano con interesse alle teorie dell’integralismo islamico. Teorie verso le quali altri gruppi palesano, invece, netta avversione.
Allo stesso modo, pur con i percorsi tipici dell’area, si è andata intensificando la campagna propagandistica contro l’azione asseritamene “persecutoria” scaturita dalla legge n. 205/93 (cd. “legge Mancino”) sulla discriminazione razziale, nonché da inchieste giudiziarie nei confronti di propri militanti.
Rilevano perduranti contatti con ambienti skinhead che, specie nel Nord-Est, hanno promosso numerosi raduni – con la partecipazione di militanti stranieri – ed intensificato le iniziative contro l’immigrazione. Le attivazioni contro la presenza extracomunitaria si confermano un aspetto di particolare insidiosità, in termini sia di violento confronto con l’opposto segno, sia di pericolose suggestioni di natura xenofoba.
Tra le frange estreme delle tifoserie ultràs del Centro-Nord è sempre più consistente l’infiltrazione, specie a fini di proselitismo, di elementi della destra radicale intenzionati a fomentare violenze.
Hanno trovato, infine, ulteriori riscontri i segnalati rapporti tra settori di stampo “revisionista” e “negazionista” ed esponenti neonazisti esteri, che potrebbero sottendere l’esistenza, a livello europeo, di una rete semiclandestina di matrice antiamericana ed antiebraica.
Lo spettro dei fattori di minaccia di matrice internazionale resta tuttora dominato dall·attività dell·integralismo islamico, e specialmente del composito fronte radicale variamente collegato ad Al Qaida ed al suo progetto universalista.
Gli attentati compiuti negli ultimi mesi in diversi contesti territoriali confermano il precedente quadro conoscitivo tracciato dall·intelligence sia in base ad autonoma attività informativa che sulla scorta della collaborazione con i Servizi collegati.
Gli episodi terroristici verificatisi nello Yemen, in Kuwait, in Indonesia ed in Kenya, nonché, sebbene con diverse sfumature, in Russia, attestano, in primo luogo, la perdurante capacità offensiva della formazione di Bin Laden e delle realtà affini. Gli stessi evidenziano altresì come l·esfiltrazione dei mujaheddin dal teatro afghano, oltreché rispondere ad esigenze ·difensive·, sia stata in certo modo funzionale ad assicurare la prosecuzione del jihad, determinando una dispersione dei ranghi dell·organizzazione con una conseguente frammentazione della minaccia che ne accentua la dimensione transnazionale.
All·interno di un disegno che mira a destabilizzare i Paesi arabi moderati e che rimane fortemente connotato in chiave antioccidentale, e specialmente antistatunitense, la ridislocazione della militanza islamista sulla scena mondiale ha determinato l·accrescersi della possibilità di azioni di minore complessità in una pluralità di ambiti territoriali. Ciò, soprattutto in aree particolarmente permeabili, ove l·integralismo risulta in grado di avvalersi del sostegno, della compartecipazione ovvero dell·azione ·vicaria· di formazioni locali, alle quali è legato da comunanza ideologica e da rapporti cementatisi grazie alla valenza aggregante del supporto finanziario ed addestrativo fornito nel tempo alle strutture regionali dai vertici integralisti e dai reticoli socio-assistenziali connessi. Tale sostegno ha inaugurato canali di collegamento logistico tra realtà di varia origine che appaiono ora aver acquisito anche una dimensione strategica in quei contesti in cui l·apporto dei transfughi arabo-afghani e, con essi, della componente di estrazione salafita sembra aver impresso un·accelerazione in senso internazionalista all·azione dell·estremismo endogeno.
A questo proposito, obiettivo informativo primario resta il contrasto alla penetrazione radicale intesa a costituire infrastrutture alternative a quelle smantellate dall·intervento militare in Afghanistan e, parallelamente, all·infiltrazione di elementi operativi in Occidente.
La mappatura degli ultimi attacchi evidenzia l·attuale struttura reticolare assunta dal movimento integralista, distribuita lungo un ·arco di crisi· che dal Nordafrica si allarga al continente africano, ha fulcro nel Medio Oriente, si estende al Centroasia e giunge fino all·Estremo Oriente, da tempo indicato come possibile sponda di ripiegamento e ·nuovo fronte· della militanza radicale.
I più recenti attentati di matrice islamista offrono utili spunti di valutazione sui tratti salienti e sulle linee evolutive della minaccia, che erano già emerse nelle acquisizioni informative sul fenomeno. Essi evidenziano una pronunciata propensione al ricorso all·attacco suicida ed alle azioni dirette contro i vettori aerei e marittimi, nonché contro i cd. soft target, verosimilmente prescelti in quanto funzionali a colpire il ·nemico occidentale· in tutti i luoghi in cui ne è consolidata la presenza anche di tipo turistico e commerciale. L·appuntarsi delle progettualità terroristiche contro gli obiettivi più vulnerabili appare del resto compatibile sia con l·attuale parcellizzazione della galassia estremista sia con la necessità di assicurare al movimento continuità d·azione a fronte del rafforzamento delle misure a tutela dei bersagli tradizionali.
Vanno letti anche in tale ottica gli indicatori di allarme raccolti nel semestre, riferiti ad una molteplicità di obiettivi, di ambiti territoriali e di tattiche, incluse quelle relative alla possibilità dell·impiego di aggressivi chimici e biologici, ad ·attacchi informatici· contro i sistemi di controllo delle navi, al dirottamento di voli interni in Paesi con minori apparati di sicurezza e all·utilizzo di ·giacche bomba· su aerei, treni e metropolitane.
Diverse segnalazioni riferiscono, tra l·altro, della peculiare esposizione a rischio dei contingenti militari, anche nazionali, operanti in Afghanistan ed in altre aree, nonché di pianificazioni terroristiche in direzione delle infrastrutture del comparto energetico, di luoghi dall·elevato valore simbolico ed in danno delle rappresentanze diplomatiche occidentali, statunitensi in primis, in vari quadranti, soprattutto del Golfo, asiatici ed africani.
Altrettanto copiosi risultano i segnali relativi al possibile ingresso in Europa di singoli elementi radicali o di nuclei, con varie modalità e secondo diverse direttrici, specie marittime.
In tale quadro, è di rilievo la duttilità palesata dal movimento integralista, che risulta annoverare ·gruppi di fuoco· di varia consistenza, dalle cellule singole alle reti regionali, cui è affidato il compimento di azioni di diversa portata, dall·omicidio alla strage. Di peculiare significato appare poi la decisa svolta antisraeliana ed antiebraica impressa alla linea operativa del movimento con gli attentati di Mombasa, da ricollegare all·intento di far leva su questioni in grado di ampliare il bacino di reclutamento e di compattare le espressioni integraliste in un blocco unitario, per quanto diversificato, determinando altresì un pericoloso ·effetto trascinamento·.
L·interesse dei vertici fondamentalisti per una ulteriore polarizzazione del confronto Islam/Occidente, Nord/Sud è confermato dal tenore dei diversi comunicati minatori diffusi dalla leadership del movimento, che non hanno mancato di riferirsi esplicitamente al nostro Paese né di sfruttare tematiche intese a radicalizzare le comunità di fede islamica. Ciò in un contesto in cui la caratura multinazionale del fronte estremista amplia il novero dei possibili ·attori· ben oltre la componente araba e nordafricana, quest·ultima a tutt·oggi risultata la più attiva in Europa. Proprio nel nostro Continente la minaccia è potenzialmente integrata anche dall·azione di elementi stabilmente insediati entro i confini e di convertiti, tenuto conto delle evidenze sulla pregressa frequentazione dei campi paramilitari agfhani di significative aliquote provenienti dai Paesi occidentali.
A fronte di tale scenario, restano alla peculiare attenzione, come altrettante variabili in grado di incidere sugli orientamenti strategici dell·islamismo e sul fenomeno terroristico internazionale nel suo complesso, le evoluzioni del conflitto israelo-palestinese e, più in generale, gli sviluppi di situazione nell·area mediorientale.
In particolare, si ipotizza che un eventuale intervento militare contro l·Iraq potrebbe comportare saldature in chiave offensiva tra varie realtà estremiste che trovano nella comune avversione all·Occidente e ad Israele elemento di coagulo atto a ricomprendere istanze confessionali, irredentiste e nazionaliste nonché potente moneta propagandistica spendibile in tutti quei larghi contesti · specie dei continenti africano ed asiatico · dove endemici problemi economico-sociali e perdurante instabilità contribuiscono a delineare il pericolo di derive di stampo integralista.
Precipuo impegno informativo viene riservato ai profili di rischio per l·Italia, sia quale bersaglio di azioni terroristiche dirette contro obiettivi nazionali, anche all·estero, che come teatro di gesti in danno di interessi di Paesi alleati.
L·azione di monitoraggio delle espressioni radicali operanti entro i nostri confini ne ha confermato il perdurante dinamismo, specie sul fronte del falso documentale, e le interconnessioni con la galassia internazionalista. Valgano, come esempi significativi, il fermo a dicembre di un cittadino nordafricano, in procinto di spedire all·estero una cospicua quantità di documenti falsificati e rubati, e l·arresto ad ottobre di stranieri sospettati di far parte di un gruppo terroristico collegato ad Al Qaida, entrambi operati grazie al contributo dell·intelligence.
Il consolidato impiego del nostro territorio a fini di sostegno logistico non consente di escludere l·eventualità di una rimodulazione di segno offensivo, tenuto conto proprio della presenza di ambienti di riferimento e dei segnali registrati in merito ad una tendenziale radicalizzazione ideologica di talune strutture associative. All·interno di queste non sono mancate voci a favore di iniziative operative in Italia e proseguono le incitazioni all·arruolamento nei teatri di crisi. In tal senso vanno altresì le indicazioni relative al proposito degli integralisti attivi in Europa di accentuare la propria mimetizzazione, in un quadro ove le cellule radicali dispongono di un elevato grado di autonomia ed in cui la dirigenza islamista risulta intenta a veicolare messaggi intimidatori e contenuti propagandistici in grado di determinare all·azione anche singoli individui inclini a gesti emulativi. Ne consegue una valutazione di accentuata esposizione del nostro Paese, cui concorrono la partecipazione militare ai più significativi meccanismi d·alleanza nonché il contributo fornito all·azione antiterrorismo condotta a livello internazionale, ivi compreso il contrasto sul piano finanziario.
Restano all·attenzione talune formazioni a base etnica e della dissidenza ad alcuni regimi nonché le espressioni del separatismo europeo, anche in relazione agli effetti che potrebbero derivare dalle misure comunitarie volte a congelarne le risorse finanziarie.
Nell·ambito dell·eversione continentale, di rilievo appaiono le recenti iniziative minatorie di matrice basca, con le quali è temporalmente coinciso l·invio di plichi bomba ad obiettivi iberici ad opera di anarchici nazionali, di cui sono emersi collegamenti con gruppi satellite e/o di affinità.
Le interconnessioni ideologiche dell·antagonismo europeo, incentrate sui comuni propositi di lotta sul fronte carcerario, dell·ecologismo e della globalizzazione, profilano il rischio di insidiose contaminazioni e sinergie, specie con riferimento alla possibilità di un·attrazione della contestazione verso forme di più pronunciata contrapposizione.
La criminalità organizzata di tipo mafioso è risultata nel complesso caratterizzata dalle seguenti peculiarità:
- progressiva tendenza a ricomporre le reti delinquenziali, a seguito dei numerosi colpi subiti sui fronte del contrasto e delle significative defezioni collaborative, attraverso più mirate affiliazioni e nuovi moduli organizzativi;
- parziale ridistribuzione di aree e settori di influenza, in ragione dell·evolversi dei rapporti di forza, dell·esigenza di compartimentazione ovvero della necessità di interagire con ·entità· criminali transnazionali;
- rinnovamento di formule relazionali e di schemi operativi nei circuiti più significativi dei traffici di droga e di clandestini, nella gestione illecita dei rifiuti e nell·intercettazione delle risorse destinate ad opere per la collettività.
Con riferimento alla Sicilia, l·analisi delle risultanze informative conferma l·inabissamento strategico di ·cosa nostra·, in funzione di un ulteriore consolidamento sul territorio e di una più agevole infiltrazione nel tessuto economico-sociale. Tale indirizzo · che potrebbe fra l·altro alimentare la falsa percezione di un ridimensionamento del fenomeno · si è tradotto in una minore ·esosità· delle somme richieste nell·ambito dell·attività estorsiva, peraltro resa più diffusa e capillare; analoghi criteri hanno sorretto le sistematiche interferenze negli appalti ed il ricorso ad evolute tecniche di riciclaggio.
Gli equilibri dell·attuale leadership di ·cosa nostra· appaiono condizionati dall··insofferenza· degli affiliati, sottoposti ormai definitivamente al regime di detenzione ex art. 41-bis. Nel quadro di tali fermenti ha continuato a rilevarsi il tentativo delle famiglie mafiose di strumentalizzare l·istituto della revisione dei processi e di ottenere l·attenuazione degli effetti del cosiddetto ·carcere duro·. In questo senso, non sono mancati messaggi trasversali di contenuto minatorio verso le Istituzioni.
Le tensioni nel circuito penitenziario sembrano far emergere una frattura tra alcune famiglie · destinatarie degli ingenti profitti derivanti dagli inserimenti nel settore imprenditoriale · e quelle ancora dedite alle tradizionali attività criminali, gravate per di più dalle crescenti esigenze relative alle spese legali ed al mantenimento dei detenuti.
Circa gli assetti locali nella Sicilia orientale, al di là dei consueti contrasti per l·egemonia e le tradizionali proiezioni criminali, emerge, nel Catanese, l·intendimento delle cosche di cogliere nuove opportunità di infiltrazione nella realizzazione del ·Mercato agroalimentare· e negli interventi di riqualificazione di alcuni quartieri del capoluogo, nonché nell·attuazione del progetto della cd. ·Città del commercio·.
Per quanto attiene all·area palermitana, gli sviluppi evolutivi restano fortemente legati alla tenuta della Ieadership di noto latitante ed ai seguiti di collaborazioni con la giustizia recentemente avviate. Rimane da verificare, in particolare, l·impatto di due ultime collaborazioni di esponenti di rilievo. Queste, qualora genuine, consentirebbero di esplorare le dinamiche di ·comando· e relazionali sviluppate negli ultimi anni e di verificare i segnali di dissociazione da tempo percepiti o enunciati in ambito carcerario. Peraltro, non può escludersi che tali nuove sortite possano rispondere a strategie pilotate ai danni di talune componenti mafiose, finalizzate ad imprimere una svolta nell·organizzazione, delineando scenari inediti.
In Calabria, la ··ndrangheta·, pur avendo risentito · anche se in misura minore rispetto a ·cosa nostra· · dell·azione di contrasto e della defezione di numerosi affiliati, è riuscita a mantenere una solida ed aggressiva presenza sul territorio e ad ampliare le proiezioni esterne, confermando la preminenza in termini di pervasività sociale, duttilità di rapporti e potenzialità finanziarie. In particolare, essa appare in grado di imporsi nello scenario del traffico di stupefacenti nel nostro continente, settore in cui ha proseguito la sua espansione mediante le rotte di approvvigionamento instaurate d·intesa con i trafficanti balcanici, mediorientali, sudamericani ed una fitta rete di alleanze tattiche con le strutture criminali che operano nelle aree di produzione.
Grazie alle capacità strategiche dei capi carismatici, alle elevate doti di mimetizzazione e all·abilità nella gestione dei capitali di provenienza illecita e nell·infiltrazione di imprese impegnate nella realizzazione di opere viarie, la ··ndrangheta· ha evidenziato crescente dinamismo nei tentativi di contaminazione dei processi economico-imprenditoriali relativi ai cd. ·grandi lavori·. In tale quadro è stata rilevata, tra l·altro, una convergenza di interessi con le cosche siciliane in vista della possibile intercettazione dei flussi finanziari destinati alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina.
A conferma della strategia di penetrazione nel circuito economico legale della regione si sono rilevati segnali di inserimento:
- nei lavori di ammodernamento dell·autostrada Salerno-Reggio Calabria, nel tratto ricadente nella provincia di Vibo Valentia;
- nella gestione dei servizi portuali in regime di monopolio nello scalo di Gioia Tauro, nella realizzazione di reti idriche e fognarie, nel settore della distribuzione di carburante, nonché in attività nel campo agroalimentare · finalizzate alla frode ai danni dell·Unione Europea · nell·area di Reggio Calabria;
- nell·acquisizione di immobili nel settore turistico in provincia di Crotone;
- nella produzione e nell·imbottigliamento di acque minerali, nonché nei progetti di reindustrializzazione dell·area ex Sir di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro.
Nel Reggino, inoltre, sono intervenute · in controtendenza per questo contesto provinciale · diverse dissociazioni, peraltro ancora da valutare.
In Campania, si sono evidenziati mutamenti nelle opzioni operative dei principali clan, interessati all·inserimento nelle nuove rotte del contrabbando di tabacchi e nel settore dello smaltimento illecito dei rifiuti, nonché ad affinare le tecniche di penetrazione negli appalti pubblici di rilevante entità. Nel Napoletano, ove si sono registrati precari equilibri interclanici, sono oggetto di interesse criminale i fondi per la realizzazione dell·ILVA di Bagnoli, gli stanziamenti previsti per i progetti di riqualificazione (Consorzio ·Napoli Est·) e gli appalti per la costituenda tratta TAV da Pomigliano a Saviano. Nella provincia di Salerno, gli equilibri fra i clan e la tenuta delle alleanze con le strutture criminali calabresi appaiono subordinati alla capacità di infiltrarsi nella realizzazione di alcuni lotti dell·autostrada SA-RC.
Permane, inoltre, ragguardevole l·attitudine di alcune organizzazioni ad operare ad elevati livelli nel traffico della droga, segnatamente nell·importazione di rilevanti quantitativi di cocaina, attraverso teste di ponte in Stati europei. Alcuni clan storici della camorra starebbero consolidando il loro ·accreditamento· sul piano internazionale, mediante rinnovate intese con i trafficanti calabresi, detentori in via prioritaria di canali di rifornimento di tale sostanza.
In Puglia, le organizzazioni delinquenziali hanno mantenuto la propria fisionomia pulviscolare, testimoniata dall·assenza di un polo di aggregazione unitario, con una instabilità interna che alimenta un perdurante stato di conflittualità tra i sodalizi storici. Nonostante il consistente ridimensionamento del contrabbando di sigarette, l·attività informativa ha evidenziato come i gruppi malavitosi risultino tuttora impegnati nel settore con il ricorso a nuovi moduli operativi nonché ad ampliare il proprio raggio di azione nel territorio nazionale e nel Nord Europa. Nel campo del traffico di droga si è registrato il sempre più frequente affiancamento a gruppi calabresi e campani.
Un ruolo di rilievo nel panorama criminale continuano a svolgere le consorterie estere che, grazie anche ai rapporti instaurati con le organizzazioni endogene, hanno acquisito posizioni significative in determinati ambiti territoriali ed in taluni settori illeciti.
I dati di intelligence ribadiscono la pericolosità dei gruppi albanesi, che gestiscono con crescente competitività diverse attività illegali. In particolare, essi, proprio in virtù di collaudate alleanze con le ·mafie· balcaniche e di patti, anche di carattere temporaneo, con esponenti della malavita autoctona · specie pugliese · sono divenuti i principali referenti dei flussi di droga che, attraverso la penisola anatolica, raggiungono il continente europeo.
In evoluzione risultano le consorterie cinesi, le quali, pur scarsamente visibili in quanto operanti soprattutto in danno delle comunità di connazionali, occupano spazi di rilievo nel settore dell·immigrazione clandestina, nello sfruttamento della prostituzione e nel gioco d·azzardo.
Notevole attivismo ha palesato anche la criminalità nigeriana che, da tempo insediatasi in Campania, resta prevalentemente impegnata nel traffico di stupefacenti, in quello di esseri umani e nel lenocinio.
In crescita appaiono i gruppi rumeni che si stanno affermando nel centro-nord, spesso in posizione subalterna ai clan albanesi, in un processo espansivo analogo a quello già seguito dalle consorterie schipetare.
Trova ulteriore conferma il precedente quadro sulla significativa saltuaria presenza in Italia di esponenti della malavita organizzata russa, da tempo segnalata per i tentativi di penetrazione nel circuito economico-imprenditoriale.
Al monitoraggio dei sodalizi stranieri in territorio nazionale si affianca quello condotto all·estero, anche al fine di cogliere i più salienti fenomeni criminali in aree contigue al nostro Paese. Particolare attenzione, in tale ottica, viene riservata all·area balcanica, contesto che si distingue, in linea generale, sia per le interazioni della criminalità con altri fenomeni controindicati, sia per l·estrema flessibilità dimostrata dai principali attori della scena delinquenziale, in grado di variare settori di operatività e rotte per garantirsi continuità di azione e di profitto.
Significativo, al riguardo, quanto registrato in Albania, dove ad una flessione del flusso migratorio clandestino ha corrisposto un aumento del traffico di droga e di tabacchi lavorati esteri, condotto da gruppi locali in contatto con consorterie montenegrine ed albano-kosovare. Le acquisizioni informative sugli itinerari seguiti fanno stato di un riorientamento su Grecia ed Albania · e segnatamente sul porto di Durazzo · delle rotte impiegate per il contrabbando di tle, inteso ad ovviare allo stallo dei traffici in territorio montenegrino, nonché della confluenza entro i confini schipetari di eroina proveniente dal Medio Oriente e dall·Afghanistan, instradata sull·asse Turchia-Bulgaria-FYROM o Grecia. Talune indicazioni attestano, inoltre, l·esistenza di collegamenti tra organizzazioni sudamericane e sodalizi albanesi interessati ad assicurarsi anche partite di cocaina.
Un inasprimento della conflittualità per il controllo delle attività illegali fra i gruppi serbi · sospettati di contiguità con esponenti del passato regime · è stato rilevato nella Repubblica Federale di Jugoslavia, ove operano diverse aggregazioni emergenti, risultanti dallo smembramento di più vaste formazioni controllate da capi ·storici· ora scomparsi, particolarmente impegnate nella stampa e nel traffico di banconote false, in particolare dollari ed euro.
Più segnali danno conto di un peculiare dinamismo, nella Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, di formazioni criminali dedite al traffico di armi, nonché di un incremento del transito di stupefacenti diretti, via Croazia, verso il mercato europeo occidentale.
L’attività informativa svolta in direzione del fenomeno migratorio clandestino – particolarmente focalizzata sull’eventuale infiltrazione nei flussi di militanti integralisti e sulle convergenze tra gruppi delinquenziali e cellule terroristiche in specifici ambiti logistico-operativi – ha confermato il ruolo egemonico svolto nella gestione di tale settore illecito dalle consorterie criminali albanesi e curde (turche ed irachene). Queste, grazie alla loro connotazione transnazionale, appaiono in grado di movimentare gli illegali su rotte diversificate di volta in volta rimodellate su itinerari, sia marittimi che terrestri, intesi ad eludere i sistemi di controllo messi in atto dalle forze di sicurezza.
La ricerca di intelligence resta orientata all’individuazione dei canali utilizzati per l’instradamento dei clandestini nel nostro Paese, spesso impiegato quale “primo approdo” verso altre destinazioni europee.
Le acquisizioni informative hanno posto in luce il crescente interessamento dell’area nordafricana quale luogo di irradiazione e/o di transito di migranti che, dai Paesi dell’Africa centro-orientale e dal contesto mediorientale ed asiatico, muovono verso le coste della Sicilia sud-orientale e delle isole minori.
In tale ambito, pur non emergendo, al momento, il diretto coinvolgimento della criminalità mafiosa nella proliferazione degli sbarchi nell’Isola, è stata avviata specifica attività informativa volta ad individuare eventuali segnali di interazione fra trafficanti stranieri e cosche locali. Nel medesimo contesto, le informazioni più recenti danno conto di un riorientamento dei flussi originati dall’area maghrebina su rotte che si dirigono verso le Egadi e la Sardegna.
La penisola anatolica ed il quadrante balcanico hanno ribadito la loro centralità per lo smistamento in Europa occidentale di clandestini, in gran parte di origine curda ed asiatica.
Alle tradizionali direttrici utilizzate dalle organizzazioni turche, che puntano via terra sull’Albania, per poi raggiungere le nostre coste adriatiche, si sono aggiunte – grazie anche ai legami con i sodalizi balcanici, specie quelli basati in Kosovo e Bosnia-Erzegovina – le rotte marittime verso le isole dell’Egeo ed i porti dell’Italia meridionale e quelle che, dopo aver attraversato Bulgaria, Serbia e Croazia, attingono i litorali settentrionali.
All’intensificazione delle misure di controllo da parte delle autorità turche ha fatto riscontro il crescente ricorso ad itinerari alternativi che interessano il Caucaso, l’Asia e l’Africa.
I trasferimenti verso le mete finali – generalmente individuate in Francia, Germania, Gran Bretagna e Canada – vengono spesso curati da sodalizi curdo-iraniani e curdo-iracheni, che si occupano di procurare ai clandestini documenti falsi e di organizzarne il trasporto.
Accanto ai predetti ambiti territoriali, emerge la valenza di Paesi esteuropei, quali la Romania e l’Ungheria, nella movimentazione di illegali, provenienti non solo dal contesto regionale e dagli epicentri consueti dell’immigrazione, ma di recente anche dall’Afghanistan.
Diverse segnalazioni hanno evidenziato il crescente interessamento dell’isola di Malta – già snodo essenziale delle direttrici dei traffici che si sviluppano nel Mediterraneo – per lo smistamento dei flussi originati dallo Sri Lanka che, via aerea o attraverso il canale di Suez, puntano in direzione delle nostre coste
Si è inoltre registrato, in occasione delle scadenze fissate dalla legge sull’immigrazione per l’accesso alle procedure di regolarizzazione, un incremento delle attività illecite connesse alla falsificazione dei documenti necessari per ottenere il permesso di soggiorno. Particolarmente attiva in questo senso una comunità cinese, ove è emerso un vasto giro di assunzioni fittizie, con il coinvolgimento di società e consulenti italiani.
Le dimensioni qualitative e quantitative del fenomeno, il suo interessare molteplici ambiti territoriali e consorterie delinquenziali di varia nazionalità, nonché i collegamenti registrati con settori illeciti diversi – dal falso documentale al narcotraffico, dallo sfruttamento della prostituzione al “commercio” di organi – restano fattori di complessità rispetto ai quali si rivela imprescindibile la cooperazione internazionale, sia a livello europeo che sul piano bilaterale, per quanto riguarda i Paesi di provenienza e transito.
A tutela degli interessi economici nazionali, permane elevata l’attenzione dell’intelligence volta ad individuare le linee di tendenza e le mutevoli fenomenologie in grado di alterare il regolare funzionamento del sistema Paese, con particolare riguardo alla competitività dell’assetto produttivo e finanziario, soprattutto nella sua proiezione internazionale.
Profili di potenziale rischio restano identificabili nella penetrazione da parte di soggetti e capitali stranieri, allorquando questa – ancorché rientrante nelle logiche dell’economia globalizzata – si riferisca a settori economici nazionali di primaria importanza e/o strategici, ovvero si estrinsechi in acquisizioni di rilevanti quote azionarie di aziende nazionali ad opera di società, anche di matrice governativa, di Paesi sensibili.
Del pari, il monitoraggio non manca di rivolgersi all’evoluzione e all’andamento sia dei mercati che vedono la presenza di investimenti italiani, sia di quelli con potenziali attrattività, anche con riguardo ad eventuali iniziative di attori/concorrenti ostili/non ortodossi.
Hanno rivestito specifico rilievo il settore dell’approvvigionamento di risorse energetiche, con particolare riferimento a tensioni internazionali in grado di provocare alterazione di costi, e quello della tutela degli interessi geostrategici nazionali, ivi comprese le vie di comunicazione e trasporto paneuropee.
Specifica attenzione è stata dedicata ai fenomeni di condizionamento delle dinamiche riconducibili a gruppi di pressione, in grado di alterare il legittimo andamento dei mercati e degli investimenti, con potenziali riflessi sull’ordine pubblico.
L’attività informativa resta costantemente rivolta, in coordinazione con le altre amministrazioni dello Stato, all’individuazione dei canali di finanziamento del terrorismo internazionale, specie per quanto concerne istituti ed associazioni di copertura, circuiti bancari informali, tecniche innovative di compensazione ed attività criminali comuni.
La ricerca ha, altresì, riguardato il comparto della criminalità economica, che continua ad essere connotato da tratti di crescente radicalizzazione e pericolosità. A tal riguardo, l’azione di monitoraggio ha interessato principalmente le attività della mafia russa, alle quali può essere attribuita reale valenza inquinante, in quanto caratterizzate da notevole dinamismo, sia nel settore economico, sia in quello finanziario, attraverso il reinserimento dei proventi di origine illecita nel circuito finanziario internazionale. Analoga attenzione è stata rivolta al rischio di infiltrazione nel tessuto economico da parte della criminalità cinese.
Circa talune riscontrate attivazioni di possibile natura spionistica in danno del nostro Paese, si è provveduto a dare corso alle relative iniziative di verifica ed a promuovere nuove operazioni di monitoraggio sul territorio nazionale, segnatamente in direzione di quei circuiti maggiormente utilizzati per la mimetizzazione di agenti. In tale contesto, hanno ancora costituito oggetto di interesse a fini controindicati i settori della ricerca scientifica ed industriale, fra l’altro nel campo energetico e dello smaltimento dei rifiuti tossici. Sono stati rilevati tentativi di acquisizione di informazioni sensibili sul comparto politico-militare alleato. Accertamenti sono stati svolti al fine di individuare reti di Organismi esteri interessati al controllo sulle colonie dei propri cittadini, nonché nei confronti di stranieri impegnati in sospette attività di coordinamento e di proselitismo nell’ambito di centri di aggregazione islamica.
All’estero, è proseguito l’impegno dell’intelligence per contrastare eventuali violazioni della sicurezza di sedi diplomatiche italiane ed impedire un’indebita acquisizione di notizie nei confronti di soggetti, aziende ed interessi nazionali. Specifica attenzione è stata dedicata alla raccolta di informazioni mirate a tutelare la sicurezza di personale militare, nazionale e dell’Alleanza, dislocato in aree di crisi. L’attività info-operativa ha riguardato, infine, infiltrazioni di estremisti islamici in aree del Medio Oriente particolarmente sensibili.
Nel corso del semestre è stata particolarmente pressante l’esigenza di definire lo stato dei programmi di proliferazione delle armi di distruzione di massa in Iraq anche attraverso un confronto con le informazioni degli altri Paesi. Specifica attenzione è stata rivolta ai settori chimico e biologico ed alle attività di quel procurement, poste in essere in territorio nazionale con l’intermediazione di società appartenenti ad alcuni paesi mediorientali.
Più in generale, con riferimento alle aree mediorientale e nordafricana, è stata svolta attività di controproliferazione nucleare, finalizzata ad impedire il trasferimento di materiali dual use, verso utilizzatori finali ritenuti “a rischio”. Il monitoraggio si è tradotto, altresì, nel supporto alle autorità nazionali competenti in materia di rilascio delle autorizzazioni alle esportazioni, impegnate, tra l’altro, nell’esame di progetti di riconversione di impianti, utilizzati, in passato, per la produzione di agenti chimici. Sono in corso, poi, approfondimenti per la verifica di notizie attestanti sviluppi di programmi nucleari militari e la presenza di tecnici stranieri coinvolti in attività missilistiche in quelle regioni.
Particolare attenzione è stata riservata all’individuazione di possibili connessioni nei settori della proliferazione e del procurement fra l’estremismo islamico e le principali aree di crisi.
Per quanto concerne il contrasto ai traffici di materiali d’armamento e dei connessi prodotti dual use aventi connotazione di rischio, l’attività è stata diretta all’acquisizione di informazioni su negoziazioni, accordi e trasferimenti di armamenti e di prodotti duali tecnologici condotti da aziende nazionali, in particolare nei confronti di quelli aventi significativo impatto sul piano della sicurezza nazionale ovvero indirizzati verso aree di tensione e/o verso Paesi proliferanti. In tale ambito, sono stati predisposti contributi per le Amministrazioni preposte al controllo dei trasferimenti dei prodotti militari e delle armi. Costante attenzione ha ricevuto il flusso esportativo di materiali d’armamento dall’Italia verso destinazioni sottoposte a controllo anche ai sensi dell’attuale normativa comunitaria.
In attesa della realizzazione di un “deposito centralizzato di rifiuti radioattivi”, la sicurezza del combustibile nucleare, delle scorie radioattive e degli altri materiali irraggiati ha assunto una crescente valenza nel quadro della continua evoluzione del rischio terroristico nonché in relazione all’eventualità di traffici illeciti della criminalità organizzata. Attivazioni controindicate in direzione dello specifico settore potrebbero, del resto, mirare a sfruttare anche il clamore mediatico che usualmente accompagna l’argomento.
Conseguentemente l’intelligence ha rimodulato il proprio approccio ed è stata avviata, con le Amministrazioni interessate, una concertata disamina della sicurezza dei siti/laboratori sensibili in territorio nazionale, onde incrementare opportunamente, ovunque necessario, le misure e le procedure connesse alla movimentazione e conservazione di materiali pericolosi. Ciò, in un quadro in cui il rischio di diversioni di sostanze tossiche e nocive ha posto alla particolare attenzione anche i settori chimico e biologico.
Nel quadro del dispositivo estero, specifica attenzione è stata riservata, in costante raccordo con le competenti articolazioni del Ministero della Difesa, alla tutela dei contingenti nazionali ed ai reparti dell’Alleanza atlantica dislocati in aree di crisi. Anche al fine di consolidare i contatti con quegli ambienti ritenuti sensibili per la ricerca intelligence, sono state effettuate numerose missioni info-operative nei Balcani, in Medio Oriente, nell’Asia Centrale e nel Corno d’Africa.
In vista del rafforzamento della presenza italiana in Afghanistan, sono state condotte ricognizioni mirate sul territorio, con particolare riguardo alle condizioni di sicurezza di luoghi e vie di comunicazione, alla composizione ed alle capacità offensive dei gruppi estremisti, nonché all’affidabilità dei potenziali interlocutori, come capi clan, notabili ed altri personaggi di spicco.
In supporto alle forze schierate nel quadrante mediorientale, l’impegno informativo si è tradotto nel monitoraggio dell’area siro-libanese ed in prossimità del teatro iracheno.
a. Balcani
In una congiuntura internazionale ancora fortemente segnata dalla minaccia terroristica di matrice confessionale, la progressiva, sensibile diffusione dell’estremismo islamico riscontrata nei Balcani ha continuato a rappresentare uno dei principali fattori di rischio evidenziatisi nel semestre in quella regione. Pur a fronte di una più capillare azione di controllo esercitata dalla Comunità internazionale, l’area è stata interessata dall’intensificato attivismo di talune organizzazioni fondamentaliste, impegnate a penetrare il tessuto sociale ed a costituire strutture logistiche per assicurare protezione a terroristi in fuga o per condurre operazioni controindicate. Al riguardo, la Bosnia-Erzegovina si conferma il contesto di maggior incidenza del fenomeno, che tuttavia risulta in costante aumento pure in Albania, in Kosovo e nella Repubblica ex jugoslava di Macedonia (Fyrom).
Di peculiare insidiosità risultano le riscontrate, crescenti interazioni tra integralismo islamico e secessionismo armato dell’etnia albanese, tradottesi, in qualche caso, in strutturate forme di cooperazione atte a consentire l’insediamento in loco di formazioni terroristiche esogene. La guerriglia irredentista, dal canto suo, ha tratto nuova linfa non solo dall’adesione di giovani musulmani votatisi alla lotta armata grazie alla propaganda fondamentalista ed ai finanziamenti provenienti da soggetti esterni al teatro balcanico, ma anche dalla frequente coincidenza di esponenti ed interessi delle formazioni paramilitari e del crimine organizzato, pure transnazionale: emblematico – ma non esclusivo – è il caso del traffico di armi. Altrettanto significativa risulta, in proposito, la rilevata comparsa – soprattutto in Montenegro – di inediti gruppi armati che si proclamano “eserciti di liberazione” di questa o quella località dell’area. Alle descritte dinamiche ha corrisposto, peraltro, una simmetrica
radicalizzazione nell’ambito della componente slava, con negative ricadute sulla cornice di sicurezza in termini di rinnovate tensioni interetniche – segnatamente in Kosovo e Sangiaccato – e di conseguente accentuata esposizione a rischio per i contingenti nazionali operanti nell’area.
Quanto agli assetti istituzionali, nuovi scenari di incertezza sono scaturiti dalle tornate elettorali che si sono succedute nel semestre, prime fra tutte le presidenziali in Serbia e nel Montenegro, vanificate dal mancato raggiungimento del quorum dei votanti. Anche dalle politiche in Bosnia-Erzegovina è emerso un quadro parlamentare complesso – che ha reso difficoltosa la formazione degli esecutivi, specie a livello centrale – connotato, oltretutto, dall’affermazione dei partiti nazionalisti. In Kosovo, il pressochè regolare svolgimento delle operazioni di voto – che ha costituito, di per sé, un dato positivo – è stato seguito da gravi episodi di violenza ai danni di esponenti della componente albanese moderata e da una ripresa degli attentati contro i luoghi di culto ortodossi. Nella Fyrom, il processo di normalizzazione in atto ha trovato un significativo passaggio nella formazione del nuovo esecutivo. Espressione della composita realtà nazionale, esso dovrà tuttavia misurarsi con tematiche dalla potenziale valenza destabilizzante – quali la convivenza interetnica e la lotta alla corruzione – e con la determinata opposizione dei settori nazionalisti slavi.
In Albania, il superamento della crisi politica si è accompagnato ad un rinnovato attivismo di quella dirigenza teso a riaffermare, anche sul piano internazionale, il proprio impegno nel contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione ed ai traffici illeciti verso i Paesi occidentali.
b. quadrante euroasiatico
Perdurante fattore di destabilizzazione regionale continua ad essere la crisi cecena che, ancora caratterizzata da un confronto di tipo militare tra forze russe e formazioni guerrigliere, ha fatto registrare eclatanti episodi terroristici. Ciò ha determinato un ulteriore, sensibile innalzamento del livello di scontro, ponendo nuove ipoteche sulle prospettive di negoziato. Dopo l’abbattimento di un elicottero russo che, in agosto, ha innescato la massiccia risposta delle forze federali, l’assedio al teatro Dubrovka di Mosca, in ottobre, e l’attacco, in dicembre, alla sede dell’amministrazione di Grozny sono valsi a ribadire l’adesione di quelle formazioni all’opzione delle missioni suicide. La vicenda del teatro moscovita, in particolare, ha marcato ulteriore distanza tra il Cremlino e la leadership secessionista, cui viene attribuita la responsabilità del gesto, nel quadro di una più ampia strategia universalista del terrorismo islamico. In ogni caso – ferme restando la collocazione temporale dell’evento nella serie di attentati compiuti nel mondo da gruppi in vario modo legati alla rete di Bin Laden, nonché la propensione di quest’ultimo ad includere la questione cecena tra i vessilli del jihad – è un dato d’intelligence il graduale rafforzamento, in seno al fronte separatista caucasico, della componente radicale di ispirazione confessionale, con quel che ne consegue in termini di proiezioni destabilizzanti anche al di fuori della regione.
Non si sono rilevate significative inversioni di tendenza nella difficile situazione politico-istituzionale di taluni Stati dell’area, come l’Ucraina, il Belarus e la Moldova, interessata, quest’ultima, dall’irrisolto contenzioso sul Trans Dnestr e dalle rinnovate tensioni nella regione autonoma della Gagauzia.
Più in generale, si pongono come fattore immanente di rischio, con riferimento all’intero quadrante, l’utilizzo del territorio come via di transito per traffici illeciti in direzione dell’Occidente, la diffusione della corruzione che favorisce le infiltrazioni criminali in taluni settori delle amministrazioni pubbliche, nonché spregiudicate cooperazioni militari con Paesi controindicati.
Nelle repubbliche caucasiche della Comunità degli Stati Indipendenti permangono immutati i fattori d’instabilità legati alla disputa sulla regione del Nagorno-Karabakh che contrappone l’Armenia all’Azerbaigian e i contrasti politici interni in entrambi i contesti. Persiste in Georgia la questione collegata all’infiltrazione di guerriglieri ceceni nella Valle di Pankisi, che ha determinato l’ulteriore deterioramento dei rapporti con Mosca, poi attenuatosi a seguito del raggiungimento di un’intesa.
c. Medio Oriente
La militarizzazione del confronto israelo-palestinese e le azioni terroristiche susseguitesi nei Territori ed all’interno dello Stato ebraico sono prevalse, nei fatti, sulla ricerca del dialogo e sulle iniziative in vario modo e da più parti intraprese allo scopo di stemperare i toni della crisi.
In ambito israeliano, la gravità della situazione economica e soprattutto il diffuso senso di insicurezza hanno, per certi versi, agito da coagulo, rafforzando l’opzione militare a fini di prevenzione e difesa. Taluni sviluppi, peraltro, hanno testimoniato l’inconciliabilità delle posizioni su temi essenziali, come la questione degli insediamenti, mentre tra i coloni sono andate emergendo componenti estremiste, propense a praticare la violenza come forma di rivalsa e di deterrenza.
Sul versante palestinese, anche in ragione della particolare congiuntura internazionale – focalizzata sulla questione irachena – si sono dilatati i tempi del processo di riforma istituzionale che, fortemente auspicato dalla base, ha visto attuarsi iniziative ed avvicendamenti di debole portata innovativa. Si collocano in questo contesto gli accentuati fermenti tra quanti chiedono forme di governo più rappresentative e le difficoltà di riorganizzazione del comparto sicurezza. Nel contempo, una significativa parte del movimento politico di impronta laica, che conserva un ruolo preminente nella società e nelle istituzioni palestinesi, è parsa prendere atto della necessità di superare la scelta stragista, considerata non pagante sul piano strategico. L’impegno ad abbandonare la pratica degli attacchi contro la popolazione civile non è stato peraltro condiviso dalle cellule più violente, che hanno rivendicato alcuni cruenti attentati, in una spirale terroristica nella quale non sono mancate iniziative individua
li dettate da protagonismo, ovvero da alterne logiche di competitività o cooperazione con le formazioni radicali di ispirazione islamica. Queste ultime, forti oltretutto di un accresciuto consenso popolare legato all’ulteriore peggioramento delle condizioni di vita nei Territori, hanno intrapreso una campagna offensiva antisraeliana che, in talune occasioni, è parsa diretta soprattutto ad influenzare il dibattito interno al movimento islamista palestinese in ordine all’eventualità di riconsiderare le forme di contrapposizione a Tel Aviv. I settori integralisti dichiaratisi propensi al dialogo, con il concorso attivo della mediazione europea e di alcuni Stati arabi, hanno avviato colloqui con le fazioni laiche più moderate, lasciando prefigurare la possibilità di inedite, sostanziali rivisitazioni nei propri disegni strategici, tradizionalmente e dichiaratamente tesi alla distruzione dello Stato ebraico. Il pragmatismo di fondo che muove le varie organizzazioni verso una piattaforma politica unitaria rende,
tuttavia, tale processo aggregativo particolarmente precario, oltrechè vulnerabile agli inserimenti delle frange estremiste, supportate da attori esterni, verosimilmente interessati a mantenere elevato il livello della tensione in quel teatro.
All’intento di palesare sostegno alla causa palestinese sarebbe ascrivibile l’attivismo armato della milizia sciita che, dal Libano, ha nuovamente colpito obiettivi israeliani, provocando la reazione di Tel Aviv, secondo i consueti schemi di confronto “a bassa intensità” di cui, tuttavia, il deteriorato clima regionale rende più incerta la tenuta. Ulteriori profili di rischio rimandano alla situazione nei campi profughi palestinesi – ove gli accresciuti livelli di tensione, legati anche al proliferare di aggregazioni estremiste, sono sfociati in violenti scontri con l’esercito libanese – ed al diffondersi di sentimenti antioccidentali, testimoniato da una serie di microattentati contro obiettivi statunitensi. In questo clima si inserirebbe l’uccisione, il 21 novembre, di una missionaria americana.Gli incidenti lungo il confine israelo-libanese – che più volte, in passato, hanno comportato operazioni israeliane contro postazioni di Damasco – ed i contrasti tra le massime cariche istituzionali di Beirut, acuiti dalla gravità della congiuntura economica, hanno continuato a rappresentare voci preminenti nell’agenda della dirigenza siriana. Inoltre, a fronte del particolare dinamismo di Damasco in ambito interarabo, volto a coordinare le posizioni in merito alla crisi palestinese ed alla questione irachena, ha subito altri rinvii, sul versante interno, l’atteso piano di riforme strutturali, ancora osteggiato da influenti settori dell’establishment. Trovano forti resistenze le richieste di rinnovamento avanzate dall’opposizione, in un panorama politico ove, peraltro, potrebbero riguadagnare rappresentanza istanze di ispirazione confessionale già espresse in un movimento bandito da Damasco agli inizi degli anni ‘80.
Le tensioni che da tempo attraversano il contesto giordano hanno trovato nuova, significativa testimonianza nell’uccisione ad Amman, il 28 ottobre, di un funzionario statunitense da parte di elementi affiliati ad Al Qaida, nonché nelle operazioni di rastrellamento – con scontri a fuoco e numerosi arresti – compiute in direzione di ambienti sospettati di contiguità con gruppi criminali e con l’estremismo islamico.
In un clima già inasprito dal protrarsi della crisi israelo-palestinese e dal fervore operativo del radicalismo di matrice religiosa, la prospettiva di un conflitto in Iraq ha contribuito ad animare la protesta contro gli USA, alimentando il dissenso nei confronti di una linea di governo cui è contestata la promozione di un processo di modernizzazione asseritamente contrario ai valori tradizionali.
In alcune monarchie del Golfo, l’intenso attivismo propagandistico antioccidentale, che ha indotto le autorità a mirati interventi in direzione dei circoli religiosi più oltranzisti, si è accompagnato ad una serie di attentati contro cittadini europei ed americani. In Arabia Saudita, la campagna terroristica è parsa finalizzata soprattutto a minare le relazioni tra il governo di Riyad e i Paesi occidentali, in una fase dei rapporti caratterizzata dal dibattito sul coinvolgimento, nel supporto all’integralismo islamico, di enti riconducibili a personalità di rango, nonché dalle perduranti incognite sul ruolo saudita nell’ipotesi di operazioni militari contro Baghdad. In Kuwait, gli sviluppi seguiti agli attentati, condotti per lo più in danno delle forze armate statunitensi colà stanziate, confermerebbero la presenza e l’operatività nell’area di cellule estremiste contigue ad Al Qaida.
Resta precaria la cornice di sicurezza nello Yemen, ove frange locali del radicalismo islamico – responsabili, tra l’altro, dell’azione compiuta il 30 dicembre contro un ospedale gestito da una missione battista statunitense – potrebbero trovare nella cooperazione antiterrorismo tra Sana’a e le forze angloamericane ulteriore spunto per nuovi attacchi, sia in direzione di obiettivi occidentali, sia contro gli stessi apparati yemeniti. Sussiste, inoltre, il pericolo che in alcune aree tribali del Paese, di più difficile controllo da parte del governo centrale, continuino a trovare rifugio affiliati alla rete terroristica internazionale di Bin Laden.
In Iran, la contrapposizione ideologica tra i settori conservatori e lo schieramento progressista, che ha fatto registrare ulteriori offensive giudiziarie in danno di esponenti del mondo politico e culturale della corrente modernizzatrice, è parsa svilupparsi secondo le dinamiche proprie di quel sistema di potere, il cui pragmatismo e le cui logiche di autoconservazione tendono a mantenere il confronto politico su livelli “controllabili”. In questo contesto, la rinnovata vitalità della protesta studentesca, diretta anche contro il presidente riformista, ed i ricorrenti scontri con le milizie integraliste, suscettibili di degenerare in episodi di più grave impatto, si pongono quale elemento di potenziale alterazione degli equilibri, di cui potrebbero profittare settori oltranzisti del clero determinati a contrastare ogni forma di processo evolutivo.
Sul versante estero, un atteggiamento di cautela ha caratterizzato le posizioni iraniane sulla crisi irachena, rispetto alla quale, peraltro, appare prevalere l’intento di sostenere l’aggregazione di matrice sciita.
Le dinamiche connesse alla prospettiva di un attacco all’Iraq, di peculiare portata per forza d’urto ed ampiezza del raggio d’azione – come dimostrano le ricadute già prodottesi sulle relazioni internazionali, sulle attivazioni dei più influenti attori dell’area, sul livello della minaccia terroristica – non hanno significativamente inciso sul quadro interno iracheno che, nel semestre, non ha mostrato sensibili mutamenti, a parte il progressivo rafforzamento del dispositivo di difesa. Specifico rilievo ha assunto l’evoluzione del dibattito tra importanti esponenti della dissidenza, impegnati a definire linee di azione e programmi in vista di un rovesciamento di Saddam Hussein. In un contesto ancora segnato da divergenze ed attriti, sono emersi, quali elementi di possibile incidenza sulla configurazione dei futuri assetti, il ruolo crescente della componente sciita ed il riavvicinamento delle principali formazioni curde.
Centrali ai fini della sorte del regime sono gli esiti delle verifiche sullo stato delle capacità proliferanti di Baghdad, affidate al team di ispettori dell’ONU.
d. Nordafrica
La lettura degli sviluppi di situazione intercorsi nell’area induce a confermare il quadro precedentemente tracciato, che vede le Dirigenze locali chiamate a misurarsi, da un lato, con rilevanti problematiche interne – tra cui spicca quella legata al radicalismo confessionale – e, dall’altro, con una congiuntura internazionale che rende complesso e significativo ad un tempo il ruolo per certi versi “duplice” di quei Paesi, quali principali interlocutori dell’Occidente ed attori di rilievo del mondo arabo.
A fattor comune per la regione, tra i dati di maggior significato sul piano della sicurezza si pongono, tenuto particolarmente conto del dinamismo dimostrato al di fuori dei contesti d’origine dalla componente integralista nordafricana: segnali relativi al possibile reingresso e/o transito di elementi rifluiti dall’Afghanistan; pressione su quei territori di sostenuti flussi migratori sub-sahariani che puntano sul Mediterraneo settentrionale, individuando nel nostro Paese una delle sponde verso le destinazioni finali; fenomeni di contrabbando e banditismo nelle zone frontaliere, che potrebbero inserirsi nel processo di ridislocazione della componente arabo-afghana; indicatori circa una possibile reviviscenza od ulteriore radicalizzazione dell’attività di aggregazioni islamiste locali; manifestazioni antioccidentali in collegamento con la mancata soluzione del conflitto israelo-palestinese e con il ventilato attacco all’Iraq.
In tale ottica, rileva la situazione in Algeria, tuttora segnata dall’attivismo delle formazioni armate di ispirazione confessionale e da un sostenuto livello di conflittualità nella regione nordorientale della Cabilia. Ciò, in un contesto in cui il permanere di precarie condizioni socio-economiche e le tensioni connesse rischiano di ostacolare l’azione riformatrice del Governo.
In Egitto – dove la principale formazione islamista è stata, di recente, interessata da un avvicendamento al vertice di cui restano da cogliere le implicazioni future – prosegue l’azione di contenimento e repressione dell’integralismo, da ultimo emerso per nuove minacce antioccidentali che sarebbero state formulate da una aggregazione da tempo inattiva su quella scena. Il Cairo deve misurarsi con il diffondersi di posizioni e propaganda radicali, mentre rimane fortemente impegnato nella mediazione delle crisi mediorientale ed irachena, funzione alla quale è votato per il ruolo di spicco che ad esso viene riconosciuto nel contesto arabo.
Analogo attivismo diplomatico informa la condotta della Libia, che continua ad affiancare alle aperture all’Occidente – nel cui ambito si collocano il miglioramento delle relazioni con la Gran Bretagna ed i nuovi passi compiuti per la soluzione della “questione Lockerbie” – un sostenuto dinamismo a livello regionale, mediante iniziative intese a promuovere forme di aggregazione tra i Paesi africani. La stabilità di quella scena è tuttora assicurata dalla centralità della figura del rais, il quale associa all’impegno volto a contrastare la minaccia islamista l’attenzione solidaristica nei confronti della questione palestinese.
Segnali relativi a possibili azioni antioccidentali sono stati raccolti per quanto riguarda la Mauritania, la Tunisia ed il Marocco, ambiti legati altresì all’azione di sodalizi criminali operanti nel settore dell’immigrazione clandestina.
e. Corno d’Africa ed Africa subsahariana
Pur in presenza di sviluppi nel processo di avvicinamento tra Etiopia ed Eritrea e di prospettive di pacificazione in Somalia, perdurano nel Corno d’Africa condizioni di precarietà. Sulle relazioni tra Asmara ed Addis Abeba continua a gravare un clima di reciproca sfiducia, che non è stato dissipato dall’avvio dell’attività propedeutica alla demarcazione ufficiale della frontiera etiope-eritrea e dal completamento delle operazioni di rilascio dei prigionieri di guerra eritrei, che pure ha eliminato un potenziale fattore di contenzioso.
Il contesto etiopico resta segnato da tensioni di matrice etnico-politica, tradottesi in manifestazioni di protesta, sfociate talora in scontri di piazza.
Quel governo è altresì impegnato nell’opera di contrasto dei movimenti armati indipendentisti e dei gruppi estremisti islamici attivi in loco che, pur non costituendo al momento una seria minaccia alla stabilità della dirigenza, hanno manifestato un crescente attivismo specie in alcune aree centro-occidentali e sud-orientali del Paese.
In Eritrea, la tensione interna, effetto della grave crisi socio-economica e della prosecuzione della campagna di arruolamento forzato, si pone tra le concause dell’incremento del fenomeno dell’emigrazione clandestina, che ha raggiunto significative proporzioni. Persiste il deterioramento delle relazioni con gli Stati dell’area, in particolare con il Sudan, che accusa Asmara di fornire supporto ai ribelli sudanesi.
La prosecuzione dei negoziati di pace in Somalia, pur in presenza di dissensi e spaccature tra varie fazioni, non ha attutito il livello di conflittualità locale inclusa la Capitale, ove reiterati sequestri di funzionari somali delle Nazioni Unite, a scopo estorsivo, hanno provocato più volte la sospensione dell’attività degli organismi di cooperazione dell’ONU. In occasione degli attentati terroristici di Mombasa, il gruppo estremista somalo Al Ittihad-Al Islami (AIAI) è emerso all’attenzione per il sospetto coinvolgimento diretto o indiretto nell’episodio.
Non si sono rilevati significativi sviluppi in Sudan, ove permangono l’acceso confronto politico tra governo ed opposizione islamica e gli scontri tra forze militari e guerriglia del sud, contestualmente alla prosecuzione dei colloqui di pace.L’azione terroristica condotta a Mombasa ha avuto riflessi sulle dinamiche politiche del Kenya, inasprendo i toni del dibattito interno in ordine all’efficienza dell’apparato di sicurezza ed ai rischi connessi con la presenza di circoli estremisti islamici.
Degne di attenzione sono talune aree centro-africane, come il Burundi – per il prosieguo di attentati ed episodi di violenza di matrice politico-tribale e di scontri armati tra forze militari e formazioni ribelli – e la Repubblica Democratica del Congo, ove sullo sfondo delle trattative negoziali si registrano scontri di natura etnico-politica. Dopo un lungo periodo di lacerazioni interne, si consolida il processo di stabilizzazione in Angola, con interessanti prospettive di sviluppo.
Di rilievo resta la crisi in Costa d’Avorio, interessata da un tentativo di colpo di stato ad opera di ribelli che hanno esteso l’attività armata sino alle zone occidentali, con ripetuti attacchi contro i militari francesi ivi stanziati. Permangono, infine, indicatori di incertezza nello Zimbabwe.
f. Asia centro-meridionale
Il quadro delle evidenze che interessano l’Afghanistan presenta molteplici fattori di tensione connessi sia con la mancata, completa neutralizzazione del dispositivo offensivo delle milizie filotalebane, sia con le perduranti difficoltà incontrate dal governo nell’acquisire il pieno controllo politico e militare del territorio. Nonostante i positivi sviluppi delle operazioni delle forze della coalizione internazionale, prosegue la campagna contro la presenza straniera mediante la propaganda a favore del jihad e la pianificazione di attacchi contro unità delle forze internazionali. Numerosi sono stati gli attentati, anche eclatanti, contro obiettivi governativi ed i contingenti internazionali. Lo scenario rimane connotato da un persistente clima di precarietà in ragione del consistente flusso di profughi, specie nella Capitale, che alimenta sensibilmente i livelli di criminalità, delle faide tra responsabili governativi locali e leader tribali nonché dell’attività dei gruppi di narcotrafficanti, nelle province settentrionali. Riguardo a quest’ultimo fenomeno, è stata rilevata una consistente produzione di oppio grezzo malgrado la campagna promossa dal presidente Karzai e l’intervento delle forze della coalizione anti-terrorismo. Nel complesso, la situazione non appare nel breve termine destinata a segnare passi significativi, in considerazione della perdurante capacità delle varie componenti estremiste presenti nel Paese di rafforzarsi e perseguire obiettivi destabilizzanti.
Nelle repubbliche dell’Asia centrale ex-sovietica, di specifico interesse per la contiguità territoriale con l’Afghanistan e la crescente attività dei movimenti fondamentalisti, si è confermata la strategia violenta del radicalismo uzbeko. La determinazione a contrastare il fenomeno nelle singole entità nazionali si è estrinsecata in una concertata e fattiva collaborazione con le forze della coalizione internazionale. Di rilievo, il fallito attentato al presidente turkmeno non ancora chiaramente riconducibile al terrorismo trasnazionale ovvero a forze di opposizione locali.
Il confronto tra India e Pakistan per l’annoso contenzioso sul Kashmir, che aveva fatto temere lo scoppio di un conflitto regionale, ha registrato un progressivo allentamento della tensione, evidenziatosi con il parziale ritiro dei dispositivi bellici schierati nella regione. Tale distensione non ha riguardato la “Linea di Controllo”, ove è rimasto intatto il clima di diffidenza tra i due paesi, in ragione delle perduranti infiltrazioni di gruppi separatisti islamici che, basati in Pakistan, hanno continuato ad effettuare attacchi terroristici in territorio indiano. L’elezione al vertice dell’ “Unione Indiana” di uno scienziato nucleare di religione musulmana pare aver contribuito a ridurre la conflittualità interconfessionale che contrappone, in India, gli indù ai musulmani.
In Pakistan, l’ascesa della componente islamica radicale, sancita dagli esiti delle elezioni di ottobre, potrebbe aver ripercussioni sulla politica di supporto della dirigenza alla lotta al terrorismo internazionale. Permane un consistente rischio di attentati da parte dei movimenti islamici estremisti che non condividono l’appoggio fornito dalle autorità locali ai paesi occidentali. Di specifico interesse le segnalazioni attestanti il persistente afflusso in territorio pakistano di elementi riconducibili ad Al Qaida che, fuoriusciti dall’Afghanistan, potrebbero costituire basi operative nel Paese ed attuare attentati contro obiettivi statunitensi/occidentali, nonché nei confronti dei vertici istituzionali di Islamabad. Si è verificata, inoltre, un’intensificazione delle attività terroristiche in direzione di scuole e ospedali gestiti da personale di religione cristiana.
g. altri contesti di interesse
Forti proteste internazionali hanno contrassegnato lo sviluppo, da parte della Corea del Nord, di un programma nucleare militare, che ha innescato una crisi di particolare rilevanza, tenuto conto dell’attuale situazione geostrategica e della concreta possibilità che Pyongyang disponga, oltre che delle accertate potenzialità missilistiche, anche di ordigni nucleari.
In aggiunta, l’intercettazione, in dicembre, di una fornitura di componenti missilistiche occultate sotto un carico di cemento di un mercantile nordcoreano diretto nello Yemen, ha palesato il persistere di una spregiudicata politica di esportazioni di armi.
La perdurante criticità dei fattori socio-economici e l’ampia instabilità nel contesto sudamericano hanno favorito l’innescarsi di un diffuso processo degenerativo suscettibile di compromettere ulteriormente le già fragili cornici locali. L’insieme degli elementi raccolti evidenzia: in Venezuela, il protrarsi dello sciopero generale che ha acuito il degrado socio-economico, alimentando forti tensioni cariche di effetti destabilizzanti per l’assetto politico-istituzionale, in un clima di accresciuta insicurezza anche per la comunità italiana residente, più volte colpita da sequestri ed intimidazioni; in Argentina, il pericolo che la protesta sociale innescata dalla crisi inflattiva ed occupazionale possa sfociare in tumulti di piazza, con ricadute sulla stabilità del governo; in Brasile, il rischio di connessioni tra il narcotraffico ed esponenti di organizzazioni terroristiche dell'area nonché la presenza di fiduciari di gruppi radicali islamici nella regione a sud del Paese.
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