| "E' necessario pensare ad una nuova "geografia economica", alla "bioeconomia", all'"economia della cultura", all'"economia della solidarietà" poggiante su capitali naturalistici che danno frutti a tempo differito e spazio diffuso e cioè nelle dimensioni della terra, dell'acqua, dell'aria"
Alfonso Alessandrini |
Tra le diffuse preoccupazioni dei governi e dei popoli del terzo millennio sono da annoverare quelle connesse alla gestione sostenibile dell'ambiente, alla percezione della limitatezza delle risorse naturali, alla fame nel mondo, ai mutamenti climatici. Tali problematiche, strettamente correlate, si influenzano reciprocamente, secondo una equazione di cui non conosciamo la formula e che accresce il senso di incertezza e di rischio.
Le conseguenze sono tali da porre in crisi intere società che vedono in una prospettiva immediata o a breve termine, lo scadimento generale della qualità della vita, il degrado irreversibile delle risorse ambientali con la previsione di un aggravamento o di un precipitare incontrollato degli eventi; e ancora di più per i riflessi su quella parte di mondo che già vive drammaticamente situazioni determinanti conflitti, esodi biblici, tensioni esportate dai cosiddetti paesi in via di sviluppo a quelli industrializzati.
Tra le consolidate e acquisite consapevolezze di questi anni possiamo annoverare la rapidità con la quale scenari planetari e preoccupazioni si sono modificati. In questo contesto i quadri politici evolvono con continuità, i mercati sono alla ricerca di nuovi spazi e opportunità, le tecnologie disegnano nuovi strumenti per la trasformazione delle società, la globalizzazione rimbalza ogni effetto fin nelle sperdute periferie del villaggio mondiale.
Nel grande contenitore che è diventato il Pianeta siamo ormai disponibili anche ad assorbire segnali contrastanti e contraddittori pronti a ritardare con facilità le nostre certezze: un abito mentale adeguato e necessario ad una inarrestabile e vorticosa evoluzione dei tempi.
In questo ragionamento di carattere generale ci sono evidentemente alcune eccezioni ed una di queste è rappresentata proprio dal processo di comprensione sugli eventi che ridisegnano il rapporto tra uomo e ambiente nella sua accezione più ampia.
Dagli anni Settanta, prima per merito di voci isolate poi per un coro sempre più folto ed autorevole, si è affermato il convincimento di un progressivo, continuo degrado dell'ambiente naturale con importanti ripercussioni sul benessere dei popoli e sul depauperamento delle risorse naturali.
Il dibattito ha interessato la velocità del fenomeno, ma non certo la esistenza dello stesso. La preoccupazione in questo caso può essersi attenuata, ma non certo è venuta meno rispetto ad un evento che si è andato manifestando con tutto il suo sinistro bagaglio di effetti concatenati: gas serra, aumento dell'anidride carbonica, inquinamenti, desertificazione, cambiamenti climatici.
Non esistono argini agli effetti che hanno pesanti ricadute nei diversi settori della vita dell'uomo: ambiente, agricoltura, salute i più colpiti.
Le conseguenze sono dirette e immediate per tutte le nazioni. I paesi cosiddetti del nord, i paesi dal consolidato sviluppo economico, assistono con preoccupazione alle modificazioni di clima e territorio, i paesi del sud del mondo vivono un inarrestabile esodo di popoli alla ricerca di nuovi territori dove sia possibile ricreare condizioni dignitose di vita, e in questo è compreso il soddisfacimento delle più elementari necessità: dal mangiare al bere.
Molti dei conflitti e delle tensioni in alcune regioni del mondo derivano direttamente o indirettamente dalle spinte connesse al possesso delle risorse naturali, nessun continente è esente da queste criticità.
L'esodo dei popoli dal sud al nord determina innanzitutto problemi sociali, con un ventaglio di preoccupazioni che vanno dalla ricerca della solidarietà alla garanzia di sicurezza. Problemi cogenti, attuali che si debbono aggiungere alle riflessioni circa le motivazioni originarie degli stessi.
Non credo sia azzardato ritenere i problemi sociali e ambientali che affliggono il mondo non separabili e da considerare in una unica prospettiva, sia per lo studio dei rimedi, sia per la previsione di ulteriori possibili nuovi sviluppi negativi.
Sarebbe anche un errore di miopia politica ridurre la discussione alla storica e sterile diatriba tra ambientalisti e non: la conservazione di equilibri ecologici, etici ed economici non consente una trattazione manichea, ma al contrario costringe ad un metodo dove politica, scienza, economia e cultura sono chiamate a dare risposte rapide e condivise.
La posta in gioco è rappresentata dalla sicurezza globale delle società nei confronti di una serie di pericoli, alcuni dei quali difficilmente individuabili o prevedibili od altri per i quali i singoli paesi non sono in grado di far fronte in autonomia.
Occorre riportare il mondo verso un'armonia tra i vari aspetti ambientali perché solamente in questo modo sarà possibile garantire equilibri economici, politici e sociali altrimenti posti in condizioni di tali instabilità da covare profonde crisi latenti, se non già manifeste.
Le grandi assisi internazionali hanno ormai definitivamente riconosciuto la centralità e l'essenzialità dei grandi problemi ambientali in relazione allo sviluppo del pianeta. Restano divisioni sui metodi, sui rimedi, sulle scelte dei processi industriali, sulle grandi strategie agricole per affrontare le emergenze alimentari.
Nel quadro di una attenta valutazione delle conseguenze non possiamo trascurare gli effetti destabilizzanti che possono avere sia le situazioni oggettive così come le tensioni provocate.
Viviamo, anche come sistema paese, una diffusa richiesta di sicurezza che permea trasversalmente l'intera società. La garanzia delle libertà personali è arricchita di nuovi contenuti e significati che ne ampliano il concetto. Alla domanda di tutela riferita alla persona e ai beni, si aggiunge anche la richiesta di sicurezza ambientale e alimentare.
Con i tempi nuovi, nuove esigenze vanno diffondendosi, ma soprattutto cresce la consapevolezza e il timore che, evidentemente, non siano sufficientemente assicurate le garanzie contro le frodi o le manipolazioni dei prodotti agricoli e alimentari e la protezione dai disastri che troppo spesso sconvolgono l'ambiente, sia esso territorio o atmosfera.
Il cittadino percepisce sempre con maggiore attenzione i pericoli, le aggressioni rivolte alla sua persona, siano esse riconducibili alla salute, alla sua alimentazione, al paesaggio o all'ambiente in cui vive, e richiede misure adeguate e strutture più dedicate a questo tipo di sicurezza.
L'organizzazione governativa deve saper interpretare al meglio queste istanze e andare oltre con una attenta sorveglianza alla prevenzione dei rischi e dei reati ambientali e alimentari.
Agli operatori del comparto sicurezza non sfugge che danni sull'ambiente possono essere provocati da comportamenti illeciti finalizzati al guadagno o ad interessi particolari, ma che altri possono essere pensati e perseguiti con finalità destabilizzanti oppure per alimentare un clima di tensione.
Mi riferisco anche all'ecoterrorismo, che non ha intrapreso, nel nostro paese, azioni tali da creare allarmismo o preoccupazione, se non in forme isolate e sporadiche, ma certamente deve essere destinatario di una più vigile attenzione degli organismi di intelligence perché segnali internazionali ed anche interni non possono lasciarci tranquilli.
L'attuale situazione di progressivo deterioramento dell'ambiente può favorire nuovi strumenti e nuove iniziative criminose caratterizzate da un elevato rapporto tra risultati conseguiti e risorse impegnate, per portare attacchi al cuore della società.
Nel corso della mia esperienza governativa ho avuto la possibilità di verificare la criticità del sistema agricolo e forestale che considero altamente vulnerabile ad azioni di destabilizzazione.
Un esempio per tutti è rappresentato dal fenomeno degli incendi boschivi. Normale parlare, tra le cause, di distrazione, di interessi, di pratiche agricole, di vandalismo, di vendetta, di ritorsioni contro i vincoli, ma nei ripetuti approfondimenti con i responsabili del Corpo Forestale dello Stato abbiamo sempre paventato lo strumento del fuoco, come un mezzo a basso rischio ed alto potenziale distruttivo, per esasperare tensioni o esternare azioni ideologiche ed anche per azioni dimostrative e ricattatorie da parte della criminalità organizzata.
Cibi, acqua, territorio, paesaggio, sono non ipotetici terreni di possibile scontro, pronti ad essere utilizzati da un nemico più o meno sconosciuto, che riesce ad individuare punti critici del sistema agro-alimentare. Le interconnessioni tra armi biologiche, avvelenamenti, inquinamenti criminali, disastri provocati sono numerose, subdole, imprevedibili, inquietanti e per questo ancora più pericolose.
Pensare alle risorse naturali come ad uno strumento di guerra o di distruzione invece che di benessere e sostentamento dei popoli rappresenta certamente un paradosso, ma è altrettanto vero che è una prospettiva da non escludere e da scongiurare.
Per secoli le risorse naturali sono state considerate illimitate: acque, territori, foreste, aria, suoli sono state trattate dal genere umano con un uso indiscriminato, in ragione di una presunta infinità delle disponibilità, e senza minimamente tenere in conto gli effetti delle possibili modificazioni e le ulteriori alterazioni a caduta.
Il risultato è uno squilibrio planetario di cui non conosciamo il grado di reversibilità, né il cosiddetto punto di rottura. Non si tratta di argomenti solamente scientifici: un semplice esempio può contribuire alla spiegazione di quanto si vuole affermare.
Gli inquinamenti delle società industrializzate hanno determinato nell'atmosfera importanti modificazioni nei contenuti di sostanze chimiche che vanno sotto il nome di gas serra (biossido di carbonio, anidride solforosa, idrocarburi); l'alterazione dell'atmosfera determina il surriscaldamento di alcune zone terrestri e alimenta il progredire della desertificazione, l'inaridimento dei suoli spinge popoli a ricercare nuovi territori a spese della naturalità, foreste o altri ambienti naturali, che rappresentano il depuratore biologico a costo zero dell'umanità. Alla fine del ciclo è evidente che il bilancio del “peso inquinamento” è aumentato di una quantità che rischia di non essere assorbita e determinare un effetto stocastico in un ciclo virtuale che ad ogni passaggio vede accrescere i parametri negativi. Se consideriamo che, malgrado il protocollo di Kyoto, sottoscritto nel 1997, non sono state adottate misure rigorose e strutturali e non ci sono state svolte significative sul fronte lotta all'inquinamento, resta ancora più profonda la preoccupazione su quanto succede.
Nel mese di settembre si terrà a Johannesburgh la prossima conferenza mondiale, l'Earth Summit dove saranno affrontate le tematiche ambientali e climatiche; il vertice tenterà di fissare criteri e limiti ai consumi di risorse naturali; ci dobbiamo augurare che, finalmente, divergenti posizioni politiche possano trovare un punto d'incontro.
Ho ripetutamente fatto riferimento, in precedenza, alle risorse naturali considerate a rischio; ora vorrei - seppure con metodo sintetico - illustrarle in una breve successione che non intende, ovviamente, esaurire l'elenco delle numerose risorse ambientali, ma offrire a chi legge almeno un quadro delle priorità.
L'acqua rappresenta un elemento primario nella vita dell'uomo. Un bene che salvo le zone desertiche è sempre stato considerato un patrimonio dell'umanità.
In effetti non è così: la disponibilità della risorsa acqua è ormai un problema diffuso a livello mondiale, per qualità e scarsità, nei confronti di miliardi di persone. Il controllo delle fonti idriche rappresenta un elemento di fortissimo contrasto politico, che non è localizzato solamente, come si potrebbe pensare, nelle regioni del centro Africa, ma arriva sulle sponde del Mediterraneo coinvolgendo paesi del medio oriente o del nord Africa. Tra gli obiettivi del prossimo vertice di Johannesburgh vi è quello di dimezzare, entro il 2012, il numero di persone attualmente sprovvisto dell'accesso all'acqua potabile. Crisi idriche, crisi politiche, crisi sociali alle porte della nostra nazione, che, come ben sappiamo, per collocazione geografica per prima risente di contraccolpi dalle regioni mediterranee. Peraltro l'acqua sta diventando un problema anche nel sud del nostro Paese. Sono immagini recenti i disagi, le proteste, le accuse della popolazione siciliana nei confronti di una crisi idrica che ha ragioni non solo nella scarsità, ma anche nell'organizzazione dei sistemi di distribuzione e raccolta. La rarefazione di un bene innesca processi di accaparramento o di illecito mercato, un ulteriore canale per i traffici illeciti della criminalità organizzata.
In Italia, anche se non si può parlare ancora di crisi idrica su scala nazionale, occorre avviare una politica per la tutela e la conservazione delle acque, dalla diffusione di una cultura per un uso responsabile della risorsa acqua attraverso una strutturata politica del settore che coinvolga la manutenzione delle opere idriche destinate all'irrigazione, all'incentivazione dei sistemi di recupero in agricoltura, alle azioni per la tutela delle montagne italiane dove si accumulano le nostre provviste di acqua.
Non ci sono dubbi sul fatto che l'acqua diventerà “l'oro bianco” del prossimo futuro; ho la convinzione che se sapremo gestire il “sistema acqua” potremo aspirare ad una posizione di rilievo tra i paesi detentori.
Una politica oculata dovrà garantire iniziative e investimenti, ma anche azioni di controllo e di presidio per evitare che un sistema complesso e comunque fragile possa diventare oggetto di contaminazioni e aggressioni.
Le foreste hanno un ruolo determinante nell'equilibrio del mondo; svolgono una serie di innumerevoli servizi immediatamente percepibili: il paesaggio, la conservazione della biodiversità, la produzione di legno e di altri prodotti, la difesa dei suoli, il turismo, ma soprattutto, nell'analisi che stiamo svolgendo, rappresentano la naturale barriera all'inquinamento e il più importante accumulatore terrestre di anidride carbonica.
Le foreste coprono il 27% della superficie mondiale con oltre 3.500 milioni di ettari di superfici boscate, con una drastica riduzione nell'ultimo secolo, ancora in atto, delle grandi foreste pluviali ed equatoriali.
Gli impegni internazionali a conservare o a ripristinare il manto forestale non riescono a tenere il ritmo della deforestazione che, a livello planetario, tende a far diminuire la superficie totale dovuta all'incalzare delle necessità di nuovi territori per l'agricoltura da parte delle popolazioni del sud del mondo. Ma anche i paesi sviluppati non riescono a salvaguardare le proprie foreste che sempre più sono flagellate dal fenomeno degli incendi. Le foreste del mondo si vengono così a trovare nella paradossale situazione che la loro diminuzione contribuisce a limitare l'efficacia di argine all'effetto serra e contemporaneamente, quando vanno in fumo, contribuiscono esse stesse all'aumento della anidride carbonica nell'atmosfera.
Come ho già portato precedentemente ad esempio, sono proprio gli incendi boschivi una criticità delle nostre foreste. Il sistema è certamente debole, il territorio è densamente popolato, e malgrado questo la manutenzione dei boschi è purtroppo scarsa, quindi azioni criminose possono raggiungere effetti devastanti nei confronti del territorio, dei beni e dei cittadini. Occorre sviluppare la massima attenzione delle istituzioni preposte al fine di prevenire e reprimere reati che al danno ambientale vanno ad aggiungere anche rischi per le popolazioni.
Spesso trascuriamo che il substrato su cui viviamo e pratichiamo l'agricoltura è una risorsa naturale da preservare nella consistenza e nella qualità; il suolo è, invece, con la vegetazione l'elemento più colpito dall'abbandono, dalle manomissioni, dai parossismi climatici, che si traducono in dilavamento, desertificazione, inquinamento, eccesso di apporti chimici.
Sono soprattutto i terreni rurali, compresi in aziende agricole, quelli maggiormente danneggiati con conseguenze irrimediabilmente gravi anche per le stesse attività produttive. Non dobbiamo dimenticare che i primi accertamenti e indagini relativi allo smaltimento di rifiuti tossici hanno riguardato il riciclaggio di scorie industriali sotto forma di concimi a basso costo, e non possiamo certamente considerare il fenomeno debellato. L'interramento dei rifiuti tossici e nocivi provoca gravi e irreversibili alterazioni nel suolo con rischi per la salute dell'uomo e alimenta anche un circuito economico di rilevante valore, appannaggio delle criminalità organizzate, definite, per la specificità del settore, ecomafie. La principale fonte di smaltimento di tali rifiuti è rappresentata da terreni abbandonati o aree agricole incautamente rese disponibili ad operatori collusi.
I processi subiti dal suolo influiscono in maniera determinante sull'agricoltura; alla degenerazione dei terreni consegue il decadimento delle pratiche agricole, in termini di qualità, di genuinità e di produzione.
L'agricoltura attraversa un momento difficile; se quella tradizionale è sempre meno in grado di assicurare la produzione di quantità necessarie, i correttivi favoriscono l'inquinamento.
L'agricoltura, fonte primaria di alimentazione, può diventare essa stessa causa di contaminazione; è in corso un dibattito mondiale sull'introduzione di organismi geneticamente modificati. A seconda degli orientamenti gli OGM sono considerati uno strumento moderno per aumentare le risorse alimentari e combattere la fame nel mondo, o, al contrario, sono visti come un grande business per poche industrie tale da creare un monopolio mondiale sulla produzione alimentare. Certo è che occorre una vigilanza attenta affinché comunque la ricerca scientifica possa dare risposte convincenti e, soprattutto, possa essere posta sotto controllo la contaminazione genetica come arma biologica.
L'anno internazionale delle montagne voluto dall'Onu, nel 2002, dimostra l'importanza strategica delle zone montane nell'equilibrio mondiale. Ecosistemi forti e fragili insieme, rappresentano i giacimenti delle più importanti risorse naturali: acqua, minerali, foreste, biodiversità. Le montagne garantiscono la difesa idrogeologica, la stabilità dei versanti, il regime della rete idrografica, il ripascimento delle coste. Come altre risorse naturali, subiscono gli influssi negativi delle manomissioni ambientali, dell'abbandono, dei cambiamenti climatici. Nasce in montagna la difesa della pianura. Già da anni siamo in presenza di segnali preoccupanti in quanto pur minimi aumenti medi delle temperature provocano arretramenti dei ghiacciai e un anomalo scioglimento delle nevi perenni. Quanto è avvenuto nel ghiacciaio del monte Rosa, con la creazione di un lago “effimero”, con grave pericolo per le valli sottostanti, dovuto alle eccezionali piogge e temperature elevate, non è che un episodio destinato purtroppo a ripetersi. Anche per le montagne si ripropongono le considerazioni sviluppate per l'acqua; le conseguenze dovute ai cambiamenti climatici possono determinare squilibri a livello mondiale e necessitano rimedi di pari portata.
Ma, sempre per rimanere nella linea delle argomentazioni finora svolte, le montagne sono anche i luoghi dove sono presenti corsi d'acqua, sorgenti, valichi, dighe, centrali per la produzione di energia, che possono essere definiti obiettivi sensibili e quindi da monitorare ai fini della sicurezza, ricordando anche, e non è un dato solamente statistico, che le montagne sono state e sono territori dove più che da altre parti si sono combattute guerre.
In questi brevi cenni non ho esaminato tutte le risorse naturali a rischio, ho tralasciato mare, aria, combustibili fossili, animali, che nell'equilibrio del pianeta svolgono un ruolo paritario agli altri elementi fondamentali perché l'ambiente è la sintesi armonica di tutte le componenti naturali, intorno alla quale non è possibile fissare confini, né priorità.
Il termine “risorse” viene sempre più identificato con il significato di “valore”. è un primo passo importante, necessario, ma non sufficiente. Non basta attualizzare e accrescere il contenuto del concetto, occorrono nuove strategie dei Governi e delle Istituzioni perché sulla conservazione delle risorse ambientali si fonda il futuro dell'umanità, non solo per la sopravvivenza, ma anche per la qualità di vita e la sicurezza tra i popoli.
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