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Per Aspera Ad Veritatem n.22
Jihad. Ascesa e declino

Gilles Kepel - Carocci Ed., Milano, 2001



Il libro di Kepel costituisce un fondamentale ausilio teorico per chiunque si proponga di comprendere le condizioni politiche e sociali che hanno determinato la nascita e lo sviluppo dei movimenti radicali islamici nel secolo scorso.
L'autore, muovendosi con grande capacità di sintesi all'interno di una vastissima dimensione spazio-temporale che comprende venticinque anni di storia e un'area geografica inclusa tra l'Asia centrale ed il Maghreb, si sofferma inizialmente sulle correnti politico-religiose che si sono prepotentemente affermate nel mondo arabo-islamico, in sostituzione delle ideologie di ispirazione nazionalista e marxista, e analizza la loro evoluzione (e involuzione) sulla base del perenne confronto-scontro con i regimi musulmani da una parte e con la modernità occidentale dall'altra.
Nel libro, chiaramente concepito ed elaborato prima degli attentati dell'11 settembre 2001, Kepel ripercorre le tappe fondamentali del pensiero "jihadista" e rivisita criticamente le vicende storiche che ne hanno determinato la diffusione tra le classi sociali meno abbienti e tra la nuova borghesia emarginata dal potere.
L'autore, in maniera chiara ed accessibile al grande pubblico, individua i presupposti teorici del "jihadismo" nei testi elaborati negli anni '60 e '70 dal pakistano Mawdudi, dall'egiziano Qutb e dall'iraniano Khomeini i quali, partendo da concezioni dottrinali diverse, hanno fornito un contributo determinante alla trasformazione dei movimenti sociali e politici di matrice islamica, spesso protetti e "utilizzati" dai regimi arabi nonché da alcuni governi occidentali in un'ottica anti-marxista, in organizzazioni radicali votate al tirannicidio e alla lotta armata, con l'obiettivo di "restaurare la società giusta dei primi tempi dell'islam, ossia il tipo di stato instaurato dal Profeta Maometto".
La progressiva affermazione di questi principi, l'assoluta avversione nei confronti della modernità e della democrazia, il prolungarsi del conflitto arabo-israeliano, l'instaurazione del regime wahabita in Arabia Saudita, la rivoluzione iraniana, le guerre "islamiche" in Afghanistan, Bosnia e Cecenia, costituiscono i principali fattori che hanno contribuito alla capillare diffusione del pensiero islamico radicale nell'ultimo quarto di secolo.
Le conseguenze, militari e terroristiche, di tale sviluppo ideologico sono sotto gli occhi di tutti, dall'omicidio del Presidente egiziano Sadat sino agli attacchi terroristici di New York e Washington; nel mezzo, una impressionante ed interminabile ondata di attentati che hanno rischiato di destabilizzare alcuni governi arabi e coinvolto i Paesi occidentali maggiormente interessati al loro sostegno politico e militare.
Suggestiva e coraggiosa, specie dopo 1'11 settembre, benché parzialmente condivisibile, l'analisi del Kepel che considera la parabola del radicalismo in fase di netto declino.
Possiamo convenire con l'autore, infatti, che i movimenti che si ispirano al "Jihad", a causa del loro oscurantismo religioso e dell'efferatezza delle loro azioni, hanno progressivamente perso il consenso delle popolazioni arabe locali, comprese quelle maggiormente islamizzate, le quali in questa fase storica intravedono la possibilità di perseguire una forma di stato "democratica e musulmana".
L'approdo in Afghanistan e l'adesione alla Qaid'a di Bin Laden, da parte dei dirigenti ed ideologi in esilio dei gruppi più oltranzisti, da questo punto di vista, può essere considerato il sintomo di una crisi irreversibile che ha prodotto, come conseguenza, il progressivo isolamento dei loro movimenti dal contesto politico internazionale ed ha spinto gli stessi ideologi a sostenere, senza apparenti riserve, la velleitaria "battaglia finale" lanciata dallo sceicco Saudita contro l'occidente.



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