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Per Aspera Ad Veritatem n.21
Parlamento e servizi di informazione e sicurezza: riflessioni per una riforma attesa da venti anni

Guglielmo ROMANO




A seguito dell'istituzione, con legge 24 ottobre 1977, n. 801, del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, le relazioni tra Parlamento ed Esecutivo nella materia dell'organizzazione, del funzionamento e dell'azione degli organismi informativi hanno trovato, per così dire, una sorta di centro di gravità. Il Comitato si è infatti posto e si pone tuttora, per le specifiche ragioni che si avrà modo di analizzare nel corso del presente studio, quale referente istituzionale diretto per la valutazione, dal punto di vista parlamentare, dell'operato sia delle istituzioni politiche cui l'ordinamento attribuisce responsabilità nel settore delle informazioni per la sicurezza dello Stato sia delle strutture amministrative preposte alla tutela operativa degli interessi afferenti al medesimo ambito.
Peraltro, malgrado l'indubbia centralità del ruolo svolto nel contesto in questione, il Comitato si trova comunque ad operare ed a confrontarsi con una realtà istituzionale assai complessa ed articolata. Occorre infatti considerare che "la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza nell'interesse e per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento" vengono imputate dalla Legge n. 801 del 1977 al Presidente del Consiglio dei ministri (in coerenza del resto con il disposto dell'articolo 95 della Carta costituzionale). Conseguentemente, le questioni attinenti all'organizzazione ed al funzionamento dei servizi di informazione e sicurezza costituiscono senza dubbio uno dei numerosi e multiformi aspetti nei quali si articola la relazione istituzionale tra Parlamento ed Esecutivo, fondata - secondo la forma di governo delineata nella Costituzione - sul rapporto di fiducia tra le due istituzioni. In una parola, della politica informativa per la sicurezza dello Stato e del buon funzionamento, sotto ogni riguardo, degli apparati preposti alla tutela di quest'ultima il Governo è responsabile nei riguardi delle Camere non diversamente da quanto accade per tutte le politiche settoriali attraverso cui si attua l'azione di governo.
Anche nella materia de qua le Camere dispongono quindi dei poteri di indirizzo, di controllo e di informazione che si estrinsecano nel ricorso agli strumenti tipici disciplinati dai regolamenti parlamentari, poteri che, pure non espressamente previsti in Costituzione, risultano impliciti e funzionali all'assetto del rapporto tra Parlamento e Governo. Si fa ovviamente riferimento particolare agli istituti del sindacato ispettivo, dell'indagine conoscitiva, dell'audizione e dell'inchiesta parlamentare, i quali, pure contraddistinti da differenti presupposti e finalità, risultano tutti finalizzati "ad accertare, ed eventualmente correggere, la rispondenza degli atti governativi all'indirizzo politico" (1) . Non va insomma dimenticato come il controllo parlamentare sull'attività dei servizi realizzato nella sede "accentrata", prevista dalla legge, del Comitato di controllo non si sostituisce, ma si aggiunge all'ordinaria strumentazione attraverso cui si estrinsecano le prerogative parlamentari, fondata sul disposto costituzionale e disciplinata io concreto dai regolamenti parlamentari, nell'esercizio dell'autonomia che la Carta fondamentale riconosce alle Camere (2) .
Ciò premesso, appare allora evidente che la rassegna, sia pure sintetica, delle forme attraverso cui l'istituzione parlamentare si pone in relazione con i servizi di informazione e sicurezza non può non prendere in considerazione l'attuale "stato di salute" dei controlli effettuati dal Comitato parlamentare, nelle forme venutesi ad evidenziare nella prassi oramai ultraventennale della sua attività, ma non può nemmeno limitarsi ad essi.
Tale approccio risulta tra l'altro confortato dal nuovo interesse che il risalente dibattito sul riordino legislativo del settore ha tratto con l'avvio dell'esame, presso il Senato, dei progetti di legge presentati in materia nel orso della XIII legislatura. E noto che l'assetto del sistema delle informazioni per la sicurezza dello Stato definito dalla legge 24 ottobre 1977, n. 801 (che pure ha costituito un progresso straordinario nel settore), è stato oggetto nel dibattito politico-istituzionale di reiterate valutazioni critiche formulate, di fatto, sin dall'avvio della sua attuazione. E ben vero che tali valutazioni sono state originariamente determinate dall'asserita inidoneità del nuovo sistema a scongiurare le forme di più grave e patente deviazione che avevano connotato l'azione degli organismi informativi lungo l'arco dell'intera storia della Repubblica (3) . Non bisogna tuttavia dimenticare come istanze di revisione della disciplina introdotta dal legislatore del 1977 siano emerse anche con riferimento ai profili più propriamente istituzionali dell'assetto allora definito ed abbiano riguardato - tra l'altro - proprio le modalità del controllo parlamentare, così come individuate in quel contesto (4) . Nella fase presente, in cui l'esigenza di procedere ad un riordino complessivo della disciplina legislativa del settore viene avvertita con rinnovata intensità a seguito del radicale cambiamento degli assetti geopolitici mondiali e del conseguente mutamento della natura e della provenienza della minaccia al cui contrasto indirizzare l'attività degli organismi informativi, il ripensamento del ruolo del Parlamento e delle modalità del suo intervento nella materia delle informazioni per la sicurezza dello Stato si pone come imprescindibile elemento di riflessione. È in particolare diffusa la consapevolezza del fatto che ad un rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri nell'indirizzo e nel coordinamento dell'attività di intelligence e ad all'estensione "controllata" delle prerogative degli operatori dei servizi di informazione e sicurezza nell'esercizio dei propri compiti di istituto debba corrispondere un efficace consolidamento del ruolo delle Camere sul piano del controllo e della garanzia. Non appare pertanto inutile estendere l'analisi delle relazioni Parlamento-Governo nella materia in esame anche ad un vaglio di funzionalità degli strumenti tradizionali sopra citati, in modo da delineare un quadro complessivo che consenta di verificare fondamento, limiti ed efficacia di tutti gli istituti che concorrono alla concreta attuazione delle relazioni medesime.
Le motivazioni che si pongono alla base degli approfondimenti che seguiranno non si riducono per altro alla sola prospettiva della riforma legislativa del sistema delle informazioni per la sicurezza dello Stato, risultando anzi molteplici e di diversa natura.
Da un punto di vista dogmatico, occorre in primo luogo rilevare che i rapporti tra Parlamento ed organismi informativi non sembrano riconducibili sic et simpliciter allo schema generale che connota le relazioni intercorrenti tra Parlamento e Governo. La ragione di un interesse specifico per il tema in questione nasce infatti dalle particolari modalità operative che caratterizzano l'azione dei servizi di informazione e sicurezza, conformate per loro stessa natura ad un principio generale di riservatezza che si pone in quanto tale in conflitto con il generale canone della trasparenza e della pubblicità dell'azione delle amministrazioni pubbliche, al quale il nostro ordinamento e senza dubbio ispirato, in particolare a seguito dell'entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241. Nel raccordarsi con le realtà organizzative e funzionali degli organismi informativi, che sono anch'essi - come si e accennato - pubbliche amministrazioni dello Stato (pure se provviste di specifiche forme di autonomia individuate dalla legge), le Camere si trovano a dover fare dunque i conti con un complesso di esigenze, formali e sostanziali, che non si pongono invece in alcun modo all'atto di acquisire elementi di conoscenza in ordine, ad esempio, al funzionamento di uno determinato ministero, alla trattazione di una questione burocratica, ovvero ai risultati conseguiti in esito ad uno specifico programma di interventi la cui attuazione sia demandata ad organi, enti o istituti ricadenti nell'ambito della sfera di competenza dell'Esecutivo.
Ulteriore profilo di interesse connesso alla trattazione del tema in argomento sembra ancora derivare dalla limitata attenzione ad esso sino ad oggi riservata dalla dottrina. Mentre infatti numerosi e qualificati sono stati sino ad oggi i contributi scientifici volti alla disamina dei delicati snodi delle relazioni intercorrenti tra organismi informativi ed autorità giudiziaria, con particolare riguardo alle vicende del processo penale in connessione con l'allegazione del segreto di Stato nell'ambito del suo svolgimento, quantitativamente limitati si rivelano gli apporti dedicati ex professo alla differente, ma non meno delicata, questione del rapporto tra organismi informativi e Parlamento. La maggior parte di questi ultimi risulta tra l'altro piuttosto risalente nel tempo: taluni si collocano nel periodo dell'entrata in vigore della legge n. 801 del 1977 (5) o nel torno di tempo immediatamente successivo (6) , dunque in una fase ancora embrionale del funzionamento del sistema e comunque prematura per poter dare conto dell'evoluzione della prassi formatasi in proposito negli anni successivi, tanto più significativa in una materia ad altissimo grado di politicità quale senza dubbio e quella in esame; altri ancora, pure se più recenti, affrontano il tema con esclusivo riferimento alla forma di controllo "accentrato" introdotta dalla legge in questione con l'istituzione del Comitato parlamentare di controllo, senza peraltro porre la questione nella prospettiva più ampia del rapporto tra istituzioni (7) . È sembrato pertanto utile affrontare il tema che costituisce oggetto del presente studio seguendo un approccio che consentisse di coglierne, sia pure nei tratti essenziali, tutte le principali implicazioni, alla luce in particolare delle indicazioni offerte dalla prassi formatasi nel più recente periodo e delle esperienze maggiormente significative registrate presso gli ordinamenti dei paesi stranieri.
Prima di passare alla trattazione delle questioni testé sommariamente indicate, appare opportuno - sul piano del metodo - anticipare in sintesi le linee essenziali lungo le quali si è inteso articolare il presente studio.
In primo luogo, si darà conto di taluni profili generali, la cui definizione in termini di principio risulta funzionale alla migliore comprensione dei temi che verranno quindi svolti ed approfonditi nell'ambito dei paragrafi dedicati a specifiche tematiche. Si fa innanzitutto riferimento al profilo della natura giuridico-formale degli organismi informativi e della loro collocazione nell'ambito dell'amministrazione dello Stato, alla disciplina della tutela amministrativa del segreto (con specifico riguardo alle diverse classifiche di segretezza attualmente previste) e, soprattutto, alla complessa questione della valenza preclusiva nei riguardi dell'attività parlamentare derivante dall'esigenza di tutelare il segreto di Stato, che -come è noto - l'ordinamento rimette alla responsabilità dal Presidente del Consiglio dei ministri. La disamina di tale questione, intorno alla quale si costruisce di fatto il nucleo essenziale della relazione tra Parlamento ed Esecutivo nella materia delle informazioni per la sicurezza dello Stato ed alla quale sarà conseguentemente dedicata particolare attenzione, consentirà in particolare di individuare un limite istituzionale ai poteri conoscitivi delle Camere direttamente fondato nella Costituzione e da ritenersi dunque sottratto alla disponibilità della legge ordinaria.
Saranno quindi passati in rassegna i principali strumenti conoscitivi e di controllo di cui le Camere possono avvalersi al fine di acquisire dall'Esecutivo elementi di conoscenza nell'ambito di settori pertinenti alla sua competenza e di attivarne, se del caso, la responsabilità politica.
Si passerà successivamente alla disamina dell'esperienza del controllo parlamentare sugli organismi informativi esercitato attraverso organismi ad hoc, e dunque, nel caso del nostro Paese, per il tramite del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, ponendone in luce tanto gli aspetti positivi quanto i profili problematici aperti e suscettibili di interventi normativi di razionalizzazione. Nell'occasione, si avrà in particolare modo di valutare come le scelte operate dal legislatore del 1977, pur se oggetto come detto dianzi - di reiterati apprezzamenti critici, si caratterizzino invece per talune soluzioni particolarmente equilibrate, oltre le quali appare problematico spingersi ove si intenda mantenere nei limiti della correttezza costituzionale il rapporto tra Parlamento e Governo.
Saranno infine analizzati taluni istituti attivati presso ordinamenti stranieri che sono apparsi di particolare interesse ai fini del presente studio, sia in quanto caratterizzati per forme di intervento indiretto dell'istituzione parlamentare in settori particolarmente delicati dell'attività dei servizi, sia in quanto facenti ricorso a moduli organizzativi e funzionali non riconducibili a quelli tradizionalmente contemplati dagli ordinamenti parlamentari.




Solo un breve cenno appare sufficiente dedicare in questa sede alla natura giuridica ed alla posizione istituzionale degli organismi informativi.
Per ciò che attiene alle due agenzie di intelligence in senso proprio, la legge 801 del 1977 istituisce il SISMI (8) (art. 4) ed il SISDe (art. 6) collocandoli contestualmente alle immediate dipendenze dei Ministri, rispettivamente, della difesa e dell'interno ed attribuendo a questi ultimi il compito di stabilirne l'ordinamento e di curarne l'attività sulla base delle direttive e delle disposizioni impartite dal Presidente del Consiglio dei ministri. Pur non facendo parte organicamente della struttura dei dicasteri della difesa e dell'interno, le due agenzie rientrano dunque a pieno titolo nell'ambito dell'organizzazione amministrativa centrale dello Stato e la loro attività può senz'altro ricondursi alla responsabilità politica finale dell'Esecutivo.
Lo stesso deve dirsi a fortiori con riferimento al CESIS (art. 3), organismo posto alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio dei ministri e da questi presieduto (o per sua delega da un sottosegretario di Stato), con il compito di supportare l'esercizio delle attribuzioni spettanti al Presidente del Consiglio nel settore delle informazioni per la sicurezza nazionale, attraverso la raccolta e l'elaborazione delle informazioni comunicate dalle agenzie operative e la predisposizione di analisi e punti di situazione. La segreteria generale del Comitato è affidata ad un funzionario dell'amministrazione dello Stato avente la qualifica di dirigente generale, la cui nomina e revoca spettano al Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ultimo - tra l'altro - istituisce gli uffici strettamente necessari per lo svolgimento dell'attività dell'organismo. Il CESIS si trova dunque organicamente inserito nell'ambito della struttura della Presidenza del Consiglio e la sua azione pertiene direttamente alla sfera di attribuzioni rimessa in materia dalla legge al Presidente del Consiglio dei ministri.


Come è noto, la legge definisce il quadro degli interessi primari per la cui salvaguardia, a tutela dell'esistenza stessa dello Stato, può essere vietata la libera circolazione di informazioni e documenti. Ai sensi dell'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, "sono coperti dal segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività ed ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recar danno all'integrità dello Stato democratico, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, all'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione ed alla difesa militare dello Stato. In nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato fatti eversivi dell'ordine costituzionale".
Il complesso delle regole e delle procedure per assicurare la salvaguardia in concreto di tali interessi si rinviene invece in un atto normativo di natura secondaria, per altro esso stesso classificato come "riservato", approvato da ultimo nel 1987 dall'Autorità nazionale per la sicurezza pro tempore (9) . Nell'ambito di tale complesso normativo si rinvengono - tra l'altro - i principi generali della cosiddetta tutela amministrativa del segreto. Essi possono essere così sintetizzati (10) :
a) le forme di segreto sono graduate nelle tipologie riservato, riservatissimo, segreto e segretissimo, in relazione all'entità del danno la cui rivelazione non autorizzata potrebbe determinare allo Stato italiano o agli Stati membri della NATO o della UEO;
b) la classificazione attribuita al documento determina l'applicazione di una specifica disciplina in merito alla sua emissione, diffusione, trasmissione, custodia, visione, riproduzione e distruzione; l'autorità competente a disporre la classifica di segretezza (o la classifica di sicurezza NATO/VEO) è individuata nel vertice dell'ente nel cui ambito si forma il documento; così, per l'amministrazione statale stricto sensu, responsabili sono i singoli Ministri; tale facoltà può per altro essere delegata, nell'ambito dello stesso ente, a funzionari di rango elevato;
c) la classifica attribuita è soggetta a revisione annuale da parte dello stesso ente originatore, che può procedere, in relazione agli eventuali mutamenti del contesto nel cui ambito si colloca il documento, all'attribuzione di una nuova classifica, superiore o inferiore, ovvero direttamente alla declassificazione;
d) una diversa classificazione può esserci motivatamente disposta in ogni momento dall'Autorità nazionale per la sicurezza o da ente gerarchicamente sovraordinato a quello emittente; nel caso in cui sorga contenzioso circa la classificazione, decide l'Autorità nazionale per la sicurezza;
e) la possibilità di prendere visione di documenti o di venire a conoscenza di notizie coperte a vario titolo dal segreto di Stato può essere concessa a determinati soggetti che ne facciano specifica richiesta in relazione all'esercizio delle rispettive attività professionali; è al riguardo necessaria una specifica abilitazione, che va sotto il nome di NOS (nulla osta di segretezza), l'istruttoria per il cui rilascio è compito specifico e qualificante dell'UCSI (11) .

Non agevole risulta per altro l'individuazione in concreto del discrimine tra la disciplina legislativa del segreto di Stato e il complesso di norme e procedure in cui si sostanzia la tutela amministrativa del segreto, malgrado l'evidente diversità in termini concettuali delle due fattispecie. Attraverso l'atto di apposizione o di opposizione del segreto di Stato, che è atto politico, il Governo, nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri, intende infatti evitare la pubblica diffusione di determinati documenti o di specifiche attività, a tutela dell'integrità e della sicurezza dello Stato, anche a prescindere dal fatto che tali documenti o attività abbiano costituito oggetto di un provvedimento amministrativo - nel quale si sostanzia l'apposizione della classifica di segretezza - che ne abbia determinato l'assoggettamento ad un regime speciale in ordine alla possibilità di accesso ed alle modalità di consultazione. É per altro vero che il quadro degli interessi di riferimento, quelli cioè che con il ricorso al segreto di Stato o con la classifica di segretezza si intende preservare, risulta di fatto coincidente, trattandosi nell'un caso come nell'altro di tutelare la continuità dell'ordinamento (ed anche, al limite, la sua stessa esistenza) a fronte di minacce che ne compromettano la sicurezza (12) .
È noto come la normativa dianzi descritta è stata oggetto di critiche ricorrenti e non infondate, la più rilevante delle qui appare quella che stigmatizza come la disciplina delle regole e delle procedure che governano l'esercizio in concreto delle funzioni che garantiscono l'integrità del segreto di Stato è contenuta in un atto normativo di livello secondario e, soprattutto, non conoscibile alla generalità dei consociati, in quanto esso stesso classificato come "riservato" (13) . Ove a ciò si aggiunga, in ordine alla concessione o al diniego del NOS, che i canoni per l'esercizio del potere in questione - che incide in maniera determinante sulla vita professionale di singoli individui e sull'attività delle imprese - non sono disciplinati a livello legislativo e non esistono forme di controllo sul corretto e legittimo esercizio del medesimo, è facile osservare che la discrezionalità sostanzialmente assoluta con cui si decide in merito e la connessa assenza di istanze di garanzia possono determinare violazioni immotivate, anche gravi, dei principi costituzionali dell'uguaglianza, della libertà di iniziativa economica, dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, senza che per altro l'ordinamento appronti a tale scopo adeguati rimedi.
Al di là di tali critiche, ciò che qui interessa rimarcare è che - de iure condito - spetta esclusivamente all'Esecutivo determinarsi non solo in merito al ricorso in senso proprio al segreto di Stato, ma anche in relazione alla necessità che determinati documenti o attività vengano sottratti, in via amministrativa, alla conoscibilità di tutti i cittadini per ragioni inerenti alla sicurezza ed all'integrità dello Stato.


Come è stato anticipato, ai fini del presente lavoro la questione del fondamento e dei limiti della facoltà di opporre il segreto di Stato nei riguardi del Parlamento riveste rilievo centrale. Per una più efficace disamina del tema, appare opportuno ripercorrere in estrema sintesi la disciplina positiva vigente del segreto di Stato e le ragioni di cui essa si sostanzia.
Quanto al primo aspetto, richiamato preliminarmente il disposto dell'articolo 12 della legge n. 801 del 1977 nei suoi termini letterali riportati al paragrafo precedente, occorre ricordare che l'articolo 1, secondo comma, della legge medesima dispone che il Presidente del Consiglio dei ministri "controlla la applicazione dei criteri relativi alla apposizione del segreto di Stato e alla individuazione degli organi a ciò competenti; esercita la tutela del segreto di Stato". L'articolo 18 prescrive ancora che, ai fini dell'integrazione delle fattispecie previste e punite dal codice penale relative al segreto politico interno e internazionale, "sino alla data di emanazione di una nuova legge organica relativa alla materia del segreto" debba farsi riferimento alla definizione di segreto di cui agli articoli 1 e 12 della legge medesima.
Il disegno sotteso alla legge n. 801 del 1977, malgrado la formulazione non esattamente perspicua delle disposizioni citate (sempre per altro caratterizzata - da più di un ventennio - dal connotato di provvisorietà evocato dall'inciso dell'articolo 18), appare chiaro: la funzione di tutelare gli interessi di rango costituzionale tassativamente individuati dalla disposizione di cui all'articolo 12 attraverso la "potestà di escludere chiunque dalla conoscenza di dati o di notizie" (14) è devoluta in via esclusiva al potere esecutivo, nella persona dell'autorità politica che ne costituisce il vertice, ovvero sia il Presidente del Consiglio dei ministri.
La disciplina positiva cui si è fatto testé riferimento costituisce del resto il coerente svolgimento dei principi fissati dalla Corte Costituzionale nell'ambito di due fondamentali decisioni, risalenti al periodo immediatamente antecedente all'approvazione della legge n. 801 del 1977 e che hanno costituito il punto di riferimento intorno al quale il legislatore ha disegnato il sistema delle informazioni per la sicurezza dello Stato tuttora vigente. Si fa riferimento alle sentenze n. 82 del 1976 e n. 86 del 1977 (15) . Non è questa la sede per ripercorrere gli argomenti utilizzati dalla Consulta per ricostruire la fattispecie del segreto di Stato alla luce del dettato della Costituzione repubblicana e per individuare la sottostante nozione di sicurezza dello Stato, come "interesse dello Stato-comunità alla propria integrità territoriale, alla propria indipendenza e, al limite, alla stessa sua sopravvivenza (...)", "presente e preminente su ogni altro in tutti gli ordinamenti statali, quale ne sia il regime politico" (così la sentenza n. 86 del 1977). Vengono invece qui in considerazione gli argomenti addotti dalla Corte Costituzionale all'atto dell'individuazione del soggetto istituzionale cui affidare la funzione della tutela di tale interesse. Premesso che l'attività di individuazione degli elementi che possono compromettere la sicurezza dello Stato si caratterizza per un connotato "ampiamente discrezionale e, più precisamente, di una discrezionalità che supera l'ambito ed i limiti di una discrezionalità puramente amministrativa, in quanto tocca la salus rei publicae", la Corte argomenta che "questo è un compito che può essere definito istituzionale per i supremi organi dello Stato, per quelli, appunto, ai quali spetta il compito di salvaguardare (...) la esistenza, la integrità, la essenza democratica dello Stato". Insomma, "quando si pongono problemi che attengono alla sicurezza nazionale (...) si è al vertice delle attività di carattere pubblico e perciò dinanzi ad attività che tutte le altre sovrastano e condizionano". La Corte conclude quindi l'argomento affermando che in tale materia, "nel momento nel quale si tratta di adottare le decisioni definitive e vincolanti, non può non intervenire chi è posto al vertice della organizzazione governativa, deputata a ciò in via istituzionale. Torna qui applicabile senz'altro il disposto dell'articolo 95, primo comma, della Costituzione, in virtù del quale il Presidente del Consiglio dei ministri "dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile". In questa sintetica espressione non può non essere compresa la suprema attività politica, quella attinente alla difesa esterna ed interna dello Stato".
Non che questo valga a rendere l'Esecutivo Iegibus solutus sullo specifico piano del ricorso allo strumento del segreto di Stato. La Corte si prende infatti carico di individuare, alla luce del sistema costituzionale, oltre ai presupposti sostanziali per il legittimo ricorso allo strumento medesimo (tra i quali l'impossibilità assoluta di rendere oggetto del segreto di Stato fatti eversivi dell'ordine costituzionale), le forme attraverso cui attivare la responsabilità del Governo in relazione all'esercizio ditale delicatissima prerogativa nonché i soggetti nei cui riguardi tale responsabilità può essere fatta valere. A prescindere dai rapporti con l'autorità giudiziaria (che qui non rilevano direttamente), è fondamentale ripercorrere la posizione del Parlamento definita in tale contesto dal giudice delle leggi. Partendo dal presupposto per cui "il giudizio sui mezzi idonei e necessari per garantire la sicurezza dello Stato ha natura squisitamente politica" (16) , la Consulta sottolinea che "rimane sempre, invero, la responsabilità generale ed istituzionale di ogni Governo, ribadita esplicitamente negli articoli 94 e 95 della Costituzione, responsabilità che può essere fatta valere dal Parlamento in tutti i modi consentiti dalla stessa Costituzione. E quella la sede normale di controllo del merito delle più alte e gravi decisioni dell'Esecutivo ed è, quindi, quella la sede naturale nella quale l'Esecutivo deve dare conto del suo operato rivestente carattere politico: è dinanzi alla rappresentanza del popolo, cui appartiene quella sovranità che potrebbe essere intaccata (art. 1, secondo comma, della Costituzione), che il Governo deve giustificare il suo comportamento ed è la rappresentanza popolare che può adottare le misure più idonee per garantire la sicurezza di cui trattasi".
In coerenza con tale impostazione di principio, la legge n. 801 (lei 1977 ha disciplinato due fattispecie specifiche nelle quali le Camere intervengono, per il tramite del Comitato parlamentare di controllo, a fronte del diniego, da parte del Governo, di fornire elementi di informazione o conoscenza in ragione dell'esigenza di evitare compromissioni della sicurezza dello Stato.
La prima, che si riferisce direttamente al rapporto Parlamento-Governo (articolo 11, quarto e quinto comma), prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri può opporre al Comitato parlamentare, indicandone con sintetica motivazione le ragioni essenziali, l'esigenza di tutela del segreto in ordine alle informazioni richieste dall'organo parlamentare che, a suo giudizio, eccedano il limite delle "linee essenziali delle strutture e dell'attività dei Servizi", fissato al comma precedente. In questo caso il Comitato parlamentare, ove ritenga - a maggioranza assoluta dei suoi componenti - che l'opposizione del segreto non si sia fondata, ne riferisce a ciascuna delle Camere per le conseguenti valutazioni politiche. Secondo quanto si avrà modo di trattare più diffusamente infra (17) , tale ipotesi non si è per altro mai verificata in concreto.
La seconda, che si fonda invece sulla preventiva instaurazione di un contraddittorio tra autorità giudiziaria ed organi dell'Esecutivo (articolo 16), prevede che di ogni caso di conferma dell'opposizione del segreto di Stato ai sensi del codice di procedura penale, il Presidente del Consiglio dei ministri è tenuto a dare comunicazione, indicandone con sintetica motivazione le ragioni essenziali, al Comitato parlamentare di cui all'articolo 11 della presente legge. Il Comitato parlamentare, qualora ritenga -a maggioranza assoluta dei suoi componenti - infondata l'opposizione del segreto, ne riferisce a ciascuna delle Camere per le conseguenti valutazioni politiche. Tale fattispecie si è invece ripetutamente realizzata nel periodo di vigenza della legge n. 801 del 1977 (18) : tuttavia, il Comitato parlamentare, in esito all'esame dei casi di conferma del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, non ha mai ritenuto di rimettere la questione alle Camere, che dunque non hanno mai avuto occasione di esprimersi sulle "conseguenti valutazioni politiche".
Alla luce della breve rassegna testé svolta, appare possibile sintetizzare l'assetto delle relazioni istituzionali vigente nella materia in questione nei seguenti termini:
a) la potestà di tutelare l'interesse preminente della sicurezza del Paese attraverso il ricorso allo strumento del segreto di Stato spetta esclusivamente al Presidente del Consiglio, che la esercita nei limiti e secondo le forme previste dalla Costituzione e dalla legge (19) ;
b) la ragione dell'attribuzione in capo al vertice del potere esecutivo della funzione di tutela del segreto di Stato è ricollegata dalla Corte Costituzionale alla natura eminentemente politica delle relative determinazioni, in quanto immediatamente afferenti alla sfera della direzione della politica generale e costitutive della suprema attività politica consistente nella predisposizione delle misure necessarie per preservare la sicurezza interna ed esterna dello Stato. Occorrono peraltro in proposito due sintetiche precisazioni:
- l'argomento utilizzato dalla Consulta secondo cui il compito di tutelare la sicurezza dell'ordinamento e delle sue istituzioni mediante il segreto di Stato spetta all'Esecutivo alla luce della natura politica delle valutazioni implicate prova evidentemente troppo: non diversamente politiche sono le funzioni svolte dal Parlamento, così come politici sono gli atti posti in essere nell'esercizio delle funzioni parlamentari e le considerazioni sottese alla loro adozione. In realtà, dal tenore letterale delle considerazioni della Corte sembra doversi trarre un corollario, che riveste per altro rilievo decisivo: la tutela della sicurezza nazionale, malgrado proceda sulla base di valutazioni politiche che attengono ai valori fondanti della collettività organizzata nello Stato e che si prestano dunque ad un approccio non riconducibile sic et simpliciter alle logiche del confronto maggioranza-opposizione, è funzione che rientra comunque all'interno con quello che è stato definito "indirizzo politico di maggioranza", cui fa riferimento l'articolo 95 della Costituzione (20) , e deve essere svolta in coerenza con il medesimo: è questa la ragione ultima che risiede alla base dell'attribuzione della funzione delle informazioni per la sicurezza dello Stato - anche nei paesi stranieri alla sfera di competenza del potere esecutivo. Efficaci risultano in proposito le notazioni di A.M. Sandulli a commento delle citate sentenze della Corte Costituzionale: "Non è neppure pensabile una gestione" parlamentare di esso (del segreto di Stato, n.d.r.), e dunque una sua "cogestione" tra maggioranza e opposizione e comunque tra forze parlamentari governative ed extra-governative. Il ruolo istituzionale, in Parlamento, delle forze estranee al Governo - che è, o può in qualsiasi momento diventare, di contrapposizione, anche laddove possa contingentemente esservi somiglianza o addirittura concordia (cointeresse) negli orientamenti - fa apparire, già a prima vista, assurda e inaccettabile una simile ipotesi. La realizzazione della quale potrebbe produrre, al limite, specialmente nella materia in esame, effetti perversi. E difatti in nessun paese si è inverata (21) ";
- a tali argomenti si affianca un secondo ordine di considerazioni. La valutazione circa la presenza di una minaccia per la sicurezza dello Stato, che costituisce il presupposto logico e giuridico della decisione di ricorrere allo strumento del segreto di Stato, implica ovviamente la disponibilità completa ed aggiornata di tutti gli elementi informativi che ditale decisione costituiscono il quadro di riferimento; di tali elementi non può per altro disporre che l'Esecutivo, che può avvalersi direttamente ed immediatamente non solo degli esiti dell'attività degli stessi organismi informativi (sul piano sia della ricerca sia dell'analisi), ma anche di tutto il complesso di conoscenze a disposizione delle amministrazioni statali; non è chi non veda in proposito l'evidente limitatezza del quadro informativo di cui potrebbe invece avvalersi il Parlamento, cui restano strutturalmente estranee sia la continuità del flusso informativo assicurata al Governo dall'attività istituzionale delle sue articolazioni amministrative, sia la pervasività e la capillarità delle notizie acquisite (22) ; l'imputazione della responsabilità finale in ordine al ricorso al segreto di Stato al Presidente del Consiglio vale in particolare a valorizzarne la posizione di terminale ultimo del flusso di notizie proveniente dalla pubblica amministrazione e di "luogo istituzionale" responsabile della composizione e del coordinamento della molteplicità degli interessi coinvolti nell'attività di governo;
c) il legittimo esercizio della prerogativa del segreto di Stato determina l'individuazione di un'area della realtà (atti, fatti, documenti) la cui conoscenza e preclusa sia alla generalità dei consociati, sia - in particolare - all'autorità giudiziaria e, per quanto in questa sede più interessa, al Parlamento (23) ;
d) il ruolo che, in tale contesto, l'ordinamento attribuisce alle Camere si identifica nell'esercizio del controllo politico sull'operato dell'Esecutivo, nelle forme proprie della forma di governo parlamentare;
e) risulta funzionale a tale assetto la facoltà riconosciuta alle Camere di valutare, attraverso la conoscenza degli elementi informativi essenziali, desumibili dalla "sintetica motivazione" predisposta dal Governo, se le determinazioni assunte da quest'ultimo possano considerarsi conformi all'esigenza di tutelare gli interessi posti dall'ordinamento;
f) conclusivamente, alla luce del vigente ordinamento costituzionale, le Camere non sembrano poter vantare alcuna potestà in ordine alla diretta conoscenza degli elementi della realtà sensibile che costituiscono in concreto oggetto del segreto di Stato; né, per converso, appare ravvisabile in capo al Governo alcun obbligo di fornire informazioni di tale natura il cui inadempimento sia sanzionabile secondo modalità diverse da quelle proprie della responsabilità politica;
g) sembra pertanto potersi ritenere che una norma di rango legislativo che privasse l'Esecutivo della facoltà di opporre il segreto di Stato alle Camere (o ad altri organi parlamentari) legittimerebbe l'insorgere di fondati dubbi di costituzionalità. Ove infatti si ammettesse la possibilità per le Camere di superare la soglia della conoscenza delle "ragioni essenziali" sopra richiamate e di attingere direttamente alle informazioni assoggettate al segreto di Stato, l'equilibrio costituzionalmente definito nei termini testé indicati risulterebbe inevitabilmente alterato. In primo luogo, verrebbe meno la necessaria certezza in ordine al soggetto istituzionale cui imputare inequivocamente la responsabilità della "custodia" dell'interesse protetto con il segreto e si introdurrebbe nei fatti una sorta di cogestione dell'interesse medesimo affatto estranea al normale atteggiarsi delle relazioni tra Parlamento e Governo. In secondo luogo, si verrebbe per tale via ad incrinare proprio l'equilibrio del meccanismo della sanzione politica derivante dall'illegittimo ricorso al segreto di Stato, in relazione all'emergere di un problema di gestione della notizia oggetto del segreto e delle relative responsabilità che l'ordinamento non contempla (né verosimilmente potrebbe): mentre cioè è chiaro che della trattazione della notizia, a partire dalla sua secretazione, l'Esecutivo risponde politicamente alle Camere in coerenza con l'assetto della forma di governo parlamentare, nulla dice l'ordinamento (e sarebbe assai rischioso ipotizzare soluzioni ricorrendo ai principi generali) in merito agli eventuali meccanismi cui ricorrere per sanzionare la responsabilità delle Camere per i casi di impropria trattazione della notizia secretata alla luce dei canoni dettati dall'ordinamento (fermo restando ovviamente il profilo delle eventuali responsabilità penali);
h) nel contesto delineato, resta ovviamente salva la facoltà dell'Esecutivo di determinarsi autonomamente in ordine alla divulgazione della notizia assoggettata al segreto di Stato (o comunque oggetto di limitazioni alla divulgazione), in relazione al diverso e mutevole atteggiarsi degli interessi che con il segreto di Stato si è inteso tutelare; il Governo può cioè sempre rimettere alla conoscenza delle Camere notizie o informazioni oggetto di secretazione, ove ritenga che la relativa diffusione non arrechi ulteriormente pregiudizio alla sicurezza dello Stato ovvero che la mancata ostensione delle medesime al Parlamento possa ingenerare uno stato di conflittualità, nelle istituzioni e nella pubblica opinione, il cui verificarsi sarebbe tale da arrecare all'ordinato svolgimento della vita istituzionale del Paese un nocumento ben più grave di quello che pure si determinerebbe una volta disvelato l'oggetto del segreto (24) ;
i) al di la degli specifici profili richiamati, la potestà conoscitiva del Parlamento non può non essere legata da un rapporto di strumentalità con le funzioni istituzionali ad esso affidate dalla Costituzione, in tale rapporto trovando ragion d'essere e limiti; al riguardo, deve rilevarsi che l'ordinamento conosce numerose forme di limitazione alla diffusione di notizie ed informazioni che esplicano senza dubbio la loro efficacia nei riguardi delle Camere; il caso più evidente, ove ci si voglia limitare alle fattispecie che coinvolgono l'azione di poteri distinti, e quello del generale vincolo di segretezza che copre, ai sensi dell'articolo 369 del codice di procedura penale, gli atti compiuti nell'ambito delle indagini preliminari; anche la tenuta di un vincolo siffatto appare infatti essenziale per garantire la separazione delle sfere di attribuzioni individuate dalla Costituzione in capo all'autorità giudiziaria ed al Parlamento e, in quanto tale, non appare passibile di deroghe legislative che si spingano oltre un certo segno. A prescindere da tale aspetto, resta per altro la considerazione di fondo per cui i poteri conoscitivi delle Camere hanno natura e finalità eminentemente politica; in quanto tali, essi si esplicano attraverso forme più libere ed articolate rispetto a quelle che connotano, ad esempio, l'azione dell'autorità giudiziaria, e - soprattutto - possono conseguire il proprio obiettivo anche in difetto di determinati clementi di conoscenza che, in ipotesi, potrebbero invece risultare coessenziali all'accertamento della verità in giudizio.




E' noto che gli strumenti del sindacato ispettivo parlamentare, incentrati nelle figure dell'interrogazione e dell'interpellanza, nelle varie configurazioni che esse hanno assunto nel tempo nell'ambito dei regolamenti parlamentari, costituiscono il primo e più immediato mezzo di controllo a disposizione dei deputati e dei senatori (che per la gran parte possono ricorrervi uti singuli) per controllare l'operato del Governo in tutti gli ambiti materiali rimessi alla responsabilità istituzionale di quest'ultimo.
Per ciò che riguarda l'attività dei servizi di informazione e sicurezza, alla luce delle considerazioni svolte al precedente paragrafo non possono sussistere dubbi sul fatto che la medesima può costituire oggetto della funzione ispettiva parlamentare: ferma restando cioè l'esigenza del rispetto dei canoni di ammissibilità previsti nei regolamenti delle Camere, nessuna questione può porsi dal punto di vista della competenza dell'Esecutivo a fornire risposte ai quesiti che deputati e senatori avessero a formulare con riferimento alle più svariate questioni attinenti all'organizzazione, al funzionamento ed all'operato degli organismi informativi.
Non appare inoltre precostituire vincoli o limitazioni sul piano dell'ammissibilità di strumenti ispettivi concernenti i temi testé richiamati il fatto che i quesiti posti siano volti all'accertamento di atti, fatti o circostanze la cui divulgazione risulti oggetto di limitazioni per ragioni connesse alla sicurezza dello Stato.
In primo luogo, le limitazioni alla divulgazione di notizie o informazioni operano, nel caso di specie, in capo al soggetto interrogato o interpellato, sul quale grava di conseguenza l'onere di conformarsi, all'atto della risposta, alle prescrizioni vigenti in tal senso.
In secondo luogo, è necessario ricordare che, in base ai principi generali che ispirano la disciplina della tutela amministrativa del segreto (passati in rassegna al paragrafo 2.2), spettano al soggetto che origina il documento o l'informazione non solo il potere di limitarne la circolazione apponendovi, ove ne ricorrano i presupposti, una delle classifiche previste dalla disciplina vigente, ma anche il potere di riformare il regime di circolazione dell'informazione originariamente prescelto, modificando la classifica a suo tempo apposta in relazione al mutare delle circostanze. Discende da tali considerazioni la conseguenza per cui l'interrogante (o l'interpellante) possono legittimamente ignorare l'esistenza di limitazioni, parziali o assolute, alla divulgazione delle notizie o delle informazioni che costituiscono oggetto del quesito formulato, limitazioni che - ove sussistenti - possono dunque essere pienamente apprezzate nella loro portata sostanziale esclusivamente dal destinatario dell'atto ispettivo.
Residuerebbe l'ipotesi in cui quest'ultimo venisse a costituire esso stesso veicolo di divulgazione di informazioni riservate, di cui il presentatore dovesse dare conto nel testo dell'interpellanza o dell'interrogazione. Anche in tal caso, tuttavia, le norme regolamentari vigenti in materia di ammissibilità degli atti del sindacato ispettivo e la prassi interpretativa formatasi al riguardo non sembrerebbero precostituire ostacoli insormontabili. In primo luogo, come si è detto, il presentatore potrebbe oggettivamente ignorare, in buona fede, l'esistenza di vincoli alla divulgazione delle notizie da lui riportate. In secondo luogo, e con particolare riguardo alla prassi vigente presso la Camera dei deputati, nell'ambito delle valutazioni funzionali al giudizio di ammissibilità il Presidente della Camera, ove abbia a dubitare della possibilità di divulgare legittimamente atti, fatti o circostanze riferiti dall'interrogante, potrebbe richiedere al presentatore di produrre una fonte esterna al Parlamento, esattamente individuata e la cui pubblicazione sia giuridicamente consentita (circolari del Presidente della Camera del 10 gennaio 1980 e del 21 febbraio 1996). Ciò accadrebbe tuttavia solo nel caso in cui il contenuto del documento, apprezzato nella sua oggettività, dovesse presentare indici tali da legittimare il dubbio: basti pensare al caso, per altro verificatosi in concreto, in cui l'interrogante riporti il contenuto di verbali di interrogatorio formati nel corso delle indagini preliminari o ad essi faccia riferimento, pur in presenza del precetto di generale segretezza dall'articolo 329 del codice di procedura penale per tutti gli atti attinenti alla fase delle indagini medesime. Nell'ipotesi in cui invece il contenuto dell'atto non recasse alcuno ditali indici e non emergessero profili di inammissibilità di altra natura, la valutazione circa l'ammissibilità dell'atto medesimo, anche sulla scorta della prassi secondo cui la responsabilità per la veridicità storica delle affermazioni contenute negli atti ispettivi e rimessa alla responsabilità del presentatore, non potrebbe che avere esito positivo.
La funzionalità del ricorso agli strumenti ispettivi ai fini del controllo sull'attività dei servizi di informazione e sicurezza ha recentemente trovato conferma nel consistente numero di interrogazioni a risposta immediata presentate alla Camera con riferimento a talune vicende attinenti all'operato degli organismi informativi, riportate con grande evidenza dagli organi di informazione ed oggetto altresì di dibattito politico particolarmente acceso. Ci si riferisce in particolare al cosiddetto "caso Mitrokhin", cui il Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato ha dedicato, come si vedrà, un'apposita relazione (Doc. XXXIV, n. 6), successivamente discussa in Assemblea in data 20 e 23 marzo 2000. Nel caso di specie, lo strumento del question time ha dimostrato tutta la sua efficacia nel trasferire in tempo reale all'interno dell'istituzione parlamentare il dibattito in corso nell'opinione pubblica su un tema specifico di immediata attualità e di rilevante interesse politico, sfruttando al massimo grado l'effetto moltiplicatore assicurato - rispetto agli ordinari strumenti ispettivi - dalla garanzia dell'immediato svolgimento in Assemblea e dalla ripresa televisiva diretta di quest'ultimo.
Non diversamente deve dirsi con riferimento al caso, di poco precedente, dell'arrivo in Italia del leader curdo Abdullah Ocalan nel novembre del 1998, altra vicenda in cui, nel più recente periodo, l'attività dei servizi segreti del nostro Paese e stata oggetto di particolare risalto nel dibattito politico e nella considerazione dell'opinione pubblica ed alla quale il Comitato parlamentare ha riservato specifiche considerazioni (Doc. XXXIV, n. 4). Anche in tal caso si è registrato un uso consistente dell'interrogazione a risposta immediata, con effetti moltiplicativi analoghi a quelli registrati per il caso Mitrokhin.
Preso atto del frequente ricorso agli strumenti del sindacato ispettivo, qualche considerazione occorre tuttavia dedicare al profilo dell'efficacia che essi sono in grado di conseguire nella materia di specifico interesse. Risultano in proposito assai interessanti i dati relativi alla percentuale di risposta che gli atti ispettivi presentati nel corso delle ultime tre legislature hanno fatto registrare e che possono essere sintetizzati nella seguente tabella:



Legenda: RO: interrogazioni a risposta orale (ivi comprese, per la XIII legislatura, le interrogazioni a risposta immediata; RC: interrogazioni a risposta in Commissione; RS: interrogazioni a risposta scritta)

Come si vede, la percentuale di riscontro non risulta particolarmente elevata, specialmente se confrontata con il dato concernente le risposte fornite in assoluto rispetto a tutti gli atti presentati, pari al 23,8 per cento nella XI ed al 26,4 per cento nella XII. Un allineamento con il dato medio delle risposte fornite agli atti ispettivi appare invece profilarsi per quanto concerne la XIII legislatura, nella quale, sempre sino al 31 maggio 2000, risulta essere stata data risposta al 35 per cento degli atti presentati; ciò in coerenza del resto con l'indirizzo volto alla valorizzazione dell'attività ispettiva che l'impegno concorrente della Presidenza della Camera e delle compagini governative avvicendatesi nel tempo hanno inteso perseguire e che ha condotto ad un sensibile incremento del tasso di riscontro agli atti presentati (con particolare riguardo a quelli implicanti lo svolgimento in Assemblea). Per ciò che attiene agli atti ispettivi presentati nella XIII legislatura, l'incremento del tasso di risposta appare per altro per larga parte dovuto al ricorso allo strumento delle interrogazioni a risposta immediata, che nelle precedenti legislature non era stato di fatto mai attivato, posto. che le medesime beneficiano di un particolare regime procedurale che ne impone lo svolgimento "in tempo reale" (di fatto il giorno successivo alla loro presentazione) e che in qualche modo obbliga l'Esecutivo a confrontarsi con le questioni sollevate, anche solo per formalizzare posizioni interlocutorie e non direttamente afferenti al merito dei quesiti.
Quanto al merito degli atti presentati, si evidenziano due ordini di considerazioni. Da un lato, il numero degli strumenti presentati si lega in rapporto di diretta proporzione al verificarsi di specifici episodi o all'emergere di particolari vicende. A titolo esemplificativo, per ciò che attiene alla XI legislatura, la stragrande maggioranza degli atti presentati per lo svolgimento in Assemblea risulta connessa allo scandalo dei cosiddetti "fondi neri" del SISDe ed una cospicua parte dei restanti documenti ispettivi fa riferimento a casi cui i mezzi di informazione e l'opinione pubblica hanno dedicato grande attenzione: si pensi agli attentati dinamitardi del 1993 a Roma, Firenze e Milano, ovvero ancora alla vicenda della scomparsa del tecnico Davide Cervia nonché agli strascichi della questione dell'intervento del SISMI nell'ambito del rapimento Cirillo. Il fenomeno, che trova conferma nelle legislature successive (25) , si connette con evidenza alla natura stessa degli strumenti del sindacato ispettivo, che, come visto, si "nutre" di attualità e di immediatezza; esso dà tuttavia ragione, contestualmente, dell'impossibilità di effettuare attraverso gli strumenti in questione una forma di controllo o di monitoraggio provvista del necessario grado di sistematicità e di continuità.
In secondo luogo, una rapida analisi delle risposte fornite alle interrogazioni a risposta scritta consente di individuare un limite ulteriore all'efficacia in concreto degli istituti del sindacato ispettivo, ove attivati in merito all'operato dei servizi di informazione e sicurezza. Per un verso, a fronte di quesiti articolati e di particolare complessità, non di rado si riscontrano risposte caratterizzate da una misura uguale e contraria di sinteticità, prossime insomma ad una sorta di no comment (26) ; per altro verso, il Governo si diffonde invece nella risposta ad atti concernenti vicende assai risalenti nel tempo, contigue al terreno della storia e prive di attinenza con l'attualità politica e istituzionale del momento in cui i quesiti sono stati formulati (27) .
I dati esaminati, unitamente alle considerazioni svolte nel presente paragrafo ed alla luce della natura stessa degli atti del sindacato ispettivo, consentono dunque di trarre talune conclusioni:
a) il riscontro fornito ai quesiti posti è quantitativamente limitato e qualitativamente di modesta portata. Quanto alla ragioni che possono ipotizzarsi alla base di tale fenomeno, può ritenersi, per certi aspetti, che la bassa percentuale di risposte ad atti vertenti in materia di organismi informativi costituisca un aspetto del più ampio fenomeno legato all'incremento progressivo e (a quanto pare) inarrestabile del numero degli atti ispettivi presentati; tale situazione, da un lato, rende di fatto materialmente impossibile assicurare risposta a tutti gli strumenti, e, dall'altro lato, rende praticamente il Governo arbitro della possibilità di decidere l'ordine di priorità nella predisposizione delle risposte, con particolare riguardo per quelle scritte e per quelle da rendere in commissione.
Ove tuttavia si intenda approfondire il discorso, emergono profili istituzionali di particolare delicatezza. Occorre infatti domandarsi cosa accadrebbe in concreto ove il quesito posto dall'interrogante chiedesse conto di notizie o di informazioni assoggettate a classifica di segretezza, considerando che una risposta da parte dell'Esecutivo comprometterebbe la limitata circolazione della notizia che con l'apposizione della classifica si intendeva per l'appunto garantire e porrebbe di conseguenza a repentaglio la sicurezza dello Stato. Va infatti considerato che la risposta in questione verrebbe a manifestarsi secondo le usuali forme di pubblicità previste dall'ordinamento parlamentare, a partire dalla resocontazione stenografica, in caso di svolgimento in Assemblea, o sommaria, in caso di svolgimento in commissione, per finire con la pubblicazione sugli atti parlamentari in allegato ai resoconti di seduta, in caso di risposta scritta.
È ben vero che l'Assemblea, su richiesta dal Governo, può deliberare di riunirsi in seduta segreta (art. 63, comma 3, Reg.) e disporre che di tale seduta non venga redatto processo verbale (art. 34, comma 3, Reg.), e che, parimenti, le commissioni possono decidere quale parte dei propri lavori debba rimanere segreta nell'interesse dello Stato (art. 65, comma 3, Reg.). Non è tuttavia chi non veda come l'attivazione di siffatti strumenti procedurali, già in sé eccezionali, finirebbe quasi certamente per condurre all'effetto - senza dubbio indesiderato - della sovraesposizione presso i mass media e l'opinione pubblica della trattazione in sede parlamentare di questioni di particolare delicatezza.
Sulla scorta di tali considerazioni, sembrerebbe trovare valido fondamento nell'esigenza di tutelare l'interesse preminente della sicurezza dello Stato il contegno dell'Esecutivo che decidesse di non rispondere tout court ad interrogazioni o ad interpellanze coinvolgenti l'operato degli organismi informativi, ove la risposta venisse a compromettere, anche solo parzialmente, tale interesse. Per altro verso, è ovvio che il Governo si assumerebbe pienamente la responsabilità politica di una simile determinazione, per così dire "omissiva", che potrebbe essere fatta valere in Parlamento mediante gli strumenti previsti a tal fine. E parimenti ovvio che il Governo, diversamente apprezzando le circostanze poste a suo tempo alla base della decisione di classificazione, potrebbe decidere di "liberare" le informazioni richieste, dandone conto all'interrogante e, per il tramite degli atti parlamentari, a tutti i cittadini; una simile evenienza sarebbe per altro pienamente conforme ai principi vigenti in materia e richiamati al paragrafo 2.2, concretandosi nella diversa valutazione da parte dell'ente originatore dei presupposti a suo tempo considerati all'atto di limitare la divulgazione di una o più informazioni.
Concludendo sul punto, un efficace esercizio del potere di ispezione politica nella materia de qua, esercitato con gli strumenti suoi propri, appare pregiudicato ab origine dalle forme attraverso cui esso si manifesta e dalla posizione di oggettiva preminenza dell'Esecutivo, chiamato a valutare in via primaria ed immediata le modalità attraverso cui garantire la salvaguardia del prioritario interesse della sicurezza dello Stato:
b) i riscontri informativi derivanti dal ricorso agli strumenti del sindacato ispettivo hanno carattere episodico e frammentario. E noto che uno degli aspetti che determinano il successo agli strumenti del sindacato ispettivo è la loro capacità di rispondere con immediatezza alle esigenze poste dall'attualità politica, quale che sia il settore nel cui ambito si iscrivano le vicende di volta in volta prese in considerazione (istituzioni, economia, società, eccetera), trasferendone i termini dalla cronaca al luogo istituzionale posto al centro del sistema, ovverosia il Parlamento, ed attivando il fondamentale rapporto di quest'ultimo con il Governo, sul quale si fonda la forma di governo parlamentare. Al carattere degli atti ispettivi testè evidenziato se ne accompagna tuttavia un altro, strettamente connesso e di natura in qualche modo uguale e contraria, quello cioè dell'episodicità e della frammentarietà dell'iniziativa. L'atto ispettivo, quantomeno stando alla prassi consolidata venutasi a instaurare, si alimenta infatti dell'episodio singolare, del fatto di cronaca, dell'esigenza localistica o settoriale dai termini specificamente definiti; conseguentemente, esso non appare il mezzo più appropriato per il caso in cui si intenda conferire un carattere, se non permanente, almeno duraturo all'attività di ispezione e di controllo politico. Nulla ovviamente esclude che su un determinato argomento si possa tornare più volte ovvero che su un tema di particolare rilievo attraverso gli strumenti del sindacato ispettivo possa incardinarsi e svolgersi, in Assemblea come in commissione, un dibattito approfondito ed articolato. Restano tuttavia i dati ineliminabili e strutturali dell'istituto, costituiti dall'attivazione intermittente e su base essenzialmente individuale e dal riferimento immediato a vicende e situazioni specificamente individuate.
Ciò vale ovviamente anche con riferimento al tema oggetto del presente studio: l'interpellanza (meglio se urgente) e l'interrogazione (meglio se a risposta immediata, in Assemblea o in commissione) consentono al deputato interessato di "stare sulla notizia" con immediatezza e tempestività (il che, quando si tratta di vicende in cui sono coinvolti gli organismi informativi, non è vantaggio di poco conto), ma nella prospettiva dell'esaurimento della questione sostanzialmente all'atto del suo porsi. In una parola, si riesce ad intervenire sull'atto, ma non anche sull'attività, intesa come flusso di azioni conseguenti, organizzate per il perseguimento di finalità di interesse generale.
In sintesi, può conclusivamente affermarsi che il controllo svolto dalle Camere sull'azione dei servizi di informazione e sicurezza mediante il sindacato ispettivo, pure praticabile ed in concreto frequentemente praticato, si scontra con i limiti oggettivi ed invalicabili: a) della forma pubblica attraverso cui esso si realizza, che mal si concilia con le esigenze di riservatezza proprie dell'attività degli organismi informativi e delle materie da questi trattate; b) dell'impossibilità di conferire al controllo medesimo un carattere di stabilità o di continuità, in ragione della natura stessa degli istituti del sindacato ispettivo.


Passando quindi agli strumenti attraverso i quali si attuano le attività conoscitive delle Camere - da tenere ben distinte da quelle di controllo politico, cui sono preordinati gli strumenti del sindacato ispettivo ed ovviamente rispetto ad esse non fungibili - appare opportuno passare prioritariamente in rassegna l'istituto dell'indagine conoscitiva, anche perché è dato riscontrare in proposito un precedente particolarmente significativo, oltre che dal punto di vista delle conclusioni a suo tempo formulate, soprattutto sul piano delle questioni istituzionali di ordine generale emerse nell'occasione.
Si fa riferimento all'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione affari costituzionali della Camera sui servizi di informazione e sicurezza tra l'ottobre 1987 ed il gennaio 1988, dunque ad un decennio dall'entrata in vigore della legge n. 801 del 1977, periodo di tempo che, secondo quanto affermato nella circostanza dal presidente pro tempore della Commissione, Labriola, era stato considerato "un ragionevole lasso di tempo perché si compisse una prima esperienza applicativa, e quindi si individuassero i punti deboli, le carenze, le contraddizioni da superare (28) ".
Più che delle conclusioni sul merito delle questioni affrontate, è in questo contesto di particolare interesse dare conto delle valutazioni svolte con riferimento alla posizione istituzionale del Comitato parlamentare di controllo ed ai presunti effetti di vincolo o di preclusione derivanti dall'esistenza del medesimo rispetto allo svolgimento di eventuali iniziative di organi delle Camere nella materia delle informazioni per la sicurezza.
Era stata infatti prospettata la tesi secondo cui la disciplina della legge n. 801 del 1977, nell'istituire un organo parlamentare di controllo ad hoc, avrebbe ad esso riservato in via tendenzialmente esclusiva la competenza nella materia in questione, comprimendo di conseguenza quella di ciascuna Camera e dei relativi organi. Sulla base di tale impostazione, la Commissione affari costituzionali non sarebbe stata legittimata a svolgere l'indagine conoscitiva o avrebbe potuto procedervi solo rispettando i limiti rigorosi derivanti dall'assetto delle competenze del Comitato parlamentare di controllo.
Tale tesi non è stata tuttavia ritenuta condivisibile. Come chiaramente affermato nell'ambito del documento conclusivo dell'indagine in argomento, "l'attività conoscitiva, proprio per il carattere di ausiliarietà necessaria che riveste ai fini dello svolgimento di ogni funzione parlamentare, non può non essere intesa se non come naturale manifestazione del ruolo e delle attribuzioni costituzionali e politiche del Parlamento. E quindi se ne dispone in Costituzione e solo in Costituzione". Di conseguenza, "una legge ordinaria, come è la legge n. 801 del 1977, non può nemmeno intervenire sulla distribuzione delle funzioni costituzionali delle Camere tra i loro organi, perché questa è competenza esclusiva di ciascuna Camera, che provvede con i propri regolamenti: e tale è certamente il caso dei poteri di indagine conoscitiva (come di ispezione politica)". In conclusione, i controlli svolti dal Comitato parlamentare ed il ruolo da quest'ultimo rivestito nel sistema sono "aggiuntivi, non sostitutivi, rispetto a quel che il parlamento può e deve fare, in questa come in qualsiasi altra materia, nell'esercizio di ciascuno dei suoi poteri costituzionali, posti e regolati da atti che non sono le leggi ordinarie, ma la Costituzione ed i Regolamenti delle due Camere (29) ".
Tali argomentazioni, che appaiono senz'altro saldamente fondate e che da allora non sono state poste successivamente in discussione, danno dunque ragione della pacifica facoltà per le Commissioni permanenti di avvalersi dello strumento dell'indagine conoscitiva con specifico riguardo alla materia dell'organizzazione e del funzionamento della "comunità intelligence". La natura stessa dell'istituto, che consente un confronto a largo spettro con tutti i soggetti che si ritiene possano arrecare contributi informativi utili all'approfondimento dei temi oggetto dell'indagine, appare del resto particolarmente funzionale all'acquisizione di una percezione complessiva ed articolata dei problemi, in ciò superando i limiti di episodicità e di frammentarietà dianzi segnalati con riferimento agli strumenti del sindacato ispettivo.
Peraltro, tornano in questa sede talune considerazioni problematiche svolte al paragrafo 3.1, concernenti il profilo della documentazione dei lavori parlamentari. Dispone infatti l'articolo 144, comma 4, del Regolamento della Camera, recante la disciplina dell'indagine conoscitiva, che "delle sedute delle Commissioni è redatto, oltre al processo verbale, un resoconto stenografico, a meno che la Commissione non decida diversamente". Il Regolamento della Camera prevede pertanto la massima forma di pubblicità per le sedute dedicate allo svolgimento delle indagini; ciò del resto in coerenza con la natura conoscitiva dell'istituto il quale, essendo volto all'acquisizione di notizie, informazioni e documenti funzionali all'esercizio della funzione parlamentare (nelle sue varie forme), presuppone che i contributi ricevuti restino agli atti nella loro forma integrale, garantendo una compiutezza che una differente forma di resocontazione non permetterebbe di conseguire. Tale circostanza non consente con ogni evidenza ai soggetti interpellati di spingersi, all'atto di rendere il proprio contributo, oltre la soglia di ciò che risulta giuridicamente ostensibile e pubblicabile alla luce dell'ordinamento vigente. Non che questo valga a privare automaticamente di qualsiasi utilità il contributo fornito, che può anzi risultare di grande valore se riferito, ad esempio, al profilo dell'assetto normativo del settore, ovvero ancora ai problemi generali di impiego delle risorse umane e materiali.
Appare tuttavia significativa in proposito la considerazione svolta dal presidente Labriola nell'ambito dell'introduzione al volume in cui sono stati raccolti gli atti dell'indagine conoscitiva sopra menzionata. Questi, pur riconoscendo che il volume in questione presentasse "un'insieme notevole di dati", ha contestualmente sottolineato come esso "avrebbe potuto offrire un panorama assai più completo se in primo luogo l'esecutivo, ma non solo esso, avesse trasmesso ulteriori elementi ufficiali di conoscenza".
In ultima analisi, il ricorso all'indagine conoscitiva appare particolarmente funzionale ove si intendano approfondire ed analizzare con cura e completezza nella materia de qua questioni di ordine normativo ed istituzionale, essendo possibile in tale contesto la ricostruzione di un quadro di conoscenze adeguato agli obiettivi che l'indagine intende raggiungere. Minore utilità sembra invece rivestire lo strumento ove si intendesse indagare la realtà degli organismi informativi ad un livello l'attingere inevitabilmente all'area delle informazioni la cui divulgazione è stata limitata, se non preclusa tout court, nelle forme e con le motivazioni di cui si è detto al paragrafo 2.2. Tale situazione comporterebbe un ulteriore accentuazione del senso di insoddisfazione determinato dalla genericità degli apporti informativi resi al Parlamento, già posti in luce dal presidente Labriola con riferimento all'indagine conoscitiva di cui si è detto. Inoltre, ove si ponga mente al fatto che la partecipazione alle attività di indagine si pone per i soggetti interpellati dalle commissioni in termini di collaborazione spontanea e volontaristica e che nessun obbligo di verità sussiste in tale contesto in capo ai soggetti medesimi, appare verosimile ritenere che i rappresentanti dell'Esecutivo interpellati (sia a livello politico sia a livello amministrativo) non sarebbero nemmeno costretti a ripararsi sotto lo scudo del segreto di Stato, evitando l'innescarsi di quel "surriscaldamento"dei rapporti tra Parlamento e Governo che ne potrebbe conseguire.
Considerazioni sostanzialmente identiche possono del resto formularsi per le audizioni autonome, svolte cioè al di fuori ed a prescindere dall'effettuazione di un'indagine conoscitiva, sulle quali non mette pertanto conto soffermarsi. Ferma restando la possibilità di darvi corso anche da parte di organi parlamentari diversi dall'apposito Comitato di controllo - ovviamente nei limiti delle rispettive competenze, per come fissate dai Regolamenti parlamentari - residuano anche per le audizioni i profili problematici della pubblicità dei lavori (che per prassi, nel caso si proceda ad audizioni formali ex articolo 143, comma 2, del Regolamento viene assicurata dalla resocontazione stenografica, oltre che da quella sommaria) e della natura volontaristica del contributo fornito dai soggetti auditi, cui si aggiunge per altro quel profilo di estemporaneità che connota, come si è detto, gli strumenti del sindacato ispettivo e che rende l'audizione in quanto tale mezzo efficace per un confronto circoscritto, nel tempo e nell'oggetto, ma assai meno funzionale in una prospettiva di vigilanza sistematica e continuativa.
In conclusione, anche la rapida rassegna svolta in merito agli strumenti dell'indagine conoscitiva e dell'audizione appare confermare il dato istituzionale emerso con riferimento al sindacato ispettivo, costituito dalla inconciliabilità tra principio di pubblicità dei lavori parlamentare principio della riservatezza dell'azione dei servizi di informazione e sicurezza. Più in generale, come si vedrà anche al paragrafo successivo, sono gli stessi principi fondanti dell'attività parlamentare - quelli cioè che ne costituiscono il tratto distintivo e dei quali la medesima si sostanzia - che appaiono in quanto tali strutturalmente irriducibili ai connotati propri dell'attività degli organismi informativi. Ciò peraltro non esclude (ed anzi costituisce elemento di favore in tal senso) che, con apposito provvedimento legislativo, non si provveda ad individuare ex professo - introducendo strumenti e procedure - un punto di equilibrio tra gli interessi in gioco, nella consapevolezza della loro rilevanza e complessità. Ciò che invece appare assai problematico sostenere è che l'assenza di una disciplina ad hoc sia sostanzialmente irrilevante sul piano del più efficace controllo parlamentare dei servizi di informazione e sicurezza: interpellanze, interrogazioni, indagini conoscitive ed audizioni restano infatti irrimediabilmente vittime dei limiti costituiti dalla loro episodicità e frammentarietà e dalle insopprimibili esigenze di pubblicità che caratterizzano il loro svolgimento.


Appare opportuno soffermarsi poco più diffusamente sull'istituto dell'inchiesta parlamentare, che sembra costituire strumento particolarmente efficace nel caso in cui le Camere (ovvero una di esse) intendano acquisire elementi utili per analizzare e chiarire tutti i possibili aspetti che può assumere l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi di informazione e sicurezza, soprattutto ove si consideri l'estrema flessibilità di cui il legislatore (ovvero la Camera interessata) dispone all'atto della definizione dell'oggetto dell'inchiesta (30) .
Circa la possibilità di avvalersi di tale strumento con riferimento al settore delle informazioni per la sicurezza dello Stato non sembra del resto esservi mai stato dubbio nella vigenza della Costituzione repubblicana anche prima dell'entrata in vigore della legge n. 801 del 1977 e della canonizzazione del quadro costituzionale ad essa sottostante da parte della Consulta. Risale infatti alla legislatura, ed in particolare alla legge 31 marzo 1969, n. 93, l'istituzione di quella che - sino ad ora - rimane l'unica Commissione parlamentare di inchiesta che abbia trattato ex professo questioni direttamente attinenti all'attività dei servizi di informazione e sicurezza, sia pure con riferimento ad uno specifico e ben delimitato aspetto. Si fa riferimento alla Commissione di inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, in relazione cioè alle deviazioni del Servizio informazioni forze armate (SWAR) ed al presunto colpo di Stato organizzato nel periodo indicato (31) .
Con riferimento al più recente periodo, testimoniano inoltre della perdurante convinzione circa la funzionalità dell'inchiesta parlamentare nella materia in argomento taluni atti di iniziativa legislativa. Appare in proposito particolarmente utile richiamare, da un lato, le proposte di legge Arlacchi ed altri AC n. 969, presentata nel corso della XII legislatura, e Soda AC n. 885, presentata in identico testo all'inizio della XIII legislatura, entrambe recanti Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui servizi per le informazioni e per la sicurezza dello Stato; e, dall'altro lato, alla più nota proposta di legge, approvata dal Senato il 2 dicembre 1999 e trasmessa il successivo giorno 7 alla Camera, ove ha assunto il numero 6620, finalizzata allo svolgimento di una "inchiesta parlamentare per accertare i fatti ed eventuali responsabilità di ordine politico e amministrativo inerenti al dossier Mitrokhin e ai suoi contenuti" (32) .
Le prime due proposte menzionate muovono dalla riconosciuta necessità di procedere ad una operazione complessiva di azzeramento e di rifondazione su basi interamente nuove dell'assetto dei servizi di informazione e di sicurezza, in considerazione della "lunga sequenza di irregolarità, deviazioni e pratiche extralegali messe in atto dai servizi di sicurezza negli ultimi decenni", rispetto a cui la vicenda dei fascicoli raccolti dal SISDe con riferimento a formazioni politiche ed a singoli parlamentari - oggetto (li apposita relazione alle Camere del Comitato parlamentare di controllo sempre nella XII legislatura (Doc. XXXIV, n. 4) veniva a costituire "l'ultimo episodio". Sulla base di tali premesse, i presentatori hanno inteso rimettere alla istituenda Commissione il compito di procedere - in vista della predisposizione di una coerente proposta di riforma - ad una ricognizione accurata dell'attività dei servizi dopo l'entrata in vigore della legge n. 801 del 1977, attribuendole "poteri ampi e straordinari" (sui quali si avrà modo di tornare infra) "al fine di ricostruire tra l'altro, entro i limiti del possibile, l'uso dei fondi e le modalità operative ditali organismi, individuandone pregi, errori e patologie più significative".
La proposta di legge relativa all'istituzione di una Commissione di inchiesta sul cosiddetto "caso Mitrokhin" si caratterizza invece per un oggetto assai più circoscritto, pure se potenzialmente tale da condurre ad esiti imprevedibili (stante il riferimento operato all'articolo 1, oltre che al dossier in sé considerato, anche ai contenuti delle schede di cui il medesimo si compone).
Anche con riferimento alla materia degli organismi informativi e della loro attività il Parlamento ha dunque ritenuto di poter ricorrere allo strumento dell'inchiesta parlamentare (ovviamente nei limiti e per le finalità previste dalla Costituzione), sia per dare vita ad iniziative di largo respiro, con carattere ed intento sistematico ed ordinamentale, sia per approfondire le questioni sottostanti a vicende specifiche ed esattamente individuate.
Tuttavia, preso atto della funzionalità dello strumento, non possono non spendersi talune brevi riflessioni sulla circostanza per cui, in concreto, al medesimo non si sia praticamente mai fatto ricorso per approfondire questioni ricadenti proprio nella materia che qui interessa, con la sola eccezione di cui si è detto (per altro assai risalente nel tempo). Le prime due proposte di legge richiamate, dopo la presentazione e la conseguente assegnazione alla commissione competente, non sono state mai oggetto di esame. La terza - che pure ha compiuto parte significativa del suo iter, giungendo ad essere approvata dal Senato - si trova attualmente all'esame della commissione affari costituzionali della Camera, mentre la relazione sul medesimo tema approvata all'unanimità dal Comitato parlamentare di controllo il 9 febbraio 2000 è stata già discussa dall'Assemblea della Camera nelle sedute del 20 e del 23 marzo 2000 ed in esito al relativo dibattito è stata approvata la risoluzione Mussi 6-00128.
Le questioni principali che appaiono porsi al riguardo concernono, da un lato, la problematicità dei rapporti che verrebbero ad instaurarsi tra organo parlamentare inquirente e Governo, nonché, dall'altro lato, le relazioni - anch'esse di non semplice gestione - tra esercizio della giurisdizione ed esercizio del potere di inchiesta parlamentare.
Sotto il primo riguardo, occorre richiamare il fatto che, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, le commissioni di inchiesta operano con gli stessi poteri e con gli stessi limiti dell'autorità giudiziaria. Ciò comporta, come è noto, la possibilità per le commissioni medesime di acquisire notizie ed informazioni attinenti all'ambito di indagine loro rimesso secondo le forme precettive disciplinate dal codice di procedura penale. È chiaro che ciò apre all'attività conoscitiva dell'organo parlamentare spazi assai ampi, tali da superare le forme di collaborazione volontaristica dalle quali risulta per la gran parte condizionata - come si è visto - l'efficacia degli ordinari strumenti conoscitivi. Non è tuttavia difficile immaginare che la maggior parte delle attività di una commissione di inchiesta che operi ex professo direttamente a contatto con gli ambiti di competenza propri dei servizi di informazione e sicurezza verrebbe continuamente a scontrarsi con il problema di affrontare gli ostacoli posti dalle limitazioni alla circolazione delle informazioni cui, di fatto, l'intera azione degli organismi informativi è assoggettata. Se è vero che, quantomeno nel recente torno di tempo, si è registrato da parte dell'Esecutivo un atteggiamento di crescente apertura e disponibilità nei riguardi delle esigenze conoscitive delle Camere nella materia de qua, non può nascondersi che - di fronte alle necessità funzionali di una commissione parlamentare chiamata a confrontarsi esclusivamente e sistematicamente con questioni legate all'azione degli organismi informativi - potrebbero insorgere situazioni di singolare delicatezza sul piano istituzionale. Al riguardo, sembrerebbero prefigurabili due scenari.
Nel caso in cui la legge istitutiva della Commissione di inchiesta nulla disponga specificamente in ordine ai poteri di acquisizione conoscitiva dell'organismo medesimo, meramente confermando il parallelismo con i poteri e le limitazioni proprie dell'attività dell'autorità giudiziaria, verrebbe ad instaurarsi tra organo parlamentare ed Esecutivo un rapporto non dissimile da quello che intercorre tra quest'ultimo e la magistratura. Ciò significa di conseguenza che, di fronte ad un ordine di esibizione documentale in ipotesi emanato dalla Commissione di inchiesta, l'Esecutivo dovrebbe valutare in quale misura gli interessi preminenti della sicurezza dello Stato ne consentano l'adempimento, integrale o parziale, non dando al limite corso alla consegna di materiale classificato e -in exiremis - determinandosi per l'opposizione del segreto di Stato. Tale situazione presenta ovviamente, rispetto alla normale dinamica dei rapporti autorità giudiziaria - organi governativi, un ulteriore elemento di complessità, dato dalla natura politica che caratterizza inevitabilmente le valutazioni compiute. Non è difficile immaginare quali danni per il regolare svolgimento della vita delle istituzioni democratiche potrebbero conseguire da uno stato di conflittualità permanente che verrebbe per tale via ad instaurarsi tra Camere e Governo, tanto più in un quadro politico particolarmente complesso ed articolato quale si presenta quello del nostro Paese.
I problemi testé descritti potrebbero Invece ritenersi superati ove la legge istitutiva della Commissione di inchiesta disponesse espressamente al riguardo, attribuendo all'organo parlamentare un plus iuris rispetto alla sfera di attribuzioni dell'autorità giudiziaria. Resta per altro da chiedersi sino a quale segno possa spingersi le legge in questione nel definire poteri e prerogative della Commissione di inchiesta. Soccorre in proposito il caso, sopra menzionato, della Commissione di inchiesta che, nelle intenzioni dei proponenti, avrebbe dovuto svolgere le attività conoscitive indispensabili per il riordino complessivo dei servizi di informazione e sicurezza. Con specifico riferimento alla proposta di legge AC 969, presentata nella XII legislatura, malgrado l'articolo 2, comma 1, disponga espressamente che "la Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria", al successivo articolo 4, comma 2, si prevede che "la Commissione e ciascun componente di essa hanno diritto di accesso agli archivi dei servizi (...) e all'acquisizione di copia integrale degli atti ivi custoditi", mentre il comma 3, con disposizione di fatto assorbente, fissa il principio per cui "alla Commissione non possono essere opposti il segreto di Stato, di ufficio e bancario".
Emergono in questo contesto i dubbi circa la compatibilità ditali disposizioni con l'assetto delle relazioni Parlamento-Governo previsto dalla Costituzione, nei termini di cui si è detto al paragrafo 2.3 (dubbi che ovviamente rivestono carattere generale, riguardando l'istituto dell'inchiesta parlamentare in sé considerato).
Si è visto infatti che nel disegno costituzionale, asseverato da importanti decisioni della Corte costituzionale, spetta al Parlamento - organo direttamente rappresentativo della collettività organizzata nello Stato, in tutte le sue componenti politiche e sociali - il compito di controllare che il Governo non abusi delle prerogative connesse all'utilizzo del segreto di Stato, anche ponendo in discussione, ove ritenuto necessario, lo stesso rapporto di fiducia che costituisce l'architrave della forma di governo parlamentare. Come detto, la Consulta ha per altro precisato come sia sufficiente che siano note alle Camere le ragioni fondamentali della eventuale determinazione del segreto, sussistendo la necessità che l'Esecutivo indichi le ragioni essenziali che stanno a fondamento del segreto: è questo del resto il regime positivo vigente, fissato dalla legge n. 801 del 1977 (33) . Non appaiono in proposito di poco momento:
a) il fatto che la proposta di legge volta all'istituzione di una Commissione di inchiesta sul dossier Mitrokhin, nel testo approvato dal Senato, non contempli l'impossibilità di opporre alla Commissione medesima il segreto di Stato, fattispecie pure prevista nel testo di quasi tutte le proposte di legge presentate (34) , successivamente assorbite a seguito dell'approvazione del testo trasmesso alla Camera;
b) la circostanza per cui la legge istitutiva della Commissione di inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, in coerenza con la riaffermazione del parallelismo con i poteri e le limitazioni dell'autorità giudiziaria (articolo 2), ha fatto ricorso ad un meccanismo conforme all'assetto delle relazioni costituzionali tra Parlamento e Governo nella materia del segreto ancora prima che l'assetto medesimo risultasse fissato nei suoi elementi cardinali dalla Corte costituzionale e venisse legislativamente recepito nella legge n. 801 del 1977. L'articolo 4 della legge n. 93 del 1969 dispone infatti che, nel caso la Commissione di inchiesta non ritenesse fondata l'allegazione del segreto di Stato ai sensi dell'articolo 342, comma 1, del previgente codice di procedura penale, il Presidente della Commissione "ne informa il Presidente del Consiglio dei ministri", il quale ultimo "comunica le sue determinazioni al presidente della Commissione". Dinanzi all'opposizione del segreto di Stato ed a fronte della sua conferma da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, la Commissione parlamentare di inchiesta non può insomma che arrestarsi: tale circostanza, che pure implica la rinunzia alla conoscenza della specifica informazione, non pregiudica tuttavia la possibilità per l'organo parlamentare di apprezzare liberamente in termini politici il comportamento del Governo e di ricorrere agli strumenti propri del rapporto fiduciario.
Ai motivi di criticità istituzionale testé passati in rassegna se ne aggiungerebbero del resto di ulteriori. Il primo consiste nel problematico coordinamento dei lavori di una siffatta Commissione di inchiesta con l'attività del Comitato parlamentare di controllo, il cui ruolo verrebbe di fatto svuotato di significato alla luce dei precisi limiti che la legge pone alle sue prerogative. E vero che tale sovrapposizione avrebbe una durata limitata nel tempo, considerato il fatto che, all'atto dell'istituzione delle Commissioni parlamentari di inchiesta, il legislatore fissa contestualmente il termine per la conclusione dei relativi lavori, e potrebbe riguardare un settore delimitato della competenza materiale del Comitato di controllo, attualmente riferita genericamente alle "linee essenziali delle strutture e dell'attività dei Servizi". Non e tuttavia meno vero che, nel caso in cui la legge ragguagliasse la durata dei lavori della Commissione di inchiesta alla durata della legislatura e contemporaneamente definisse l'oggetto dell'inchiesta in misura particolarmente ampia (non dissimile da quella indicata dalle proposte di legge Arlacchi e Soda sopra citate), sarebbe difficile scorgere un margine di effettiva e concreta operatività per il Comitato di controllo, che pure e organo permanente previsto dalla legge. Ove una simile situazione avesse mai a realizzarsi, è facile prevedere l'insorgere, tra l'altro, di una sorta di contenzioso "strisciante" tra organi parlamentari, basato sulla rivendicazione reciproca di competenze ed aree di azione, la cui gravità risulta vieppiù evidente in considerazione della delicatezza degli interessi coinvolti nelle rispettive attività.
Per ciò che concerne le relazioni tra magistratura e Commissione parlamentare di inchiesta, potrebbero addirittura prefigurarsi conseguenze paradossali nell'ipotesi in cui dagli accertamenti svolti dalla Commissione medesima, ovvero anche indipendentemente, venissero a profilarsi ipotesi di reato concernenti persone, fatti e circostanze ricadenti nell'ambito dell'oggetto dell'inchiesta parlamentare. Non si tratterebbe in tal caso soltanto del ben noto problema dei rapporti tra indagine giudiziaria ed esercizio dei poteri inquirenti delle Camere e dell'individuazione del discrimine che separa le due attività istituzionali. In un'ipotesi di tal fatta, si potrebbe persino giungere all'impossibilità per la magistratura di adempiere pienamente alla propria funzione a fronte dell'opposizione, nei termini di legge, del segreto di Stato, in ordine tuttavia ad informazioni che il Governo sia già stato obbligato a trasmettere all'organo parlamentare. Quid iuris inoltre nel caso in cui il magistrato procedente richiedesse le informazioni coperte dal segreto di Stato alla Commissione di inchiesta che le avesse per tale via ottenute o fosse quest'ultima ad attivarsi autonomamente in tal senso, posto che nulla dice la legge circa le modalità di tutela del segreto di Stato da parte di organi parlamentari e considerato che la Commissione potrebbe in ipotesi disporre dell'ostensibilità dei propri atti a maggioranza? La distorsione degli equilibri istituzionali e costituzionali sarebbe eclatante, oltre che foriera di conseguenze senz'altro non auspicabili.
Alla luce delle considerazioni svolte, appare possibile concludere che lo strumento dell'inchiesta parlamentare, ove utilizzato con specifico e diretto riferimento alla realtà degli organismi informativi, presenta un complesso insieme di fattori di criticità, che sembrerebbe indurre, se non ad evitarne tout court il ricorso, senz'altro ad una estrema cautela nel valutare l'opportunità della sua attivazione.




La rassegna testé svolta in merito alle forme ad ai limiti attraverso i quali le Camere, nell'esercizio delle prerogative ispettive, di controllo e conoscitive loro proprie, possono rapportarsi con i problemi connessi all'attività dei servizi di informazione e sicurezza consente di meglio comprendere le ragioni poste a fondamento del ricorso ad appositi organismi parlamentari, esplicitamente ed esclusivamente preposti all'esercizio del controllo sull'organizzazione e sul funzionamento degli organismi informativi.
Come è noto, il legislatore italiano ha effettuato tale scelta nel lontano 1977, ponendosi in qualche modo all'avanguardia rispetto agli altri paesi europei. Solo un anno prima, in seno al Congresso degli Stati Uniti, il Senato si era dotato di un organismo consimile (il Select Committee on intelligence) e l'anno successivo, di fatto contemporaneamente alla scelta italiana, la House of representatives avrebbe deliberato l'istituzione nel suo ambito di un Comitato speciale per l'intelligence.
A tale indirizzo si sarebbero conformati successivamente la Repubblica federale tedesca nel 1979, l'Austria nel 1981, il Canada nel 1988 ed il Regno Unito nel 1994. Di particolare significato appare la circostanza per cui anche la Francia, paese nel quale è fortemente radicata la convinzione della esclusiva pertinenza alla sfera governativa delle questioni della sicurezza nazionale e dell'intelligence e dove mai è esistita un'apposita istanza parlamentare di controllo, si sta apprestando a dotarsi di un organismo ad hoc: in data 23 novembre 1999 la Commissione difesa dell'Assemblée Nationale ha infatti licenziato e quindi trasmesso alla Presidenza il testo di una progetto di legge, corredato da un'ampia relazione scritta, volto ad istituire, presso ciascuna delle Camere, una Délégation parlamentaire pour le renseignement (35) .
È lecito interrogarsi sulle ragioni di un così pervasivo ricorso allo strumento dell'organo parlamentare ad hoc. Non vi è dubbio che, prima ancora che in esito ad elaborazioni scientifiche e istituzionali, tali organismi siano sorti per la gran parte a seguito ed a causa di gravi forme di deviazione registratesi nell'attività dei servizi di informazione e sicurezza, che sono state sovente portate all'attenzione dell'opinione pubblica con grande risalto dai mezzi di informazione: ciò è accaduto negli Stati Uniti, in Canada, in Austria e, come è noto, in Italia, dopo i clamorosi episodi di violazione degli obblighi di fedeltà alla Repubblica verificatisi nei primi trenta anni di vigenza della Costituzione repubblicana, accertati con sentenze definitive e penalmente sanzionati. Spostando tuttavia il baricentro dell'attenzione sui profili più propriamente istituzionali, non è difficile scorgere taluni caratteri generali di tali organismi - che ne accomunano l'assetto pure nella diversità degli ordinamenti politici e giuridici al cui interno essi hanno preso vita - che possono essere ritenuti alla base del successo, se così si può dire, di siffatta modalità di controllo.
In estrema sintesi, gli organismi parlamentari di controllo sui servizi di informazione e sicurezza si distinguono per essere:
a) permanenti; essi non vengono cioè meno con l'avvicendarsi delle legislature (o con i ricambi parziali della rappresentanza popolare, ove previsti) o con lo scadere di termini fissati dalla legge;
b) continui; essi operano infatti senza soluzione di continuità per l'intera durata della legislatura; la relativa attivazione non è inoltre connessa con il verificarsi di specifici presupposti (o comunque con situazioni ritenute patologiche o emergenziali), ma è rimessa all'autonoma determinazione degli organismi medesimi, i quali danno vita in tal modo ad una sorta di "flusso di controllo costante" con il quale i servizi di informazione e sicurezza debbono quotidianamente misurarsi;
c) assoggettati al regime del segreto (il cosiddetto ring of secrecy, secondo l'efficace espressione anglosassone); tanto le riunioni ed i relativi verbali quanto gli atti formati nell'esercizio delle funzioni degli organi in questione sono assoggettati al segreto, così come coloro che ne divengono via via componenti sono obbligati a mantenere il segreto con riferimento ai fatti, agli atti ed alle circostanze di cui siano venuti a conoscenza per ragioni del loro ufficio; tali vincoli sono per altro disciplinati talvolta in termini assoluti, talvolta rimettendo ad una maggioranza qualificata le deliberazioni in merito ad una limitata pubblicità di parte dei lavori;
d) titolari di funzioni di referto nei riguardi del Parlamento (più raramente dell'Esecutivo), che si estrinsecano nella presentazione di rapporti o relazioni il cui contenuto viene definito in consessi numericamente ristretti, all'interno dei quali viene determinato - ovviamente secondo i meccanismi propri della decisione politica - quanto, cosa e come rendere noto degli esiti della rispettiva attività, spesso dopo avere esperito il "filtro" preventivo dell'Esecutivo ai fini della tutela del segreto di Stato (Stati Uniti, Regno Unito, Italia).
I caratteri distintivi testé indicati, ove posti a confronto con i limiti che i tradizionali strumenti parlamentari ispettivi e conoscitivi incontrano quando ad essi si ricorre nella materia dell'intelligence, danno in sintesi ragione dei motivi del ricorso generalizzato ad un'istanza ad hoc per il riscontro parlamentare dell'attività dei servizi di informazione e sicurezza. In una parola, può dirsi che un organismo apposito che opera ordinariamente in regime di segreto, in deroga cioè al principio generale della pubblicità dei lavori parlamentari, è posto nelle condizioni di ricevere contributi informativi più ampi e significativi di quelli, oggettivamente limitati in ragione del richiamato principio di pubblicità, che potrebbero conseguire gli altri organi parlamentari nell'esercizio delle rispettive, ordinarie funzioni; dall'altro lato, la continuità della sua azione rappresenta un elemento di garanzia oggettiva non solo per i cittadini e le istituzioni rappresentative, ma per gli stessi organismi controllati, che nell'esistenza e nel funzionamento di un'istanza parlamentare di controllo individuano un fattore decisivo per una più solida legittimazione democratica della propria attività e, conseguentemente, per il consolidamento della fiducia dell'opinione pubblica nei loro riguardi (aspetto, quest'ultimo, che risulta decisivo per il miglior funzionamento di organismi addetti ad un servizio delicatissimo e vitale per la continuità delle istituzioni democratiche).
La combinazione dei due fattori appena richiamati può ritenersi insomma l'elemento che fa dell'istituzione di un organo specificamente competente la migliore soluzione istituzionale possibile, pure nella varietà degli ordinamenti politici ed istituzionali, per il riscontro parlamentare delle attività affidate ai servizi di informazione e sicurezza ai fini della salvaguardia della sicurezza del paese.


Fissato il punto di cui al paragrafo precedente, può adesso procedersi nella breve disamina dei connotati che distinguono l'azione del Comitato parlamentare istituito dall'articolo 11 della legge n. 801 del 1977.
E' opportuno premettere che non si avrà in questa sede riguardo a tutti i possibili profili che caratterizzano l'organizzazione ed il funzionamento dell'organismo in parola, ma ci si limiterà a quelli che il trascorrere del tempo ha dimostrato particolarmente bisognevoli di interventi di riforma e di razionalizzazione, prospettando nel contempo i possibili sviluppi di questi ultimi, sia alla luce degli atti di iniziativa legislativa presentati nel corso della XIII legislatura (36) sia in considerazione delle esperienze degli ordinamenti stranieri che appaiano di volta in volta più interessanti. Si può per altro in proposito anticipare che le soluzioni perseguite dal legislatore del 1977, pure se oggetto di considerazioni critiche nel corso degli anni, si dimostrano, alla prova dei fatti, particolarmente equilibrate, soprattutto alla luce del quadro di riferimento istituzionale e costituzionale che si è cercato di delineare nei paragrafi precedenti.




Ai sensi dell'articolo 11, secondo comma, della legge n. 801 del 1977 "è compito del Comitato verificare che l'attività dei servizi di informazione e sicurezza si svolga nel rispetto delle finalità istituzionali ad essi attribuite dalla legge". A tale fine, in base al successivo terzo comma, il Comitato può chiedere al Presidente del Consiglio dei ministri "informazioni sulle linee essenziali delle strutture e dell'attività dei Servizi". Il quarto comma dispone per altro che "il Presidente del Consiglio dei Ministri può opporre al Comitato parlamentare, indicandone con sintetica motivazione le ragioni essenziali, l'esigenza di tutela del segreto in ordine alle informazioni che a suo giudizio eccedono i limiti di cui al comma precedente".
Le disposizioni testé riportate, malgrado risultino piuttosto laconiche, rivestono in realtà un rilievo decisivo ai fini della configurazione in concreto del controllo parlamentare sull'operato degli organismi informativi e della sua stessa efficacia, valendo ad individuare gli ambiti che delimitano la facoltà del Comitato di acquisire dal Governo i dati e le notizie sulle quali compiere le proprie valutazioni e che risultano dunque essenziali per il perseguimento dei suoi compiti di istituto. E' opportuno precisare che, nella prassi applicativa, il Comitato si è da sempre avvalso dei contributi informativi di istituzioni e di soggetti diversi da quelli che, ai sensi della legge n. 801 del 1977, costituiscono i suoi interlocutori istituzionali: basti pensare al rilevantissimo supporto costantemente assicurato dall'autorità giudiziaria, nel rispetto della legge e delle rispettive prerogative istituzionali, in omaggio esclusivamente ad un principio non scritto di leale cooperazione tra istituzioni (37) . È tuttavia evidente che i termini del rapporto Comitato-Governo e l'assetto della reciproca posizione per come individuata dalla legge rivestono nella materia de qua un rilievo affatto decisivo.
Alla luce del disposto legislativo, può in proposito affermarsi che:
a) al Comitato la legge non attribuisce, per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, alcun potere autoritativo di acquisizione documentale o di ispezione e verifica diretta; il rapporto tra Comitato di controllo e Presidente del Consiglio dei ministri si sostanzia nelle richieste che il Comitato formula a quest'ultimo, a fronte delle quali nessun obbligo specifico viene posto in capo al vertice dell'Esecutivo; l'an, il quomodo ed il quando del riscontro delle istanze poste dal Comitato sono integralmente rimessi all'apprezzamento del Presidente del Consiglio, fermo restando per altro che l'atteggiamento da questi assunto a fronte di tali istanze costituisce ovviamente oggetto di valutazione sul piano politico, in vista del ricorso agli strumenti per attivarne la conseguente responsabilità;
b) l'area delle informazioni di cui il Comitato può essere messo a parte risulta inoltre delimitata sul piano oggettivo alle "linee essenziali" delle strutture e delle attività degli organismi informativi; tale disposizione è stata interpretata nel senso di precludere al Comitato la possibilità di acquisire informazioni sulle operazioni in corso, ciò che ne ha limitato l'azione - da questo punto di vista - ad interventi di carattere retrospettivo; parimenti, al Comitato rimarrebbe preclusa la conoscenza degli aspetti di dettaglio connessi all'organizzazione ed al funzionamento degli apparati di sicurezza, in quanto - è da ritenere - ininfluenti ai fini delle valutazioni politiche cui il Comitato viene chiamato dalla legge, che invece postulano un apprezzamento di più ampio respiro, non tanto cioè sugli atti, quanto sull'attività delle istituzioni controllate.
Le disposizioni richiamate appaiono confinare l'attività del Comitato entro ambiti particolarmente ristretti, rendendo legittimo l'insorgere di perplessità circa l'effettività del controllo che esse consentono e di dubbi su una sua sostanziale nullificazione in punto di fatto. Tali perplessità non sono per altro infondate. Volendo semplificare drasticamente lo stato delle cose, può affermarsi che l'azione del Comitato di controllo risulta condizionata, nei suoi presupposti e nel suo oggetto, dalla misura in cui gli organismi controllati intendono conformarsi allo spirito della collaborazione istituzionale sopra richiamata, essendo loro rimessa la scelta circa l'ampiezza delle conoscenze da porre a disposizione dell'organo controllante: il Comitato, in buona sostanza, non è in grado di verificare formalmente, di sua autonoma iniziativa, se le informazioni trasmesse a seguito di una sua richiesta siano effettivamente tutte quelle disponibili nella materia di interesse e se le medesime costituiscano la vendica rappresentazione dei fatti ad esse sottostanti.
Tuttavia, la situazione descritta appare meritevole di una riflessione più approfondita, che può per altro giovarsi della concreta dinamica che le relazioni tra Comitato ed Esecutivo hanno seguito nel corso del tempo e delle esperienze degli ordinamenti stranieri.
Sotto il primo riguardo, è opportuno considerare attentamente due fattori. È ben vero infatti che l'area delle informazioni rimesse al Comitato dal Governo, suo principale interlocutore istituzionale, è tanto più estesa quanto più intenso è lo spirito di collaborazione istituzionale avvertito dalle compagini ministeriali che si succedono nel tempo. E' però anche vero che tale spirito di collaborazione non è mai mancato e che anzi, esso risulta essersi intensificato nel corso del tempo: per ciò che riguarda ad esempio la XIII legislatura, lo stesso Comitato parlamentare ha dato ripetutamente atto, nell'ambito delle relazioni presentate alle Camere, dell'instaurazione di un significativo rapporto collaborativo, che ha agevolato l'organo parlamentare di controllo nell'adempimento delle sue funzioni istituzionali (38) . Quando poi si consideri che le istanze del Comitato hanno ricevuto e continuano a ricevere praticamente sempre e comunque una forma di riscontro purchessia da parte dell'Esecutivo (39) , non si andrebbe lontani dal vero nel ravvisare - da tale atteggiamento ripetuto con costanza nel tempo - l'avvenuto consolidamento di una vera e propria norma consuetudinaria, secondo cui il Governo è formalmente tenuto a corrispondere alle richieste dell'organo parlamentare di controllo (40) .
In secondo luogo, è necessario sottolineare l'ambivalenza del limite fissato dalla legge alle iniziative conoscitive del Comitato, di cui si è detto sopra, individuato nelle "linee essenziali" dell'attività e dell'organizzazione dei servizi di informazione e sicurezza. Tale clausola si presta ovviamente ad essere interpretata con rilevanti margini di elasticità: se intesa infatti letteralmente, essa può in effetti giungere ad azzerare in concreto i margini di operatività del controllo parlamentare; se interpretata invece in maniera estensiva, essa può invece consentire al Comitato una visione soddisfacente, anche se non del dettaglio, quanto meno dei più significativi elementi che concorrono ad integrare le "linee essenziali" dell'attività e dell'organizzazione dei servizi. Buona parte dell'efficacia del controllo parlamentare si gioca, come è evidente, sull'equilibrata interpretazione di tale clausola, di cui per altro non è arbitro il solo Governo. Si è infatti ricordato che il Presidente del Consiglio dei ministri può opporre al Comitato parlamentare, indicandone con sintetica motivazione le ragioni essenziali, il segreto di Stato in ordine alle informazioni che, a suo giudizio, eccedono i limiti che la legge fissa alle istanze conoscitive del Comitato medesimo. In tal caso, il Comitato, ove ritenga a maggioranza assoluta dei suoi componenti che l'opposizione del segreto non sia fondata, ne riferisce alle Camere per le conseguenti valutazioni politiche. Ove pertanto il Governo intendesse seguire un atteggiamento di particolare rigore, ai limiti del formalismo, si troverebbe a pagare un prezzo particolarmente alto: non è in proposito senza significato il fatto che, come anticipato al paragrafo 2.3, non è mai accaduto che il Governo abbia formalmente opposto il segreto di Stato al Comitato parlamentare a fronte di istanze conoscitive da quest'ultimo formulate. La lettura del resto di alcune delle relazioni presentate dal Comitato alle Camere nella XIII legislatura dà ragione di come il limite delle "linee essenziali" sia stato interpretato dal Governo, in un certo modo a proprio discapito, con una certa larghezza (41) .
Dalle considerazioni che precedono è possibile insomma trarre una prima testimonianza dell'equilibrio che ispira le soluzioni istituzionali escogitate dal legislatore del 1977. Nel caso di specie, risulta con evidenza la consapevolezza del fatto che la materia delle informazioni per la sicurezza dello Stato è di tale delicatezza da prestarsi con difficoltà ad una rigorosa canonizzazione normativa delle relazioni che intercorrono tra i massimi soggetti istituzionali in essa coinvolti e da non consentire la compressione oltre un certo segno del margine della discrezionalità politica rimesso a questi ultimi, poiché è di considerazioni politiche che si alimenta inevitabilmente la soluzione delle questioni che insorgono in materia. Preso atto dell'estrema problematicità del fissare un limite stringente e tassativo ai poteri conoscitivi del Comitato, si è evidentemente preferito ricorrere ad un assetto provvisto della necessaria elasticità, particolarmente funzionale alla natura degli interessi in gioco e rispondente:
- alla natura del Comitato, che è organo di controllo (42) e non di inchiesta e che deriva tale sua configurazione da una coerente interpretazione delle relazioni costituzionali tra Parlamento e Governo nella materia delle informazioni per la sicurezza, nei termini esposti al paragrafo 2.3;
- al carattere politico delle valutazioni che il Comitato è chiamato a svolgere sulle materie rientranti nella sua sfera di competenza, per la cui formulazione può assumere significato anche il mero comportamento tenuto dall'Esecutivo in una determinata circostanza, considerato in sé e nella sua oggettività, al di là cioè delle concrete acquisizioni informative che l'organo parlamentare abbia effettivamente conseguito; anche il silenzio serbato dal Governo - o comunque un atteggiamento ritenuto non adeguatamente collaborativo - può cioè costituire elemento significativo per la formulazione di giudizi e considerazioni che non mirano ad accertare responsabilità penali o amministrative né a comminare sanzioni, ma che esplicano i propri effetti - come detto - a livello solo ed esclusivamente politico.

L'aver dato atto della adeguatezza dell'assetto legislativo vigente rispetto al sistema delle relazioni costituzionali tra Parlamento e Governo nella materia delle informazioni per la sicurezza dello Stato non significa che l'assetto medesimo non sia perfettibile e meritevole di interventi di razionalizzazione. Ciò in particolare, come anticipato al paragrafo 1, a fronte del condiviso orientamento politico-istituzionale che, mirando a restituire efficacia all'azione degli organismi di intelligence mediante la loro riconduzione all'area organizzativa e funzionale posta alle immediate dipendenze del Presidente del Consiglio dei ministri ed un deciso rafforzamento dei poteri di direzione e di coordinamento da affidare a quest'ultimo, postula nel contempo un'intensificazione, in termini qualitativi, del ruolo svolto dal controllo parlamentare. Tale intensificazione appare per altro perseguibile fermo restando l'attuale quadro costituzionale, senza cioè intaccare il modello descritto al paragrafo 2.3. Risultano in proposito di particolare utilità ed interesse le indicazioni provenienti da taluni ordinamenti stranieri, ed in particolare, come si vedrà, dalla Repubblica federale tedesca.
Per ciò che attiene allo specifico tema trattato nel presente paragrafo, potrebbe in primo luogo risultare funzionale a tal fine l'introduzione di uno specifico obbligo di informazione in capo all'Esecutivo. Si è visto come la legge n. 801 del 1977 dia vita ad un modello secondo cui è di norma il Comitato a chiedere informazioni al Presidente del Consiglio dei ministri in merito all'attività dei servizi di informazione e sicurezza; tale modello reca la conseguenza, sperimentata in concreto nell'attività quotidiana del Comitato, per cui l'organo parlamentare "rincorre" - per così dire - gli eventi, mentre è rimessa all'autonoma determinazione dell'Esecutivo la scelta sull'opportunità di informare il Comitato di propria iniziativa e sulle forme che tale informativa può assumere; il diverso grado di disponibilità dimostrato in proposito dai governi succedutisi nel corso del tempo non fa che accentuare i problemi connessi alla situazione descritta.
Sembrerebbe dunque utile prospettare in proposito una sorta di inversione dello schema, che potrebbe ispirarsi a quello previsto, nell'ordinamento tedesco, dall'articolo 2 della legge sul controllo parlamentare dell'attività dei servizi informativi dello Stato federale, nel testo recentemente modificato dal Bundestag (43) . Secondo tale disposizione, "il Governo federale informa l'organo parlamentare di controllo in relazione all'attività generale delle pubbliche autorità indicata all'articolo 1, comma 1 (i servizi informativi, n.d.r.), e in ordine alle questioni di particolare importanza. Su richiesta dell'organo parlamentare di controllo il Governo federale è tenuto a fornire informazioni anche in ordine alle altre questioni". Per altro, l'articolo 2b, al comma 2, prevede che "il Governo federale può rifiutare l'informativa di cui all'articolo 2 (...) esclusivamente se ciò è necessario per cogenti ragioni di accesso alle informazioni o per ragioni di tutela dei diritti personali di terze persone, ovvero se viene toccato il nucleo fondamentale di responsabilità immediata dell'Esecutivo. Se il Governo federale rifiuta un'informativa, tale circostanza su richiesta deve essere motivata all'organo di controllo parlamentare ad opera del Ministro federale competente per il servizio federale coinvolto (...)".
Come si vede, lo stato delle cose, valutato nel suo complesso, non muta poi in maniera significativa, l'Esecutivo essendo sempre titolare della facoltà di astenersi dal fornire informazioni all'organo parlamentare per ragioni che pur nella diversa formulazione appaiono per la gran parte riconducibili agli interessi che il nostro ordinamento pone alla base del segreto di Stato. Tuttavia, la soluzione indicata consente di rinforzare il controllo parlamentare sotto un duplice profilo: a) l'organo di controllo diventa destinatario diretto di un flusso continuo di informazioni aventi riferimento diretto all'attività dei servizi (44) , riferite non solo alle "linee generali" di quest'ultimo, ma anche alle "questioni di particolare importanza"; b) la trasmissione di tali informazioni costituisce oggetto di un obbligo specifico del Governo, superandosi per tale via i problemi posti dal profilo volontaristico che caratterizza la cooperazione che attualmente l'Esecutivo presta nel nostro paese al Comitato di controllo. Che il Governo resti tuttavia in qualche misura il dominus del contenuto delle informazioni da fornire e che esso conservi sempre la possibilità di astenersi dal fornirle per ragioni connesse alla tutela della sicurezza dello Stato, assumendosene ovviamente la responsabilità politica, sono circostanze che valgono a confermare la natura, per così dire, strutturale ed ontologica dei limiti che incontra il controllo parlamentare sull'azione degli organismi informativi nei regimi parlamentari dei paesi democratici (45) .
Non particolarmente perspicua sembra invece la soluzione adottata dal disegno di legge presentato dal Governo nella XIII legislatura, attualmente all'esame del Senato insieme a numerosi progetti di legge di iniziativa parlamentare vertenti su identica materia. L'articolo 5, comma 5, di tale disegno di legge prevede infatti che il Comitato parlamentare "ha il potere di acquisire notizie generali sulle strutture e sulle attività degli organismi informativi, con esclusione di quelle riguardanti le fonti informative, l'apporto dei servizi stranieri, l'identità degli operatori, la dislocazione delle strutture operative, le operazioni in corso e le operazioni concluse, quando la rivelazione di queste ultime risulterebbe dannosa alla sicurezza della Repubblica. Il Presidente del Consiglio dei ministri, qualora ritenga di non trasmettere le notizie richieste, segnala al Comitato, con sintetica motivazione, le ragioni di tutela del segreto con riferimento ai limiti di cui al presente comma". La formulazione di tale disposizione presta il fianco a diversi rilievi critici. In primo luogo, appare singolare l'attribuzione di un potere (ove a tale termine intenda riconnettersi il significato tecnico suo proprio) del quale non sia possibile determinare preventivamente l'oggetto e le modalità di esercizio: nulla è infatti dato rilevare in merito al carattere autoritativo o meno dell'acquisizione ivi prevista, mentre il riferimento alle "notizie generali" non sembra costituire un apprezzabile progresso rispetto alle "linee generali" attualmente previste dalla legge n. 801 del 1977: un potere così strutturato sembra porsi in sostanza come una sorta di "illusione ottica" dal punto di vista del rafforzamento delle prerogative del controllo parlamentare, senza invece nulla aggiungere alle medesime sul piano concreto. Ma assai più sorprendente appare la scelta di enumerare specificamente i settori dell'attività degli organismi informativi che risulterebbero sottratti ex lege alla possibilità di conoscenza dell'organo parlamentare di controllo. L'arretramento di una simile soluzione rispetto alla situazione in atto è palese e si pone - tra l'altro - in evidente contraddizione rispetto allo stesso intento di rinforzare l'intervento parlamentare, che la relazione a corredo del disegno di legge pure afferma di voler perseguire. Ove infatti una siffatta ipotesi dovesse inverarsi, verrebbe individuata un'intera, cospicua area dell'azione dei servizi che sarebbe per definizione ed irrimediabilmente preclusa alla conoscenza del Comitato parlamentare e che verrebbe a costituire di fatto una vera e propria "area protetta" dell'azione di governo, della cui gestione l'Esecutivo risulterebbe in ultima analisi non portare alcuna responsabilità politica. Eppure si tratta di materie che hanno costituito e costituiscono usuale oggetto di confronto tra Comitato parlamentare e Governo (ovviamente con le dovute cautele e con accenti più o meno intensi), proprio grazie a quel grado di elasticità interpretativa, consentito dalla normativa vigente, che lascia alla dialettica Parlamento-Esecutivo l'individuazione volta per volta di ciò che può ricondursi alle "linee essenziali" dell'attività degli organismi informativi e di ciò che invece a tale ambito non può ascriversi (46) .
Per concludere, ove si intendesse porre mano ad un intervento di riforma in merito alle questioni oggetto del presente paragrafo che risultasse coerente con il sistema costituzionale delle relazioni tra Parlamento e Governo nella materia delle informazioni per la sicurezza dello Stato, sembrerebbe preferibile, da un lato, astenersi dal delimitare tassativamente ambiti materiali di conoscenza sottratti (o eventualmente attribuiti) ope legis all'organo parlamentare di controllo, ciò che determina inevitabilmente un irrigidimento della disciplina e pone le condizioni per l'insorgere di conflittualità istituzionali che è verosimile immaginare complesse e di non semplice risoluzione; più funzionale alla materia trattata sembra invece profilarsi la soluzione di perseguire una più chiara individuazione, sul piano legislativo, della posizione istituzionale in cui si vengono a trovare, l'uno rispetto all'altro, l'organo parlamentare di controllo e l'Esecutivo, in modo da assicurare il compiuto svolgimento dei principi desumibili dalla Costituzione, per come esplicitati dalla Consulta nelle due sentenze più volte citate.




Un ulteriore profilo in ordine al quale sono emersi, nella prassi applicativa, aspetti problematici attiene all'individuazione degli interlocutori istituzionali del Comitato parlamentare, con specifico riguardo alle formalità da seguire - nell'ambito del rapporto tra Parlamento e Governo - per consentire il confronto diretto di taluni di essi con il Comitato medesimo.
La situazione può essere sintetizzata in questi termini La legge n. 801 del 1977, interpretata con stretto riferimento alla sua lettera, sembra limitare l'ambito dei soggetti istituzionali con i quali il Comitato può confrontarsi al solo Presidente del Consiglio dei ministri: a quest'ultimo il Comitato rivolge infatti le richieste di informazioni sulle linee essenziali delle strutture e dell'attività dei Servizi (articolo 11, terzo comma); è il Presidente del Consiglio che può opporre al Comitato l'esigenza di tutela del segreto in ordine alle informazioni richieste che, a suo giudizio, eccedano i limiti segnati dalla legge (articolo 11, quarto comma); è sempre il Presidente del Consiglio che è tenuto a dare comunicazione al Comitato di ogni caso di conferma dell'opposizione del segreto di Stato ai sensi del codice di procedura penale. Tuttavia, la prassi ha registrato un progressivo allargamento dell'ambito degli interlocutori istituzionali del Comitato. In primo luogo, un'interpretazione estensiva del riferimento testuale operato dall'articolo 11, terzo comma, al Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza (CIIS), istituito dall'articolo 2 della legge n. 801 del 1977 (47) , ha indotto a ritenere possibile la presenza presso il Comitato, per lo svolgimento di audizioni, dei Ministri dell'interno e della difesa e, successivamente, dei titolari di altri dicasteri che la legge contempla tra i componenti del medesimo organismo (48) . In una fase successiva, anche sulla scorta delle valutazioni in tal senso formulate dallo stesso Comitato nell'ambito di alcune delle relazioni trasmesse al Parlamento, il novero degli interlocutori si è venuto via via ad allargare, includendo, ad esempio, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio delegato pro tempore alla presidenza del CESIS, e, soprattutto, i responsabili degli organismi informativi (direttori del SISDe e del SISMI e segretario generale del CESIS) (49) . La massima estensione della platea dei soggetti auditi presso il Comitato si è quindi registrata nella XII legislatura, nel corso della quale si sono avvicendati dinanzi all'organo parlamentare di controllo soggetti ed autorità che, se pure in grado di fornire specifici contributi informativi con riferimento ai temi di competenza del Comitato, non risultavano al momento titolari di attribuzioni e di responsabilità nel settore delle informazioni per la sicurezza dello Stato (50) .
Il tema della platea degli interlocutori del Comitato, e dunque dei soggetti che possono ritenersi pacificamente abilitati a confrontarsi in audizione con quest'ultimo, riveste grande rilievo. Le informazioni che l'organo parlamentare assume per tale via costituiscono infatti un patrimonio che la prassi ha dimostrato irrinunciabile: ciò risulta del resto testimoniato dai frequentissimi riferimenti operati agli apporti forniti in tale sede nell'ambito delle relazioni presentate alle Camere dal Comitato, apporti non di rado rivelatisi di importanza decisiva.
Deve per altro dirsi al riguardo che, non diversamente da quanto osservato nel precedente paragrafo, nella laconicità del disposto della legge l'ambito degli interlocutori si è venuto a definire, per ciò che attiene alle autorità rientranti nell'area organizzativa e funzionale dell'Esecutivo, nell'ambito dalla concreta dinamica dei rapporti tra Comitato e Governo, sulla scorta cioè di considerazioni politiche ed istituzionali spesso determinate dalle circostanze del caso concreto, ma successivamente confermate nella loro validità generale a seguito del ripetersi dell'esperienza. Parimenti di carattere politico, se pure sempre riferite ai principi generali dell'ordinamento parlamentare, deve ritenersi abbiano rivestito le decisioni con cui i Presidenti delle Camere hanno prestato la propria intesa allo svolgimento di audizioni di soggetti non riconducibili alla sfera governativa. In conclusione, sembrano potersi riproporre le stesse considerazioni svolte al paragrafo precedente circa la funzionalità che riveste, nella materia de qua, un sistema di rapporti che permetta alla discrezionalità politica, ovviamente entro i limiti di principio fissati dalla Costituzione e dalla legge, di esplicarsi liberamente, secondo i caratteri suoi propri.


Anche in tale settore possono per altro individuarsi margini per un consolidamento del controllo parlamentare, cui appaiono fornire utili spunti talune delle soluzioni adottate ancora una volta dall'ordinamento della Repubblica federale tedesca.
Una delle questioni che non ha ricevuto soluzione univoca nel nostro ordinamento riguarda la possibilità per il Comitato parlamentare di svolgere audizioni di personale appartenente ai ruoli degli organismi informativi diverso dai soggetti titolari delle rispettive cariche di vertice (come detto, i direttori del SISMI e del SISDe ed il Segretario generale del CESIS) e, in caso affermativo, entro quali limiti ciò possa accadere.
La prassi sembra testimoniare in proposito di un generale atteggiamento di disfavore in ordine alla possibilità di audire personale non appartenente alla fascia dirigenziale, che può ben ritenersi fondato nell'esigenza di evitare l'ingresso, nell'ambito del Comitato parlamentare, di microinteressi o di rivendicazioni, individuali o collettivi, passibili di rappresentazioni strumentali e distorte e comunque ininfluenti ai fini dell'esercizio delle funzioni affidate dalla legge all'organo parlamentare di controllo. Tale esigenza e stata evidentemente ritenuta prioritaria rispetto a quella di poter acquisire, attraverso tale via, un punto di vista "interno" agli apparati informativi, sganciato dalle logiche della politica e dell'alta amministrazione e, proprio per questo, originale e più stimolante rispetto agli usuali confronti con i referenti istituzionali ordinari. Una più ampia disponibilità sembra invece emergere in ordine all'audizione di soggetti titolari di incarichi dirigenziali all'interno delle strutture dei servizi. Basti rammentare al riguardo le audizioni dei responsabili pro tempore dell'UCSi (Ufficio centrale per la sicurezza) (51) , struttura costituita ed operante in seno al CESIS - e dunque nell'ambito della Presidenza del Consiglio - avente il compito di rilasciare il cosiddetto "NOS" (nulla osta di sicurezza) e di istruire le relative pratiche (si veda al riguardo il paragrafo 2.2) e di dirigenti del SISDe (52) .
La prassi testé indicata si presenta tuttavia non univocamente distribuita nel tempo: basti pensare che le audizioni dei dirigenti degli organismi informativi testé menzionate si sono svolte tutte nel corso della XII legislatura, mentre invece nell'ambito della successiva il Comitato si è trovato sinora ad interloquire esclusivamente con i direttori delle agenzie informative e con il Segretario generale del CESIS, segno evidente di una tendenziale "chiusura" del Governo in ordine alla possibilità per l'organo di controllo parlamentare di rivolgersi direttamente ai gradi intermedi o inferiori dell'organigramma dei servizi di informazione e sicurezza, cui per altro il Comitato sembra avere prestato la propria acquiescenza (forse anche in ragione dell'esigenza di non determinare l'insorgere di contrasti istituzionali ritenuti - alla luce degli interessi in gioco - dannosi ed inopportuni).
Tale situazione parrebbe suggerire l'opportunità di fissare a livello legislativo quantomeno i principi generali da porre a presidio delle relazioni tra Comitato ed Esecutivo sul punto in argomento. Di questo aspetto si prendono effettivamente carico taluni dei progetti di legge presentati nel corso della XIII legislatura. Vale in questa sede richiamare le soluzioni prospettate dal progetto di legge presentato dal senatore Manfredi ed altri (AS 3137) e dal già più volte menzionato disegno di legge governativo AS 4162.
Il primo dispone, all'articolo 2, comma 6, che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, per lo svolgimento delle proprie funzioni, può convocare qualsiasi persona di nazionalità italiana che sia ritenuta utile ai propri fini d'indagine o di studio e può richiedere la consultazione o la visione di documenti o materiali utili agli stessi fini, con la sola eccezione di persone, fatti, documenti o materiali riguardanti operazioni in corso, attività di servizi informazioni stranieri, fonti informative oppure identità di copertura di agenti operativi.
Il secondo prevede invece, all'articolo 5, comma 3, che il Comitato parlamentare delle informazioni per la sicurezza può chiedere al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai membri del Comitato interministeriale per la sicurezza di riferire in merito alle strutture ed alle attività degli organismi informativi nei limiti fissati dal comma 5 del medesimo articolo. Il Comitato può altresì disporre, ferma l'autorizzazione dell'Autorità delegata, l'audizione dei vertici degli organismi informativi, su argomenti specifici e sempre nel rispetto dei limiti fissati dal comma 5, "con esclusione di ogni altro addetto agli organismi informativi".
Le due disposizioni, evidentemente ispirate ad una diversa interpretazione del ruolo istituzionale del Comitato, valgono senz'altro a fornire utili spunti di riflessione, ma appaiono entrambe passibili di alcune considerazioni critiche, risultando connotate - da un diverso punto di vista - da profili "massimalisti" che non sembrano parimenti confacenti ad un equilibrato assetto della materia in questione.
Da un lato, la soluzione individuata dall'AS 3137 sembrerebbe meglio attagliarsi al profilo istituzionale tipico della Commissione di inchiesta, ciò che - come detto - un organismo parlamentare di controllo non è ed alla quale nemmeno può essere assimilato, ove si voglia salvaguardare l'impianto costituzionale sotteso alla materia delle informazioni per la sicurezza dello Stato. Non sembra in proposito casuale l'esplicito riferimento ivi effettuato ad "indagini" svolte dal Comitato, termine che non può evidentemente che intendersi in senso atecnico, come cioè riferito al complesso di iniziative conoscitive ed istruttorie che l'organo parlamentare di controllo attiva usualmente in relazione ai temi via via sottoposti al suo esame. A prescindere dalla terminologia utilizzata, appare comunque evidente come la disposizione non tenga in adeguata considerazione le ipotesi in cui i soggetti convocati facciano parte del complesso Governo - pubblica amministrazione statale e siano portatori di conseguenti responsabilità amministrative (ad esempio, i direttori delle agenzie di intelligence). Ove si intenda attribuire dignità legislativa alla prassi sinora invalsa (ciò che appare senz'altro opportuno), non appare infatti possibile prescindere dai meccanismi autorizzatori che costituiscono presupposto per la presenza dinanzi agli organi parlamentari di dirigenti preposti a settori della pubblica amministrazione e ad enti pubblici anche con ordinamento autonomo (articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera; articolo 47 del Regolamento del Senato). Anche nel settore delle informazioni per la sicurezza dello Stato sembra infatti persistere in tutta la sua validità l'assunto posto a base delle norme dei Regolamenti parlamentari, cui è sotteso il riconoscimento dell'esistenza, nell'ambito dell'amministrazione pubblica. di un'area di ampia discrezionalità amministrativa, non interamente coincidente con la responsabilità politica ministeriale, derivante dalle posizioni di sempre più marcata autonomia funzionale che la legge attribuisce ai dirigenti pubblici (53) . Ciò vale evidentemente anche per gli stessi vertici dei servizi, cui certo non difetta - già alla luce della legislazione vigente - l'ampio margine di autonomia organizzativa e funzionale nella gestione delle strutture loro affidate cui si è fatto testé cenno e che in un ipotetico nuovo assetto del sistema difficilmente potrebbe non riprodursi.
Maggiormente rispondente ai canoni propri delle relazioni Parlamento-Governo appare invece la formulazione dell'articolo 5, comma 3, del disegno di legge AS 4162, che vale a risolvere con chiarezza alcune questioni postesi nella prassi, cui è stato fatto cenno all'inizio del presente paragrafo. La disposizione in parola consente infatti di affermare che interlocutori istituzionali del Comitato sono: a) il Presidente del Consiglio dei ministri; b) i Ministri che compongono il CIS (in qualche misura corrispondente all'attuale CIIS), che possono dunque intervenire singolarmente (54) ; c) i vertici degli organismi informativi (ed in specie i direttori delle agenzie di intelligence), per la cui audizione si prescrive espressamente la previa autorizzazione dell'autorità politica competente, secondo lo schema ordinario cui si è fatto cenno e che connota attualmente lo svolgimento delle audizioni di dirigenti della pubblica amministrazione dinanzi alle Commissioni parlamentari.
Sin qui, come detto, ci si trova effettivamente dinanzi ad una positiva razionalizzazione della prassi esistente. Tuttavia, malgrado l'intento programmatico - manifestato claris verbis nella relazione al disegno di legge - di garantire al Parlamento la possibilità di esercitare un controllo efficace sull'organizzazione ed il funzionamento degli organismi informativi, la disposizione in esame compie una sorta di passo indietro, precludendo tout court al Comitato parlamentare di interloquire con "ogni altro addetto agli organismi informativi" che non sia compreso nel novero dei referenti istituzionali testé ricordati. L'arretramento che da tale soluzione deriverebbe, dal punto di vista del controllo parlamentare, risiede in particolare nell'impossibilità dell'organo ad esso addetto di acquisire direttamente notizie ed informazioni dai massimi dirigenti dei servizi, subordinati gerarchicamente ai soli direttori e preposti alle principali strutture nelle quali gli apparati informativi si articolano. Ciò invece è accaduto - come si è visto - anche nel recente passato, con particolare riguardo ai responsabili dei settori connotati da un margine di autonomia funzionale ampio e chiaramente definito: si pensi al citato Ufficio centrale per la sicurezza (UCSi) che, nell'ambito del CESIS (di cui costituisce formalmente un reparto), svolge funzioni assolutamente precipue e si avvale di una struttura organizzativa ad esse specificamente dedicata (55) .
Anche nella fattispecie in esame sembrerebbe allora preferibile, ove si intendesse veramente garantire la massima efficacia al controllo parlamentare, individuare meccanismi maggiormente flessibili, che consentano di ovviare ai paventati rischi derivanti dall'ingresso sulla scena di interessi strumentali e di basso profilo mediante una chiara definizione delle rispettive posizioni. Giova anche in questo caso un richiamo alla soluzione adottata dal parlamento tedesco, nell'ambito delle modifiche recentemente apportate alla legge sul controllo parlamentare dei servizi informativi. L'articolo 2a di quest'ultima, assicurando dignità normativa ad una manifestazione di intenti che il Governo federale era solito per prassi rendere all'inizio di ogni legislatura, dispone infatti che "il Governo federale è tenuto su richiesta (...) a permettere l'audizione degli appartenenti ai servizi (...)". Il successivo articolo 2d dispone inoltre che "agli appartenenti ai servizi informativi è consentito di rivolgersi con istanze all'organo di controllo parlamentare relativamente a questioni attinenti il servizio, e tuttavia non nel proprio interesse o nell'interesse di altri appartenenti a questa pubblica autorità, sempre che la direzione dei servizi non abbia dato seguito ad analoghe istanze".
Come si vede, pur nella consapevolezza dei rischi di cui si è appena detto, è stato possibile individuare un duplice canale di contatto tra l'organo parlamentare di controllo e gli appartenenti ai servizi di informazione e sicurezza, quale che sia il rango formale da essi rivestito nella relativa struttura gerarchica. Di indubbio interesse appare senz'altro l'istituto di cui all'articolo 2d, che introduce una sorta di meccanismo sostitutivo per i casi di inerzia dei vertici dei servizi a fronte di istanze volte a rappresentare esigenze comuni e condivise, e dunque - è da ritenersi - di natura (almeno tendenzialmente) istituzionale. Ma ai fini che qui interessano maggior rilievo riveste la previsione di un vero e proprio obbligo a carico dell'Esecutivo di consentire, se richiesto, l'audizione di appartenenti agli organismi informativi. Sembra in proposito arduo ipotizzare una sorta di "trasferimento di peso" di un simile istituto nel nostro ordinamento, stante l'esigenza di preservare l'integrità dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta al Governo e dei connessi meccanismi di responsabilità politica. La disposizione in esame sembra tuttavia costituire adeguata riprova della pacifica configurabilità, nell'ambito di un ordinamento di tipo parlamentare, di un rapporto diretto tra organo parlamentare di controllo e dirigenti degli organismi informativi diversi dai vertici dei medesimi, previa l'intermediazione - secondo lo schema generale - dell'autorizzazione dell'autorità politica competente.


Si sono sin qui affrontati taluni aspetti dell'attività del Comitato, per come essa si configura attualmente alla luce delle vigenti disposizioni legislative, che sono apparsi suscettibili di interventi di razionalizzazione. L'analisi resterebbe per altro incompleta ove non si facesse cenno al dibattito in corso in merito a talune prerogative di cui attualmente l'organo parlamentare di controllo non dispone, ma che invece si ritiene debbano oramai entrare a far parte degli strumenti di cui esso dovrebbe poter avvalersi per accrescere ed affinare la qualità dei riscontri svolti.
Viene in primo luogo in considerazione il tema dell'intervento del Comitato in ordine alla definizione ed alla gestione degli stanziamenti di bilancio destinati al finanziamento dell'attività dei servizi di informazione e sicurezza e dell'ambito entro cui tale intervento può esplicarsi facendo comunque salva la posizione ed il ruolo istituzionale propri dell'organo parlamentare di controllo.
Come è noto, nulla dispone al riguardo la legge n. 801 del 1977. Conseguentemente, le informazioni di cui il Comitato dispone nella materia de qua risultano acquisite secondo i canoni dell'attività conoscitiva ordinariamente svolta. Non sussistendo a livello legislativo alcun obbligo specifico per il Governo di sottoporre preventivamente - per il parere, l'approvazione o a titolo meramente informativo - gli stanziamenti di bilancio destinati alle necessità organizzative e funzionali degli organismi informativi, né di informare il Comitato in merito alla relativa gestione in corso di esercizio, è stato dunque l'organo parlamentare di controllo ad attivarsi ripetutamente - ma senza la necessaria sistematicità, almeno a quanto è dato desumere dalle relazioni presentate alle Camere nel corso della sua attività - al fine di acquisire dati ed informazioni sull'argomento in questione.
Eppure, risulta con immediata evidenza lo straordinario rilievo che tale profilo riveste, non soltanto nell'ottica del controllo stricto sensu (56) sull'operato dei servizi, ma anche a garanzia del più efficace ed efficiente perseguimento degli obiettivi ad essi di volta in volta assegnati, in vista del quale la certezza in ordine alla disponibilità delle risorse necessarie costituisce un aspetto evidentemente decisivo. È invece accaduto in passato con regolare frequenza che gli stanziamenti recati dal disegno di legge di bilancio per le esigenze degli organismi informativi abbiano costituito i serbatoi cui attingere, senza rischi di impopolarità, per compensare le nuove o maggiori spese derivanti dalle proposte emendative di iniziativa parlamentare: con quale danno per una razionale programmazione dell'attività di intelligence e per l'effettivo raggiungimento dei relativi obiettivi è facile immaginare (57) . Al verificarsi di tale situazione ha senz'altro concorso la mancanza di uno strumento ad hoc che consentisse, sistematicamente ed a cadenze predeterminate, di "guardare dietro" agli stanziamenti in parola, di valutare cioè, sia pure per grandi linee, la relativa adeguatezza rispetto agli obiettivi ed i programmi sottostanti, ovviamente con le garanzie di segretezza da cui tale attività deve necessariamente essere assistita.
È questo tra l'altro uno dei settori del controllo parlamentare in cui il nostro ordinamento si palesa più in ritardo rispetto ai paesi stranieri, che si sono da tempo dotati di appositi strumenti per il riscontro degli stanziamenti di bilancio destinati ai servizi di informazione e sicurezza, secondo forme e modalità differenziate che merita in questa sede passare rapidamente in rassegna.
Per ciò che riguarda ad esempio il Regno Unito, all'organo parlamentare di controllo sull'attività degli organismi informativi (Intelligence and Security Committee), istituito nel 1994, è stata espressamente attribuita dalla legge la competenza ad esaminare, tra l'altro, "le spese e l'amministrazione" delle agenzie informative. Secondo quanto è dato desumere dalle relazioni annuali predisposte da tale organismo, esso non svolge in materia funzioni consultive vere e proprie, in quanto alle relative attività non mette capo la formulazione di un parere in senso tecnico, né decisionali, non essendo compito del Comitato approvare (sia pure a livello meramente istruttorio o referente) gli stanziamenti di bilancio relativi alle agenzie di intelligence. Più semplicemente, l'organo parlamentare, esaminati gli stanziamenti per l'esercizio di competenza e le loro proiezioni pluriennali, nell'ambito delle proprie relazioni annuali segnala al Primo Ministro (e per il tramite di quest'ultimo alle Camere) gli aspetti problematici rilevati e l'opportunità dell'adozione di misure correttive (58) . La conoscenza preventiva degli stati di previsione della spesa relativi ai servizi di informazione e sicurezza consente insomma all'organo parlamentare di controllo di esercitare una significativa attività di monitoraggio che, pur non potendo determinare direttamente variazioni sostanziali sul piano degli stanziamenti, vale a porre a disposizione del Governo e del Parlamento elementi qualificanti per l'adozione delle deliberazioni di rispettiva competenza.
L'ordinamento della Repubblica federale tedesca prevede invece che i capitoli di spesa del bilancio preventivo del Bund relativi all'attività dei servizi di informazione e sicurezza vengano esaminati ed approvati da un organo parlamentare ad hoc, definito "Comitato fiduciario" (Vertrauensgremium), composto da deputati appartenenti alla Commissione bilancio del Bundestag ed eletti da quest'ultimo per la durata di una legislatura, i cui membri sono tenuti al segreto. Il Comitato fiduciario esamina ed approva in particolare le spese che debbono essere gestite secondo programmi economici segreti e dà quindi comunicazione alla Commissione bilancio dei soli importi degli stanziamenti approvati; alle riunioni dedicate all'esame di tali programmi di spesa prendono parte, con funzioni consultive, i magistrati della Corte dei conti federale che compongono lo speciale collegio preposto al controllo sulla gestione dei piani economici degli organismi informativi; il Comitato riceve altresì i documenti relativi agli esiti dei controlli effettuati da parte della Corte dei conti federale, nei casi previsti dalla legge, sulle spese dei servizi di informazione e sicurezza. In occasione della recente modifica della legge sul controllo parlamentare degli organismi informativi, cui si è fatto ripetutamente cenno, è stata inoltre introdotta una forma di integrazione tra Comitato fiduciario e Commissione parlamentare di controllo, consistente nella possibilità per i Presidenti, i Vicepresidenti ed un membro di ciascuno dei due organismi di prendere parte con voto consultivo alle sedute dell'altro. Ma soprattutto, l'articolo 2e, comma 2, della legge in questione ha introdotto: a) l'obbligo di trasmettere in consultazione alla Commissione parlamentare di controllo i progetti di bilancio preventivo annuale dei servizi; b) l'obbligo per il Governo federale di informare la Commissione medesima circa la gestione dei bilanci preventivi nel corso dell'anno di esercizio (59) . Ne deriva un sistema misto, che appare per altro particolarmente efficace, nel quale, da un lato, viene consentita all'organo parlamentare di controllo la conoscenza degli stati di previsione della spesa (il cui esame non incide sull'entità degli stanziamenti, ma costituisce elemento informativo di grande rilievo per le attività istituzionali della commissione), e, dall'altro lato, opera un meccanismo - provvisto delle adeguate garanzie - che permette ad un collegio costituito in seno alla commissione competente per materia un effettivo approfondimento dei piani e dei programmi sottostanti alle spese, in base al quale approvare quindi ex informata coscientia i relativi stanziamenti.
Forme di controllo sulla gestione dei fondi destinati alle esigenze dei servizi di informazione e sicurezza sono state introdotte anche in Spagna (60) , il cui ordinamento pure non prevede un organismo di controllo parlamentare ad hoc. La gestione dei fondi destinati a spese riservate è infatti assoggettata al controllo del Congresso dei deputati, che lo esercita attraverso un'apposita commissione, composta dal presidente del Congresso, che la presiede, e dai deputati che, ai sensi delle disposizioni parlamentari, hanno accesso ai segreti ufficiali (61) . Il controllo di tale commissione, le cui sedute sono segrete ed i cui membri sono obbligati a non divulgare le informazioni di cui siano venuti a conoscenza in ragione dell'incarico, si esplica attraverso i seguenti strumenti: a) ogni modificazione di bilancio che determina incrementi dei capitoli destinati a spese riservate deve essere portata preventivamente a conoscenza della commissione; b) i ministri che dispongono di fondi per spese riservate trasmettono alla commissione le norme interne che disciplinano, nell'ambito di ciascun dicastero, l'erogazione di tali spese; c) gli stessi ministri informano semestralmente la commissione sull'applicazione e sull'utilizzo dei fondi per spese riservate; d) la commissione predispone annualmente una relazione sull'utilizzo dei fondi riservati destinata al Primo Ministro ed al Presidente della Corte dei conti. Il modello che ne risulta, stante la mancanza di specifiche procedure per l'approvazione degli stanziamenti e di poteri consultivi in senso proprio, appare riconducibile per grandi linee alla soluzione adottata nel Regno Unito: sulla base di un flusso di informazioni specificamente individuato dalla legge, l'organismo parlamentare porta a conoscenza dei suoi rilievi e delle sue considerazioni gli organi competenti ad assumere le conseguenti determinazioni sul piano politico (il Primo Ministro) e sul piano dell'accertamento delle responsabilità amministrativo-contabili (la Corte dei conti).
Particolarmente efficace risulta l'intervento delle commissioni parlamentari speciali per l'intelligence costituite in seno a ciascuna delle Camere degli Stati Uniti, in coerenza del resto con l'alto grado di pervasività che caratterizza il controllo parlamentare in quell'ordinamento (e che ne rende di fatto impossibile l'esportazione in contesti politicamente ed istituzionalmente differenti). In vista dell'approvazione del bilancio, le commissioni speciali esaminano tutte le richieste di autorizzazione di spesa connesse alle attività della comunità intelligence, rendendo in esito a tale attività un parere alle rispettive commissioni bilancio (62) .
Come si vede, il ritardo del legislatore italiano sul punto è patente, se non addirittura clamoroso. Appare dunque quasi obbligato l'intento di porre rimedio a tale situazione cui risultano ispirati i più volte citati atti di iniziativa legislativa presentanti nella XIII legislatura. In proposito, il disegno di legge del Governo AS 4162 appare in particolare informato al modello volto a garantire all'organo parlamentare di controllo un flusso di informazioni significativo, costante ed a scadenze predeterminate, senza per altro contemporaneamente attribuire al medesimo (o ad altro organo parlamentare) specifiche funzioni consultive o deliberative in ordine alla consistenza degli stanziamenti per le spese degli organismi informativi. Il coinvolgimento del Comitato parlamentare si sostanzia al riguardo nella comunicazione al medesimo: a) della ripartizione tra gli organismi informativi dello stanziamento unico approvato con la legge di bilancio annuale e della sua suddivisione tra somme da destinare a spese ordinarie ed a spese riservate (articolo 18, comma 2); b) del rendiconto della gestione finanziaria delle spese ordinarie, insieme alla corrispondente relazione della Corte dei conti; c) di una relazione annuale sulle linee essenziali della gestione finanziaria delle spese riservate, quantificate per settori di intervento come determinati dagli indirizzi politici (articolo 18, comma 3, lettera e). Come si vede, manca in tale fattispecie una forma di intervento preventivo del Comitato, sia pure a titolo puramente conoscitivo, sulle ragioni poste a base dell'entità dello stanziamento proposto nel disegno di legge di bilancio, la cui importanza è stata sopra sottolineata. E per altro indubbio che una simile soluzione costituirebbe un progresso assai significativo verso un concreto rafforzamento del controllo parlamentare, valendo a colmare una grave lacuna della attuale legislazione (secondo un meccanismo tra l'altro coerente con il ruolo e la posizione istituzionale del Comitato) cui non appare possibile in alcun modo porre rimedio in via interpretativa o confidando solamente sullo spirito di leale collaborazione tra le istituzioni competenti (63) .


Il tema oggetto del presente paragrafo costituisce in realtà una parte della più ampia questione trattata al paragrafo 4.2.1, con riferimento ai poteri conoscitivi del Comitato. Merita in questa sede darne separatamente conto, in forma per altro assai sintetica, in quanto il tema medesimo porta in primo piano un aspetto proprio del controllo parlamentare del quale occorrerà tenere senz'altro conto all'atto della ridefinizione legislativa dei relativi ambiti e limiti.
Secondo un orientamento di pensiero, in base alle vigenti disposizioni di legge ed in coerenza con l'assetto costituzionale ad esse sottostante, l'ambito del controllo parlamentare sull'attività degli organismi informativi dovrebbe ritenersi limitato all'aspetto dell'efficacia della loro azione e non possa invece estendersi al diverso profilo della loro efficienza. Tale questione risulta essere stata ripetutamente oggetto di discussione nella presente legislatura in seno al Comitato parlamentare, che ha per altro costantemente una posizione conforme all'assunto testé indicato: ciò emerge ad esempio sia dalla relazione presentata alle Camere sul controllo sugli atti amministrativo-contabili degli organismi informativi, sia dalla relazione concernente la vicenda Ocalan (64) . Le ragioni che sembrano potersi individuare a fondamento di tale "distinguo" risiedono verosimilmente nel fatto che una valutazione in termini di efficienza presuppone un giudizio di proporzionalità tra obiettivi assegnati e risorse disponibili per il loro perseguimento, giudizio che di fatto può essere consapevolmente compiuto solo da chi abbia la responsabilità di definire gli uni e di provvedere alle altre. Essendo tali compiti rimessi in esclusiva all'Esecutivo, ove il Comitato parlamentare ritenesse di svolgere considerazioni sul merito, finirebbe in qualche modo per assumere nella materia una responsabilità di fatto concorrente con quella del Governo, originando una commistione di ruoli non certo conforme con il ruolo e la posizione istituzionale di un organismo parlamentare di controllo.
In conformità con tali premesse, che appaiono condivisibili, la necessità di preservare la necessaria coerenza con i fondamenti del rapporto tra Parlamento ed Esecutivo anche nel settore delle informazioni per la sicurezza dello Stato imporrebbe la definizione di un modello che eviti rigorosamente il determinarsi di forme corresponsabilizzazione di fatto del Comitato parlamentare con le scelte gestionali dell'Esecutivo, che debbono rimanere imputate esclusivamente alla responsabilità di quest'ultimo.
Tale esigenza si pone con particolare intensità nel momento in cui si intenda dare vita in via legislativa, a beneficio dell'organo parlamentare di controllo e nell'intento di rafforzarne il ruolo, ad un canale conoscitivo che permetta a quest'ultimo di essere sempre e tempestivamente informato in merito ai fatti più rilevanti concernenti l'assetto organizzativo e funzionale degli organismi informativi. In conformità a tali indicazioni sembra essersi mosso ad esempio il Governo, nel definire con il più volte richiamato disegno di legge AS 4162 le modalità di coinvolgimento del Comitato nelle decisioni di spesa degli organismi medesimi (si veda il paragrafo 4.2.3), che vedono l'organo parlamentare destinatario obbligatorio di taluni rilevanti supporti conoscitivi, ma non anche titolare di funzioni, per così dire, "attive", ulteriori rispetto a quelle ad esso spettanti in via generale.
Una consimile cautela non appare invece ispirare le disposizioni del medesimo disegno di legge che inseriscono il Comitato nell'ambito del flusso informativo riguardante gli atti ed i fatti di maggiore rilievo di cui si sostanzia la gestione del sistema delle informazioni per la sicurezza dello Stato. Si prevede in particolare che al Comitato siano trasmessi per il parere: a) i regolamenti di organizzazione e di funzionamento degli archivi degli organismi informativi (art. 9, comma 5); b) i regolamenti recanti l'ordinamento del personale di questi ultimi (art. 14, comma 2); c) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che definisce gli specifici settori all'interno dei quali le agenzie di intelligence sono chiamate a fornire supporto informativo agli organi di governo, nell'ambito della competenza generale loro attribuita dalla norma di legge (art. 11, comma 2, e 12, comma 2). Si prevede invece la semplice comunicazione al Comitato: a) delle nomine dei vertici degli organismi informativi (art. 5, comma 2); b) dei regolamenti emanati in attuazione della legge di riforma (art. 5, comma 4), diversi - deve ritenersi - da quelli per i quali il disegno di legge prescrive l'espressione del parere da parte del Comitato; c) dei documenti concernenti la gestione delle spese ordinarie e riservate (art. 18); d) di un'informativa sulle linee essenziali delle attività economiche di copertura svolte sia in Italia sia all'estero (art. 22).
È evidente che tale assetto, nel caso dovesse essere approvato nei termini esposti, determinerebbe una sicura modificazione del ruolo e della posizione istituzionale del Comitato, soprattutto per la parte in cui verrebbe ad imputare al medesimo funzioni consultive di cui non solo allo stato esso non dispone, ma che non sono parimenti previste in capo agli omologhi organismi operanti negli ordinamenti dei paesi stranieri. In realtà, considerando che la funzione consultiva integra in realtà una forma di codecisione, consentendo ad un soggetto particolarmente qualificato in ragione della materia trattata di contribuire alla determinazione spettante al soggetto competente in via primaria, sembrerebbero profilarsi dalle fattispecie sopra ricordate proprio quelle forme di corresponsabilizzazione del Comitato nella gestione degli organismi informativi della cui coerenza con la collocazione istituzionale dell'organo parlamentare di controllo si può a ragione dubitare.
È ovvio che nulla può vietare alla legge, fermo restando il rispetto del dettato costituzionale, di modificare la configurazione complessiva dei poteri attribuiti ad un organismo parlamentare da essa istituito e disciplinato, né costituirebbe un unicum il caso in cui quest'ultimo risultasse titolare di poteri eterogenei e reciprocamente irriducibili, tanto da renderne impossibile la riconduzione ad una delle tradizionali categorie classificatorie (organo consultivo, di controllo, di vigilanza, di inchiesta eccetera (65) ).
Tuttavia, appare possibile affermare con sicurezza che il coinvolgimento del Comitato in determinate scelte, se pure a titolo consultivo, varrebbe in qualche modo ad affievolirne le funzioni di controllo, o comunque, più in generale, la necessaria autorevolezza connessa alla posizione di garante della legittimità e della correttezza costituzionale dell'attività svolta dagli organismi informativi, che richiede una posizione di indipendenza rispetto agli interessi in gioco quanto più possibile evidente ed inequivoca.
Ciò che sembra veramente contare per un organo cui si intenda affidare la funzione del controllo parlamentare sugli organismi di intelligence è conoscere: più che introdurre compiti o responsabilità ulteriori e di diversa natura, appare pertanto prioritario definire con chiarezza - all'atto di riordinarne le attribuzioni - il sistema dei poteri conoscitivi su cui esso può fare assegnamento e l'insieme degli strumenti necessari per dare a tali poteri concreta ed efficace operatività.


Per esigenze di completezza si accennerà di seguito brevemente a talune fattispecie disciplinate da alcuni ordinamenti stranieri, il cui particolare interesse - che ne giustifica tra l'altro la trattazione nel presente studio - risiede nel coinvolgimento del Parlamento nell'ambito di istituti accomunati dalla natura di garanzia. In tali fattispecie, il Parlamento non si pone quale attore principale, ma contribuisce al funzionamento di istituti nei quali risultano immediatamente coinvolti interessi fondamentali, costituzionalmente rilevanti e protetti, connessi alla sfera della persona ovvero all'esplicarsi di funzioni primarie per la continuità dell'ordinamento (quale quella giurisdizionale). Gli istituti in questione costituiscono tra l'altro parte integrante della disciplina di aspetti rilevantissimi della materia delle informazioni per la sicurezza dello Stato, attenendo, per un verso, a taluni profili del meccanismo delle cosiddette "garanzie funzionali" degli operatori degli organismi informativi (ovverosia delle circostanze in presenza delle quali determinati comportamenti posti in essere per il perseguimento delle finalità istituzionali del servizio di appartenenza e nell'adempimento del dovere di istituto, in astratto qualificabili come reati, non vengono ritenuti dall'ordinamento come tali); per altro verso, ai limiti posti all'esplicarsi della funzione giurisdizionale dall'allegazione del segreto, in connessione con le esigenze di tutela della sicurezza dello Stato.
Tali istituti, che in quanto tali sono completamente sconosciuti all'ordinamento del nostro paese, appaiono tuttavia fornire utili spunti di riflessione in vista del riordino legislativo del settore delle informazioni per la sicurezza, essendo tra l'altro accomunati dal ricorso alla figura dell'autorità amministrativa indipendente, quest'ultima invece ben frequentata (e forse anche troppo...) dalla legislazione italiana.


Uno degli elementi maggiormente qualificanti e significativi del sistema delle informazioni per la sicurezza dello Stato vigente nella Repubblica federale tedesca e senza dubbio costituito dalla Commissione cosiddetta "Gl0". Tale organismo, che prende il nome dall'articolo della Costituzione federale che disciplina la libertà di corrispondenza e di telecomunicazione e le limitazioni cui il medesimo può andare soggetto in relazione ad altri interessi ritenuti costituzionalmente prevalenti, ha il compito primario di autorizzare preventivamente l'esecuzione di provvedimenti intrusivi nella sfera della riservatezza delle comunicazioni postali e delle telecomunicazioni richiesta dai responsabili dei servizi di informazione e sicurezza e fatta propria dal ministro federale competente, ove a tali misure sia necessario ricorrere per salvaguardare la sicurezza dello Stato (66) . L'intervento preventivo è obbligatorio non solo con riferimento all'effettuazione di specifici ed individuati interventi intrusivi sulla libertà di corrispondenza e di telecomunicazione (il cosiddetto "controllo individuale"), ma anche alla sorveglianza di telecomunicazioni internazionali non operanti su rete fissa, per il contrasto alle minacce specificamente individuate dalla legge (terrorismo internazionale, traffico di armi internazionale, traffico di stupefacenti e di valuta contraffatta, riciclaggio) (67) . A tale funzione fondamentale se ne affiancano di ulteriori, quali l'autorizzazione all'Esecutivo federale a non comunicare all'interessato, nei casi previsti dalla legge, l'avvenuta esecuzione di una misura intrusiva nonché l'esame dei ricorsi amministrativi presentati dai destinatari delle misure intrusive che siano state portate a compimento e ad essi comunicate.
Più ancora che le funzioni, come si vede per altro particolarmente incisive, appaiono rilevanti la composizione dell'organismo e le modalità di preposizione al medesimo. La Commissione è infatti composta da tre membri effettivi (compreso il presidente) e da tre membri supplenti, eletti dal Bundestag per la durata di una legislatura. I membri dell'organismo non debbono esser necessariamente membri del Parlamento, mentre il presidente deve essere un magistrato. Nel corso degli anni hanno peraltro fatto parte della Commissione G10 personalità caratterizzate da un alto ed indiscusso prestigio personale e professionale, per la gran parte tratte da appartenenti all'ordine giudiziario, alla docenza universitaria ed alle professioni forensi, pur non essendo tali requisiti formalmente prescritti dalla legge.
Sul piano soggettivo, la Commissione G10, pur non essendo organo parlamentare, può pertanto definirsi organo di derivazione parlamentare; sul piano funzionale, la natura dei compiti ad essa attribuiti dalla legge consente di qualificarne le funzioni come paragiurisdizionali, ciò che ne consente l'assimilazione a quelle autorità amministrative indipendenti cui la legge rimette poteri consimili. Ciò che appare comunque opportuno sottolineare è che, a fronte di una delle prerogative di maggiore delicatezza attribuite alla responsabilità del potere esecutivo (e dunque del Governo espresso dalla maggioranza parlamentare), tale da incidere su uno dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione federale al di fuori delle garanzie giurisdizionali proprie del processo penale, si realizza una originale combinazione istituzionale che rimette indirettamente la garanzia di tali diritti all'organo della rappresentanza popolare (nel quale siedono tutte le forze politiche espresse dal paese) limitatamente all'atto della preposizione dei titolari della carica ed affida invece ad una minuziosa disciplina legislativa il compito di segnare i parametri formali e sostanziali cui conformarsi nell'esercizio della prerogativa medesima.


Sempre in materia di intrusioni nella sfera della riservatezza delle comunicazioni effettuate per ragioni di sicurezza nazionale, una forma di intervento indiretto del Parlamento è stata introdotta nell'ordinamento francese, regime semipresidenziale caratterizzato - come é noto - da una tendenziale preponderanza dell'Esecutivo nella definizione dell'indirizzo politico e degli strumenti per la sua attuazione e da una presenza parlamentare dal peso piuttosto limitato.
Ci si riferisce in particolare alla procedura introdotta dalla legge 10 luglio 1991, n. 646, relativa al segreto della corrispondenza attraverso mezzi di telecomunicazione, volta a delimitare presupposti e limiti delle cosiddette "intercettazioni di sicurezza", finalizzate cioè ad acquisire informazioni rilevanti per la sicurezza dello Stato al di fuori del processo penale. L'apparato delle garanzie determinato dalla legge in questione a fronte dei provvedimenti che ne autorizzano l'esecuzione, adottati dal Primo Ministro, si incentra sulla Commissione nazionale di controllo sulle intercettazioni di sicurezza, organismo espressamente qualificato dalla legge istitutiva come autorità amministrativa indipendente.
Il provvedimento del Primo Ministro che autorizza l'intercettazione deve essere comunicato entro 48 ore al presidente della Commissione; se quest'ultimo dubita della legittimità del provvedimento, convoca la Commissione, che delibera entro i sette giorni successivi alla notifica del provvedimento adottato dal premier; ove tale provvedimento sia ritenuto illegittimo, la Commissione trasmette al Primo Ministro una raccomandazione recante l'invito ad interrompere l'intercettazione; il premier è quindi tenuto ad informare la Commissione circa il seguito dato alle raccomandazioni da quest'ultima formulate (68) .
La Commissione è presieduta da una personalità designata, per la durata di sei anni, dal Presidente della Repubblica, nell'ambito di una lista di quattro nominativi predisposta, d'intesa fra loro, dal vicepresidente del Consiglio di Stato e dal Primo Presidente della Corte di cassazione. Oltre al presidente, fanno parte della Commissione un deputato, designato per la durata di una legislatura dal Presidente dell'Assemblea nazionale, ed un senatore, designato dal Presidente del Senato dopo ogni rinnovo parziale di quest'ultimo. La qualità di membro della Commissione è incompatibile con quella di membro del Governo ed il mandato conferito non è rinnovabile (69) .
Anche nel caso in questione, in cui - a fronte della tutela della sicurezza dello Stato - immediato risalta il profilo della garanzia delle libertà della persona, il Parlamento viene chiamato alla verifica della correttezza del contegno dell'Esecutivo non in maniera diretta, ma nell'ambito di un organismo distinto, senz'altro non parlamentare, ma caratterizzato dalla particolare qualificazione personale ed istituzionale dei suoi membri e delle autorità che ne curano la preposizione. E evidente che la gran parte dell'efficacia di tale strumento è rimessa alla scelta dei Presidenti delle Assemblee parlamentari, che risulta evidentemente essenziale onde assicurare l'equilibrata presenza, all'interno della Commissione, di parlamentari appartenenti sia alle forze che esprimono la maggioranza di governo sia ai gruppi dell'opposizione (70) . Tuttavia, il meccanismo istituzionale prescelto in proposito presenta indubbi profili di interesse e, con eventuali correttivi, non se ne potrebbe escludere una presa in considerazione anche in sede di riforma del sistema delle informazioni per la sicurezza dello Stato vigente nel nostro paese.


La medesima forma di coinvolgimento delle assemblee politiche rappresentative caratterizza la composizione e l'attività della Commissione consultiva per il segreto della difesa nazionale, istituita dalla legge 8 luglio 1998, n. 567. A tale organismo la legge affida il compito di esprimere un parere obbligatorio alle amministrazioni cui l'autorità giudiziaria abbia richiesto, nell'ambito di un giudizio, la declassificazione e la divulgazione di informazioni tutelate come segreto della difesa (ad eccezione dei casi in cui la classificazione delle informazioni non dipenda esclusivamente da decisioni delle autorità francesi). Si tratta in sostanza della disciplina di una fattispecie analoga a quella, prevista dal nostro ordinamento, in cui l'autorità giudiziaria si veda opporre il segreto di Stato da un pubblico funzionario, vuoi nell'ambito di una escussione testimoniale vuoi a fronte di un ordine di esibizione ai sensi dell'articolo 256 del codice di procedura penale. Mentre tuttavia, ai sensi della legge n. 801 del 1977, il magistrato procedente deve chiedere conferma del segreto opposto al Presidente del Consiglio dei ministri, nel caso di specie l'amministrazione interessata è tenuta ad investire della questione la Commissione.
Quest'ultima esercita per altro funzioni esclusivamente consultive, essendo chiamata a rendere un parere entro due mesi a decorrere dalla data del deferimento della questione, valutando ai fini della decisione una serie di interessi, espressamente individuati dalla legge: le esigenze della funzione pubblica della giustizia, il rispetto della presunzione di innocenza e dei diritti della difesa, il rispetto degli impegni internazionali del paese, la tutela della capacità di difesa del medesimo e la sicurezza del personale. Una volta comunicato il parere all'amministrazione richiedente, quest'ultima notifica la sua decisione all'autorità giudiziaria, dando conto del contenuto del parere. È da notare che il parere della Commissione costituisce un passaggio obbligatorio della procedura, ma il relativo contenuto non vincola in alcun modo l'amministrazione interessata, che può dunque discostarsene. Tuttavia, la legge dispone che i pareri della Commissione siano pubblicati sul Journal Officiel de la République Francaise. Tale ultima disposizione è evidentemente volta a dare inequivocamente conto - in un contesto di responsabilità chiare e definite ed attraverso la forma di pubblicità più elevata conosciuta dall'ordinamento - dell'avviso espresso dall'autorità indipendente e delle valutazioni da quest'ultima effettuate all'atto della comparazione degli interessi individuati dalla legge, salvaguardando contestualmente la sfera della discrezionalità della pubblica amministrazione - che non viene intaccata in alcun modo, si è detto, dai deliberati della Commissione - e fornendo ai cittadini un elemento di valutazione ulteriore e tecnicamente qualificato, alla luce del quale le decisioni assunte dall'Esecutivo possono essere più consapevolmente apprezzate nei loro presupposti di fatto e di diritto.
Quanto alla composizione, la Commissione è presieduta da un magistrato appartenente al Consiglio di Stato, alla Corte di cassazione o alla Corte dei conti, scelto dal Presidente della Repubblica, nell'ambito di una lista di sei nominativi predisposta, d'intesa fra loro, dal vicepresidente del Consiglio di Stato, dal primo Presidente della Corte di cassazione e dal Presidente della Corte dei conti. Oltre al Presidente, fanno parte della Commissione un vicepresidente ed un membro, scelti sempre dal Presidente della Repubblica nell'ambito della citata lista di sei nominativi, nonché un deputato, designato per la durata di una legislatura dal Presidente dell'Assemblea Nazionale, ed un senatore, designato dal Presidente del Senato dopo ogni rinnovo parziale di quest'ultimo. Il mandato conferito non è rinnovabile (71) .
Come si vede, pur costituendo l'innovazione legislativa testé ricordata un significativo progresso verso una gestione del segreto maggiormente trasparente e valutabile ed a prescindere dai rilievi sulla scelta dei parlamentari ad essa assegnati (che possono riprodurre in sostanza quelli formulati al precedente paragrafo (72) , essa appare tuttavia introdurre un meccanismo comunque non altrettanto efficace rispetto a quello attualmente previsto dal nostro ordinamento, nel quale l'opposizione del segreto di Stato all'autorità giudiziaria da parte dell'Esecutivo può condurre all'attivazione di un circuito istituzionale nel quale vengono ad essere coinvolti il Presidente del Consiglio dei ministri, il Parlamento (attraverso il Comitato parlamentare) e, in ipotesi. la stessa Corte costituzionale (per la decisione di eventuali conflitti di attribuzione) Dell'organismo in parola si è tuttavia ritenuto di dare comunque conto in questo contesto a testimonianza sia della varietà delle forme istituzionali che può assumere l'intervento del Parlamento nel settore delle informazioni per la sicurezza dello Stato sia, soprattutto, del consolidarsi di un vero e proprio orientamento culturale (di cui si è detto sommariamente al paragrafo 4.2), secondo il quale il controllo parlamentare sull'attività di intelligence costituisce una leva determinante ed imprescindibile per il funzionamento del sistema e per la sua piena legittimazione democratica.


In esito alla rassegna di istituti e di procedure svolta nel presente studio, non resta che formulare talune brevi considerazioni finali:

1. nel caso vengano utilizzati con riferimento all'organizzazione ed all'attività degli organismi informativi, gli usuali strumenti parlamentari - sia quelli pertinenti all'area del controllo politico sull'Esecutivo (gli atti del sindacato ispettivo), sia quelli di natura eminentemente conoscitiva (indagini conoscitive, audizioni, commissioni di indagine), sia ancora quelli dell'inchiesta parlamentare - presentano limiti di ordine formale e politico che non consentono il pieno esplicarsi delle relative potenzialità; in particolare, contrasta con la possibilità di ricorrervi in maniera soddisfacente la problematica conciliabilità tra il principio generale della pubblicità dei lavori parlamentari ed il principio di riservatezza che caratterizza invece - uniche fra tutte quelle svolte dalle amministrazioni dello Stato - le attività tipiche dei servizi di informazione e sicurezza; la possibilità di derogare al principio della pubblicità testé richiamato, pure prevista a determinate condizioni, appare del resto assai "costosa" sul piano politico, producendo quale effetto immediato ed inevitabile un'amplificazione dell'attenzione dell'opinione pubblica sulle questioni trattate, ciò che di norma non risulta funzionale al migliore svolgimento dei lavori parlamentari ed alla migliore soluzione delle questioni medesime; un controllo parlamentare sugli apparati informativi che fosse limitato ai soli strumenti tradizionali testé indicati risulterebbe pertanto insufficiente ed inadeguato; esso non risulterebbe inoltre, in quanto tale, passibile di interventi di miglioramento o razionalizzazione normativa, concretandosi nel ricorso ad istituti bons à tout faire, con un raggio di esplicazione di fatto illimitato e, per la stragrande maggioranza dei casi, idoneo a soddisfare pienamente le esigenze del controllo e della conoscenza parlamentare;

2. la modalità per assicurare un controllo parlamentare sugli organismi informativi funzionale ed efficace rimane quella incentrata sull'istituzione di un organismo ad hoc, il quale, a prescindere dalla configurazione bicamerale o monocamerale, risulta assistito da una serie di prerogative e garanzie che consentono di ovviare ai limiti più evidenti che gli strumenti parlamentari ordinari presentano all'atto pratico (permanenza, continuità, segretezza degli atti e dei lavori, ridotta composizione quantitativa, funzioni di referto alle Camere o al Governo mediate da garanzie formali sul piano della tutela del segreto);

3. appare conseguentemente opportuno tenere ferma la scelta operata dal legislatore del 1977, la cui positiva praticabilità è stata del resto confermata dalla scelta del medesimo modello successivamente compiuta dagli ordinamenti democratici di maggiore tradizione ed autorevolezza; indubbiamente, sussistono ampi margini per un rafforzamento del controllo parlamentare così come attualmente disciplinato; nel porre mano ad interventi di riforma, appare tuttavia necessario mantenere sempre presente la consapevolezza dei caratteri propri e distintivi di tale controllo e dell'organo cui esso è affidato, evitando di stravolgerne la natura esasperando o deprimendo i caratteri medesimi; da un lato, l'organo parlamentare di controllo non è né può essere configurato alla stregua di una sorta di Commissione di inchiesta permanente, stante il suo carattere continuo ed in considerazione dei limiti conoscitivi che esso comunque incontrerebbe presso l'Esecutivo in virtù del sistema delle relazioni costituzionali attualmente vigente; dall'altro lato, all'organo medesimo non appare possibile precludere formalmente tout court la facoltà di acquisire notizie ed informazioni in merito a determinati settori dell'attività degli organismi informativi, circostanza che accentuerebbe oltre la misura accettabile il grado di dipendenza dell'organo parlamentare dalle determinazioni del Governo; malgrado tale dipendenza non possa essere "sterilizzata" al cento per cento, essa può infatti essere contenuta entro limiti che consentano l'esercizio di un controllo effettivo e soddisfacente e che contemplino strumenti per imporre all'Esecutivo di assumere con chiarezza le proprie responsabilità;

4. nel definire una nuova modulazione degli strumenti del controllo parlamentare, appare altresì necessario conservare la consapevolezza del grado di massima politicità che caratterizza il settore dell'ordinamento all'interno del quale tale controllo si esplica; alla luce di tale premessa, appare indispensabile che le soluzioni che si andranno ad adottare, quali che esse siano, non irrigidiscano entro schemi normativi tassativi e predeterminati la dinamica delle relazioni tra Parlamento e Governo, cui occorre invece garantire un adeguato margine di fluidità e di elasticità; ciò non significa ovviamente che sia necessario rinunciare ad ogni forma di intervento di razionalizzazione, che anzi, come si è avuto modo di argomentare diffusamente supra, è senz'altro indispensabile; si vuole al riguardo semplicemente sottolineare come tale razionalizzazione appaia più utilmente ed efficacemente perseguibile fissando con chiarezza principi ed individuando definiti ambiti di responsabilità, piuttosto che elencando competenze per materia (anche in negativo) o disegnando in astratto confini tassativi alle iniziative conoscitive dell'organo di controllo;

5. passando dal mondo dei principi a quello delle indicazioni concrete, una riforma del controllo parlamentare che ne consenta un efficace rafforzamento dovrebbe passare almeno per i seguenti punti, che costituiscono in qualche modo una sorta di minimum rispetto all'esistente, al di sotto del quale non sembrerebbe ragionevole assestarsi: a) fissare esplicitamente l'obbligo per l'Esecutivo di dare comunque seguito alle istanze conoscitive dell'organo di controllo, anche prevedendo al riguardo amministrativa indipendente, quest'ultima invece ben frequentata (e forse anche troppo...) dalla legislazione italiana.


Uno degli elementi maggiormente qualificanti e significativi del sistema delle informazioni per la sicurezza dello Stato vigente nella Repubblica federale tedesca e senza dubbio costituito dalla Commissione cosiddetta "Gl0". Tale organismo, che prende il nome dall'articolo della Costituzione federale che disciplina la libertà di corrispondenza e di telecomunicazione e le limitazioni cui il medesimo può andare soggetto in relazione ad altri interessi ritenuti costituzionalmente prevalenti, ha il compito primario di autorizzare preventivamente l'esecuzione di provvedimenti intrusivi nella sfera della riservatezza delle comunicazioni postali e delle telecomunicazioni richiesta dai responsabili dei servizi di informazione e sicurezza e fatta propria dal ministro federale competente, ove a tali misure sia necessario ricorrere per salvaguardare la sicurezza dello Stato (66) . L'intervento preventivo è obbligatorio non solo con riferimen
to all'effettuazione di specifici ed individuati interventi intrusivi sulla libertà di corrispondenza e di telecomunicazione (il cosiddetto "controllo individuale"), ma anche alla sorveglianza di telecomunicazioni internazionali non operanti su rete fissa, per il contrasto alle minacce specificamente individuate dalla legge (terrorismo internazionale, traffico di armi internazionale, traffico di stupefacenti e di valuta contraffatta, riciclaggio) (67) . A tale funzione fondamentale se ne affiancano di ulteriori, quali l'autorizzazione all'Esecutivo federale a non comunicare all'interessato, nei casi previsti dalla legge, l'avvenuta esecuzione di una misura intrusiva nonché l'esame dei ricorsi amministrativi presentati dai destinatari delle misure intrusive che siano state portate a compimento e ad essi comunicate.
Più ancora che le funzioni, come si vede per altro particolarmente incisive, appaiono rilevanti la composizione dell'organismo e le modalità di preposizione al medesimo. La Commissione è infatti composta da tre membri effettivi (compreso il presidente) e da tre membri supplenti, eletti dal Bundestag per la durata di una legislatura. I membri dell'organismo non debbono esser necessariamente membri del Parlamento, mentre il presidente deve essere un magistrato. Nel corso degli anni hanno peraltro fatto parte della Commissione G10 personalità caratterizzate da un alto ed indiscusso prestigio personale e professionale, per la gran parte tratte da appartenenti all'ordine giudiziario, alla docenza universitaria ed alle professioni forensi, pur non essendo tali requisiti formalmente prescritti dalla legge.
Sul piano soggettivo, la Commissione G10, pur non essendo organo parlamentare, può pertanto definirsi organo di derivazione parlamentare; sul piano funzionale, la natura dei compiti ad essa attribuiti dalla legge consente di qualificarne le funzioni come paragiurisdizionali, ciò che ne consente l'assimilazione a quelle autorità amministrative indipendenti cui la legge rimette poteri consimili. Ciò che appare comunque opportuno sottolineare è che, a fronte di una delle prerogative di maggiore delicatezza attribuite alla responsabilità del potere esecutivo (e dunque del Governo espresso dalla maggioranza parlamentare), tale da incidere su uno dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione federale al di fuori delle garanzie giurisdizionali proprie del processo penale, si realizza una originale combinazione istituzionale che rimette indirettamente la garanzia di tali diritti all'organo della rappresentanza popolare (nel quale siedono tutte le forze politiche espresse dal paese) limitatame
nte all'atto della preposizione dei titolari della carica ed affida invece ad una minuziosa disciplina legislativa il compito di segnare i parametri formali e sostanziali cui conformarsi nell'esercizio della prerogativa medesima.


Sempre in materia di intrusioni nella sfera della riservatezza delle comunicazioni effettuate per ragioni di sicurezza nazionale, una forma di intervento indiretto del Parlamento è stata introdotta nell'ordinamento francese, regime semipresidenziale caratterizzato - come é noto - da una tendenziale preponderanza dell'Esecutivo nella definizione dell'indirizzo politico e degli strumenti per la sua attuazione e da una presenza parlamentare dal peso piuttosto limitato.
Ci si riferisce in particolare alla procedura introdotta dalla legge 10 luglio 1991, n. 646, relativa al segreto della corrispondenza attraverso mezzi di telecomunicazione, volta a delimitare presupposti e limiti delle cosiddette "intercettazioni di sicurezza", finalizzate cioè ad acquisire informazioni rilevanti per la sicurezza dello Stato al di fuori del processo penale. L'apparato delle garanzie determinato dalla legge in questione a fronte dei provvedimenti che ne autorizzano l'esecuzione, adottati dal Primo Ministro, si incentra sulla Commissione nazionale di controllo sulle intercettazioni di sicurezza, organismo espressamente qualificato dalla legge istitutiva come autorità amministrativa indipendente.
Il provvedimento del Primo Ministro che autorizza l'intercettazione deve essere comunicato entro 48 ore al presidente della Commissione; se quest'ultimo dubita della legittimità del provvedimento, convoca la Commissione, che delibera entro i sette giorni successivi alla notifica del provvedimento adottato dal premier; ove tale provvedimento sia ritenuto illegittimo, la Commissione trasmette al Primo Ministro una raccomandazione recante l'invito ad interrompere l'intercettazione; il premier è quindi tenuto ad informare la Commissione circa il seguito dato alle raccomandazioni da quest'ultima formulate (68) .
La Commissione è presieduta da una personalità designata, per la durata di sei anni, dal Presidente della Repubblica, nell'ambito di una lista di quattro nominativi predisposta, d'intesa fra loro, dal vicepresidente del Consiglio di Stato e dal Primo Presidente della Corte di cassazione. Oltre al presidente, fanno parte della Commissione un deputato, designato per la durata di una legislatura dal Presidente dell'Assemblea nazionale, ed un senatore, designato dal Presidente del Senato dopo ogni rinnovo parziale di quest'ultimo. La qualità di membro della Commissione è incompatibile con quella di membro del Governo ed il mandato conferito non è rinnovabile (69) .
Anche nel caso in questione, in cui - a fronte della tutela della sicurezza dello Stato - immediato risalta il profilo della garanzia delle libertà della persona, il Parlamento viene chiamato alla verifica della correttezza del contegno dell'Esecutivo non in maniera diretta, ma nell'ambito di un organismo distinto, senz'altro non parlamentare, ma caratterizzato dalla particolare qualificazione personale ed istituzionale dei suoi membri e delle autorità che ne curano la preposizione. E evidente che la gran parte dell'efficacia di tale strumento è rimessa alla scelta dei Presidenti delle Assemblee parlamentari, che risulta evidentemente essenziale onde assicurare l'equilibrata presenza, all'interno della Commissione, di parlamentari appartenenti sia alle forze che esprimono la maggioranza di governo sia ai gruppi dell'opposizione (70) . Tuttavia, il meccanismo istituzionale prescelto in proposito presenta indubbi profili di interess
e e, con eventuali correttivi, non se ne potrebbe escludere una presa in considerazione anche in sede di riforma del sistema delle informazioni per la sicurezza dello Stato vigente nel nostro paese.


La medesima forma di coinvolgimento delle assemblee politiche rappresentative caratterizza la composizione e l'attività della Commissione consultiva per il segreto della difesa nazionale, istituita dalla legge 8 luglio 1998, n. 567. A tale organismo la legge affida il compito di esprimere un parere obbligatorio alle amministrazioni cui l'autorità giudiziaria abbia richiesto, nell'ambito di un giudizio, la declassificazione e la divulgazione di informazioni tutelate come segreto della difesa (ad eccezione dei casi in cui la classificazione delle informazioni non dipenda esclusivamente da decisioni delle autorità francesi). Si tratta in sostanza della disciplina di una fattispecie analoga a quella, prevista dal nostro ordinamento, in cui l'autorità giudiziaria si veda opporre il segreto di Stato da un pubblico funzionario, vuoi nell'ambito di una escussione testimoniale vuoi a fronte di un ordine di esibizione ai sensi dell'articolo 256 del codice di procedura penale. Mentre tuttavia, ai sensi della legge n. 80
1 del 1977, il magistrato procedente deve chiedere conferma del segreto opposto al Presidente del Consiglio dei ministri, nel caso di specie l'amministrazione interessata è tenuta ad investire della questione la Commissione.
Quest'ultima esercita per altro funzioni esclusivamente consultive, essendo chiamata a rendere un parere entro due mesi a decorrere dalla data del deferimento della questione, valutando ai fini della decisione una serie di interessi, espressamente individuati dalla legge: le esigenze della funzione pubblica della giustizia, il rispetto della presunzione di innocenza e dei diritti della difesa, il rispetto degli impegni internazionali del paese, la tutela della capacità di difesa del medesimo e la sicurezza del personale. Una volta comunicato il parere all'amministrazione richiedente, quest'ultima notifica la sua decisione all'autorità giudiziaria, dando conto del contenuto del parere. È da notare che il parere della Commissione costituisce un passaggio obbligatorio della procedura, ma il relativo contenuto non vincola in alcun modo l'amministrazione interessata, che può dunque discostarsene. Tuttavia, la legge dispone che i pareri della Commissione siano pubblicati sul Journal Officiel de la République Franca
ise. Tale ultima disposizione è evidentemente volta a dare inequivocamente conto - in un contesto di responsabilità chiare e definite ed attraverso la forma di pubblicità più elevata conosciuta dall'ordinamento - dell'avviso espresso dall'autorità indipendente e delle valutazioni da quest'ultima effettuate all'atto della comparazione degli interessi individuati dalla legge, salvaguardando contestualmente la sfera della discrezionalità della pubblica amministrazione - che non viene intaccata in alcun modo, si è detto, dai deliberati della Commissione - e fornendo ai cittadini un elemento di valutazione ulteriore e tecnicamente qualificato, alla luce del quale le decisioni assunte dall'Esecutivo possono essere più consapevolmente apprezzate nei loro presupposti di fatto e di diritto.
Quanto alla composizione, la Commissione è presieduta da un magistrato appartenente al Consiglio di Stato, alla Corte di cassazione o alla Corte dei conti, scelto dal Presidente della Repubblica, nell'ambito di una lista di sei nominativi predisposta, d'intesa fra loro, dal vicepresidente del Consiglio di Stato, dal primo Presidente della Corte di cassazione e dal Presidente della Corte dei conti. Oltre al Presidente, fanno parte della Commissione un vicepresidente ed un membro, scelti sempre dal Presidente della Repubblica nell'ambito della citata lista di sei nominativi, nonché un deputato, designato per la durata di una legislatura dal Presidente dell'Assemblea Nazionale, ed un senatore, designato dal Presidente del Senato dopo ogni rinnovo parziale di quest'ultimo. Il mandato conferito non è rinnovabile (71) .
Come si vede, pur costituendo l'innovazione legislativa testé ricordata un significativo progresso verso una gestione del segreto maggiormente trasparente e valutabile ed a prescindere dai rilievi sulla scelta dei parlamentari ad essa assegnati (che possono riprodurre in sostanza quelli formulati al precedente paragrafo (72) , essa appare tuttavia introdurre un meccanismo comunque non altrettanto efficace rispetto a quello attualmente previsto dal nostro ordinamento, nel quale l'opposizione del segreto di Stato all'autorità giudiziaria da parte dell'Esecutivo può condurre all'attivazione di un circuito istituzionale nel quale vengono ad essere coinvolti il Presidente del Consiglio dei ministri, il Parlamento (attraverso il Comitato parlamentare) e, in ipotesi. la stessa Corte costituzionale (per la decisione di eventuali conflitti di attribuzione) Dell'organismo in parola si è tuttavia ritenuto di dare comunque conto in questo con
testo a testimonianza sia della varietà delle forme istituzionali che può assumere l'intervento del Parlamento nel settore delle informazioni per la sicurezza dello Stato sia, soprattutto, del consolidarsi di un vero e proprio orientamento culturale (di cui si è detto sommariamente al paragrafo 4.2), secondo il quale il controllo parlamentare sull'attività di intelligence costituisce una leva determinante ed imprescindibile per il funzionamento del sistema e per la sua piena legittimazione democratica.


In esito alla rassegna di istituti e di procedure svolta nel presente studio, non resta che formulare talune brevi considerazioni finali:

1. nel caso vengano utilizzati con riferimento all'organizzazione ed all'attività degli organismi informativi, gli usuali strumenti parlamentari - sia quelli pertinenti all'area del controllo politico sull'Esecutivo (gli atti del sindacato ispettivo), sia quelli di natura eminentemente conoscitiva (indagini conoscitive, audizioni, commissioni di indagine), sia ancora quelli dell'inchiesta parlamentare - presentano limiti di ordine formale e politico che non consentono il pieno esplicarsi delle relative potenzialità; in particolare, contrasta con la possibilità di ricorrervi in maniera soddisfacente la problematica conciliabilità tra il principio generale della pubblicità dei lavori parlamentari ed il principio di riservatezza che caratterizza invece - uniche fra tutte quelle svolte dalle amministrazioni dello Stato - le attività tipiche dei servizi di informazione e sicurezza; la possibilità di derogare al principio della pubblicità testé richiamato, pure prevista a determinate condizioni, appare del resto as
sai "costosa" sul piano politico, producendo quale effetto immediato ed inevitabile un'amplificazione dell'attenzione dell'opinione pubblica sulle questioni trattate, ciò che di norma non risulta funzionale al migliore svolgimento dei lavori parlamentari ed alla migliore soluzione delle questioni medesime; un controllo parlamentare sugli apparati informativi che fosse limitato ai soli strumenti tradizionali testé indicati risulterebbe pertanto insufficiente ed inadeguato; esso non risulterebbe inoltre, in quanto tale, passibile di interventi di miglioramento o razionalizzazione normativa, concretandosi nel ricorso ad istituti bons à tout faire, con un raggio di esplicazione di fatto illimitato e, per la stragrande maggioranza dei casi, idoneo a soddisfare pienamente le esigenze del controllo e della conoscenza parlamentare;

2. la modalità per assicurare un controllo parlamentare sugli organismi informativi funzionale ed efficace rimane quella incentrata sull'istituzione di un organismo ad hoc, il quale, a prescindere dalla configurazione bicamerale o monocamerale, risulta assistito da una serie di prerogative e garanzie che consentono di ovviare ai limiti più evidenti che gli strumenti parlamentari ordinari presentano all'atto pratico (permanenza, continuità, segretezza degli atti e dei lavori, ridotta composizione quantitativa, funzioni di referto alle Camere o al Governo mediate da garanzie formali sul piano della tutela del segreto);

3. appare conseguentemente opportuno tenere ferma la scelta operata dal legislatore del 1977, la cui positiva praticabilità è stata del resto confermata dalla scelta del medesimo modello successivamente compiuta dagli ordinamenti democratici di maggiore tradizione ed autorevolezza; indubbiamente, sussistono ampi margini per un rafforzamento del controllo parlamentare così come attualmente disciplinato; nel porre mano ad interventi di riforma, appare tuttavia necessario mantenere sempre presente la consapevolezza dei caratteri propri e distintivi di tale controllo e dell'organo cui esso è affidato, evitando di stravolgerne la natura esasperando o deprimendo i caratteri medesimi; da un lato, l'organo parlamentare di controllo non è né può essere configurato alla stregua di una sorta di Commissione di inchiesta permanente, stante il suo carattere continuo ed in considerazione dei limiti conoscitivi che esso comunque incontrerebbe presso l'Esecutivo in virtù del sistema delle relazioni costituzionali attualmente
vigente; dall'altro lato, all'organo medesimo non appare possibile precludere formalmente tout court la facoltà di acquisire notizie ed informazioni in merito a determinati settori dell'attività degli organismi informativi, circostanza che accentuerebbe oltre la misura accettabile il grado di dipendenza dell'organo parlamentare dalle determinazioni del Governo; malgrado tale dipendenza non possa essere "sterilizzata" al cento per cento, essa può infatti essere contenuta entro limiti che consentano l'esercizio di un controllo effettivo e soddisfacente e che contemplino strumenti per imporre all'Esecutivo di assumere con chiarezza le proprie responsabilità;

4. nel definire una nuova modulazione degli strumenti del controllo parlamentare, appare altresì necessario conservare la consapevolezza del grado di massima politicità che caratterizza il settore dell'ordinamento all'interno del quale tale controllo si esplica; alla luce di tale premessa, appare indispensabile che le soluzioni che si andranno ad adottare, quali che esse siano, non irrigidiscano entro schemi normativi tassativi e predeterminati la dinamica delle relazioni tra Parlamento e Governo, cui occorre invece garantire un adeguato margine di fluidità e di elasticità; ciò non significa ovviamente che sia necessario rinunciare ad ogni forma di intervento di razionalizzazione, che anzi, come si è avuto modo di argomentare diffusamente supra, è senz'altro indispensabile; si vuole al riguardo semplicemente sottolineare come tale razionalizzazione appaia più utilmente ed efficacemente perseguibile fissando con chiarezza principi ed individuando definiti ambiti di responsabilità, piuttosto che elencando compe
tenze per materia (anche in negativo) o disegnando in astratto confini tassativi alle iniziative conoscitive dell'organo di controllo;

5. passando dal mondo dei principi a quello delle indicazioni concrete, una riforma del controllo parlamentare che ne consenta un efficace rafforzamento dovrebbe passare almeno per i seguenti punti, che costituiscono in qualche modo una sorta di minimum rispetto all'esistente, al di sotto del quale non sembrerebbe ragionevole assestarsi: a) fissare esplicitamente l'obbligo per l'Esecutivo di dare comunque seguito alle istanze conoscitive dell'organo di controllo, anche prevedendo al riguardo


(*) Il presente lavoro è anche pubblicato in forma integrale nel volume "Il Parlamento della Repubblica", n. 11.
(1) MORETTI, in Diritto parlamentare, Rimini, 1992, p. 412.
(2) Cfr. LABRIOLA, Le informazioni per la sicurezza dello Stato, Milano, 1978, p. 211 e SS.
(3) Basti pensare al coinvolgimento del vicedirettore del SISDE, Russomanno, nella vicenda della pubblicazione sulla stampa, il 4 maggio 1980, di ampi stralci dei verbali relativi agli interrogatori del brigatista Patrizio Peci (vicenda conclusasi con la condanna del Russomanno), ovvero ancora alla presenza, nell'ambito delle liste degli affiliati alla loggia P2 rinvenute nella primavera del 1981, dei nominativi dei responsabili degli organismi informativi allora in carica (Grassini, direttore del SISDE; Santovito, direttore del SISMI; Pelosi, segretario generale del CESIS).
(4) A titolo puramente esemplificativo, si veda RODOTA, "Chi garantisce i servizi?", in La Repubblica, 5 gennaio 1985, in cui vengono rilevati taluni limiti del controllo svolto dal Comitato parlamentare, anche sulla base di dichiarazioni rese dal presidente pro tempore del Comitato medesimo, senatore Pecchioli.
(5) LABRIOLA, op. ult. cit.; ARENA, "Le attribuzioni del Parlamento in materia di servizi per le informazioni e la sicurezza in Italia e negli Stati Uniti", in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1978, n. 1, p. 485 e ss.
(6) TROISIO, Controllo parlamentare e servizi di sicurezza nell'ordinamento italiano, Roma, 1981.
(7) DE LUTIIS, "Controllo e servizi segreti: una comparazione", in Democrazia e diritto, 1986, n. 1, p. 47 e ss.
(8) Non si fa intenzionalmente cenno in questa sede ai cosiddetti SIOS di forza armata, di cui all'articolo 5 della legge n. 801 del 1977, oggetto di un recente intervento di ristrutturazione organizzativa, realizzato per altro in via amministrativa e la cui compatibilità' con il disposto del medesimo 5 non è dato valutare, non essendo stata assicurata al provvedimento di riordino alcuna forma di pubblicità. In base a tale provvedimento, a quanto è dato apprendere dai mezzi di informazione, i SIOS precedentemente inquadrati nell'ambito di ciascuna forza armata (Esercito, Marina e Aeronautica) sarebbero stati soppressi e si sarebbe dato vita ad un'unica struttura informativa, collocata alle dirette dipendenze del Capo di Stato maggiore della difesa. Ove ciò fosse, sarebbe tuttavia comunque fatta salva la pertinenza organizzativa e funzionale della struttura alla sfera di attribuzioni dell'Esecutivo, che era ovviamente indiscussa nella vigenza del precedente assetto.
(9) Sulla figura dell'Autorità nazionale per la sicurezza e le considerazioni critiche di cui la medesima è stata fatta segno si veda il paragrafo 5 del Primo rapporto sul sistema di informazione e sicurezza, approvato dal Comitato parlamentare nella XII legislatura (Doc. XXXIV, n. 1) in data 22 marzo 1995 e trasmesso alle Presidenze delle Camere il successivo 6 aprile.
(10) Le informazioni riportate sono tratte da FRATTINI, "La disciplina del segreto di Stato. Normativa vigente, prassi applicative e profili di criticità", in Per aspera ad veritatem - Rivista di intelligence e cultura professionale, n. 9, settembre - dicembre 1997.
(11) Anche in ordine alla natura dell'UCSi ed alle funzioni da questo svolte si rinvia al Doc. XXXIV, n. 1, di cui alla nota n. 9, paragrafi 22-26.
(12) Il disegno di legge presentato dal Governo nella XIII legislatura disciplina separatamente le fattispecie, precisando all'articolo 24, comma 1, dedicato alla disciplina del segreto di Stato, che "sono coperti dal segreto di Stato, indipendentemente dalla classifica di segretezza eventualmente attribuita a norma dell'articolo 26, gli atti, i documenti, le notizie, le attività e le cose la cui conoscenza sia idonea a recare un danno grave all'integrità. dello Stato (...). L'articolo 26, commi da 2 a 5, disciplina invece le classifiche di segretezza, anche in tal caso graduandone la tipologia in relazione all'entità del danno derivante all'integrità dello Stato. Non diversamente, il progetto di legge di iniziativa parlamentare del senatore Manfredi (AS 3137) disciplina partitamente il segreto di Stato (art. 27) e le classifiche di segretezza (art. 28), sempre riferendosi alla medesima impostazione concettuale.
(13) Si è visto alla nota precedente come i progetti di legge di riordino del sistema delle informazioni per la sicurezza dello Stato prevedano l'attribuzione a tale disciplina di dignità legislativa rendendola conseguentemente conoscibile a tutti i cittadini.
(14) Così LABRIOLA, op. ult. cit, p. 178.
(15) Sentenza 6 aprile 1976, n. 82, Gazzetta Ufficiale Nr.105 del 21 aprile 1976;
sentenza 24 maggio 1977, n. 86, Gazzetta Ufficiale del 1° giugno 1977.
(16) " (...) e, quindi, mentre è connaturale agli organi ed alle autorità politiche preposte alla sua tutela, certamente non è consono alla attività del giudice".
(17) V paragrafo 4.2.1.1
(18) Da ultimo, nella XIII legislatura, può richiamarsi la vicenda dalla quale sono state originate le sentenze della Corte costituzionale n. 110 e n. 410 del 1988, cui si farà riferimento infra, concernente talune attività di indagine svolte dal SISDE nell'ambito di un'operazione antiterrorismo. Il Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza, investito ex articolo 16 della legge 0.801 del 1977, con deliberazione assunta all'unanimità il 22 luglio 1997 ha ritenuto fondata la conferma del segreto di Stato che il Presidente del Consiglio aveva opposto alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma.
(19) Appare significativo rammentare al riguardo che il dato dell'attribuzione all'autorità di vertice del potere esecutivo di tale potestà accomuna - sia pure con diversi accenti ed intensità - i principali ordinamenti democratici (Regno Unito, Francia, Repubblica federale tedesca, Spagna, Stati Uniti, Canada, eccetera).
(20) Da intendersi quale "punto terminale di un complesso meccanismo di scelte che, nella logica del regime parlamentare, vengono progressivamente determinate e filtrate (...) prima attraverso gli orientamenti del corpo elettorale, poi attraverso l'attività del Parlamento, infine attraverso gli indirizzi di governo (CHELI, "La sovranità, la funzione di governo, l'indirizzo politico", in Manuale di diritto pubblico, a cura di G. Amato e di A. Barbera, Bologna).
(21) In Giur. cost., 1977, parte I, pag. 1200, ed in Per aspera ad veritatem - Rivista di intelligence e cultura professionale, n. 2, maggio-agosto 1995.
(22) Si veda sul punto LABRIOLA, op. ult. cit., p. 190.
(23) Tale argomento presuppone l'adesione alla nozione cosiddetta "oggettiva" del segreto di Stato, secondo cui l'elemento di identificazione del medesimo "è riconducibile alla idoneità in sé della notizia, quando sia conosciuta, a procurare un danno, o a causare un pericolo o una minaccia, per la sicurezza dello Stato, essendo tale idoneità dovuta al contenuto intrinseco della notizia, e a nessun altro requisito" (LABRIOLA, op. ult. cit., p. 77). Mette conto al riguardo segnalare che i più recenti orientamenti della Corte costituzionale si sono mossi lungo una direttrice sensibilmente differente, che lascia tuttavia spazio a margini di perplessità. Si fa in particolare riferimento alla sentenza n. 110 del 1998, le cui argomentazioni sono state integralmente ribadite nella successiva sentenza n. 410 del 1988, riguardante la medesima vicenda. Decidendo in ordine ad un ricorso per conflitto di attribuzioni tra la Presidenza del Consiglio e la procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, la Corte ha affermato che, "alla luce della disciplina vigente, che non delinea alcuna ipotesi di immunità sostanziale collegata all'attività dei servizi informativi, l'opposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei ministri non ha l'effetto di impedire che il pubblico ministero indaghi sui fatti di reato cui si riferisce la notitia criminis in suo possesso ed eserciti se del caso l'azione penale, ma ha l'effetto di inibire all'autorità giudiziaria di acquisire e conseguentemente di utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto. Tale divieto riguarda l'utilizzazione degli atti e documenti coperti da segreto sia in via diretta, ai fini cioè di fondare su di essi l'esercizio dell'azione penale, sia in via indiretta, per trarne spunto ai fini di ulteriori atti di indagine, le cui eventuali risultanze sarebbero a loro volta viziate dall'illegittimità della loro origine". La Consulta non ha dunque aderito, per questo aspetto, alle considerazioni svolte dalla Presidenza del Consiglio secondo cui l'opposizione del segreto inibirebbe in modo assoluto all'autorità giudiziaria la conoscenza dei fatti ai quali il segreto si riferisce, e quindi precluderebbe al pubblico ministero di compiere qualsiasi indagine, anche se fondata su elementi di conoscenza altrimenti acquisiti. Tale impostazione - ad avviso della Corte - altererebbe in questa materia l'equilibrio dei rapporti tra potere esecutivo e autorità giudiziaria, che debbono essere improntati al principio di legalità. Il pubblico ministero, una volta preso atto della opposizione e della conferma del segreto di Stato, può dunque procedere nelle indagini strumentali all'esercizio dell'azione penale e compiere ulteriori atti di indagine diretti ad acquisire aliunde elementi di conoscenza sui fatti incisi dal segreto di Stato. Non è ovviamente questa la sede per una disamina di tale orientamento, che meriterebbe trattazione diffusa e separata. Si rileva solo incidentalmente che esso appare suscettibile di determinare conseguenze paradossali. Si pensi al caso in cui con il Presidente del Consiglio abbia opposto il segreto di Stato in ordine ad un documento dal quale risultino descritti i particolari di una determinata operazione, debitamente autorizzata e rispondente alle finalità istituzionali dell'organismo informativo, con l'intento di preservare l'anonimato di coloro che la abbiano compiuta. È evidente che la notizia il cui disvelamento comprometterebbe la sicurezza dello Stato coincide proprio con l'identità ditali operatori ed è quest'ultima che dovrebbe costituire oggetto del "divieto assoluto di comunicazione a terzi" (LABRIOLA, op. ult. cit., p. 73), di cui si sostanza il segreto di Stato. La pronuncia della Corte testé ricordata si limita invece a vietare all'autorità giudiziaria procedente l'utilizzo del documento in quanto mezzo di prova, ma non le precluderebbe di accertare per altra via i fatti e le notizie desumibili dal documento medesimo, e dunque, in sostanza, la stessa identità degli operatori, con conseguente pregiudizio per le esigenze della sicurezza dello Stato che la stessa Consulta ha espressamente posto al vertice degli interessi garantiti dalla Costituzione. Per quanto di più diretto interesse ai fini del presente studio, dall'orientamento in questione discenderebbe la possibilità per il Parlamento, che si sia visto opporre il segreto di Stato da parte dell'Esecutivo, di acquisire gli elementi di conoscenza di suo interesse attraverso altri strumenti. Come si vedrà infra, tale profilo non riveste tuttavia lo stesso rilievo nel contesto dei rapporti Parlamento-Governo, in virtù della natura politica delle funzioni svolte dai due organismi e della possibile non indispensabilità di tutte le informazioni e le conoscenze relative ad un determinato settore per la formulazione di giudizi e valutazioni politiche cui il Parlamento intenda dare corso.
(24) Si pensi, ad esempio, alla progressiva partecipazione alle Camere, da parte del Presidente del Consiglio pro tempore Andreotti, tra l'ottobre 1990 ed il febbraio 1991, dell'esistenza della struttura Stay behind denominata "Gladio" e dell'elenco nominativo di coloro che vi avevano collaborato, malgrado la medesima fosse ancora formalmente operativa.
(25) Per la XIII legislatura, si ricordano ad esempio i numerosi atti ispettivi presentati con riferimento all'arrivo in Italia del leader curdo Abdullah Ocalan ed all'attività svolta al riguardo dai nostri organismi informativi nonché in merito alla vicenda del cosiddetto "dossier Mitrokhin", svolti in Assemblea spesso nell'ambito del question time.
(26) Per la XI legislatura, si vedano le risposte fornite alle interrogazioni n. 4-01250, 4-01638, 4-07406 e 4-07730; per la XII, la risposta all'interrogazione n. 4-0484.
(27) Esemplificazione significativa è data dalla risposta all'interrogazione n. 4-02041 della XI legislatura.
(28) I servizi di sicurezza in Italia - l'indagine conoscitiva della I Commissione Affari costituzionali e le relazioni del Governo al Parlamento, Roma, Camera dei deputati, 1988, p. IX.
(29) Per tutte le citazioni testuali del capoverso, ibidem, pp. 283-284.
(30) È evidente che in questa sede si fa riferimento alle inchieste parlamentari che abbiano come oggetto specifico e principale l'azione e la struttura degli organismi informativi, e non i fenomeni potenzialmente oggetto dell'attività di questi ultimi (terrorismo, criminalità organizzata, eccetera), inchieste nel cui ambito i servizi di informazione e sicurezza possono cioè essere presi in considerazione in via eventuale e come uno degli elementi di interesse, ma non costituiscono il centro programmatico dell'attività della Commissione di inchiesta.
(31) Ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge n. 93 del 1969, lo scopo della Commissione era: "a) accertare, secondo le indicazioni contenute nella relazione della commissione ministeriale di inchiesta, nominata con decreto ministeriale 12 gennaio 1968 e presieduta dal generale Lombardi, le iniziative prese e le misura adottate nell'ambito degli organi competenti in materia di tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza in relazione agli eventi del giugno-luglio 1964; b) esaminare quali di tali iniziative e misure debbano considerarsi in contrasto con le disposizioni vigenti e gli ordinamenti costituiti per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza; c) formulare proposte in relazione ad un eventuale riordinamento degli organi preposti alla tutela della sicurezza e alla tutela dell'ordine pubblico ed in relazione alla disciplina vigente in materia di tutela del segreto, ai fini di una ordinata ed efficiente difesa della sicurezza esterna ed interna conforme all'ordinamento democratico dello Stato".
(32) Sulla vicenda del cosiddetto "archivio Mitrokhin" si veda la relazione del Comitato parlamentare di controllo per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato Sull'attività svolta dai servizi di informazione e sicurezza in ordine alla cosiddetta "documentazione Mitrokhin", XIII legislatura, doc. XXXIV, n. 6.
(33) Si porrebbe tra l'altro il problema della partecipazione delle informazioni coperte dal segreto di Stato ad un novero di soggetti obiettivamente più ampio di quello formalmente abilitato a prenderne cognizione, con i conseguenti rischi sul piano della divulgazione della notizia, tanto maggiori quanto più alto (e meno assoggettabile a controllo) è il numero degli individui che ne sono a conoscenza. A tale rischio potrebbe per altro porsi rimedio disponendo la segretezza assoluta (ovvero disponibile a maggioranza qualificata) dei lavori dell'organo parlamentare e degli atti da questo formati o acquisiti (come del resto trovasi disposto nelle proposte di legge Arlacchi e Soda menzionate nel testo).
(34) Si vedano al riguardo le proposte di legge AS on. 4243, 4260, 4270, 4281, 4289 e 4299.
(35) Il progetto licenziato dalla Commissione, che non risulta sia stato ancora esaminato dall'Assemblea, reca il n. 1951 e ne è relatore il deputato Arthur Paecht, vicepresidente della Commissione difesa; il testo è stato predisposto sulla base dell'originaria proposta di legge n. 1497, presentata dal Presidente della Commissione difesa, Paul Quilès.
(36) Saranno presi principalmente in considerazione i progetti di legge AS 4162, di iniziativa governativa, recante Disciplina del sistema informativo per la sicurezza, e l'AS 3137, di iniziativa del senatore Manfredi, recante disciplina dei servizi informativi per la sicurezza della Repubblica e tutela del segreto, in considerazione del carattere generale degli interventi ivi previsti, volti in entrambi i casi ad un riordino complessivo del sistema delle informazioni per la sicurezza dello Stato.
(37) Del quale trovasi adombrata qualche traccia, in un contesto per altro differente e con differenti motivazioni, nella citata sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 1998.
(38) Vedi doc. XXXIV, n. 4, par. 1, p. 9.
(39) Diversa è ovviamente la questione dell'adeguatezza del riscontro rispetto alle esigenze conoscitive del Comitato, che è profilo di ordine squisitamente politico e sul quale dunque non mette conto intrattenersi in questa sede.
(40) Si veda in proposito la prima relazione presentata dal Comitato alle Camere nel corso della XIII legislatura (Sulla raccolta e conservazione delle informazioni riservate, doc. XXXIV, n. 1), in cui si rileva come "sin dall'entrata in vigore della legge n. 801 del 1977, in numerose occasioni tanto da potersi configurare una prassi in tal senso sono stati acquisiti atti, documenti e rapporti formati dai Servizi. Si è quindi progressivamente consolidata - con un forte impulso del Comitato in tale direzione - una interpretazione adeguatrice e funzionale del dettato legislativo, che ha consentito in definitiva al Parlamento di prendere conoscenza, in forma legittima, di vicende ed episodi talora estremamente rilevanti per la ricostruzione politica di alcuni episodi della storia del nostro Paese. (...) Il Comitato auspica vivamente che a tale prassi, ed alla corrispondente interpretazione funzionale della norma, il Governo intenda continuare a far riferimento, in attesa della non più procrastinabile riforma legislativa che consacri il diritto vivente" (pp. 9-10).
(41) Si vedano ad esempio i documenti posti a disposizione del Comitato dal Vicepresidente del Consiglio pro tempore, delegato per la materia delle informazioni per la sicurezza, con riferimento ai casi Ocalan (Doc. XXXIV, n. 4) e Mitrokhin (Doc. XXXIV, n. 6).
(42) Appare opportuno precisare che tale espressione viene utilizzata in senso atecnico, non essendo riconducibili le funzioni del Comitato a quelle proprie del controllo, così come individuate dalla teoria generale del diritto pubblico, risultando semmai più vicine alla nozione di vigilanza. Per altro, avendo fatto oramai la prassi premio sul rigore dogmatico, si continuerà ad utilizzare, con la precisazione di cui sopra, il termine "controllo".
(43) La Gesetz über die parlamentarische Kontrolle nachtrichtendienstlicher Tätigkeit des Bundes (PKKG) risale all'11 aprile 1978 ed è stata significativamente modificata da due successive novelle legislative, in data 27 maggio 1992 e 17 giugno 1999.
(44) Diversamente da quanto accade allo stato nel nostro ordinamento, che prevede l'obbligo per il Governo, ai sensi dell'articolo 11, primo comma, della legge n. 801 del 1977, di riferire semestralmente al Parlamento (e non al Comitato parlamentare) con una relazione scritta sulla politica informativa e della sicurezza e sui risultati ottenuti (e non specificamente sull'attività dei servizi di informazione e sicurezza).
(45) Può ricordarsi in proposito che nel Regno Unito l'organo di controllo parlamentare (l'Intelligence and security Committee) può richiedere ogni informazione ai direttori delle agenzie, che hanno per altro la facoltà di non fornirle nel caso in cui ricorra una delle seguenti circostanze: a) le informazioni richieste siano "sensibili" (sensitive informations), ovvero identifichino fonti informative o metodi operativi dei servizi oppure si riferiscano a particolari operazioni legate all'attività degli stessi, o riguardino infine documentazione fornita dalle agenzie di intelligence di altri paesi; in tutti i casi precedenti, i responsabili delle agenzie debbono ritenere non opportuna la diffusione delle notizie richieste, ma è tuttavia facoltà del Ministro competente renderle disponibili ove ritenga che ciò sia vantaggioso per il pubblico interesse; b) il ministro competente decida che le informazioni non debbano essere fornite, con riferimento al canone specifico secondo cui le notizie sono di tale natura che, anche in presenza di una richiesta proveniente da qualunque altra Commissione della House of Commons, il Ministro riterrebbe comunque non opportuna la loro diffusione (Intelligence services act 1994, articolo 10, e allegato 3, articolo 3).
(46) Per ciò che attiene ad esempio agli apporti informativi dei servizi di paesi stranieri, basta considerare i riferimenti agli organismi informativi russi contenuti nella relazione del Comitato sul caso Ocalan (Doc. XXXIV, n. 4, paragrafo 2, p. 12 e passim) e, soprattutto, il fondamentale contributo fornito dai servizi di informazione e sicurezza del Regno Unito in relazione alla produzione della cosiddetta "fonte Impedian": nel caso fosse risultata vigente la disposizione del disegno di legge di cui si è detto ed il Comitato si fosse trovato nella formale impossibilità di venire a conoscenza di tale apporto, sulla delicata vicenda Mitrokhin non si sarebbe mai potuto instaurare con l'Esecutivo alcun tipo di confronto, che ha invece consentito al Comitato, attraverso la relazione presentata al riguardo alle Camere (Doc. XXXIV, n. 6) e successivamente discussa dall'Assemblea della Camera, di ragguagliare con rigore l'opinione pubblica in merito ad un caso particolarmente complesso ed oggetto di interpretazioni non sempre equilibrate.
(47) "Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è istituito un Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza con funzioni di consulenza e proposta, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, sugli indirizzi generali e sugli obiettivi fondamentali da perseguire nel quadro della politica informativa e di sicurezza. Il Comitato è presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri ed è composto dai Ministri per gli affari esteri, per l'interno, per la grazia e giustizia, per la difesa, per l'industria e per le finanze".
(48) La direttiva interpretativa indirizzata con lettera del 29 novembre 1978 dai Presidenti delle Camere al Presidente del neoistituito Comitato, onorevole Pennacchini, si muoveva invece ancora nel senso di escludere l'esercizio di poteri di interpello diretto di membri del Governo facenti parte del CIIS (e, a fortiori, di dirigenti dell'amministrazione), proprio alla luce del tenore letterale dell'articolo 11, terzo comma, della legge n. 801 del 1977, che avrebbe indicato con chiarezza nel CIIS, come organo collegiale, l'interlocutore del Comitato, e non anche i singoli ministri componenti del medesimo.
(49) Nel senso di escludere la possibilità di audire i direttori degli organismi informativi si pronunciava ancora TROISIO, op. ult. cit. p. 132, non senza per altro prefigurare il verosimile superamento di tale posizione in via di prassi, alla luce della volontà politica che in tal senso il Comitato avrebbe potuto esplicitare e della connessa, conseguente disponibilità eventualmente manifestata dall'Esecutivo.
(50) Oltre ad audizioni dei vertici delle forze di polizia, che - come è noto - non svolgono attività di intelligence in senso tecnico, ma che in passato hanno avuto più volte modo di confrontarsi direttamente e personalmente con il Comitato, sono state svolte audizioni di dirigenti di società di gestione di servizi (l'amministratore delegato di Telecom Italia, in data 24 ottobre 1995) ovvero, ancora, di privati cittadini (tale dovendosi ritenere, ad esempio, il senatore Antonio Di Pietro, che, all'epoca della sua audizione, svoltasi il 15 febbraio 1996, già non risultava più appartenere ai ruoli della magistratura e non aveva ancora assunto cariche pubbliche).
(51) Svoltesi nella XII legislatura in data 29 novembre 1994 e 8 febbraio 1996.
(52) Si veda da ultimo l'audizione svoltasi il 30 gennaio 1996.
(53) TROISIO, op. ult. cit., p. 131.
(54) Si tratta dei Ministri degli affari esteri, dell'interno, della difesa e dell'Autorità delegata nella materia delle informazioni per la sicurezza dello Stato, ove esistente. Ad essi possono aggiungersi, su invito del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alle questioni da trattare, i Ministri della giustizia, dell'industria, delle finanze e del tesoro. La composizione dell'organismo può essere ancora integrata da ulteriori soggetti, indicati all'articolo 4, comma 4, secondo periodo, del disegno di legge.
(55) È singolare notare come la soluzione prevista al disegno di legge del Governo risulti più restrittiva anche di quella contemplata dal progetto di legge attualmente all'esame dell'Assemblée Nationale, volto ad istituire per la prima volta apposite istanze di controllo parlamentare sull'attività degli organismi informativi. Secondo tale progetto di legge, le Delegazioni parlamentari preposte al controllo nell'ambito di ciascuna Camera "ascoltano i Ministri competenti ed i direttori di ciascun servizio o qualsiasi altra persona posta sotto la loro autorità e da loro delegata".
(56) Al quale sono (o dovrebbero essere) deputati organismi specificamente competenti nella materia del riscontro degli atti amministrativo-contabili delle pubbliche amministrazioni. Si veda al riguardo la terza relazione presentata alle Camere dal Comitato nella XIII legislatura, concernente proprio "Il controllo amministrativo-contabile sugli atti dei servizi di informazione e sicurezza" (Doc. XXXIV, n. 3).
(57) Ciò non risulta per altro accaduto in occasione dell'approvazione della legge di bilancio per l'esercizio 2000 (legge 23 dicembre 1999, n. 489).
(58) Nella relazione predisposta per l'anno 1996 dall'Intelligence and Security Committee si dà conto, ad esempio, della particolare cura posta dal Comitato nel verificare l'adeguatezza delle risorse pubbliche attribuite alle varie agenzie in relazione alla qualità ed alla quantità degli obiettivi ad esse assegnati. Con riferimento agli stanziamenti per il periodo 1997-2000, emerge inoltre un'attività di consultazione tra Comitato parlamentare ed agenzie informative sotto il profilo dell'eventuale revisione dei piani di azione con riferimento alle dotazioni di bilancio. Risulta altresì una specifica segnalazione del Comitato circa la necessità di aumentare gli stanziamenti destinati all'attività dell'agenzia competente per la tutela delle comunicazioni governative e per l'attività di signal intelligence (SIGINT), in considerazione del progressivo depauperamento delle risorse umane ad altissima qualificazione professionale derivante dalla perdita di concorrenzialità sul mercato delle retribuzioni corrisposte dal
l'organismo pubblico.
(59) Alle sedute in cui vengono presi in considerazione i bilanci preventivi dei servizi, i membri del Vertrauensgremium e della Commissione parlamentare di controllo possono prendere parte con voto consultivo alle sedute dell'organismo di cui non sono membri.
(60) Con legge 11 maggio 1995, n. 11.
(61) Risoluzione della Presidenza del Congreso de los diputados sull'accesso alle materie classificate del 2 giugno 1992.
(62) Senate Resolution n 400; 94th Congress, 2nd session, 19 maggio 1976, sezione 4, lettera (c); House Resolution n. 658; 95th Congress, 1st session, 14 luglio 1977, sezione 2.3, lettera (c).
(63) Presenta invece margini di indeterminatezza la formulazione dell'articolo 2, comma 5, del progetto di legge AS 3137, che attribuisce al Comitato parlamentare "la verifica preventiva dei progetti di bilancio e dei consuntivi concernenti capitoli di spesa relativi ai fondi ordinari e riservati dei servizi d'informazione e sicurezza", non risultando specificato con chiarezza (oltre al dato puramente contabile cui si fa ivi riferimento) a quali esiti tale verifica debba condurre. Al di là di tale profilo, anche solo a ritenere che dalla disposizione richiamata discenda a carico del Governo l'obbligo di trasmettere al Comitato i documenti di bilancio ivi considerati (che potranno quindi essere esaminati dal Comitato medesimo secondo le ordinarie forme proprie della sua attività), ci si troverebbe di fronte ad una soluzione che consentirebbe senz'altro di porre rimedio all'attuale lacuna legislativa.
(64) Rispettivamente in Doc. XXXIV, n. 3, p. 22, sul punto di principio, e Doc. XXXIV, n. 4, pag. 17, in cui il giudizio sull'operato dei servizi di informazione e sicurezza in merito all'arrivo del leader curdo in Italia viene espressamente riferito all'efficacia dell'azione dei medesimi, da valutare per altro anche alla luce delle risorse disponibili per "coprire" le priorità ad essi assegnate.
(65) Si pensi alla Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza sul sistema radiotelevisivo, cui sono attribuiti insieme poteri di vigilanza, di indirizzo e normativi.
(66) Le intrusioni possono essere effettuate prima dell'autorizzazione della Commissione solo nei casi di pericolo imminente.
(67) Articoli 2 e 3 e della legge sulla limitazione del segreto epistolare, postale e delle telecomunicazioni (Gesetz zu Beschrankung des Brief-, Post-, und Fernmeldegeheimnisses (Gesetz zu Artikel 10 Grundgesetz "G10" - 1968) del 13 agosto 1968, come modificata da ultimo dalla legge 17 giugno 1999.
(68) È prevista inoltre la possibilità che la Commissione si attivi di propria iniziativa o su istanza di parte.
(69) Fatta eccezione per il mandato di coloro che siano subentrati ad un membro cessato anticipatamente dalle funzioni a meno di due anni dalla scadenza naturale del mandato di quest'ultimo.
(70) Attualmente i posti di nomina parlamentare sono equamente divisi tra maggioranza ed opposizione, risultando in carica, per la maggioranza, il deputato Jean-Michel Boucheron (gruppo socialista) e, per l'opposizione, il senatore Paul Masson (gruppo del Rassemblement pour la République).
(71) Con la medesima eccezione di cui alla nota n. 51.
(72) Anche nell'ambito della Commissione consultiva i membri di nomina parlamentare sono attualmente divisi equamente tra maggioranza ed opposizione, risultando in carica, per la maggioranza, sempre il deputato Jean-Michel Boucheron (gruppo socialista) e, per l'opposizione, il senatore Pierre Fauchon (gruppo dell'Union centriste).

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