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Per Aspera Ad Veritatem n.21
Di fronte all'Islam. Il grande conflitto

Gianni Baget Bozzo - Casa Editrice Marietti, Genova, 2001





Nell'aprile di quest'anno il politologo ed opinonista sacerdote di Savona, Don Gianni Baget Bozzo, dava alle stampe, per i tipi della Marietti, un libro tanto esplosivo - specie dopo l'11 settembre - quanto stimolante per una riflessione disincantata sull'universo islamico. Il saggio appare in linea con le più fosche predizioni di Clash of Civilisations di Huntington o con le linee di frattura coincidenti delineate da Sartori nel suo saggio dello scorso anno (Pluralismo, multiculturalismo ed estranei, la cui recensione è apparsa sul n. 18 della rivista, settembre-dicembre 2000).
Il politologo, che in questi ultimi anni ha riscoperto la sua vocazione teologica (sempre nel 2001 aveva scritto un altro saggio, più interno al mondo cattolico, l'Anticristo), delinea quell'antagonismo, a suo dire irriducibile, tra Cristianesimo ed Islam che li vede uno di fronte all'altro ("fronte" nel senso latino di "versus", "contro").
Ripercorrendo le tappe più significative della filosofia teologica islamica, Baget Bozzo afferma che tale religione nasce fondamentalmente "non" pagana e "non" biblica. Tutto sarebbe chiuso in quel "non".
Perciò, irriducibile avversione a quanto lo aveva preceduto, cioè la cultura arabo-pagana e giudeo-cristiana, ma solo dopo averle assunte e "digerite".
Se il cristianesimo o le radici bibliche erano state assunte, non è avvenuto attraverso una loro valorizzazione bensì negandogli autenticità ed inglobando, nel Corano o la Sunna, l'interpretazione che ne era stata fatta da Maometto.
Baget Bozzo la definisce meontologia intesa come negazione (mè) dell'ontologia (studio dell'essere).
L'Islam, cioè, si afferma come negazione del valore di qualunque cosa ad esso precedente e di qualunque essere, quindi anche dell'essere umano in sé. Tale valore è ottenuto solo dalla totale sottomissione al Dio coranico e al suo volere, da cui deriva la dignità umana e l'asserita uguaglianza.
A livello antropologico, perciò, vi è una differente essenza costitutiva dell'uomo. Nel Cristianesimo l'Incarnazione del Verbo oltre a rafforzare l'inalienabile dignità della persona umana dice anche che la mente umana possa pensare la Verità ed addirittura realizzarla nelle sue opere. La Verità, quindi, è assoluta e comunicabile in quanto suppone che l'uomo abbia una "comune misura" con il Logos.
Questo concetto nella religione islamica si perde totalmente. Secondo il politologo di Savona il motivo è dovuto al fatto che il "Profeta" è cresciuto grazie alle influenze cristiano-nestoriane - e quindi ariane e gnostiche - che, avendo una visione negativa della creazione, promuovevano la dissoluzione del mondo, mentre il cristianesimo ne sponsorizzava la costruzione. Inoltre, continua l'Autore, Maometto ha costruito una religione e non ha voluto essere "solamente" il profeta degli arabi, ma presentare la sua religione come l'ultima suprema e definitiva rivelazione. Così, intuendo la dimensione universale del cristianesimo, ne ha ridotto l'ampiezza declassando Cristo all'ultimo profeta del popolo ebraico, mentre ha fatto di se stesso il primo profeta rivolto a tutti gli uomini.
Inoltre, ha dovuto anche eliminare la nozione di Patto che vincolava Dio al popolo ebraico.
Pertanto, prosegue il politologo, era necessario togliere la Divinità a Cristo e l'Alleanza a Mosè.
Il nuovo credo poi, si è rivelato incompatibile con la filosofia e, dopo un primo periodo di splendore, tale filone ben presto si esaurì. Questo perché Allah poteva essere solo obbedito e non pensato.
Il Corano, come Parola dettata da Dio, ha annullato la Storia precedente (perché la Creazione comincia con il testo sacro islamico) e ha reso inaccessibile agli esegeti il metodo storico critico, in quanto il testo appartiene all'ordine meta-temporale. Per questo motivo è stata sempre impossibile la ricerca delle fonti, delle influenze, dei versetti aboliti o perduti (Salman Rusdhie è stato condannato a morte per aver trovato i residui politeisti, appunto i "versetti satanici"). Ogni ricerca storica, così, è diventata empia.
Maometto, quindi - continua l'Autore - non è un profeta in senso biblico in quanto davanti a Dio egli non esiste, non è ispirato da lui, non è una persona umana con il suo gioire ed il suo patire ma solo un mero scrivano e, se fosse vissuto oggi, sarebbe stato un "computer".
Pertanto il teologo di Savona evidenzia l'assoluta mancanza di relazione tra Dio e l'uomo e tra Dio e il mondo creato.
Infatti, come le persone, così anche la stessa realtà non esiste in quanto creata ma quale frutto di un "continuo atto divino" e non ha l'essere per se stessa. E' la Volontà divina il fondamento del Corano, la quale, però, rimane ignota e in nessun caso è possibile capirla. Essa non si rivela come il Dio giudeo-cristiano, perché non vi è alcuna possibilità per l'uomo di coglierla, per analogia - direbbero i teologi cattolici - perché nulla è analogo tra l'uomo e Dio. "Il Dio coranico non rivela se stesso, ma il suo Comando". Egli è Volontà pura, Volontà volente di cui non si conosce la consistenza ontologica, che è indipendente dal mondo e che non è legata nemmeno dalle sue stesse volizioni. Essendo volontà assoluta è puntuale, non incorpora le sue evoluzioni e, pertanto, può anche annullare i suoi verdetti precedenti (fatto questo essenziale per poter spiegare le molte contraddizioni presenti nel Corano, per cui l'ultima parola ha valore maggiore rispetto a quelle precedenti). Inoltre tale Volontà si pone come discriminazione tra il musulmano e il non musulmano che rappresenta il male e la cattiva esistenza. Ciò che non è islamico diviene così esistenza contro la volontà creante. "Dio non annulla il non musulmano perché la volontà volente si realizza come volontà voluta solo nei musulmani. Essi sono chiamati a portare la condanna coranica nel mondo non credente, il mondo della cattiva esistenza". Per cui, continua, "vi sono due livelli di esistenza coranica: ciò che è conforme al Corano, ha titolo di esistere, ciò che non è conforme non ha titolo di esistere. Il Dio coranico pone come male esistenziale le realtà che si oppongono al Corano". In questo senso, il politologo ravvisa le radici dualistiche gnostiche nel tema della "cattiva esistenza", anche se questa non è più legata alla "materialità" ma all'essere "non musulmani", e sostituisce l'ascetismo gnostico con la spada della guerra santa.
I riflessi a livello sociale sono quelli di una società universale - quella musulmana - alternativa e contrapposta a tutte le altre tale che "prefigura una società combattente.(...) Il principio del combattimento è essenziale all'Islam". E questo perché, essendo essenzialmente una religione esteriore che obbliga poi la dimensione interiore - con un processo inverso a quello cristiano - non chiede l'assenso interiore e quindi libero della fede ma solo l'atto esteriore della sottomissione. Il fine non è l'unione tra Dio e l'uomo ma la conformità della volontà voluta (umana) alla Volontà volente (divina). Allora il Dio coranico è Legge e non Spirito.
Di conseguenza la stessa Umma islamica si fonda esclusivamente sulla Volontà volente del Dio coranico e non è una società civile o politica, essa non fa parte dell'ordine naturale. La società civile e quella politica non possono essere, come lo sono per il cristiano, un bene in sé. Così, "rispetto alla società esistente l'Islam ha una volontà rivoluzionaria". Ancora oggi questa contraddizione con l'ordine politico è al centro della tensione tra Stati dell'area islamica e Umma.
L'unico obiettivo della Volontà volente, che è interamente intramondano, è quello di distruggere l'infedeltà. Il Dio coranico lascia vivere l'infedele solo perché venga convertito o annientato. "Questa è la Jihad islamica". Il mondo esiste per la sua fine, consumazione del mondo falso, e l'escatologia è la suprema parola del Corano. Lo stesso musulmano, volontà voluta, può solo annullare la propria volontà di fronte al Dio coranico che si manifesta come Comando.
Non diversamente, la Umma non esiste come comunità intesa nel senso occidentale, "che suppone un'adesione interiore, un'identità del cuore. Il vincolo è stabilito solo dalla comune soggezione al Dio coranico. (...) Il musulmano non conosce la realtà occidentale della persona né quella della comunità".
Pertanto, asserisce il politologo, la distruzione del Cristianesimo non è un suo fine strategico, e quindi politico, ma glielo impone la sua stessa natura. Sicuramente, continua, questo non significa "che singoli o la realtà globale del mondo musulmano siano riconducibili all'idea coranica, ma è certo che non è possibile prescinderne".
Quindi, nella parte conclusiva del suo saggio, analizza le differenti reazioni che hanno preso forma nel mondo islamico attraverso le diverse opzioni politiche (Libia, Iran, Irak, Arabia Saudita) di fronte all'imporsi della modernità occidentale illuminista, che è poi un cristianesimo secolarizzato. Baget Bozzo insiste nel dire che ancor più oggi c'è "un approfondimento dell'essenza anti-cristiana dell'Islam, che non trova alcun contrasto.". Questa virulenza anti-cristiana nasce dall'avvertire la sfida dell'Occidente provenire non più dalla sua religiosità bensì dalla sua laicità. Baget Bozzo la considera "una dittatura della religione sulla vita", che avverte la minaccia del "l'universalità della comunicazione (che) agisce contro l'islamizzazione della vita". Assorbire la tecnologia occidentale significa assorbirne la soggettività e i diritti civili fondamentali.
Pur essendo la modernizzazione il tema del conflitto che si svilupperà nei prossimi decenni nel mondo musulmano, tuttavia, "l'Islam non offre una base al riformismo dell'Islam". Infatti pensare che si possa creare una società civile "che abbia consistenza in se stessa e viva al ritmo del mondo è contrario al mito della shari'a e della identità musulmana".
Se questo è il problema della convivenza tra modernità e mondo islamico in terra musulmana, problema non minore è quello dell'immigrazione islamica in terra occidentale.
Riprendendo tematiche già espresse sia dal Card. Biffi che da Sartori, Baget Bozzo finisce il suo saggio descrivendo le comunità musulmane come comunità separate dal corpo sociale collettivo, evidenziando come le stesse moschee siano luoghi facilmente penetrabili dall'Islamismo politico. La loro forte identità determina una frattura culturale a causa di un diverso universo di riferimento rispetto a quello europeo e, inoltre, l'Europa sta incubando le tensioni interne alle comunità musulmane presenti in occidente, derivanti dal conflitto tra identità islamica e occidentalizzazione. Di questi rischi, conclude il saggio, dobbiamo essere pienamente coscienti.
Il libro del sacerdote di Savona - oltre ad essere di una travolgente attualità nell'analizzare così impietosamente le fondamenta teologiche e filosofiche della religione di Maometto - assume oggi certamente valore di monito per quanti, volutamente o meno, misconoscono il problema della differente "cifra" culturale che divide non solo la Cristianità dall'Islam ma ancor più l'Occidente secolarizzato dai seguaci del "Profeta".
Ma questa differenza non deve essere temuta come fonte ineluttabile di conflitti e, pertanto, è necessario uno sforzo congiunto non solo da parte degli "uomini di buona volontà" ma specialmente da parte degli uomini di cultura di entrambi i "fronti" per disinnescare una potenziale bomba che, se veramente dovesse esplodere in tutta la sua forza, probabilmente non avrebbe nessun vincitore.



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