Nel 1994 l'area industrializzata è uscita dalla recessione con uno slancio superiore alle più ottimistiche previsioni.
Per i paesi anglosassoni si sono confermati ritmi di crescita particolarmente sostenuti, che hanno esercitato importanti effetti di trascinamento sul resto del mondo. Nell'Europa continentale, col volgere dell'anno, gli spunti di ripresa si sono fatti via via più robusti. Alla recessione giapponese è succeduto un recupero.
Il processo di riassorbimento della disoccupazione, dapprima circoscritto agli Stati Uniti e al Regno Unito, ha coinvolto, dalla primavera-estate, i meno flessibili mercati del lavoro europei.
La fase disinflazionistica tipica del periodo recessivo si è conclusa. La progressione dei prezzi alla produzione e all'ingrosso ha mostrato un po' ovunque accelerazioni essenzialmente legate ai rincari delle materie prime sui mercati internazionali. Un'azione di calmieramento è stata per contro esercitata, nell'ambito dei singoli paesi, dalla svalutazione del dollaro, dalla moderazione delle dinamiche retributive e dai guadagni di produttività. Nei sistemi prossimi a situazioni di pieno impiego, come quelli anglosassoni, i rincari intervenuti negli stadi iniziali dei processi produttivi, hanno teso a trasferirsi sui prezzi al consumo.
Dinanzi al rischio di un ritorno inflazionistico, le politiche monetarie sono diminuite, con l'inoltrarsi dell'anno, via via più severe negli Stati Uniti e Regno Unito: al contrario, le autorità nipponiche hanno mantenuto su livelli minimi i tassi di interesse a breve per favorire la ripresa. Il rafforzamento del tono congiunturale ha indotto la banca centrale tedesca a interrompere la tendenza al ribasso del saggio ufficiale di sconto, che si è stabilizzato nella seconda metà dell'anno. Orientamenti analoghi sono prevalsi negli altri paesi comunitari. Incertezze politiche e altri fattori di debolezza hanno reso necessari, nella seconda parte del 1994, inasprimenti delle politiche monetarie in Spagna, Svezia e Canada.
Sui mercati dei cambi, il dollaro ha perduto nei confronti delle principali monete, causa il disavanzo delle partite correnti e i deflussi di capitali verso i mercati europei, giapponese e dei paesi emergenti. Dopo un lieve recupero nel novembre-inizio dicembre, il dollaro ha ripreso la discesa in concomitanza con la crisi del Messico.
Al riparo da tensioni per quasi l'intero 1994, le divise europee hanno risentito, tra la fine dello scorso anno e l'inizio del 1995, dei perturbamenti e instabilità dei mercati finanziari internazionali e in particolare della crisi del Messico che, deprimendo il cambio marco/dollaro, ha suscitato tensioni nell'ambito dello SME. I contraccolpi sono stati avvertiti non solo nei paesi con parametri fondamentali meno soddisfacenti, quali Spagna e Portogallo, ma anche in Francia.
Lo scenario dei sistemi in transizione, pur sempre problematico, ha denotato schiarite nei casi in cui la strada della liberalizzazione e della stabilizzazione è stata percorsa con maggior decisione. Se perciò Paesi Baltici, Polonia, Ungheria, Slovenia e Albania sono tornati a crescere, la lentezza delle riforme e la laboriosità della riconversione industriale inibiscono in Bulgaria un chiaro movimento di ripresa. Il decollo della Russia viene ostacolato dall'incerto procedere in tema di riforme istituzionali e dalle tensioni politiche fra stati federati, come dimostrano anche le vicende belliche cecene. La situazione resta pesante negli stati transcaucasici e centro-asiatici già appartenenti all'URSS. Nella eterogenea area in via di sviluppo, si è confermato il dinamismo dei paesi gravitanti nel bacino del Pacifico cui si sono aggiunte l'India e la Cina.
Le difficoltà del continente africano e in particolare della zona sub-sahariana sono state alleviate dal miglioramento del quadro economico mondiale e dal rimbalzo dei costi delle materie prime.
La moderata espansione del Sud-America sintetizza andamenti difformi. L'eccezionale performance peruviana (con un incremento del PIL stimato nel 1994 prossimo al 10%) si è accompagnata ad uno sviluppo intorno al 5% per Argentina, Cile, Colombia e al regresso del Venezuela. La crescita del Messico è stata tra le più deboli. In quest'ultimo paese, la crisi di insolvenza di fine 1994 è stata affrontata con il sostegno degli Stati Uniti e degli organismi di credito internazionali.
Gli Stati Uniti, nel quarto anno di espansione, hanno visto protrarsi le sostenute cadenze di crescita già in atto. Si è confermata la robustezza del ciclo di investimenti avviato nel 1992-93 in un contesto monetario eccezionalmente favorevole: soddisfacenti margini di profitto, elevato grado di utilizzazione degli impianti e rassicuranti prospettive di domanda hanno infatti agevolato l'ampliamento e l'ammodernamento della capacità produttiva. Si è nel contempo delineato un nuovo ciclo di scorte. L'edilizia abitativa si è sviluppata soprattutto nella prima parte del 1994, sospingendo la vasta gamma di attività collegate. La rapida progressione dei redditi - in una con l'abbassamento della propensione al risparmio - hanno alimentato la domanda delle famiglie, controbilanciando gli orientamenti restrittivi del governo in materia fiscale.
Gli inasprimenti monetari intervenuti in corso d'anno e volti a riportare i ritmi di crescita entro limiti più consoni con le esigenze di stabilità, hanno avuto qualche contraccolpo, eminentemente concentrato nell'edilizia. Il 1994 si è chiuso con apprezzabili risultati per quanto riguarda un vasto insieme di fenomeni reali e in particolare la produzione industriale, aumentata in media di circa il 5 per cento.
Conclusasi a fine 1993, la recessione nipponica ha fatto posto a una fase di assestamento. Le disponibilità reali delle famiglie si sono accresciute grazie alle politiche anticicliche, incentrate su programmi di opere pubbliche, sgravi della fiscalità diretta e aumento dei consumi governativi. L'allargamento dei margini operativi delle imprese si è da parte sua riflesso in una accelerazione delle dinamiche retributive, mentre l'incremento delle ore lavorate ha controbilanciato la deludente performance dell'occupazione, fattori che, tutti insieme, si sono cumulati nel sospingere la domanda di beni di consumo. Le attività di investimento si sono riavviate nei servizi e nell'edilizia abitativa, giovatasi sia della flessione dei prezzi dei terreni sia del basso costo del denaro. Il surplus di capacità - in specie nelle industrie mature, come la tessile e dell'acciaio - ha invece continuato a pesare sugli investimenti privati in attrezzature. La semionda ciclica discendente degli investimenti si è tuttavia esaurita.
Penalizzazioni sono derivate dall'apprezzamento dello yen che ha frenato le esportazioni e incentivato il trasferimento di molte produzioni nelle aree a basso costo di manodopera del sud-est asiatico e della Cina.
Il 1994 ha fatto registrare in Europa un'accelerazione dei ritmi di crescita dapprima essenzialmente sulla spinta delle esportazioni. L'allargamento dei principali mercati di sbocco ha in particolare favorito sia i paesi ove la moneta aveva subito deprezzamenti - come Spagna, Regno Unito e Svezia - sia la Germania che, avendo portato a compimento una incisiva ristrutturazione industriale, in un contesto di ritrovata moderazione salariale, ha visto notevolmente crescere la competitività dei propri prodotti.
Dopo una parentesi di flessioni, gli investimenti europei in attrezzature hanno dato cenni di ripresa, e si sono accresciuti nel Regno Unito, nei paesi minori del centro-nord e in parte di quelli scandinavi. In Germania, alla sostanziale invarianza degli immobilizzi nel primo semestre, è succeduto un rimbalzo nel secondo, favorito, tra l'altro, dal buon andamento dei profitti.
I consumi privati sono andati prendendo quota. La migliore performance è stata offerta dal Regno Unito e Danimarca, ma non sono mancati miglioramenti in Francia e nel nord-Europa. La domanda di consumo tedesca, penalizzata dalla modesta progressione delle disponibilità reali, ha mantenuto toni sommessi, nonostante un ulteriore abbassamento della propensione al risparmio delle famiglie.
Secondo le inchieste condotte presso i consumatori dell'Unione Europea, si è comunque diffusamente riaffacciata una certa inclinazione ad acquisti di beni durevoli e si è ridotto il pessimismo sulla situazione finanziaria delle famiglie e del sistema economico.
Le attività di produzione industriale hanno ripreso slancio raggiungendo o superando in molti paesi i massimi prerecessivi; il recupero è stato invece solo parziale nella Germania occidentale.
Nel raffronto tra la media 1994 e quella del 1993, il maggior accrescimento della produzione industriale è appannaggio della Norvegia, Svezia e Finlandia, con tassi dell'8-10%. Nel medesimo raffronto, il Regno Unito ha registrato una progressione dell'ordine del 5% mentre i risultati conseguiti dalla Francia, dalla Germania occidentale e paesi minori ad essa più strettamente collegati, si sono scaglionati fra il 2 e il 3 per cento.
Con il diffondersi e rafforzarsi degli impulsi espansivi, il mercato del lavoro ha segnato miglioramenti, evidenziatisi dapprima nei paesi anglosassoni.
Negli Stati Uniti, superata la parentesi tipicamente recessiva, l'occupazione aveva ripreso a crescere dall'inizio del 1992 assumendo poi ritmi via via più rapidi: le perdite occupazionali ascrivibili alla recessione sono state quindi più che compensate e il numero di occupati ha superato precedenti massimi. Tra gennaio e dicembre 1994 l'occupazione è aumentata del 2,1%, nuovi posti si sono creati presso le industrie manifatturiere avanzate e il terziario ha del pari visto crescere il numero degli addetti. Il tasso di disoccupazione, che nell'aprile del 1992 aveva toccato la punta ciclica del 7,2%, si è ridimensionato al 6,9% nel dicembre 1993; si è attestato nel 1994, secondo le nuove rilevazioni, intorno al 6%, generalmente considerato il livello minimo compatibile con una crescita non inflazionistica. Le dinamiche retributive sono perciò rimaste modeste e, grazie ai marcati guadagni di produttività, hanno contribuito a calmierare il costo del lavoro per unità di prodotto.
Anche il Regno Unito, ove sono stati raggiunti importanti traguardi in termini di razionalizzazione e snellimento delle normative, il mercato del lavoro è stato caratterizzato da un apprezzabile miglioramento, cui è corrisposta una discesa del tasso di disoccupazione dal massimo ciclico del 10,5% nel dicembre 1992 all'8,6% nel dicembre del 1994.
Il rafforzamento congiunturale ha iniziato a produrre positive ricadute anche nell'Europa continentale. Il tasso di disoccupazione, fortemente cresciuto dai primi anni novanta, ha toccato un tetto nella scorsa primavera-estate; si è poi stabilizzato in Francia, Germania, Svezia, Austria ed è ripiegato in Belgio e Danimarca. Proprio perché recenti, i miglioramenti hanno però trovato scarso riscontro nei consuntivi medi del 1994.
La situazione resta comunque problematica in Europa dato che le opportunità di impiego sono cresciute assai lentamente nel lungo periodo e, nella misura in cui questo è avvenuto, esse si sono concentrate nel settore pubblico.
Sebbene la disoccupazione ciclica sia destinata a essere parzialmente riassorbita durante l'espansione in atto, si ritengono necessari interventi volti ad accrescere la flessibilità nell'impiego di manodopera. Per esplorare le possibilità di un'azione in tal senso, gli organismi comunitari hanno condotto, attraverso sondaggi di opinione nell'ambito dei paesi membri, un insieme di ricerche da cui risulta come la disoccupazione di lungo periodo - vale a dire di durata superiore a dodici mesi nell'arco di un quinquennio - sia un problema particolarmente avvertito in Irlanda, Spagna e Grecia. Tra i principali ostacoli al processo di inserimento si porrebbe la scarsa qualificazione professionale, che spiega quindi le maggiori difficoltà della popolazione femminile.
Sussisterebbero comunque potenzialità di ampliamento della base occupazionale: gli intervistati si sono infatti espressi in favore di tempi lavorativi più brevi - mediamente del 6% - rispetto a quelli prestati. Circa il 15% di lavoratori a tempo pieno opterebbe inoltre per il part-time, formula quest'ultima richiesta anche dal 34% delle persone in cerca di un posto. Un'articolazione dell'orario lavorativo oltre le fasce considerate normali verrebbe accettata da una larga parte del campione intervistato.
Significativi passi sulla via della riduzione dell'orario contrattuale o della diffusione del part-time sono già stati compiuti, soprattutto nei Paesi Bassi.
In sintonia con la ripresa ciclica, il commercio internazionale, secondo valutazioni delI'OCSE afferenti al volume delle importazioni ed esportazioni, ha segnato nel 1994 vistosi progressi, espandendosi di circa il 9%, tasso che sintetizza una analoga evoluzione per l'area in via di sviluppo e per quella industrializzata. Nell'ambito di quest'ultima il maggior apporto è provenuto dagli Stati Uniti ove una vivace domanda interna ha spinto l'accrescimento delle importazioni al 15% mentre il deprezzamento del dollaro e i guadagni di competitività si sono riflessi in un incremento delle esportazioni pari all'11%. Il caro-yen ha penalizzato il Giappone le cui importazioni sono approssimativamente cresciute del 17%, a fronte di un quasi ristagno delle vendite all'estero.
In Europa risultati particolarmente favorevoli sono stati conseguiti dai paesi che hanno svalutato la propria moneta, come la Spagna, con esportazioni aumentate del 21%, alcuni dei paesi scandinavi e il Regno Unito. La Germania ha allargato le proprie quote di mercato grazie all'ammodernamento della base produttiva e al contenimento delle dinamiche dei costi della manodopera.
Le esportazioni dei paesi in via di sviluppo, che avevano conservato andamenti soddisfacenti anche durante la recessione dell'area dell'OCSE, sono state caratterizzate da un'accelerazione del movimento espansivo al 10%. I migliori risultati sono stati colti dagli esportatori di manufatti e specialmente da quelli asiatici, che occupano ormai una posizione rilevante nell'interscambio di categorie merceologiche già appannaggio dei sistemi industrializzati. La Cina, in passato prevalente fornitrice di materie prime, ha continuato a primeggiare nelle vendite di beni di consumo corrente, quali scarpe, tessuti e abbigliamento. Grazie anche a una struttura di costi particolarmente vantaggiosa, essa si è quindi collocata per questi prodotti tra i maggiori fornitori degli Stati Uniti e del Giappone.
Anche i paesi di nuova industrializzazione del sud-est asiatico hanno continuato ad alimentare i mercati internazionali con i prodotti ad alto contenuto di tecnologia, nonostante qualche difficoltà legata all'eccezionale progressione dei salari soprattutto in Corea del Sud e Taiwan.
L'America Latina, e in tale ambito soprattutto il Messico, ha registrato un rapido accrescimento delle esportazioni con prevalente destinazione verso gli Stati Uniti.
Nonostante un allargamento del volume delle vendite all'estero pari al 6%, i paesi OPEC hanno incontrato limiti alle proprie capacità di importazione nella flessione dei corsi petroliferi.
I paesi già a economia pianificata hanno, da parte loro, continuato a risentire della dissoluzione dell'ex URSS.
L'evoluzione dei paesi internazionali - con riferimento alle ragioni di scambio espresse in dollari - ha, nel complesso, comportato qualche vantaggio per i paesi dell'OCSE e soprattutto per il Giappone. Nei paesi in via di sviluppo, alle marcate perdite degli esportatori di petrolio hanno fatto da contrappeso i guadagni dei produttori delle altre materie di base.
Il 1994 ha segnato per l'economia italiana l'inizio di una nuova fase di crescita: il prodotto interno lordo, dopo il calo dell'anno precedente, è aumentato del 2,2 per cento. Il processo di ripresa avviatosi nella seconda parte del 1993 si è progressivamente rafforzato: al persistente sviluppo della domanda estera, favorito dalla positiva evoluzione del commercio internazionale, dal deprezzamento della lira e dalla moderazione dei costi di produzione, si è associato il recupero delle domanda interna.
L'attivo mercantile delle bilancia dei pagamenti è passato da 51.989 miliardi del 1993 a 56.999 miliardi. l'allargamento del commercio internazionale e l'accresciuta competitività di prezzo delle merci nazionali hanno determinato il permanere di un robusto trend di espansione delle vendite all'estero. Nell'intero anno le esportazioni di beni e servizi sono cresciute del 14,7% in valore e del 10,9% in volume. A fronte dell'irrobustirsi della domanda interna, uno sviluppo del pari sostenuto hanno registrato le importazioni (+16% e +9,8%, rispettivamente). I prezzi dei beni e servizi scambiati, dopo il notevole aumento del 1993, sono fortemente decelerati. Nel 1994, i deflatori all'esportazione e all'importazione sono cresciuti nell'ordine del 3,5% e del 5,7%, determinando una lieve perdita rispetto all'anno precedente delle ragioni di scambio. La positiva dinamica della bilancia commerciale ha favorito il miglioramento del surplus delle partite correnti che, cifratosi in 25.012 miliardi (circa 7.200 miliardi in più rispetto a un anno prima), ha consentito un'ulteriore riduzione del debito estero netto.
Nella media del 1994 gli investimenti fissi lordi sono risultati stazionari rispetto all'anno precedente (-0,1%). Si è interrotta in corso d'anno la fase ciclica negativa che aveva caratterizzato tale componente della domanda dalla fine del 1991. L'evoluzione complessiva è stata la sintesi di dinamiche divergenti nei due principali comparti: costruzioni e attrezzature, macchinari e mezzi di trasporto. Gli investimenti in costruzioni hanno scontato l'insufficiente sostegno proveniente dal settore delle opere pubbliche e il perdurare della fase di rarefazione dell'attività edilizia privata, portandosi su un livello inferiore del 5,2%, a quello del 1993. Viceversa, gli investimenti in attrezzature, macchinari e mezzi di trasporto hanno tratto vantaggio dalla maggiore propensione all'allargamento della base produttiva e dall'aumento dei margini di profitto delle imprese, denunciando una crescita del 5,3 per cento. I consumi privati hanno dall'altro lato manifestato una positiva impostazione, collocandosi su un sentiero di moderata espansione (+1,6%).
L'attività produttiva nel settore manifatturiero è risultata in forte crescita, in particolare nel comparto dei beni di consumo durevoli. L'intensificazione dei ritmi di produzione si è riflessa in un progressivo incremento del grado di utilizzo della capacità produttiva. In un quadro contraddistinto da un intenso sforzo di ammodernamento delle strutture, è risultata in moderata accelerazione anche l'attività del settore dei servizi destinabili alla vendita. Per contro il settore delle costruzioni ha accusato risultati ancora insoddisfacenti.
La ripresa dell'attività economica ha stentato a ripercuotersi sul mercato del lavoro. In linea con la performance positiva dei comparti maggiormente orientati ai mercati esteri e con il consolidamento della ripresa produttiva, le imprese industriali hanno sfruttato appieno le flessibilità esistenti per soddisfare il bisogno di lavoro aggiuntivo.
Le unità di lavoro hanno registrato una contrazione dell'1,6 per cento. Il calo è la risultante dell'ininterrotto processo di espulsione dal settore primario (-3,8%), dell'ulteriore riduzione dei posti di lavoro nell'industria (-2%) e del ridimensionamento degli organici nelle attività di servizio (-1,1%). L'evoluzione negativa ha riguardato sia il lavoro dipendente che quello indipendente. In parallelo al consolidamento della ripresa produttiva è emersa una forte riduzione del ricorso agli interventi ordinari della Cassa integrazione guadagni. Nella media del 1994, il numero delle persone in cerca di occupazione è aumentato di circa 220 mila unità, riflettendo l'andamento deludente della domanda di lavoro peraltro attenuato dalla contemporanea contrazione dell'offerta. In conseguenza, il tasso di disoccupazione è passato dal 10,2% del 1993 all'11,3 per cento.
Nella media del 1994 l'inflazione si è lievemente ridotta. Tuttavia, dalla seconda metà dell'anno il rallentamento dei prezzi al consumo si è interrotto. La tendenza accelerativa emersa già prima dell'estate nei prezzi alla produzione, sostenuta dall'aumento delle quotazioni internazionali delle materie prime e dal progressivo scivolamento delle parità della lira, si è gradualmente diffusa allo stadio finale di commercializzazione dei beni. Tali spinte lievitative sono state d'altro canto contenute dalla discesa del costo del lavoro per unità di prodotto e dall'esistenza di margini di capacità produttiva ancora inutilizzati.
L'aumento medio nel 1994 dei prezzi alla produzione dei prodotti manufatti è stato pari al 3,8%, un tasso superiore di solo un decimo a quello del 1993. Il ritmo di crescita tendenziale ha tuttavia subito una progressiva accentuazione nella seconda parte dell'anno: dal 3% di giugno al 5,4% di dicembre. Sotto l'impulso della svalutazione e dell'aumento dei costi delle materie prime, la tendenza al rialzo ha riguardato soprattutto il comparto dei beni intermedi. Misurato con l'indice del costo della vita, il tasso di inflazione si è collocato nel 1994 al 3,9% al di sopra dell'obiettivo programmato ma comunque inferiore al risultato raggiunto l'anno precedente. Peraltro, dopo aver toccato un minimo in luglio (3,6%), la decelerazione dei prezzi al consumo si è fermata. In particolare, i prezzi dei beni alimentari hanno denunciato una dinamica in graduale risalita passando dal 2,9% di maggio al 4,1% di dicembre.
Le tensioni dal lato dei prezzi all'origine sono state d'altra parte frenate dall'effetto moderatore della discesa del costo unitario del lavoro. I rinnovi contrattuali siglati nel corso del 1994 hanno sostanzialmente realizzato i principi sanciti nell'accordo del luglio 1993. La politica di moderazione salariale ha infatti indotto un aumento delle retribuzioni lorde per dipendente del 3,9% nell'industria e del 3,7% nei servizi destinabili alla vendita. La modesta crescita salariale combinata al rapido sviluppo della produttività ha consentito un'ulteriore decelerazione del costo del lavoro per unità di prodotto, particolarmente marcata nell'industria manifatturiera.
I conti pubblici nel 1994 hanno fatto registrare un qualche miglioramento: l'incidenza del fabbisogno del settore statale sul PIL si è infatti ridotta dal 10% al 9,4%. Tuttavia, in presenza di una manovra di correzione del bilancio notevolmente più limitata rispetto all'anno precedente, l'avanzo primario ha seguito una diminuzione, sempre in rapporto al PIL, di 0,7 punti percentuali (passando dall'1,8% all'1,1%); a questa si è contrapposta una sensibile riduzione delle spese per interessi, dall'11,7% al 10,5% del PIL.
Gli effetti delle ripresa dell'attività economica non sono stati sufficienti a determinare l'arresto del processo di deterioramento della situazione del mercato del lavoro, iniziato nel 1992. Nel corso del 1994 la discesa dei livelli occupazionali è proseguita, seppur con una dinamica notevolmente rallentata, dando luogo ad un significativo incremento del tasso di disoccupazione aggregato.
La quantità di lavoro impiegata dal sistema produttivo si è ridotta nel 1994 di 356 mila unità standard (-1,6%), evidenziando comunque un rallentamento della dinamica rispetto al 1993 (-2,6%). La fase di contrazione della manodopera occupata che ha caratterizzato l'ultimo triennio ha così determinato una perdita complessiva di circa 1,2 milioni di unità di lavoro, riportando l'occupazione totale sul livello registrato in corrispondenza del minimo ciclico dell'inizio degli anni 80. Alla distruzione netta di posti di lavoro hanno contribuito, come già era avvenuto nel 1993, tutti i settori produttivi. La tendenza negativa ha però segnato una netta decelerazione nel comparto manifatturiero mentre ha mantenuto un ritmo quasi immutato nel terziario di mercato; per contro, la caduta del numero degli occupati ha evidenziato una significativa accelerazione nel settore delle costruzioni.
Per quel che riguarda il comparto agricolo, la tendenza negativa della domanda di lavoro è proseguita: gli occupati totali sono diminuiti di 76 mila unità (-3,8%), con una caduta pressoché analoga per i dipendenti e gli indipendenti. Nelle costruzioni il numero degli addetti ha subito un forte ridimensionamento, dovuto alla grave crisi produttiva del settore. La contrazione, pari a 58 mila unità (-3,5%) ha riguardato soprattutto la tipologia del lavoro dipendente (-4,6%). Nell'industria in senso stretto la flessione dei livelli occupazionali è proseguita per il quarto anno consecutivo, ma la robusta ripresa dell'attività produttiva ne ha determinato un marcato rallentamento. L'input di lavoro complessivo del settore è diminuito di 72 mila unità (-1,5% a fronte del -4,4% registrato nel 1993), evidenziando in questo caso un calo più marcato del lavoro autonomo. A frenare la discesa dell'input di manodopera ha peraltro contribuito la netta riduzione del ricorso alla Cassa integrazione Guadagni. In particolare, nel 1994 le ore autorizzate per gli interventi ordinari delle C.I.G. si sono dimezzate rispetto all'anno precedente (passando da 240 a 120 milioni), mentre quelle relative a interventi straordinari hanno segnato una riduzione solo marginale (-1,2%). La diminuzione dell'occupazione nell'industria in senso stretto va comunque attribuita soprattutto al segmento delle grandi imprese. Gli indicatori riferiti alle imprese industriali con oltre 500 addetti segnalano un calo dei dipendenti pari al 5%, di poco inferiore a quello registrato nel 1993. Allo stesso tempo, essi indicano che il fabbisogno di lavoro è stato soddisfatto in parte tramite incrementi dell'orario effettivo: le ore lavorate per dipendente sono infatti cresciute del 2,8%. L'andamento dell'occupazione nel settore dei servizi destinabili alla vendita è rimasto negativo: dopo l'ampia diminuzione emersa nel 1993 (-1,8%), nel 1994 si è registrata una perdita di 132 mila unità di lavoro (pari al -1,3%). La caduta ha riguardato sia la componente dei dipendenti (-2,1%) che, in misura assai più limitata, quella del lavoro autonomo. Il processo di espulsione di manodopera dalle attività terziarie è il risultato, oltre che del perdurare degli effetti del rallentamento ciclico dell'attività, delle profonde trasformazioni strutturali che hanno coinvolto tali comparti. In particolare, i fenomeni di ristrutturazione hanno agito sia nel settore della distribuzione commerciale, determinando forti perdite occupazionali nelle imprese di minori dimensioni, che in quello dei servizi di pubblica utilità (trasporti e telecomunicazioni).
Le forze di lavoro sono diminuite nel 1994 di circa 120 mila unità. Il restringimento dell'offerta di manodopera ha attutito l'impatto della perdita di posti di lavoro ma non ha comunque impedito un nuovo allargamento della disoccupazione. Le persone in cerca di lavoro sono infatti aumentate di 226 mila unità, risultando pari a 2.560 mila nella media del 1994; il tasso di disoccupazione e così salito all'11,3%, con un incremento di circa un punto percentuale rispetto al 1993. Il gruppo dei disoccupati con precedenti esperienze lavorative ha evidenziato la dinamica più sostenuta (+139 mila unità) confermando le difficoltà di rientro nell'occupazione per coloro che hanno perso il posto di lavoro. D'altro canto, anche il numero delle persone alla ricerca di primo impiego e di quelle in condizione non professionale ha continuato ad ampliarsi (rispettivamente +43 mila e +44 mila unità). A livello territoriale, la situazione occupazionale ha subito un'ulteriore divaricazione derivante, in primo luogo, dalla difficoltà delle regioni del Meridione di agganciarsi alla ripresa produttiva in atto. In tale area il tasso di disoccupazione ha raggiunto nel 1994 il 19,6%, a fronte di un valore del 7,8% registrato nel resto del paese (i rispettivi tassi erano pari al 17,8% e 7,0% nel 1993).
L'evoluzione delle retribuzioni è stata caratterizzata da una dinamica assai moderata, frutto dell'applicazione delle regole di politica dei redditi fissate nell'accordo tra Governo e parti sociali del luglio 1993. Nel corso del 1994 l'attività negoziale è stata intensa, dando luogo al rinnovo di molti dei principali contratti nazionali dell'industria e dei servizi. Gli accordi, raggiunti quasi in assenza di conflitti di lavoro, hanno fissato in generale aumenti retributivi in linea con gli obiettivi di inflazione programmata. L'indice delle retribuzioni contrattuali per dipendente, che non tiene conto del pagamento di arretrati e di importi «una tantum», e cresciuto dell'1,9% in media d'anno. La dinamica è stata, come di consueto, piuttosto differenziata a livello settoriale, variando tra un massimo del 4,5% nell'edilizia ed un minimo dello 0,2% nell'agricoltura; l'industria in senso stretto ed il terziario di mercato hanno registrato aumenti pari, rispettivamente, al 2,9 e 1,9%. Per quel che riguarda il comparto delle amministrazioni pubbliche, l'indicatore ha evidenziato un aumento dello 0,3%, non riflettendo ancora gli aumenti fissati nelle ipotesi di accordo siglate nell'ultima parte dell'anno.
Le retribuzioni di fatto sono cresciute più velocemente dei minimi contrattuali, avendo incorporato sia gli importi fissati da alcuni recenti rinnovi, a copertura dei periodi di vacanza contrattuale, sia l'effetto di un certo recupero nel ricorso al lavoro straordinario e negli incentivi individuali. L'aumento delle retribuzioni lorde procapite è stato pari al 2,8% per l'intera economia, segnando una dinamica di poco inferiore a quella dell'anno precedente. In particolare, la crescita è risultata leggermente più sostenuta nell'industria in senso stretto che nel settore dei servizi destinabili alla vendita (rispettivamente 3,9% e 3,7%).
La ripresa dell'attività economica ha dato luogo, anche in forza del protrarsi del calo occupazionale, a guadagni di produttività assai ampi: il valore aggiunto per unità di lavoro è aumentato del 3,9% a livello di intera economia e del 6,5% nell'industria in senso stretto. Tale evoluzione, combinandosi con gli effetti della moderazione salariale, ha reso possibile l'arresto della crescita del costo del lavoro per unità di prodotto. Questo ha segnato nel complesso una variazione negativa (-0,4%), con un ulteriore miglioramento rispetto al 1993 (+2,2%). Nell'industria in senso stretto, il costo del lavoro unitario ha subito una compressione di dimensioni eccezionali (-2,4%), rendendo possibile un notevole incremento dei margini ed una più elevata competitività internazionale del sistema.
Nel 1994 è proseguita la fase di miglioramento dei conti con l'estero. In base alle valutazioni di contabilità nazionale, le esportazioni di beni e servizi sono salite a 378.057 miliardi pari ad un incremento del 14,7% in termini monetari e del 10,9% in termini reali. In parallelo le importazioni sono ammontate a 330.649 miliardi corrispondenti ad un incremento nominale del 16% e ad una crescita quantitativa del 9,8% rispetto al 1993. In conseguenza di tali evoluzioni, il conto delle transazioni internazionali si è chiuso con un attivo di 47.408 miliardi di lire, a fronte dei 44.528 miliardi del 1993 (-4.395 miliardi nel 1992).
Alla evoluzione dei flussi dell'interscambio si è associata una moderata perdita delle ragioni di scambio. Nella media del 1994 il deflatore delle esportazioni di beni e servizi ha registrato un aumento del 3,5% (+9,9% nel 1993) mentre i prezzi impliciti delle importazioni si sono incrementati del 5,7% (+11% lo scorso anno).
Tale ultimo risultato, prodottosi in un contesto di forte ripresa delle quotazioni internazionali delle materie prime non petrolifere, ha soprattutto riflesso i moderati aumenti registrati dai prezzi in lire dei manufatti importati.
Ai positivi risultati dei conti con l'estero ha contribuito la favorevole evoluzione della bilancia commerciale. In particolare, il saldo attivo generato dai flussi degli scambi misurato sui dati cif-fob, ha toccato nel consuntivo annuo i 35.432 miliardi di lire. Superiore a quello registrato nel 1993 (+33.223 miliardi), l'ampio surplus mercantile ha sottinteso una sostenuta espansione di entrambe le correnti di scambio.
Il miglioramento del saldo mercantile si è concentrato nei comparti tradizionalmente forti della bilancia commerciale. I surplus emersi nel consuntivo annuo per il comparto metalmeccanico e per quello tessile, del cuoio e dell'abbigliamento hanno in particolare sopravanzato gli attivi registrati un anno prima di 3.900 miliardi e di 3.148 miliardi nell'ordine. Avanzi più ampi hanno nel contempo generato gli scambi di minerali e prodotti non metalliferi e di «altri prodotti». Cospicuo è risultato inoltre il miglioramento (2.253 miliardi) registrato dal saldo del settore dei mezzi di trasporto, ritornato attivo dopo un decennio. Quanto ai settori in disavanzo, ad un considerevole aumento del passivo hanno dato luogo gli scambi di minerali ferrosi e non ferrosi (3.970 miliardi in più), mentre un peggioramento di 2.717 miliardi e di 1.857 miliardi hanno accusato i saldi dei comparti chimico e agro-alimentare. Di 847 miliardi si è infine ampliato il deficit della bilancia energetica.
Come già nel 1993, sia gli scambi con i paesi aderenti all'Unione europea, sia quelli con i paesi terzi hanno dato luogo nel 1994 a saldi positivi di dimensioni ragguardevoli. Il surplus verso i paesi dell'UE si è tuttavia lievemente ridimensionato rispetto ad un anno prima (+11.145 miliardi contro +12.890 miliardi) in presenza di un tasso di aumento delle importazioni in valore (+17,3%) che ha sopravanzato quello delle esportazioni (+14,5%). Hanno congiuntamente concorso alla riduzione dell'attivo i maggiori disavanzi accusati verso i Paesi Bassi, il Belgio-Lussemburgo e l'Irlanda, nonché il moderato restringimento dell'ampio surplus generato dai movimenti mercantili con la Germania. Detti peggioramenti hanno trovato solo parziale compensazione nella crescita degli attivi verso la Grecia e il Portogallo, mentre sostanzialmente stabili - sempre nel confronto tra i consuntivi del 1993 e del 1994 - sono risultati i saldi relativi agli scambi con gli altri partners comunitari.
Commisurandosi nelle risultanze annue a 24.287 miliardi, l'attivo emerso dagli scambi con i paesi extra-UE ha viceversa superato di 3.954 miliardi quello registrato nel 1993. Un livello record (11.173 miliardi) ha in particolare toccato l'avanzo verso gli Stati Uniti d'America, aumentato di oltre 3 mila miliardi rispetto a un anno prima. In rapida espansione si è al contempo confermato il surplus nei confronti dei paesi asiatici di nuova industrializzazione, mentre il miglioramento degli scambi con il Giappone ha consentito il recupero di un sia pur modesto saldo attivo. Di contro, i consuntivi del 1994 hanno messo in luce un aumento del passivo verso i paesi dell'Europa centro-orientale, verso i paesi dell'OPEC e nei confronti della Cina. Le esportazioni verso questo ultimo mercato, dopo l'impennata del 1993 (+110,8%), hanno accusato nel 1994 una contenuta flessione (-5,4%).
A fronte degli accennati sviluppi della bilancia commerciale, le partite correnti della bilancia dei pagamenti si sono chiuse nel 1994 con un avanzo pari all'1,5% del PIL e superiore di 7.188 miliardi a quello registrato un anno prima. Unitamente alla crescita dell'attivo mercantile, ha contribuito al miglioramento la riduzione del passivo delle partite invisibili. In tale ambito, gli introiti netti afferenti ai viaggi all'estero, ammontati nel consuntivo annuo a 18.821 miliardi, si sono ampliati di 6.266 miliardi rispetto a un anno prima. Ha favorito tale risultato la maggiore competitività delle strutture turistiche nazionali: in particolare, ad una crescita delle entrate del 10,6% si è contrapposta una flessione delle uscite risultata come già nel 1993 consistente e pari all'11,7%. Il progressivo accumularsi di avanzi correnti e la conseguente riduzione del debito estero netto del Paese hanno trovato inoltre riscontro nel 1994 nei minori esborsi netti per redditi da capitale, scesi dai 25.525 miliardi del 1993 a 24.696 miliardi. Agli accennati miglioramenti si è associato un peggioramento dei saldi degli altri servizi e redditi che - pari in complesso a 4.119 miliardi - ha soprattutto riflesso il maggiore disavanzo registrato dalla voce «trasporti». In ulteriore moderata crescita è risultato infine il passivo originato dai trasferimenti unilaterali, salito da 8.494 a 9.292 miliardi.
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