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Per Aspera Ad Veritatem n.2
I servizi di informazione e di sicurezza: prospettive per una cultura al servizio del Paese

Francesco SIDOTI




Per varie ragioni, il concetto di sicurezza è stato spesso schiacciato in definizioni che sembrano a volte riduttive. Di recente, lo stesso Norberto Bobbio concede all'idea di sicurezza la dignità di un valore, ma ne mette in rilievo una connessione primaria con "la cosiddetta libertà da bisogno, promossa dai movimenti sociali e socialisti".
Da un diverso punto di vista si può legittimamente sostenere che la riflessione moderna sulla sicurezza comincia ben prima di ogni pur pregevole contributo "dei movimenti sociali e socialisti". Comincia con la celeberrima affermazione hobbesiana: "la paura ed io siamo gemelli". Non senza ragione Hobbes fa datare la nascita della filosofia politica moderna dalla pubblicazione dei suoi scritti, in cui domina il valore della sicurezza, insieme alla repulsione per quelle situazioni che facilmente possono fare diventare la vita "solitary, poor, nasty, brutish, and short".
A quale tipo di paura Hobbes si sente gemello? C'è una sorta di paura che si potrebbe sinteticamente definire di tipo metafisico, e che si può forse riassumere ricordando lo sbigottimento pascaliano davanti al "silence èternel des espaces infinis." È il tipo di paura che per secoli l'Occidente cristiano ha definito come paura dell'Inferno e del Maligno. Quel sentimento, dicono alcuni studiosi, è una costante antropologica che esisteva ed esisterà sempre. Con Hobbes fa capolino un elemento sostanzialmente nuovo: la sua paura si deve intendere in un senso pienamente materialista; è la paura dell'Invincibile Armada, del fanatismo religioso, della guerra civile, e insomma la paura di ciò che nei fatti può rendere la vita un "bellum omnium contra omnes".
Insomma, man mano che la cultura rinascimentale diventa compiutamente moderna, il tema della sicurezza diventa concreto, materiale, borghese, ossessivo, secondo un percorso che visivamente culmina in due capolavori della pittura olandese del Seicento.
Rembrandt è il massimo rappresentante di un'arte che non è più destinata alla Chiesa o alla corte, ma ad un vasto ceto di privati o di associazioni di privati benestanti. Per questi committenti egli dipinge due quadri che sono diventati (al di là delle intenzioni soggettive dell'autore) due simboli del nuovo mondo moderno. La "Lezione di anatomia" è stata intesa come una sorta di celebrazione suprema dell'insicurezza borghese davanti all'affermarsi del metodo sperimentale in tutti i settori dell'esistenza; c'è nel quadro una sconvolgente sovrapposizione di significati: la inerme nudità corporea sul tavolo anatomico davanti alla morte e la inerme nudità esistenziale dei protestanti davanti all'Assoluto.
Un capolavoro in un certo senso parallelo è la "Ronda di notte" dipinta da Rembrandt nel 1642, all'apogeo del sua fama, per 1600 fiorini. È stata intesa come una sorta di celebrazione della sicurezza borghese. Quei lucenti, pettoruti, corpulenti fiamminghi non sono un pugno di mercenari, ma archibugieri riuniti su base volontaria, per proteggere il proprio bene supremo. Essi formano una processione laica in difesa di quel che è magnificamente designato con un'espressione all'epoca proverbiale: "l'interesse è la religione degli olandesi".
Tra sciabolate di luci e di ombre, di luci abbaglianti e di ombre abissali, in queste opere di Rembrandt emerge il senso plastico della sicurezza borghese: armata, guardinga, sospettosa, ma vitale, pulsante, trionfante al tempo stesso, fondata sull'opulenza e sul senso civico, o meglio su un'opulenza che deriva dal senso civico.
La limpida serenità estatica del classicismo rinascimentale riposa in cieli di angeli e santi, o nell'immaginario mitologico di dei e di fate; qui la serenità borghese è invece un labile compromesso, compiutamente terrestre e prosaico, attorniato dalle ombre, protetto con gli archibugi e la spada (perché, come diceva Hobbes, i patti senza la spada, sword, non sono che parole, words). Per la prima volta c'è sul piano iconografico la trasposizione di questo sentimento pienamente e consapevolmente borghese: la sicurezza è un bene fragile, che coesiste con la precarietà e che deve essere difeso con le armi.
In quella impareggiabile Olanda del Seicento in cui vissero spalla a spalla per un certo periodo di tempo Huygens, Cartesio, Locke, Spinoza, Grozio, Bayle, nascono molte idee e valori moderni; nasce certo in primo luogo l'idea di tolleranza, che sarebbe però del tutto assurdo non vedere intimamente connessa con l'idea di sicurezza, e basata sul ripudio, o per meglio dire sulla repressione impietosa di ogni fanatismo.
In maniera un po' greve, ma icastica, in seguito Voltaire riassunse felicemente l'unione complicata di tolleranza e sicurezza, rispondendo alla domanda "Che cos'è la tolleranza?" nel Dictionnaire philosophique: "Ammirate il sultano: egli è musulmano, eppure governa baniani, nestoriani, ortodossi, cattolici. Il primo che tenta di suscitare un tumulto viene impalato, e tutti vivono in pace".
Il problema della sicurezza nei suoi termini attuali non è un problema di destra o di sinistra: i livelli crescenti di violenza e di criminalità colpiscono le classi abbienti e quelle meno abbienti; com'è dimostrato dall'andamento del mercato italiano della sicurezza: polizie private, sistemi elettronici antifurto, porte corazzate, vetri antisfondamento, auto blindate, e così via, nei quartieri bene, e reticolati di filo spinato, grate di ferro, finestre murate, nei quartieri popolari delle grandi città.
In questo panorama è stato sottolineato quanto sia significativo l'incremento del segmento residenziale della domanda di sicurezza. La quota destinata a difendere le abitazioni cresce incisivamente, esprimendo la parallela crescita del sentimento di incertezza, documentato da molti fattori, come l'aumento considerevole del volume dei premi incassati dalle compagnie assicuratrici per la protezione contro il furto, che quasi raddoppia dall'85 al '90, mentre il numero dei furti nello stesso periodo è più che raddoppiato.
Questa situazione dovrebbe sfuggire alle distinzioni ideologiche tradizionali, invece continua ad essere interpretata secondo pregiudizi ideologici.
Basti vedere quanti pochi commenti hanno procurato le pagine molto allarmate che in tema di sicurezza ha scritto Sir Ralph Dahrendorf, mentre vengono ascoltate in ginocchio e col megafono (giustamente) tutte le altre sue dichiarazioni sul destino delle chances vitali, della sinistra, dell'Europa e del mondo.


Secondo un'interpretazione assai condivisa, i maggiori problemi dei servizi di sicurezza negli anni della guerra fredda derivavano da una loro eccessiva dipendenza dalla classe politica. A una diagnosi siffatta seguiva una terapia obbligata: un maggiore controllo politico nei confronti dei Servizi di sicurezza.
Questa interpretazione può essere rivista e corretta sotto un profilo importante: è preferibile che le nuove strutture siano piuttosto autonome che dipendenti dal personale partitico. Il problema reale è quello dei controlli che invece debbono essere tali da assicurare la conformità alle leggi e alle direttive.
Per i Servizi di sicurezza come per altre istituzioni occorre un chiarimento intorno al significato della indipendenza dal potere politico. Il caso della Banca d'Italia è esemplare sotto molti profili, perché si tratta di una traduzione a livello locale di un principio accettato a livello internazionale: il riconoscimento dell'indipendenza della massima autorità monetaria. La banca d'Italia ha il compito di controllare il valore della moneta, isolando il cambio e l'inflazione dalle perturbazioni di ordine politico che possono causare svalutazioni del cambio, fughe di capitali e così via. Soprattutto, la ragione prima dell'indipendenza è la necessità di sottrarre gli organi democratici al rischio di affrontare momenti di impopolarità, che non sempre sarebbero in grado di fronteggiare.
In un modello ideale di funzionamento dell'ingranaggio istituzionale c'è coincidenza tra gli obiettivi della Banca d'Italia e quelli della classe politica, ma nel caso in cui il Governo e il Parlamento non fossero in grado di svolgere il proprio ruolo, allora una banca centrale indipendente può prendere alcune decisioni impopolari che non sanno prendere gli organi titolari di responsabilità elettorali.
Questo principio è universalmente accettato nelle democrazie moderne, e non viene giudicato come uno svuotamento della sovranità popolare, ma un suo rafforzamento, poiché è inteso ad evitare la "tassa occulta e iniqua" dell'inflazione (come affermò incisivamente il governatore Baffi nella sua Relazione del 1976). Se gli organi politici non prendono le misure dovute, la conseguenza è una crescita dell'inflazione, cioè una tassa surrettizia che in maniera del tutto antidemocratica sottrae reddito ai cittadini, senza preventivamente informarli e consultarli, violando dunque uno dei massimi principi costituzionali: "no taxation without partecipation".
Le analogie tra controllo del valore della sicurezza e controllo del valore della moneta sono molteplici. Basti pensare ad un altro importante risvolto: come le banche centrali non sono del tutto indipendenti, ma obbligate ad operare dentro vincoli formali interni (ad esempio, il principio di legalità e la designazione politica dei governatori) e internazionali (ad esempio, gli impegni assunti con il Trattato di Maastricht), così i Servizi di sicurezza non potranno mai essere totalmente indipendenti, ma costretti ad operare all'interno di vincoli formali interni e internazionali (ad esempio i controlli del Governo, del Parlamento, della Magistratura o i trattati di alleanza e di collaborazione stipulati dall'Italia).
Il punto relativo all'indipendenza di molte strutture istituzionali deve forzatamente procedere da una critica non della politica in generale, ma di alcune maniere di intendere la politica.
L'idea classica consegnata nelle celebri immagini del "civis politicus", riscoperta nell'età moderna dall'umanesimo civile fiorentino, passando attraverso la rivoluzione francese culmina in una teoria della politica come mezzo supremo attraverso il quale sarebbe possibile realizzare valori supremi come la nazione, la classe, la razza. Nell'età moderna, accanto ai grandi statisti che hanno fatto politica nel senso migliore del termine, ce ne sono molti altri che hanno vissuto la politica come furore ideologico, oppure come attività assai remunerativa.
I processi di professionalizzazione della partecipazione partitica sono al centro di un'ampia letteratura, che è culminata sottolineando quanto l'area delle decisioni pubbliche sia in effetti occupata da persone e gruppi che, sotto sedicenti bandiere ideali, difendono innanzitutto i propri interessi particolaristici. Mentre una corrente di pensiero riprende le tematiche classiche sulla politica, come nobile alternativa all'esercizio egoistico degli interessi privati, un'altra differente corrente di pensiero riprende tematiche diverse che sono diventate altrettanto classiche: in primo luogo la concezione dello Stato come male necessario, che deve essere limitato attraverso un complesso insieme di controlli e contrappesi istituzionali.
Insomma: il potere politico democratico è necessario, ma dal potere politico è importante essere protetti, stabilendo confini di carattere costituzionale al suo ambito di intervento e al suo potere di spesa. Purtroppo, la politica non è soltanto quella attività nobile esaltata dalla cultura greco-romana e dai suoi epigoni rinascimentali, ottocenteschi, novecenteschi, ma in un certo senso rischia di diventare, almeno in parte, la malattia di cui pretende di essere la cura. Questa analisi è schematica e non rende giustizia agli ideali di molte persone e di molti movimenti. Ma ben si attaglia al caso dei Servizi di sicurezza. In una memorabile audizione parlamentare, in cui riassumeva la propria lunga esperienza di ministro, il Presidente Scalfaro affermò "i mali del passato trovarono radici e sfogo nel mondo politico... non può essere avvenuto nulla in passato di sconveniente senza una compromissione, una contaminazione di natura politica".


Negli Stati Uniti l'avversione nei confronti della politica ha segnato punti estremi, com'è dimostrato dalle elezioni del novembre 1994; i tedeschi hanno inventato una parola specifica ''Politikverdrossenheit'', per esprimere questo sentimento di stanchezza e di sfiducia nei confronti di un'attività frequentemente definita in termini di faziosità, demagogia, incapacità. Le vicende italiane si iscrivono in un quadro ampio, movimentato, fluttuante, di vicende internazionali che in maniera diversa concordano nel rifiuto delle vecchie divisioni partitiche. In parallelo con quanto avviene nel mondo delle istituzioni, anche il mondo della politica attraversa una fase di ridefinizione, in un contesto profondamente mutato dalla fine della guerra fredda.
Il problema ha in Italia aspetti particolari. Come il termine partitocrazia è specifico del nostro lessico, così in Italia è stato coniato il termine classe politica e appartengono alla scuola italiana (Mosca, Michels, Pareto) le prime analisi del professionismo politico. Per ragioni strutturali, infatti, la politica ha sempre avuto un ruolo centrale nei sistema italiano. In primo luogo, com'è indicato nell'analisi gramsciana del nostro capitalismo, a causa della debolezza della grande borghesia italiana (che da sempre, tra l'altro, è stata costretta a cercare l'alleanza con i settori forti della borghesia internazionale). Nell'Italia monarchica l'alleanza tra aristocratici, borghesi del nord, agrari del sud, aveva una sua articolazione decisiva in una classe di professionisti della politica che svolgevano essenziali funzioni per il mantenimento della pace sociale.
Nel sistema instabile e caotico dell'Italia repubblicana, si è realizzata una grande espansione della mediazione politica nel suo significato meno nobile, con conseguenze a volte disastrose in termini di deresponsabilizzazione.
L'Italia è stata per lungo tempo una democrazia dove non pochi uomini politici hanno perseguito interessi a breve termine (dalla propria rielezione alle pressioni clientelari). L'Italia potrebbe diventare una democrazia caratterizzata da istituzioni dedite alla cura degli interessi a lungo termine della popolazione. Istituzioni imparziali, perché indipendenti dalle partes, dai partiti e dalle fazioni; non istituzioni neutrali, vuote di ideali e di principi, pronte ad essere occupate e strumentalizzate.
L'opinione a favore di un cambiamento del rapporto di forza tra strutture partitiche e strutture istituzionali non è una scelta vuota di contenuti, "tecnocratica". È una scelta ideale e morale.
Com'è evidente nel caso di Popper, che è il più grande teorico della contrapposizione tra ideologia rivoluzionaria e riformismo istituzionale, tra pensiero retorico e "piecemeal social engineering", cioè miglioramento della società attraverso un graduale succedersi di aggiustamenti e di riforme istituzionali (rivolte non allo scopo di raggiungere la felicità, ma di ridurre la sofferenza).
Il popperiano "piecemeal social engineering" si basa sull'idea che il buon operato delle istituzioni significa che la democrazia funziona bene; essere democratici vuol dire anche favorire l'efficienza delle istituzioni democratiche.
Per chi crede nella centralità dei temi istituzionali è decisiva la convinzione che in una società policentrica e poliarchica le buone istituzioni sono più importanti sia delle buone intenzioni sia dei buoni leaders.
Le rette intenzioni, come i leaders onesti e competenti, in una democrazia sono ovviamente importantissimi; ma il corretto disegno dell'impianto istituzionale è preliminare rispetto alle une e agli altri. Una democrazia liberale non è fondata sul principio "tutto il potere al popolo", ma sul principio "tutto il potere a nessuno". Non richiede la preminenza dei partiti, ma di un sistema di poteri separati, bilanciati e controllati. Questo discorso è lungi dal proporre una mistica dell'ingegneria istituzionale o di queste istituzioni, per come effettivamente sono state e sono tuttora.
Le istituzioni possono diventare variabili indipendenti, ma in società aperte, pluraliste, complesse, sovraccariche di domande e di corporazioni, non sono soltanto semafori che regolano il traffico tendenzialmente caotico delle domande sociali e delle risposte amministrative. Le istituzioni in parte si sviluppano come isole coralline, risultato non pianificato di una larga serie di effetti imprevisti e inintenzionali; in parte sono il risultato delle pressioni di gruppi ed individui l'un contro l'altro armati in società segmentate e divise per niente raccolte intorno ad una definizione univoca del bene comune. Per questi motivi è decisivo il tema dei controlli e contrappesi nell'impianto istituzionale.
Controlli e autonomia non sono principi alternativi. Per quanto riguarda i Servizi di sicurezza, la fondamentale legge 24 ottobre 1977, n. 801 introduceva contemporaneamente sia il principio del controllo (attraverso il Comitato parlamentare e attraverso l'attribuzione della responsabilità politica dell'attività informativa al Presidente del consiglio dei ministri) sia il principio dell'autonomia (attraverso lo sganciamento del personale dei servizi dalla dipendenza gerarchica rispetto agli apparati di provenienza).


Per la giustificazione del ruolo dei Servizi di sicurezza viene spesso usata quella teoria del "male necessario" che è stata applicata nella storia della morale a un numero diversissimo di casi. Si pensi alla nota definizione liberale del governo: un organismo dal quale possono derivare nefasti pericoli, ma che tuttavia è necessario, dunque va ridotto al minimo indispensabile.
Al cuore di questa giustificazione controvoglia stavano gli usi ed abusi del segreto, che già all'inizio del secolo (cioè all'inizio dell'età nuova del terrore su vasta scala) erano stati riassunti da un illustre ministro inglese.
Rivolgendosi al capo della polizia, sir Harcourt esprimeva una considerazione che colpì molto Conrad all'epoca in cui scrisse l'agente segreto: "L'idea di segretezza lì da voi sembra consistere nel tenere all'oscuro il Ministro dell'Interno"!
Il rifiuto libertario e democratico del segreto va riconsiderato alla luce della preminenza dei controlli e della trasparenza. La società aperta si contrappone a quella chiusa sotto molti profili, di cui uno è particolarmente rilevante dal nostro punto di vista: il comportamento conforme al diritto delle istituzioni e delle persone che le dirigono.
In una società aperta, i classici principi della ragion di Stato e del segreto non perdono ogni fondamento, ma vanno ricondotti alla supremazia formale del principio di legalità. Oltre alla protezione del segreto prevista dall'articolo 261 del codice penale, con riguardo alla rivelazione di segreti di Stato, l'ordinamento italiano prevede in molti punti un valore positivo delle nozioni di segreto e di riservatezza.
La Costituzione tutela all'art. 48 la segretezza del voto e all'art. 15 la segretezza della corrispondenza; l'art. 2622 del codice civile punisce "gli amministratori, i sindaci, i direttori generali e i liquidatori che, senza giustificato motivo, utilizzano a profitto proprio o altrui o divulgano notizie sociali riservate avute a causa del proprio ufficio, se dal fatto può derivare pregiudizio alla società"; l'art. 622 del codice penale prevede ancora che "chiunque sia venuto in possesso di un segreto, in vista del proprio stato o ufficio ovvero della propria professione o arte e lo divulga senza giusta causa ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito se dal fatto può derivare un documento su querela della persona offesa".
Tutta la struttura del procedimento penale prevede forme varie di segretezza, dal principio della pubblicità differita delle indagini della magistratura alla possibilità degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria e dei Servizi di sicurezza di tacere al giudice il nome delle fonti informative.
All'interno dell'ordinamento si trovano dunque una serie di dispositivi che garantiscono contemporaneamente diritto di pubblicità e diritto di riservatezza, diritto di trasparenza e diritto al segreto.
Quest'ultimo nelle sue varie versioni postula uno "ius excludendi": nei vari casi già previsti dall'ordinamento c'è sempre e comunque una persona che ha diritto al segreto e che può far valere nei confronti di altri questo suo diritto.
A cominciare dalle deroghe alle disposizioni ordinarie di legge, tutta la materia del segreto e della discrezionalità va rivista alla luce della preminenza del sistema dei controlli, ampiamente ristrutturato rispetto al presente, allargato a comprendere sia la responsabilità politica di tutte le articolazioni dell'Esecutivo, sia la gestione operativa.
È giusto che il Comitato parlamentare abbia poteri tali da costituire un argine invalicabile contro ogni tentazione del Governo o dei funzionari di strumentalizzare i Servizi. Ed è ovvio che la presidenza del Comitato parlamentare sia garantita al partito di opposizione. Si può discutere l'opportunità di inserire come esperti del Comitato parlamentare anche membri estranei al mondo politico, qualificati per le loro specifiche competenze.
In generale, il Comitato parlamentare dovrebbe occupare un posto centrale, fino a diventare la massima istituzione di controllo.
Come è stata proposta un'analogia tra Banca d'Italia e Servizi, per quanto riguarda la difesa del valore della sicurezza e la difesa del valore della moneta, allo stesso modo potrebbe essere proposta un'analogia tra l'organo di controllo delle operazioni in valori mobiliari e l'organo di controllo delle operazioni di sicurezza.
Nei termini del sistema costruito intorno alla legge 17 maggio 1991, n. 157, l'organo di controllo delle società con azioni quotate in Borsa è in un certo senso il primo destinatario dell'informazione e il terminale di un complicato processo informativo, lungo il quale devono essere sufficientemente visibili qualità del proponente, rischi dell'investimento, tipicità dell'operazione. Lo scopo della garanzia di legge sul processo di informazione è fornire il massimo di tutela, in modo che possano essere compiute scelte consapevoli e legali in nome di una "filosofia della trasparenza" che contempera esigenze diverse, come le opzioni ad alto rischio e la tutela da speculazioni fondate su una scorrettezza. Soprattutto la protezione del mercato è preminente in questo intreccio di rischio, riservatezza, trasparenza, controlli.
Dal punto di vista dell'interesse privato, evitare frodi e abusi costituisce l'obiettivo primario dell'istituzione di controllo; ma l'efficiente funzionamento del mercato è l'obiettivo più rilevante dal punto di vista dell'interesse pubblico. La sfiducia nella regolarità delle procedure avrebbe come conseguenza un minore afflusso del risparmio al mercato mobiliare, in contrasto con l'art. 47 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica incoraggia il risparmio.
Per motivi radicati nella Costituzione, come deve esistere un organo delegato al controllo delle operazioni in valori mobiliari, così deve esistere un organo delegato al controllo delle operazioni di sicurezza.


Se si osservano le diverse strutture pubbliche che si occupano di sicurezza e di spionaggio (oltre a SISMi e SISDe), è facile argomentare sulla loro ridondanza.
Certo quello dei Servizi è un problema che coinvolge migliaia di persone e un centinaio di miliardi; è anche questa un'eredità della guerra fredda: siamo vissuti in Italia per anni come se fossimo non nel tempo della pace, ma nel tempo di una guerra particolare, combattuta anche all'interno.
È però irrealistico ritenere che sia possibile ritornare al periodo precedente il 1914, quando queste strutture esistevano in proporzioni molto più ridotte (e quindi più facilmente controllabili).
Con l'arrivo della "terza ondata tecnologica", tutte le strutture tradizionali vengono gradualmente sommerse da una marea di innovazioni che inevitabilmente porteranno a nuove forme organizzative, in gestazione attraverso una miriade di scontri sociali. Il vecchio apparato industriale, partitico, istituzionale, esprime una resistenza enorme contro le novità che incalzano, rappresentate dai settori dell'ingegneria genetica, dell'aerospaziale, dei nuovi materiali, delle nuove energie, della finanza planetaria, delle telecomunicazioni, dei loisir, della ricerca sofisticata.
Dal commercio al turismo, dall'educazione ai trasporti, emerge una nuova civiltà: ora il fattore primario è la conoscenza. Come prima ad un'economia basata sulla forza dei muscoli è succeduta un'economia basata sulla potenza delle macchine, così ora subentra un'economia basata sulle capacità della conoscenza applicata. Anche i Servizi di sicurezza potranno fare intelligence in maniera molto più sistematica e impegnativa che nel passato.
Al capezzale dei loro tormenti, i Servizi di sicurezza è bene che non vedano soltanto il volteggiare dei corvi o visite di cortesia, frettolose e distratte. Dopo l'era dei conflitti a bassa intensità, delle guerre non ortodosse e delle operazioni non convenzionali, è urgente in Italia come negli altri Paesi occidentali, la formazione di una nuova cultura dell'intelligence, caratterizzata da contenuti dirompenti rispetto al passato. Innanzitutto è necessario chiudere definitivamente il lungo periodo connesso agli usi e agli abusi della guerra fredda.
Alcuni hanno sostenuto che scomparso il comunismo sarebbe scomparso anche il nemico che dava una ragion d'essere alle strutture di sicurezza. Mi sembra un'osservazione parziale: come sostiene egregiamente Furet, il comunismo è stato fondamentalmente un'illusione parareligiosa; il suo fallimento chiude un'epoca, ma non per questo possiamo pensare che le nostre società continueranno a vivere senza illusioni, cioè senza impulsi a travolgere gli orizzonti e i limiti dell'ordine costituito.
L'ordinamento legislativo e costituzionale deve diventare l'unico punto di riferimento per tutte le istituzioni che si occupano di sicurezza. E questo aspetto deve essere dominante nella formazione e nella prassi degli operatori; in un classico del nostro tempo si sostiene che Al Capone rappresenta il trionfo della "amoral intelligence". Le vicende del passato possono essere superate attraverso una rifondazione delle motivazioni. Venga infine spazzato via ogni timore che i fantasmi del passato possano ritornare sotto una forma o l'altra!
Stabilito il radicamento degli operatori in una mentalità di piena lealtà costituzionale, occorre consolidare i meccanismi che assicurino trasparenza e controlli.
I vecchi Servizi "segreti" devono diventare "trasparenti", perché "responsabili": impegnati a rispondere delle proprie azioni, pronti a fornire a chi di dovere tutte le garanzie per un controllo effettivo, dediti fondamentalmente a trattare le questioni della sicurezza attraverso metodi leali perché autorizzati.
La differenza sottolineata dall'art. 51 del codice penale (tra i reati commessi per adempimento di un dovere e quelli commessi per esecuzione di un ordine) va approfondita e reinterpretata. In questa prospettiva le varie strutture potranno riguadagnare finalmente il proprio onore e rivendicare esplicitamente e orgogliosamente la dignità di un ruolo specifico e vitale.
Più un sistema è complesso, più è vulnerabile.
È dunque importante che la nuova cultura di queste strutture nasca attraverso le attenzioni, gli interrogativi, le riflessioni dell'opinione pubblica.
Nella nuova fase della storia italiana, la rinnovata fiducia nelle istituzioni dovrà includere pure quei meccanismi che svolgono una funzione che diventa, dopo la guerra fredda, ancora più importante di prima.
Riformando un profilo istituzionale importante, il presidente Clinton ha significativamente elevato il nuovo capo della Cia al rango di membro del Cabinet, e ha sottolineato chiaramente che le sue analisi svolgeranno un ruolo di grandissimo rilievo nella formulazione delle politiche pubbliche.
Anche gli irriducibili detrattori dei Servizi "segreti" è bene che espongano ampiamente, oltre le ragioni della diffidenza, proposte di cambiamento e di miglioramento. Nel corso di un polifonico processo di riflessione collettiva maturerà meglio la nuova cultura di queste istituzioni difficili, necessarie (se si vuole, nel senso del male necessario) in un futuro che certo non sarà privo di incognite.



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