Sono onorato di discutere in questa sede un tema su cui abbiamo molto lavorato negli ultimi anni al CENSIS. Il CENSIS, infatti, si è sempre occupato di società e di politiche sociali e negli ultimi anni è stato al centro dell'attenzione un tema molto importante per il nostro paese che è quello relativo alla sicurezza dei cittadini. L'Italia è un paese che ha goduto negli ultimi cinquanta anni di grandi riferimenti di tipo collettivo quali i partiti, il sindacato e, direi, anche la grande fabbrica, la città, la famiglia, le istituzioni. Oggi il nostro paese è in qualche misura coinvolto in un processo che non è solo italiano, in cui la sicurezza - che una volta consisteva nel welfare, nella sicurezza sociale, quindi ciò che preoccupava era una sicurezza di carattere generale (il lavoro, la pensione, la sanità, la casa) - è diventata una questione che genera una paura di tipo individuale, una necessità di protezione personale.
Oggi l'insicurezza non è più avvertita per gruppi ma è un tema che tutti gli individui, singolarmente, sentono come personale. Questo cambiamento - che ha dato luogo anche a un libro recentemente pubblicato dal CENSIS e dalla Fondazione BNC intitolato "Le paure degli italiani. Cultura dello sviluppo e cultura della legalità." - ha prodotto una società impaurita, anzi, direi, angosciata. La paura è un sentimento che ha anche una sua positività in quanto innesca meccanismi di difesa. L'angoscia che avverte la società italiana in questo momento sembra invece rivolta verso un pericolo, una minaccia che non viene ben identificata: è legata all'immigrazione, alla grande o piccola criminalità, al problema del lavoro? Non è chiaro. Siamo in presenza di una minaccia più sfumata. Non abbiamo paura di minacce ben identificabili come, ad esempio, un invasore, il terrorismo, la mafia, tutte minacce verso le quali sarebbe possibile avviare una reazione, ma ci sentiamo angosciati a causa di una minaccia più presente, vicina, derivante da piccoli eventi, come uno scippo o un furto casalingo, che innescano timore per la propria incolumità fisica e per la violazione del proprio spazio domestico. Siamo in presenza quindi di una minaccia che non costituisce un fatto psicologico individuale bensì sociale, che ci porta ad essere nevrotici e in preda della paura.
Il compito degli analisti sociali è quello di individuare le ragioni di questo disagio. La nostra ricerca realizza un monitoraggio di quelli che sono i problemi principali avvertiti dagli italiani. Abbiamo registrato nell'ultimo anno un grande cambiamento. I due problemi principalmente avvertiti sono l'occupazione e la criminalità. Tuttavia, mentre in passato si registrava una consistente differenza tra questi due temi, nel senso che se veniva chiesto quale era il principale problema in Italia, questo veniva individuato nella disoccupazione, e solo ad una certa distanza veniva indicata la criminalità, ultimamente invece questi due problemi vengono praticamente messi sullo stesso piano. E' diminuita, cioè, la paura di non trovare lavoro, anche in relazione ad un miglioramento oggettivo della situazione negli ultimi cinque anni, registrato dai dati e legato a cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro (la maggiore flessibilità e precarietà) che hanno fatto sì che, in qualche modo, il problema occupazione venga avvertito come meno pressante. Invece il tema della sicurezza ha visto incrementare la quantità di italiani che lo vivono come il principale problema. I due aspetti sono correlati in quanto non siamo in presenza di un lavoro che rassicura ma di un tipo di occupazione che crea ulteriore tensione. Siamo tutti spinti verso una maggiore competizione: bisogna essere imprenditori di se stessi, non bisogna avere la stessa occupazione per tutta la vita, bisogna farsi un pensione autonoma, ecc. E' chiaro quindi che si attenua il "dramma" del disoccupato in quanto tale, ma tutti questi fattori al contorno creano una condizione di incertezza anche per coloro che un lavoro lo possiedono e di cui tuttavia non sono sicuri.
Secondo le stime del CENSIS quasi la metà degli italiani che sono impiegati godono di una occupazione di tipo "individuale", ossia affidata, nel suo mantenimento, ad iniziativa e capacità esclusivamente individuali. Quasi dodici milioni di lavoratori italiani, nel privato ma anche nel pubblico, fondano la loro certezza di mantenere un lavoro nel futuro quasi esclusivamente sulle proprie capacità personali. Condizione certamente inquietante.
Il nostro Paese è stato capace di realizzare tanti progressi, non solo grazie alle capacità imprenditoriali dei singoli ma anche perché siamo stati capaci di garantire forme di coesione sociale che oggi si stanno perdendo per dare luogo a nuovi paradigmi, che non ci appartenevano, quali quelli del mercato e della competizione. Ciò fa sì che la criminalità e l'immigrazione vengano avvertiti come problemi connessi e pressanti molto più del fatto di non avere lavoro. Esistono, certo, cinque milioni di lavoratori sommersi e il mercato del lavoro nel Mezzogiorno è sicuramente in movimento e questo rende meno problematica la questione dell'occupazione.
Il problema della sicurezza, inoltre, viene avvertito in maniera del tutto trasversale, in quanto è presente sia nei ceti medi che bassi o alti. La sua percezione prescinde dal sesso, dall'età, dal titolo di studio e dallo stesso orientamento politico. Le differenze tra categorie sociali nell'avvertire questa condizione di disagio sono assolutamente irrilevanti. Esistono comunque alcune differenziazioni di tipo territoriale e certamente è un problema che angoscia maggiormente le classi più abbienti. Si tratta di una paura che si sviluppa maggiormente laddove minore è il problema del lavoro e più avvertita laddove è più forte la globalizzazione.
Esiste quindi una componente di tipo strutturale. Stiamo infatti avviandoci verso società senza territorio. L'Italia, che è un grande paese in cui le industrie e le piccole e medie imprese sono nate su base comunitaria, si trova oggi a produrre in un contesto in cui, come ha avuto modo di affermare anche Galimberti, il denaro si crea senza territorio. In fin dei conti, noi siamo stati un paese rurale prima, e manifatturiero poi, in cui il distretto industriale e le piccole imprese si aggregavano sul territorio. Questa aggregazione sul territorio ha anche garantito sicurezza, soprattutto alla piccola impresa che si sentiva più tutelata in quanto faceva parte di una comunità più ampia e solida. Oggi la Borsa e la finanza costituiscono fattori di incertezza, in quanto si muovono secondo criteri molto diversi dal passato. La globalizzazione non è solo una vuota parola ma è un qualcosa che sta permeando la nostra realtà e che ci porta ad astrarci dal territorio in cui viviamo e ci spinge a concentrarci sulla necessità di creare valore. Siamo, cioè, inseriti in un meccanismo in cui la nostra certezza di avere un futuro positivo, anche dal punto di vista dell'occupazione, dipende dalla velocità con la quale si produce. Bisogna sempre correre, stare sull'onda: ci si può arricchire molto ma è anche più facile perdere tutto. Il fattore di rischio e il margine d'incertezza sono molto elevati. Finora l'Italia è stato un paese, potremmo dire, molto "tranquillo". Ha investito nell'edilizia, nei BOT, nella piccola e media impresa. L'Italia è un paese con un passato glorioso. E' un paese antico che ha anche sviluppato modelli alternativi a quelli dominanti, che ha una storia fatta da artigiani che si sono trasformati in imprenditori, da risparmiatori che investivano principalmente in BOT e che solo di recente si sono rivolti alla Borsa, in alcuni casi anche con effetti non molto positivi. La cultura del rischio, che ci era estranea, va quindi in qualche modo conosciuta e gestita, altrimenti si rischia di non valutare adeguatamente i pericoli.
Questa incertezza è anche connessa alle basi strutturali sulle quali abbiamo fondato il nostro passato, che è sostanzialmente legato proprio a quel territorio che oggi invece sembra essere la nostra minaccia. Noi tutti pensiamo ad un territorio che è diventato più pericoloso proprio nella zona in cui risediamo. I dati ci dicono che ciò che fa paura è il "contatto" (scippi, aggressioni, ecc.) e che esiste una generale percezione di un aumento della criminalità in Italia, sensazione che, sotto il profilo della dimensione quantitativa, non è assolutamente confortata dai dati. Facendo un confronto con la situazione internazionale per il 1999, in termini di reati denunciati ogni 10.000 abitanti, in Italia si registra un tasso molto basso di denuncia rispetto agli altri paesi europei. In occasione dell'apertura dell'anno giudiziario, il Procuratore Generale ha parlato di una diminuzione dei reati facendo però riferimento a quelli per i quali è iniziata un'azione penale. Si è parlato, dando conto dei procedimenti pendenti, di circa 400.000 reati in meno, mentre si è verificato un incremento nella durata media dei processi, che è passata da quattro a cinque anni. Non è quindi migliorato il sistema nella sua organizzazione ma è semplicemente diminuito l'afflusso. Quindi è importante riflettere bene sui dati. E' forse importante osservare il numero totale dei reati denunciati, che dal 1990 ad oggi è sostanzialmente stabile. Le rapine e i furti d'appartamento, invece, sono in aumento, mentre gli scippi e i borseggi, dopo un calo iniziale, negli ultimi anni sono di nuovo in aumento (cfr. tabelle illustrative in fondo all'articolo).
Quello che emerge dai dati statistici è che se vogliamo contrastare il fenomeno criminale e il senso di incertezza che ne deriva, e di cui abbiamo parlato, dobbiamo comprendere che il problema non è tanto di carattere generale ma locale e richiede, pertanto, interventi differenziati sul territorio. Se è la perdita di territorio che crea paura, è necessario recuperare il controllo sociale del territorio, agendo in maniera molto specifica e localizzata.
In realtà, quello che emerge dalla nostra indagine è che sempre di più si sta creando un nesso tra criminalità predatoria e "di strada" e fenomeni di marginalità. Il legame esistente tra microcriminalità e immigrati è rappresentato dall'emarginazione, dall'irregolarità, dalla clandestinità. Gli immigrati vengono visti come un pericolo perché spesso sono clandestini, non hanno documenti d'identità e giungono in Italia con l'aiuto di organizzazioni criminali. Siamo in presenza di una logica in cui la microcriminalità organizzata è fatta da marginali italiani e marginali stranieri, o solo marginali stranieri. Anche per questa ragione vengono spesso criticate le politiche dell'immigrazione in quanto giudicate lassiste. Viene quindi richiesta una politica dell'immigrazione che sia più rigorosa e che consenta anche l'integrazione. E' un'ottica, credo, razionale e non razzista.
Il problema si pone perché manca il controllo a monte. Non a caso per gli immigrati regolari molti sono, a livello locale, favorevoli alla concessione del diritto di voto. Il pericolo viene quindi razionalmente individuato dagli italiani in coloro che sono messi al margine, che non si riesce ad integrare nel contesto nazionale, anche per la mancanza degli strumenti idonei. L'integrazione avviene invece attraverso processi spontaneistici, che però si sviluppano in un contesto che non ha più la capacità di favorirla perché, come si è detto prima, mancano quelle strutture di raccordo, ad esempio la grande fabbrica, che siano in grado di favorire questo processo e che facilitano invece la dispersione sul territorio e quindi la mancanza di controllo. E' quindi sempre più difficile favorire l'adattamento.
Le reazioni a queste paure sono in primo luogo l'autodifesa. Per fortuna ancora non abbiamo una grande diffusione delle armi in possesso di privati, ma molti italiani ricorrono ad altri strumenti di autodifesa, come, ad esempio, i sistemi d'allarme. Tuttavia dobbiamo essere consapevoli del fatto che una maggiore sicurezza non potrà derivare solo da un maggiore controllo del territorio e da un rafforzamento delle forze di polizia, ma anche da una certa responsabilizzazione dell'individuo.
Secondo i nostri dati gli italiani hanno grande fiducia in coloro che operano sul territorio (forze di polizia, vigili del fuoco, servizi di informazione) mentre sono molto più critici nei confronti della magistratura, del Parlamento, del Governo, degli Enti locali. I cittadini, cioè, non si sentono adeguatamente rappresentati, neanche nell'ambito di organizzazioni quali i partiti e i sindacati.
Il problema è quindi capire come vengono gestite queste paure. Il punto centrale della questione credo vada ricercato nel rapporto tra cittadini e Stato. Credo sia, cioè, un problema di fiducia dei cittadini nelle istituzioni, nella loro affidabilità. Siamo in presenza di una domanda forte di sicurezza che trova, dall'altra parte, un'offerta spesso incerta e contraddittoria, caratterizzata da incongruenze tra le stesse istituzioni che operano per dare sicurezza. Si sente dire, ad esempio, che le persone non denunciano i reati perché si perde troppo tempo a farle. Possono sembrare banali, ma questi aspetti del rapporto del cittadino con le istituzioni sono molto rilevanti. La comunicazione tra Stato e cittadino, la necessità che le istituzioni stesse comunichino al loro interno e siano solidali con il cittadino, l'assenza di confusione istituzionale, la mancanza di contraddittorietà, l'affidabilità, l'autorevolezza e la coerenza istituzionale e, non ultima, la semplificazione dei processi sono tutti fattori importanti che favorirebbero il venir meno di elementi che creano uno stato ulteriore di insicurezza.
Allora, concludendo, esistono paure che fondano le loro radici in processi complessi; abbiamo la sensazione che alcuni processi, molto ravvicinati e che toccano molto da vicino la nostra sfera individuale, non siano facilmente comprensibili e ciò ci crea angoscia, senso del pericolo; abbiamo la sensazione che aumenti la criminalità e in alcune aree ciò si verifica realmente; abbiamo un problema di gestione di nuove marginalità che creano allarme sociale e problemi reali di ordine pubblico; abbiamo forme di responsabilizzazione individuale e di autodifesa. A fronte di tutto ciò, è necessario che le istituzioni garantiscano un'adeguata offerta di sicurezza soprattutto sotto forma di affidabilità, credibilità e comunicazione al cittadino, oltre che in termini di provvedimenti concreti, anche in questioni apparentemente di minore rilevanza.
E' inoltre importante saper fare comunicazione mediatica, saper parlare dei problemi reali delle persone. Sotto questo profilo, vorrei sottolineare il ruolo dei media i quali seguono spesso una logica nel fornire informazioni che segue binari autonomi rispetto alla società, determinando tuttavia un forte impatto sulle opinioni che si vanno affermando fra i cittadini. Finché si ragiona in maniera "egocentrica", anche il CENSIS o i Servizi di informazione rischiano di rimanere fuori dalla realtà e di non contribuire al processo di responsabilizzazione dei cittadini. L'aspetto della responsabilità individuale è, infatti, fortemente rilevante anche nel campo della sicurezza e le stesse istituzioni dovrebbero favorire in questo un maggiore processo di conoscenza.
La responsabilità, in quest'ambito, va infatti condivisa tra singoli e istituzioni, tenendo però conto anche di fattori esterni, quali ad esempio il fatto che a livello politico le decisioni non sono del tutto autonome, in quanto il nostro paese ha una sovranità limitata in virtù della partecipazione dell'Italia all'Unione Europea. La responsabilità va quindi collegata anche al concetto di autonomia e alla possibilità di verificare realmente gli effetti delle decisioni adottate.
Comunque la sicurezza è un bene collettivo, per cui è la dimensione collettiva che deve promuoverla. Ma per ottenere il risultato è necessario coinvolgere anche la responsabilità del singolo cittadino.
è evidente, quindi, quanto non sia semplice elaborare un "piano" per aumentare la sicurezza dei cittadini in quanto per fare ciò è necessario affrontare numerosi aspetti che coinvolgono le istituzioni, i media, il controllo del territorio, l'immigrazione, l'intervento sociale, la prevenzione, ricorrendo a strumenti quali l'intelligence, il controllo del territorio, la prevenzione e la repressione dei reati. Bisogna cioè operare ad ampio spettro, prima di colpevolizzare chi ha paura o fornire un'immagine molto superficiale della situazione, parlando di presunti miglioramenti che però non sono confortati dalla realtà.
Siamo in presenza, a mio avviso, di un problema molto difficile da affrontare in quanto non è facile individuare quali strutture utilizzare. E' necessaria una conoscenza sempre più approfondita e precisa della situazione, cosa che i dati da soli non sono in grado di fornire. Quindi il vostro compito è particolarmente importante e, in questo, per la mia esperienza, posso dire che il ruolo dei Servizi di sicurezza è sicuramente riconosciuto e molto apprezzato dai cittadini.