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Per Aspera Ad Veritatem n.19
Intervista all'autore: Francois Thuillier

L'Europe du secret - Mythes et réalité du renseignement politique interne




D. - Monsieur Thuillier, muovendo dall'excursus storico relativo a ciascun Paese preso in esame, nel Suo libro analizza le problematiche della società contemporanea e le trasformazioni subite dall'attività di intelligence, sia per ciò che concerne i compiti che le strutture, dopo il crollo del sistema bipolare. Nella Sua analisi, inoltre, fa riferimento alle minacce emergenti dal modificato quadro socio-politico internazionale.
Potrebbe richiamare per i lettori della Rivista quelli che ritiene siano, nel loro insieme, gli elementi caratterizzanti l'attuale processo di mondializzazione per l'Europa e quali siano i riflessi per il mondo dell'intelligence?


R. - Parto da un'ipotesi, forse troppo lunga per essere discussa in questa sede e che condurrebbe d'altronde troppo lontano, che consiste nel dire che la mondializzazione, soprattutto in termini di sicurezza, e più particolarmente in materia di intelligence, non è che un'illusione ottica strumentalizzata al fine di favorire alcuni interessi di potere. Esiste certamente una mondializzazione nella percezione delle minacce, soprattutto dopo l'integrazione della sfera mediatica e l'avvento delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, così come, seppure in misura minore ed a un ritmo che gli è proprio, nella cooperazione dei Servizi informativi, ma parlare, dopo il 1989, di minaccia globale e di caos internazionale dipende più dalla manipolazione, nel tempo e nello spazio, che dallo studio obiettivo della violenza politica. Il terrorismo, ad eccezione di alcune reti islamiste salafite ben organizzate, dissemina infatti gli oppositori al nuovo ordine mondiale nei quattro angoli del pianeta e la criminalità organizzata, tranne rare eccezioni, è abbastanza ... disorganizzata; l'essenziale si gioca altrove, soprattutto nella guerra dell'informazione.
In questo quadro, la costruzione europea non appare, al momento, che come una sorta di versione regionale di questa mondializzazione, in quanto essa non fa altro che riprendere essenzialmente gli stessi obiettivi economici e finanziari, dimenticando il processo democratico che può condurre alla realizzazione dell'Europa politica e della cittadinanza rinnovata che potrebbe eventualmente derivarne.
Le conseguenze per il mondo dell'intelligence sono fondamentali. Il Servizio informativo si colloca nel cuore della sovranità dello Stato, e più in particolare, dello Stato-nazione o post-westfaliano così come inteso nell'Europa occidentale.
Il Servizio informativo costituisce in qualche modo, il nocciolo duro e subisce, dunque, in primo luogo, le conseguenze di questa mondializzazione neo-liberale nei suoi compiti, nei suoi mezzi, nella sua credibilità e quindi nella sua stessa legittimità. Ora, poiché lo Stato vede progressivamente il suo ruolo ridotto a quello di guardiano di questa globalizzazione, il Servizio informativo è costretto a rifugiarsi nei recessi sempre più esigui dello spazio pubblico e dell'interesse generale, addirittura nelle ultime sacche di resistenza della sovranità nazionale, al punto da sentirsi talvolta più vicino agli interlocutori stranieri che vivono la stessa situazione piuttosto che a certe strutture nazionali. Un primo pericolo risiederebbe nella soppressione progressiva del legame tra i Servizi informativi e la sfera politico-amministrativa di ciascun Paese per pervenire ad una relativa autonomizzazione dell'Europa dell'intelligence. Al di là di questo approccio macro, bisogna ugualmente sottolineare la forte tendenza costituita dalla privatizzazione dell'intelligence. Il settore delle società di intelligence private è attualmente in costante espansione, la sua cifra di affari è in piena crescita ed i suoi poteri appaiono sempre più importanti, al punto, per esempio, che il legislatore francese attualmente sta riflettendo sul modo migliore per controllarle.
Tale evoluzione non è così innocente in termini di sovranità poiché, per le più importanti tra esse, si tratta di società che hanno i mezzi per affrancarsi dai quadri nazionali e non obbedire che alle sole leggi del mercato mondiale.

D. - L'Unione Europea mira, sempre di più, all'integrazione e alla cooperazione sociale e politica degli Stati europei. Lei stesso afferma che il Suo volume, quale "studio sul tema dell'intelligence politica interna ha consentito di affrontare la tematica in un quadro socio-politico incardinato ad una prospettiva europea".
Atteso, altresì, che il compito fondamentale dei Servizi informativi è costituito dalla tutela della sicurezza dello Stato, quali pensa possano essere le prospettive per la creazione di un'intelligence europea e quali i settori in cui un'azione comune sarebbe auspicabile, nell'ottica di una revisione del concetto stesso di sicurezza nazionale e alla luce dell'orientamento più recente dei SS.II. tendente a differenziarne le funzioni secondo criteri individuati per materia piuttosto che per area geografica?


R. - Come abbiamo visto, parlare delle prospettive per un'intelligence europea, ci obbliga a considerare le particolarità attuali del processo comunitario e gli interessi fondamentali della futura entità europea. Se questi ultimi si confermano di natura più economica che politica, noi dovremmo assistere alla nascita della nozione di intelligence economica europea, senza avere pregiudizio tuttavia sul ruolo assegnato ai Servizi di Stato rispetto alle strutture specializzate dei grandi gruppi privati europei.
Ma bisogna sottolineare che la cooperazione funziona già relativamente bene su alcune questioni di interesse comune, seppure con un ritmo e secondo modalità specifiche disinserite dal cammino erratico della costruzione europea. In materia d'informazione, è necessariamente il sistema bilaterale che funziona meglio poiché preserva gli aspetti di sovranità e di riservatezza, particolarmente con la regola del "3° Servizio" secondo la quale quando un Servizio A dà un'informazione ad un Servizio B, quest'ultimo non può permettersi di prendere l'iniziativa di fornirla ad un altro Servizio C. E' da notare anche l'importanza delle reti informali in questi scambi e dei relativi problemi concernenti la personalizzazione delle relazioni che, allora, si sviluppano in modo aleatorio e con durata variabile. Questa contiguità è certamente frutto di una sorta di comunione di esperienze per pervenire all'adozione di comportamenti e di metodi di azione affini, ma tradisce anche il carattere effimero delle volontà e delle circostanze. La ragione principale dell' "azione comune" (per riprendere i suoi termini) si riduce ad un approccio simile a quello osservato sullo stato della minaccia. Concretamente, si ritrova, anche se a livelli diversi, un allineamento sul terrorismo (internazionale o endogeno), la criminalità organizzata e l'immigrazione clandestina, poi, in misura minore, sull'hooliganismo, le sette, ecc.. Ma sembra che se il primo si trova come radicato nelle pratiche inglesi (IRA) o spagnole (ETA), la seconda viene impiegata soprattutto nel vostro Paese e la terza in Germania. Questa gerarchizzazione delle minacce irradia quindi verso altri settori della società (media, eletti, leaders d'opinione). Non bisogna inoltre dimenticare la tecnologia come motore importante di cooperazione e di potere. Notiamo anche che il Sistema d'Informazione Schengen (SIS) è stato il primo strumento informatico di cui si sia dotata l'Unione europea. In futuro, Europol dovrebbe possedere anche un proprio sistema integrato di informazioni nominative nel settore del terrorismo, anche se la Convenzione ad hoc resta relativamente ristretta su questo argomento. Tuttavia i limiti di questa cooperazione si rinvengono sia nelle problematiche connesse alla protezione di fonti e di interessi nazionali, sia nelle restrizioni legali.
Nessuna ragione obiettiva sembra tuttavia in grado di poter ritardare l'avvento di una reale comunità europea dell'intelligence sotto l'impulso di Bruxelles, allo stesso modo in cui la NATO ha saputo armonizzare il funzionamento dei SS.II. dei suoi nuovi membri. La difficoltà principale consisterà nell'accordarsi sugli interessi da difendere in comune, senza attendere necessariamente l'atto di nascita ufficiale, che potrebbe essere rappresentato, un giorno, dal primo attentato anti-europeo. E poi qualsiasi potere si costruisce sulla distanza e sul mistero, ed il mondo dei SS.II. E' un grande fornitore di miti e di segreti. L'Europa non sfuggirà alla regola...

D. - Nel suo volume analizza i compiti ed il funzionamento dei Servizi della Germania, dell'Italia, della Spagna e della Gran Bretagna, soffermandosi anche sull'organizzazione strutturale, sul quadro giuridico di riferimento, nonché sull'immagine che offrono di sé ai cittadini. In particolare, una Sezione del volume da Lei scritto riporta un'analisi comparativa dei Paesi presi in esame "tentando di confrontare le eventuali specificità al nostro sistema (la Francia)".
Quali peculiarità ritiene di poter rilevare nei singoli Servizi esaminati e quali ritiene possano costituire esperienze significative da proporre anche ai Servizi degli altri Paesi?


R. - I sistemi informativi in Europa presentano più similitudini che differenze. Qui parlo più volentieri di "sistemi" che di "servizi" perché al di là delle alee della vita amministrativa dei SS.II., addirittura anche dei tipi di regime politico che li regolamentano, sono maggioritari i punti di convergenza. In effetti, si tratta di Servizi che possiedono globalmente la stessa storia e si ritengono figli della democrazia (per i SS.II. interni) o figli della vittoria alleata (per i SS.II. esterni). Essi impiegano tutti, più o meno, personale che possiede al tempo stesso la medesima cultura professionale ed il medesimo profilo socio-culturale. Nonostante alcune differenze di fondo, i loro controlli amministrativi, giuridici e parlamentari sono simili; persino l'ammontare complessivo dell'organico, come dimostra il mio libro, consiste, press'a poco, nelle stesse cifre, al punto che si può parlare di un vero modello democratico di informazione. Tuttavia le differenze esistono. Per prima cosa nello status del personale. Mentre per i latini, i SS.II. sono innanzi tutto degli strumenti per il mantenimento dell'ordine, fosse anche internazionale, ed impiegano in maggioranza agenti di polizia e militari, gli anglosassoni concepiscono piuttosto i SS.II. come vettori d'influenza e vi integrano più volentieri civili e diplomatici. Un'altra differenza è individuabile nell'organizzazione territoriale dei Servizi interni. Per esempio, la Vostra DIGOS, grado locale della Direzione Centrale di Polizia di Prevenzione (DCPP), dispone di un'autonomia più significativa rispetto alle nostre Direzioni Dipartimentali dei Renseignements Généraux, soprattutto perché non dipende che dal Questore. L'autonomia più significativa appartiene alle Special Branch delle forze di Polizia inglesi e, ovviamente, ai Landesamt Für Verfassungsschutz (LfV) tedeschi che lavorano a livello di Land, motivo per cui sono predisposti naturalmente all'avvento, tanto sperato dai sostenitori del federalismo, dell'Europa delle Regioni... D'altra parte, il livello prioritario di coordinazione dei Servizi presenta caratteristiche specifiche a seconda dei Paesi. Per ciò che concerne la Polizia dell'intelligence, la coordinazione dei Servizi si effettua, sia a livello locale, come le Juntas de Seguridad spagnole o i Ministeri federati dell'Interno tedeschi, sia nazionale, come in Francia.
Per i SS.II. propriamente detti, si ritrova dappertutto un livello nazionale, come il CESIS da Voi, il Coordinator of Intelligence and Security inglese ed i loro omologhi presso il Primo Ministro spagnolo ed il Cancelliere federale tedesco.
Infine, non sembra che le differenze tra forze politiche al potere nelle diverse capitali europee abbiano, malgrado qualche riforma dagli effetti marginali, un'influenza fondamentale sull'organizzazione dei Servizi.
Senza cadere in una visione culturalista dell'attività di intelligence, riconosciamo che se l'Europa rappresenta questo progetto politico che si dice di grande richiamo, saprà fornire i mezzi per liberarsi da questi particolarismi locali.

D. - Negli ultimi anni in Italia il tema della comunicazione tra Amministrazione pubblica nel suo insieme e opinione pubblica ha assunto una rilevanza sempre più pregnante nell'ottica di garantire la trasparenza dell'attività istituzionale, da un lato, e di agevolare, dall'altro, l'accesso dei cittadini ai pubblici servizi.
Lei stesso, nel suo volume, affronta il tema connesso al ruolo della comunicazione tra i Servizi di intelligence ed i cittadini, citando anche la presente Rivista. Sulla base della Sua ricerca, in che modo è possibile conciliare al meglio gli obiettivi sopra enunciati con le esigenze di riservatezza proprie del settore dell'intelligence ed, eventualmente, quali ritiene siano gli strumenti più idonei a tal fine?


R. - Il settore delle politiche di comunicazione dei SS.II. caratterizza senza dubbio l'ambito entro il quale si trova maggiormente accentuata la differenza tra la scuola latina e l'altra anglosassone. Nella prima, cui appartengono l'Italia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia e la Francia, le funzioni di intelligence rappresentano il "sancta sanctorum" dell'attività governativa, i muri di cinta vengono innalzati e, anche se Riviste - e Voi ne siete un esempio rilevante - e siti Internet esistono, si ritiene che i Servizi abbiano più da perdere a comunicare, attesi i rischi di dover rivelare i propri mezzi, le priorità ed anche le debolezze, che a tacere. Ne consegue una mistificazione del settore dell'intelligence che serve utilmente da valvola di scarico sia per i governanti che per i governati.
Inglesi e tedeschi hanno, da parte loro, instaurato politiche di comunicazione di altra natura. Essi fondano la legittimità dei loro Servizi sulla trasparenza delle attività svolte avvalendosi di importanti servizi di comunicazione e numerosi portavoce. La trappola dell'ipocrisia non è sempre evitata, ma almeno lo spazio comunicazionale tra SS.II. e cittadini, così necessario per la democrazia, dà l'impressione di essere preservato.
In ogni caso, in questi tempi di esplosione della bolla mediatica, i SS.II. non possono ignorare il terreno della guerra dell'informazione. Io direi anche che ciò rappresenta più che mai la loro principale ragion d'essere. La giudiziarizzazione crescente della vita pubblica, la richiesta di etica e l'esigenza di redditività dei servizi pubblici non sono che i sintomi del regresso generalizzato dello Stato; tuttavia i SS.II. devono tenerne conto, tanto più che, malgrado l'alone di mistero che circonda legittimamente la loro attività, sono lontani da essere le amministrazioni meno meritevoli in questi tre settori. Hanno dunque tutto l'interesse a farlo sapere.
Tale ipermediatismo produce una sorta di realtà virtuale nella quale si soffoca la ragione della classe politica e dell'opinione pubblica; orbene, la sicurezza è un bene troppo carico di valori per lasciare che restino isolati in questo confronto alienante. Il Servizio informativo, nonostante gli handicap connessi alla sua cittadinanza (inerzia amministrativa, imprecisioni giuridiche, mancanza di discernimento e relativa autonomia nella scelta delle minacce, politicizzazione dei quadri, plasmabilità degli interessi da difendere, ecc.), deve saper trasmettere le proprie verità al fine di rendere più oggettivo tale tema e proteggere anche alcuni principi repubblicani. Essendo l'ultimo baluardo dello Stato è, più che mai, suo dovere.



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