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Per Aspera Ad Veritatem n.18
Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla società multietnica

Giovanni Sartori - RCS Libri S.p.A., Agosto 2000, Milano





La tematica del pluralismo e del multiculturalismo risulta oggi di stringente attualità, specie dopo la provocazione intellettuale dell'Arcivescovo di Bologna, Cardinal Biffi, che ha avuto vasta risonanza sui media in ordine alla presenza nel nostro Paese di numerosi immigrati di religione islamica.
Sono stati registrati, in proposito, numerosi interventi di uomini di cultura e della società civile, di opposti schieramenti. Alcuni hanno ravvisato come un pericolo per le Istituzioni la crescente presenza di soggetti di religione islamica, considerati capaci di minare alla base la filosofia dei valori costituzionali. Altri hanno levato gli scudi in nome della difesa delle diversità e la valorizzazione della sua ricchezza, sia di ordine economico che culturale, per tutta la Nazione.
Proprio il saggio del Prof. Sartori ha rappresentato un punto focale di questa querelle. L'illustre politologo ha avuto la forza di prendere una posizione che, d'altronde, grazie alla sua indiscussa fama, non può essere semplicisticamente sospettata di "razzismo".
Giovanni Sartori è professore emerito della Università di Firenze e della Columbia University di New York, accademico dei Lincei ed editorialista del Corriere della Sera, e vanta la diffusione dei suoi numerosi saggi in quasi trenta Paesi.
Il suo lavoro muove dall'esigenza di tracciare una netta linea di demarcazione tra il concetto di pluralismo e quello di multiculturalismo. La prima parte del saggio, infatti, si dedica all'approfondimento dell'idea politica di pluralismo e alle sue interconnessioni con i concetti di tolleranza, consenso, conflitto, regola maggioritaria e politica come pace.
Emerge come l'idea liberale di pluralismo consideri l'unità della compagine sociale attraverso l'interazione di gruppi che sviluppino "affiliazioni multiple" naturalmente - quindi senza meccanismi coercitivi - volontariamente, con forme di appartenenza non esclusive (e quindi aperte). Ciò determina una realtà sociale che si realizza mediante "linee di divisione intersecanti" o cross-cutting cleavages (in pratica nessuno appartiene in esclusiva ad un medesimo gruppo sociale, ma è naturalmente e volontariamente aperto e libero di "affiliarsi" ad altre compagini).
Laddove invece si sommino e si rafforzino l'un l'altro, in modo esclusivo, l'aspetto etnico, linguistico e religioso si determinano "linee di frattura coincidenti" realizzando "comunità chiuse" che, alla lunga, diventano invasive ed aggressive.
Lo stesso concetto di tolleranza, per l'eminente studioso, non ha un'elasticità illimitata, ma si fonda su tre criteri: in primo luogo, fornire sempre delle ragioni di ciò che consideriamo intollerabile (per cui è bandito ogni dogmatismo); quindi, non essere tenuti a tollerare chi ci infligge un danno o un torto. Infine, la reciprocità della tolleranza.
Se poi è vero che siamo al tramonto dello Stato/Nazione, così come inteso con la fine degli assolutismi settecenteschi, questo non vuole dire che si debba vedere anche la morte dell'unità politica. Ciò che allora deve essere difesa, pena la disintegrazione dello Stato, è la comunità. Questa è l'infrastruttura primordiale, intesa come koinonia, per cui sentiamo che qualcosa ci unisce e ci collega. Essa diventa come un organismo vivente, un "identificatore".
Nel rapporto tra pluralismo e comunità, dunque, la comunità è definita dal pluralismo, cioè da una "disposizione tollerante" che ha come sua struttura fondante le "associazioni volontarie non imposte", cross-cutting cleavages.
Questa forma, però, di fatto esiste solo in Occidente.
Mentre la cultura asiatica, pur lontana dalla nostra, è pur sempre laica, il vero problema si crea, invece, con la cultura islamica che ha una visione del mondo di tipo teocratico che non prevede separazione tra politica e religione. Inoltre, quest'ultima non riconosce i diritti umani come inviolabili e considera come "infedeli" coloro che non appartengono alla religione di Maometto.
Le domande che Sartori si pone sono dunque: può il pluralismo accettare la frantumazione della comunità pluralistica? Si deve per forza piegare, non a stranieri culturali ma a nemici culturali? Non è fondamentale che vi sia, poi, reciprocità?
D'altra parte, se si vuole restare estranei, è naturale che vi siano reazioni di rigetto, paura e ostilità. Per questo il contro-cittadino è inaccettabile.
In conclusione, una società aperta è quella pluralistica laddove i diversi e le loro diversità si facciano concessioni reciproche, da cui un'elasticità della tolleranza ma "solo fino ad un certo punto".
Le posizioni dei "multiculturalisti" sono quindi, secondo l'Autore, da considerare con un approccio critico. Sartori rileva infatti che il multiculturalismo, cui è dedicata la seconda parte del libro, non registra solo la diversità ma addirittura la promuove come valore in sé. Rifiuta l'assimilazione, è aggressivo, bellicoso e, in quanto si oppone all'integrazione, di fatto svolge un ruolo di dis-integrazione. Questa concezione, ritenuta figlia di quella classe di intellettuali neo-marxisti (alla Focault), ha sostituito alla lotta di classe la lotta culturale anti-establishment. Ma questo sistema, invece di produrre una nuova Europa sul modello della nazione americana (e pluribus unum), potrà produrre solo una nuova balcanizzazione (e pluribus disiunctio).
Lo stesso concetto guida del multiculturalismo, il riconoscimento - diversamente dall'affermative action americana che differenzia i gruppi per cancellare le discriminazioni delle categorie più deboli per dare poi a tutti le stesse possibilità - discrimina proprio per esaltare la differenziazione. Tra l'altro, spesso nei fatti si cede al riconoscimento solo di quelle culture che sanno organizzarsi meglio e fare più rumore. Così facendo, viene meno ogni criterio oggettivo di scelta delle culture realmente più discriminate.
Questo, alla lunga, non potrà non produrre una crescente conflittualità sociale.
Sartori si sofferma anche su come i fondamenti della tradizione liberal-costituzionale s'incrinino davanti alla teoria multiculturalista, sia per quanto concerne la neutralità dello Stato - che non può essere indifferenza - sia soprattutto per quanto concerne la generalità della legge. Se è tale, infatti, è onninclusiva (tolte rare eccezioni) e si applica a tutti. Se diventa sezionale, invece, come vuole la politica del riconoscimento, discrimina tra inclusi ed esclusi. Ma così si ritorna ad un sistema di tribù, con la "servitù dell'etnia", e non più alla libera cittadinanza data dalla "legge uguale per tutti" (le diversità etniche e religiose, poi, sono quelle che pongono le estraneità più radicali).
Se ciò è vero, si chiede il professore della Columbia University, come è possibile pensare un'integrazione tra soggetti non integrabili, laddove poi l'immigrato appartiene ad una cultura fideistica e teocratica e con una visione della cittadinanza legata esclusivamente alla soggezione al Corano?
Una cittadinanza data a soggetti non integrabili non potrà, pertanto, non portare che alla dis-integrazione. In questo senso, Sartori, vede delinearsi la situazione più a rischio proprio in Italia e Francia, per la loro politica eccessivamente "aperta".
Nelle sue conclusioni, l'Autore mette infine in risalto come gli effetti dirompenti della politica multiculturalista siano fondati sul prevalere del concetto di eguaglianza su quello di libertà. Così facendo, però, si arriverà alla morte di quest'ultima e l'unica identità da salvare sarà, poi, quella degli ospitanti.
Vale certamente la pena di osservare che, data l'autorevolezza e la fondatezza dell'argomentare dell'eminente studioso, e al di là di ogni pregiudizio di parte, che se l'analisi politologica si rivelasse corretta le fondamenta stesse del convivere sociale e politico, specialmente nella nostra Europa, potrebbero essere messe a dura prova. L'eco della strisciante guerra israelo-palestinese, d'altra parte, non deve solo far alzare la soglia dell'attenzione, ma far affrontare il problema dell'integrazione con tutti gli strumenti concettuali idonei, prima, a capire il problema e, poi, a cercarne le soluzioni.



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