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Per Aspera Ad Veritatem n.18
Intervista all'autore: Dario BIOCCA e Mauro CANALI

L'informatore: Silone, i comunisti e la polizia





D. - L'esito delle ricerche storiche riguardanti la figura di Ignazio Silone, che trovano nel libro puntuale documentazione, ha suscitato reazioni assai diverse ed è stato accolto in modo controverso. Qual è la difficoltà dello storico nell'affrontare temi così sensibili, in un certo senso ancora attuali?

R. - Gli studiosi che si imbattono in documenti che appaiono rovesciare interpretazioni storiografiche già acquisite e ormai consolidate devono a volte affrontare difficoltà che li possono indurre a ignorare, inconsapevolmente, anche ciò che essi stessi hanno visto scorrere sotto i propri occhi. Se il contenuto delle carte contrasta anche con i ricordi personali, gli affetti o con percorsi umani e politici largamente condivisi, gli ostacoli possono rivelarsi particolarmente complessi. Nel caso di Silone ci si è imbattuti inizialmente proprio in questo sottile ed efficace meccanismo di "rimozione"; le carte infatti erano state consultate già da numerosi studiosi, specialisti di storia del movimento comunista e biografi di Silone; alcuni documenti erano stati persino pubblicati in raccolte antologiche. Nessuno tuttavia aveva ritenuto di esaminarli, spiegarli e approfondirne il significato, quasi non avessero valore o risultassero, con ogni evidenza, menzogne dell'Ovra.
Due anni fa non ero riuscito a decifrare le reazioni (né i silenzi) seguiti alla pubblicazione del mio preteso "scoop" - cioè la rivelazione dei rapporti di Silone con la polizia fascista. Ad alcune repliche molto aspre avevo attribuito un significato politico, umano ed emotivo. Ma di altri commenti contraddittori ed evidentemente illogici, ancora oggi, non comprendo la ragione - come se, di fronte a un indizio o una prova, alcuni non volessero neppure avviare la discussione. Che Silone fosse in rapporti con un funzionario di polizia, tuttavia, non era una mia ipotesi; la collaborazione era testimoniata a chiare lettere dalle carte dell'archivio; vi erano persino lettere manoscritte firmate da Silone, di proprio pugno, e indirizzate a un alto funzionario della Polizia politica. Si poteva discutere sul significato di quelle carte; non si poteva negarne l'esistenza o l'autenticità.
Il libro apparso nei mesi scorsi, in realtà, dimostra ciò che da tempo si poteva intuire e ipotizzare: Silone aveva mantenuto la collaborazione con la Polizia per un periodo di tempo molto lungo, oltre dieci anni. L'obiettivo perseguito insieme con Canali era dunque di eliminare ogni residuo dubbio, perplessità e incertezza sui documenti di Polizia, cominciando a comprendere anche le ragioni, gli scopi, la natura e le conseguenze della collaborazione. Le reazioni sulla stampa sono state controverse ma, questa volta, più caute e meditate. Alcuni critici hanno negato l'autenticità dei documenti, accusandoci di averli manipolati o falsificati dal principio; la rivista fondata da Silone, "Tempo Presente", mi ha definito «un debole di mente» paragonando il libro ai lavori storiografici ispirati al negazionismo. Ma altri hanno invece cominciato a riflettere su una vicenda di grande complessità, ricca di enigmi, domande, spunti di riflessione storiografica, psicologica e politica. Forse si tratta del percorso naturale di ogni novità documentaria: superato lo scetticismo e lo sconcerto iniziale, si riesamina il problema alla luce dei nuovi elementi.

D. - Naturalmente, un ruolo centrale riveste la metodologia dell'esame archivistico dei documenti. Quale rigore è possibile per lo studioso? In particolare, qual è l'equilibrio necessario tra l'esigenza del riscontro obiettivo e il processo deduttivo dell'interprete?

R. - Il rigore consiste, in primo luogo, nel condurre la ricerca senza alcun pregiudizio fin dove le carte consentono di giungere, non lasciando nulla di intentato per considerare spiegazioni alternative e interpretazioni diverse. Ogni ipotesi di indagine, infatti, indirizza la ricerca verso nuove direzioni e consente di effettuare verifiche e controprove. Nel caso di Silone, ad esempio, è stato necessario procedere anche in senso inverso, ipotizzare cioè che le carte fossero state falsificate per motivi ignoti o incomprensibili. In questo modo si è riesaminato l'intero corpo dei documenti giungendo alla conclusione che non poteva esservi alcuna falsificazione: le relazioni informative erano distribuite in fondi diversi, la grafia era autentica, i riscontri risultavano puntuali e in tutto rispondenti ai criteri di archiviazione utilizzati dalla Polizia. Alla pubblicazione del libro alcuni studiosi hanno ipotizzato ancora una volta che i documenti fossero "falsi dell'Ovra" creati allo scopo di screditare Silone; ma noi avevamo già considerato questa ipotesi verificando che non vi era alcuna prova documentaria di una manipolazione delle carte.
Il processo deduttivo, in una fase della ricerca che in questo caso è da considerare ancora preliminare, consiste nell'elaborare le sole conclusioni che le carte e il contesto consentono di trarre. Sia i saggi apparsi su Nuova Storia Contemporanea sia il volume dedicato ai documenti di Polizia si limitano a dimostrare che Silone svolse il ruolo di informatore della Polizia nel periodo 1923-30, illustrando la natura e il carattere delle notizie fornite agli investigatori, presentando i riscontri rinvenuti in archivio, esaminando il contesto storico e politico in cui le vicende si svolsero. Le carte, tuttavia, non consentono ancora - e dunque non si è in alcun modo forzata la loro interpretazione - di tracciare un nuovo ed esauriente profilo psicologico e politico di Silone. Sarà necessario a tale scopo un lavoro biografico e storico ben più ampio.

D. - Il libro contiene un'ampia sezione dedicata alla pubblicazione dei documenti. È possibile delineare sinteticamente il percorso dell'informatore Silvestri? Come può essere valutato il peso e l'importanza della collaborazione nel quadro della repressione del movimento antifascista da parte del regime?

R. - Proverò a ricordare un esempio che giudico particolarmente significativo. François Fejtö è intervenuto di recente per esprimere sconcerto e sorpresa di fronte alle carte dell'archivio. Se pure le informative attribuite a "Silvestri" sono autentiche, sostiene Fejtö, considerare Silone una spia senza tener conto di un contesto che spiegherebbe l'attività di cui lo s'incrimina è inaccettabile. L'ipotesi che Fejtö suggerisce è che Silone possa aver agito per incarico del Partito comunista fornendo alla Polizia notizie false o insignificanti allo scopo di ottenere altre informazioni, ben più preziose, necessarie a proteggere l'organizzazione comunista che egli stesso dirigeva. Questa ipotesi, secondo Fejtö, non soltanto spiega una vicenda che resta altrimenti indecifrabile; spiega anche perché i dirigenti comunisti, al momento della rottura, si comportarono quasi amichevolmente con Silone. E spiega perché la Polizia, ricevuta la lettera del 1930 con cui Silone interruppe definitivamente la corrispondenza, non adottò misure di ritorsione.
La documentazione presentata su NSC e nel libro, in verità, è ancora incompleta. Essa tuttavia indica già con certezza che Silone prese a inviare relazioni informative alla Questura di Roma nel 1919. Il Partito comunista, com'è noto, in quegli anni non era che un incerto progetto politico; operava invece, pur se tra grandi difficoltà, l'organizzazione dei giovani socialisti - e in particolare l'Unione Socialista Romana, di cui Silone divenne segretario. Di questo periodo sappiamo, tra l'altro, che le corrispondenze con Willi Müenzenberg e gli altri dirigenti del movimento rivoluzionario europeo pervenivano in copia anche all'Ufficio Speciale di Ps diretto da Guido Bellone; a trasmettere le carte era il giovane Silone. Non si trattava di documenti senza importanza. Al contrario: essi illustravano la struttura organizzativa del movimento, delineavano in anticipo le posizioni che l'USR avrebbe assunto, spiegavano gli scontri politici interni e il ruolo dei singoli dirigenti. È legittimo dunque porsi domande analoghe a quelle avanzate da Fejtö: quale obiettivo avrebbero perseguito i dirigenti della gioventù rivoluzionaria italiana nel far conoscere alla Polizia ogni loro iniziativa? E quali notizie Silone, allora privo di esperienza cospirativa, avrebbe carpito al ben più esperto funzionario di Polizia?
Fejtö ipotizza che le informazioni trasmesse da Silone fossero errate o prive di valore. Ma nel compiere i riscontri documentari non si è rinvenuta - come si è detto - alcuna imprecisione o inesattezza. Nell'apprendere del trasferimento di Silone da Berlino a Roma, per esempio, il Questore annotò: «Se costui verrà saremo in grado di conoscere tutto.» Le notizie, inoltre, erano vagliate dai funzionari di Ps e, corroborate da elementi di prova, inserite nei fascicoli aperti su individui o organizzazioni dell'opposizione. Tra le carte si sono rinvenute notizie sui passaggi di frontiera, i fondi inviati da Mosca, gli pseudonimi e gli indirizzi, le tecniche di travestimento, persino dettagli sulla lunghezza della barba dei dirigenti comunisti in attesa di rientrare in Italia sotto falso nome. Più tardi, negli anni della clandestinità, ormai in procinto di colpire il Centro organizzativo del Partito comunista, la Polizia basò alcune importanti scelte strategiche sulla scorta delle notizie trasmesse da Silone. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che Silone fosse un informatore «al ribasso», latore cioè soltanto di notizie di secondaria importanza - o l'organizzazione comunista avrebbe subito colpi ben più gravi. Ma la Polizia non dispose mai di informatori di rango più elevato, in grado di fornire notizie altrettanto dettagliate e tempestive. Malgrado i rimorsi che dilaniarono la sua coscienza negli anni successivi, Silone fu davvero uno dei più preziosi dei collaboratori della Polizia politica. Le conseguenze della sua azione, trattandosi di un membro dell'Ufficio politico del Partito comunista, dovranno essere valutate più compiutamente conducendo nuovi studi in archivio.

D. - Da un certo momento le informative del fiduciario Silvestri contengono analisi politiche ed economiche, oltre che dati su fatti e persone. Risulta dalla ricerca una capacità dell'apparato poliziesco di andare oltre le azioni repressive sviluppando una vera e propria attività di analisi dell'opposizione al fascismo?

R. - Certamente a partire dal 1928 le relazioni di Silone fornirono alla Polizia notizie di carattere politico generale, piuttosto che informazioni relative a uomini e mezzi. In particolare, Silone illustrò alle autorità di Polizia la natura dei contrasti tra i dirigenti del Partito italiano e i vertici dell'Internazionale comunista. La spiegazione è da ricercare in almeno due elementi. In primo luogo Silone aveva lasciato l'Italia, da dove aveva diretto fino al dicembre del 1927 il centro organizzativo del Partito. Egli dunque non disponeva più di notizie aggiornate sulla dislocazione degli uffici clandestini, i passaggi di frontiera, gli pseudonimi. In secondo luogo Silone era divenuto membro dell'Ufficio politico del Pcd'I, il massimo organismo dirigente del Partito; partecipava quindi alle riunioni dei vertici del Partito e dell'Internazionale, sui quali la Polizia disponeva solo di informazioni frammentarie e imprecise. Era dunque naturale che egli inviasse notizie su ciò che poteva osservare direttamente e verificare.
Vi è però anche un altro elemento di carattere più complesso sul quale gli studi recenti di Mimmo Franzinelli e altri ricercatori hanno gettato nuova luce. Le relazioni inoltrate nel 1928-30 dal Capo della Polizia Bocchini a Mussolini indicano che le autorità investigative non puntavano più all'arresto immediato e indiscriminato di tutti i militanti comunisti caduti nella rete tesa da informatori, fiduciari e funzionari di Ps, bensì alla disarticolazione dell'organizzazione clandestina del Pcd'I, dunque a colpire i centri della propaganda e, in particolare, i responsabili dei contatti con il Centro estero. La prospettiva di un'offensiva generalizzata contro il fascismo era ormai tramontata; il regime poteva studiare con attenzione le mosse dell'avversario e colpirlo, con determinazione, al momento opportuno.

D. - Sulla base delle ricerche effettuate, è possibile ipotizzare che ci fossero, ancorché non resi pubblici, sospetti sul vero ruolo di Silone da parte del suo movimento? Per converso, ci fu mai un tentativo, da parte della Polizia, di utilizzare Silvestri quale agente provocatore?

R. - Nel linguaggio politico dei comunisti di quegli anni - e non solo - il termine "traditore" (così come "spia", "rinnegato" ecc.) si applicava a chiunque non condividesse gli indirizzi del gruppo dirigente del Partito - se ne allontanasse o ne fosse espulso. Silone, com'è noto, fu a lungo oggetto di contumelie di ogni genere sulla stampa comunista. Tuttavia solo da alcune corrispondenze private scambiate tra Ruggero Grieco e Palmiro Togliatti nel 1949 si desume che i dirigenti del Partito nutrivano sospetti sul vero ruolo svolto da "Pasquini" (lo pseudonimo assunto da Silone) nel corso della crisi che lacerò i vertici del Partito nel 1928-31. Se negli anni della clandestinità i comunisti avessero sospettato il doppio gioco, essi avrebbero però adottato immediatamente drastiche misure di rappresaglia, come avvenne nei casi di Jonna, Quaglia, Viacava, Vecchi e altri comunisti passati alla Polizia.
Anche per quanto riguarda il ruolo di "agente provocatore", bisogna intendersi sul significato dei termini. I fiduciari della Polizia politica non si limitavano ad assumere e trasmettere informazioni; essi agivano secondo le direttive impartite dai funzionari del Ministero dell'interno. Le carte dell'archivio, sulle quali sarà necessario condurre nuove e più approfondite ricerche, confermano ad esempio che i dubbi di Togliatti e Grieco erano fondati: di fronte agli accesi dibattiti sulla "svolta" del 1928 e la probabile scissione del gruppo dirigente del Partito in due fazioni contrapposte, Silone chiese un incontro ai funzionari di Polizia allo scopo di poter al più presto "coordinare" la propria linea di condotta. Resta ancora da verificare l'esito del suo atteggiamento che, come è noto, apparve inspiegabile ai rappresentanti di entrambi gli schieramenti del Partito.

D. - Quale peso esercitò l'arresto e la successiva morte del fratello dello scrittore, Romolo Tranquilli, sulla vicenda della collaborazione di Silone con la polizia fascista?

R. - Anche se nuove, interessanti carte sono emerse di recente dagli archivi di Polizia e da altre fonti, la biografia di Romolo Tranquilli deve essere ancora ricostruita con attenzione. Sappiamo che quanti ebbero modo di fornire dettagli utili alla ricostruzione delle vicende che condussero all'arresto e alla detenzione del giovane fratello di Silone si adoperarono invece per confondere - a volte senza neppure curarsi di coprire le incongruenze e le omissioni del loro racconto. Il mistero, com'è noto, è in parte legato alle indagini sull'attentato di Piazzale Giulio Cesare, al rinvenimento negli abiti di Romolo Tranquilli di due "schizzi planimetrici" e di una busta contenente veleno. Nessun processo tuttavia fu mai intentato per la strage di Milano, nessuna condanna venne pronunciata o eseguita; lo stesso Mussolini ordinò ai giornali di non fornire notizie circa l'esito delle indagini. Si tratta di un tema particolarmente complesso, nel quale è necessario procedere con cautela per comprendere le ragioni dei silenzi, delle omissioni, dell'ambiguità stessa delle carte.

D. - Nel libro sono riportati passaggi e citazioni di alcune importanti opere di Ignazio Silone, in particolare Fontamara e Pane e Vino. Gli elementi documentali riferiscono anche di un quadro depressivo che portò lo scrittore a intraprendere un trattamento psicoanalitico. Quale intreccio è possibile cogliere tra la biografia personale e la letteratura di cui Silone è stato interprete così significativo?

R. - A partire dagli anni Trenta e lungo tutto il corso successivo della sua vita, Silone riesaminò e raccontò, trasformandolo incessantemente, il proprio passato, attribuendo coerenza a fatti, episodi e comportamenti che non avrebbero trovato semplici spiegazioni. Questo processo di ricomposizione della memoria è presente in pressoché tutti gli scritti autobiografici e - trasfigurato - nei racconti e nei romanzi. Alcune ricostruzioni risultano tuttavia alterate rispetto allo svolgimento ormai accertato dei fatti. Ricordo, ad esempio, il celebre racconto di Uscita di sicurezza in cui il comunista Di Vittorio avrebbe esortato Silone a rimanere nel Partito. In realtà Di Vittorio non partecipò neppure a quella riunione, che sancì la definitiva rottura di Silone con Togliatti. Ricordo anche la descrizione del viaggio a Mosca nel 1927, presentata nel libro come se Silone avesse allora intuito la tragedia dello stalinismo mentre, invece, la battaglia politica in Urss era aspra ma non ancora risolta a favore degli staliniani. O, ancora, il racconto del dissidio con i vertici del Pcd'I nel ‘28-30 sul tema della "svolta" - una vicenda che ormai sappiamo si svolse in modo ben diverso rispetto al racconto appassionato di Silone.
L'impressione che si ricava è dunque che Silone ricostruisse non soltanto la propria identità politica ma anche e soprattutto la propria memoria. Questo processo prese forma nella scrittura - autobiografica e letteraria. Silone spiegò dunque agli altri e a se stesso gli avvenimenti del passato rielaborandoli, arricchendoli di particolari ogni volta inediti, cercando senso e coerenza in quanto era accaduto, e a volte nascondendo e rimuovendo ciò che non poteva essere ricordato o rielaborato. Il rapporto tra esperienza biografica e creazione letteraria è complesso e non si possono sovrapporre metodologie di indagine tra loro assai diverse. Proprio per questo motivo intendo approfondire lo studio e, non appena possibile, condurlo fuori dal terreno puramente archivistico, fattuale e documentario, dal quale ha tratto origine.
Sono persuaso che la riflessione potrà risultare utile per finalmente comprendere la vicenda umana e culturale di uno dei più grandi scrittori del Novecento ma anche riesaminare una pagina complessa e per molti aspetti ancora inesplorata della storia recente del nostro Paese.


(*) L'intervista è stata realizzata dalla Redazione con Dario Biocca.

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