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Per Aspera Ad Veritatem n.16
Il segreto di Stato e i diritti dell'uomo

Anne KRYWIN e Christophe MARCHAND




I diritti dell'uomo sono diritti garantiti dalla Costituzione, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e dal Patto internazionale in materia di diritti civili e politici sottoscritto a New York il 19 dicembre 1966.
Ci è sembrato utile, per chiarezza di dibattito, limitare l'esame dei diritti dell'uomo ai diritti della difesa, nell'accezione più ampia che va dal principio della presunzione d'innocenza fino al diritto di beneficiare di un giusto processo. Quest'ultimo principio comprende il diritto, da parte di qualsiasi imputato o accusato, di controbattere le prove a suo carico, di interrogare i testimoni nel corso di un contraddittorio, di poter giudicare la legittimità delle azioni legali promosse nei suoi confronti.
I Servizi informativi hanno l'obbligo, quale compito fondamentale, di garantire, insieme ad altre Istituzioni, la sicurezza pubblica.
Nell'esercizio di tali funzioni, gli appartenenti ai Servizi informativi devono spesso bilanciare (dal loro punto di vista, in qualsiasi circostanza) il rischio di arrecare pregiudizio alle libertà ovvero ai diritti fondamentali dell'individuo con i poteri dello Stato.
Al fine di preservare lo Stato di diritto, bisogna necessariamente cercare un giusto equilibrio tra questi due valori? Bisogna trovare il giusto mezzo tra la "contrazione idealista dei principi dello Stato di diritto e le deviazioni liberticide a sostegno della sicurezza nazionale"?
In questa materia, il contributo della Corte europea dei diritti dell'uomo è enorme e noi ci permetteremo di mettere in evidenza, nel corso di questo breve studio, l'importanza assunta dal principio del diritto alla difesa rispetto al potere degli organi statali incaricati della prevenzione e della repressione.
Si tratterà dapprima di focalizzare l'attenzione su alcune decisioni della Corte di Cassazione belga in materia di diritto alla difesa e di esaminare, in seguito, alcune sentenze della Corte europea concernenti testimonianze anonime e, in modo più specifico, quelle di agenti infiltrati o provocatori, soggetti sensibili nel quadro dell'attività di polizia e dei Servizi d'intelligence.
Avrebbe potuto essere egualmente interessante affrontare da questo punto di vista la problematica concernente la gestione degli archivi, ma questa sarà esaminata da un altro oratore.


Il rispetto dei diritti alla difesa pone la questione del ruolo svolto dai Servizi informativi rispetto a quello della polizia di sicurezza e della polizia giudiziaria (1) .
Gli agenti impiegati nell'attività di polizia dei Servizi informativi hanno il compito di investigare sui crimini e perseguire i criminali, ma anche di prevenire il verificarsi stesso dei crimini (2) .
Infatti, tradizionalmente, il compito precipuo degli agenti dei SS.II. E' stato quello di reprimere o prevenire i crimini e i delitti specificati dal codice penale del 1867, ordinati sistematicamente all'inizio del secondo libro del codice penale: "Dei crimini e dei delitti contro la sicurezza dello Stato". Si tratta della repressione del terrorismo e del tradimento. Oggi la competenza della Sûreté de l'Etat e del Service Général du Renseignement sembra molto più estesa.
L'articolo 3, 2° comma della legge organica del 18 luglio 1991 concernente il controllo dei Servizi di polizia e di informazione, per attività della polizia dei Servizi informativi intende "qualsiasi attività rivolta espressamente all'acquisizione e al trattamento dei dati concernenti persone, gruppi o avvenimenti al fine di garantire la sicurezza".
Il 16 luglio 1998, il Senato ha approvato un progetto di legge organica concernente i Servizi di informazione e sicurezza, dopo aver cercato di definire i compiti della Sûreté de l'Etat riassumibili in "ricerca, analisi e trattamento di informazioni relative a qualsiasi attività che minaccia o potrebbe minacciare la sicurezza interna dello Stato ed il mantenimento dell'ordine democratico e costituzionale... o qualsiasi altro interesse fondamentale del Paese, definito dal Re, su proposta del Comitato Ministeriale...".
I diritti alla difesa possono, da allora, essere messi in discussione. Ci si domanda quando l'attività di polizia dei Servizi informativi, segreta per definizione e con metodiche investigative autorizzate ma non ancora codificate in un testo legislativo, possa fornire alla gendarmeria, alla polizia comunale o alla polizia giudiziaria un'informazione raccolta nell'esercizio delle sue funzioni.
Un servizio di polizia non può raccogliere prove se non rispettando la legge. Se un'informazione è il risultato di un'infiltrazione non regolamentare, di un'istigazione illegale o di un'intercettazione contraria alle prescrizioni legali, tale informazione non solo non potrà aver valore probante, ma vizierà tutta la procedura successiva (3) .
La Corte di Cassazione belga ha sostenuto fortemente questo principio in una sentenza, rimasta celebre, del 13 maggio 1986 (4) .
Il provvedimento definitivo risultante da una prova illegale, così come ben rilevato da Franklin KUTY "non è solo valido al fine di vigilare sul rispetto dei diritti alla difesa, è anche un modo per sensibilizzare gli inquirenti, per far loro capire che un fine, per quanto nobile e giusto, non giustifica di per sé l'uso di qualsiasi mezzo.
Prevenire la reiterazione di tali procedure illegali, delineare meglio le norme da seguire al fine di evitare per l'avvenire siffatti provvedimenti e tentare di "moralizzare" il comportamento di alcuni rappresentanti dell'Autorità Giudiziaria sono comunque obiettivi non trascurabili" (5) .
La violazione ai diritti della difesa avrebbe la conseguenza di rendere irricevibile l'indagine condotta. La Corte di Cassazione ha così definito il diritto alla difesa: è necessario che l'imputato abbia la possibilità, dinanzi alle giurisdizioni giudicanti, di contraddire liberamente gli elementi presentati contro di lui dal pubblico ministero (6) .
Come contraddire ciò che per definizione deve essere tenuto segreto, un'infiltrazione, un'istigazione, o comunque una metodologia vietata?
Il giudice dinanzi ad una problematica di questa natura non avrebbe altra scelta se non constatare che in assenza di eventuali contraddizioni è preferibile applicare la giurisprudenza cui già abbiamo fatto riferimento sopra, confermata anche da una sentenza della Corte di Cassazione del 24 aprile 1996 (7) .
La legge del 18 luglio 1991 che regolamenta il controllo dei Servizi informativi consente un controllo da parte del Comitato R sulle attività svolte dai Servizi d'intelligence. Ma tale controllo è in grado di evitare la violazione dei diritti alla difesa? In prima battuta, si potrebbe rispondere negativamente: questo controllo esercitato da parte di un organismo indipendente, che informa il Parlamento ed è apprezzato all'estero per la sua trasparenza (8) , sembra insufficiente, a nostro avviso, a rivelare una violazione dei diritti di difesa.
Infatti, se in ragione dell'articolo 34 della citata legge, il singolo dispone di un diritto di denuncia e seppure un rapporto relativo a ciascuna inchiesta viene rimesso alla competenza del ministro, della Camera o del Senato - oltre il tempo necessario per trattare la denuncia e depositare il rapporto - il Parlamento non avrà mai a disposizione l'intero carteggio d'inchiesta, potrà eventualmente riceverlo solo in seguito, secondo quanto disposto dall'articolo 36 (9) .
E' evidente che questo sistema di controllo sancito dalla legge mira a censurare o stigmatizzare comportamenti previsti a livello di organizzazione ma non è in grado di consentire la protezione individuale di chi potrebbe essere vittima di comportamenti discutibili.

Il ricorrente era una persona appartenente allo SHAPE fin dal 1967. Negli anni '80 si era visto risolvere il contratto di lavoro in quanto il governo belga aveva ritirato il suo "certificato di sicurezza" (10) . Tale certificazione viene rilasciata dal Ministero per gli Affari esteri (Direzione generale dell'amministrazione - Direzione della sicurezza).
L'attore ha chiesto chiarimenti circa le ragioni che avevano portato al ritiro del suo certificato di sicurezza. Il Ministero per gli Affari esteri ha risposto affermando di non dover dare giustificazioni concernenti informazioni segrete né tanto meno produrle materialmente.
In una sentenza del 18 febbraio 1994 (non pubblicata), il Tribunale di 1a istanza di Bruxelles ha stabilito che le ragioni invocate dallo Stato belga a motivo del rifiuto all'accesso dei dati che avevano portato al licenziamento non erano pertinenti.
Lo Stato, infatti, sosteneva che "per ragioni connesse all'interesse prevalente dello Stato, è necessario assicurare la riservatezza delle informazioni relative alla sicurezza e alla difesa del territorio, lo Stato non è tenuto, pertanto, a rivelare i motivi che hanno portato a rifiutare il rinnovo del certificato di sicurezza dell'attore".
Inoltre lo Stato belga ha ritenuto che l'atto rifiutato non fosse un atto amministrativo ma un atto politico, sottratto pertanto al controllo del potere giudiziario.
Il giudice ha stabilito che "il rispetto del principio fondamentale del diritto di difesa esige che (...) il convenuto possa avere conoscenza della documentazione amministrativa relativa alla sua persona o almeno un'indicazione sufficientemente dettagliata dei motivi che hanno indotto al rifiuto del rinnovo del certificato di sicurezza.
Una simile conoscenza nel quadro di un processo civile non sembra di natura tale da compromettere gli imperativi di sicurezza e di difesa del territorio; è sufficiente considerare, a tal proposito, che se il convenuto fosse stato oggetto di procedimento penale, secondo quanto prescritto dall'articolo 118 del codice penale (...), avrebbe avuto comunicazione dettagliata dei gravami pendenti sulla sua persona e avrebbe avuto luogo il relativo dibattimento nel corso di un'udienza pubblica".
Il giudice ha quindi condannato lo Stato belga a consegnare il fascicolo in parola o, almeno, le motivazioni dettagliate addotte nei confronti del richiedente nel termine di trenta giorni dal deposito della sentenza, ovvero al pagamento di una penale di 10.000 franchi per ogni giorno di ritardo.
Nella seconda sentenza del 23 ottobre 1998, lo Stato belga ha chiesto che si desse luogo ad un procedimento a porte chiuse affinché il dibattito concernente il contenuto del fascicolo acquisito non fosse reso pubblico. Il giudice ha rigettato tale richiesta. Lo Stato belga, infatti, ha sostenuto che "le udienze pubbliche rischierebbero di rivelare il modus operandi relativo ad indagini di sicurezza condotte dalla Sûreté de l'Etat, consentendo così ad un eventuale individuo male intenzionato di modificare la sua condotta e di falsificare documenti amministrativi allo scopo di dar luogo ad un'istruttoria più favorevole".
Il giudice ha risposto: "atteso il carattere per natura riservato, leggasi segreto, delle attività si sicurezza dello Stato, non può essere sottratto al giudice (...) il potere di valutare se l'interesse della sicurezza nazionale esiga o meno di privare il ricorrente della garanzia costituzionalmente riconosciuta della pubblicità dei dibattimenti innanzi alle corti e ai tribunali".
Il giudice ha ritenuto che lo Stato belga non dovesse produrre la prova, considerato che l'interesse della sicurezza nazionale esigeva un procedimento a porte chiuse.
In occasione della terza sentenza, quella del 13 novembre 1998, il Tribunale di prima istanza ha condannato lo Stato belga a pagare all'attore la somma di 5.000.000 di franchi, oltre agli interessi legali e alle spese.
Il giudice ha basato la sua decisione sulla circostanza che l'autorità preposta al rilascio del certificato di sicurezza aveva, rifiutando il rilascio stesso, commesso un errore.
Senza entrare nel dettaglio dei danni subiti a causa del ritiro del certificato di sicurezza, è necessario rilevare che il giudice ha ritenuto: "... che l'indagine di sicurezza non rivela l'identità e il contenuto di quanto dichiarato dai testimoni interrogati, circostanza che pone l'attore nell'impossibilità di verificare la pertinenza delle testimonianze e, all'occorrenza, di contestarne la rispondenza a verità".
Il giudice, partendo da tale premessa, ha ritenuto: "che la motivazione della decisione dell'Autorità Nazionale di Sicurezza, risultando sprovvista di una giustificazione minima sufficiente, dovesse essere considerata errata".
Questa sentenza è un esempio concreto dell'imperativa necessità di comunicare il contenuto delle indagini effettuate dei Servizi informativi, al fine di garantire il principio del rispetto dei diritti alla difesa.

Il rispetto dei diritti di difesa sembra essere inconciliabile con l'esistenza stessa dei Servizi informativi che, dietro la copertura del segreto di Stato, potrebbero rifiutare l'accesso a documenti riservati.
Si è visto sopra che il mancato accesso ai documenti può comportare una violazione irrimediabile ai diritti di difesa, con la conferma dell'improcedibilità dell'azione penale.
Pertanto, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha raccolto in materia di testimonianze anonime un'interessante giurisprudenza che potrebbe essere trasfusa in materia di segreto di Stato.
In numerosa documentazione repressiva, a volte legata alla criminalità organizzata, risulta evidente che molte inchieste dipendono da testimonianze anonime. Che si tratti di criminali pentiti, di agenti di polizia infiltrati, o addirittura di agenti provocatori, le testimonianze anonime sembrano risultare preziose alla lotta contro la criminalità organizzata.
Se, in via generale, possiamo rammaricarci del fatto che la delazione sia diventata una modalità normale di tecnica investigativa (11) , dobbiamo rallegrarci che la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia posto condizioni particolarmente restrittive circa l'esercizio di questa modalità di acquisizione della prova.
D'altra parte, la Corte europea dei diritti dell'uomo, in questi ultimi dieci anni, ha dovuto pronunciarsi più volte sul delicato problema delle testimonianze anonime e, più specificamente, sulla testimonianza del poliziotto infiltrato in ambiente criminale (12) . Nella sentenza Lüdi del 15 giugno 1992 (13) , la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto di tutelare l'interesse legittimo delle autorità di polizia volto a preservare l'anonimato dell'agente, in primo luogo, per proteggerlo ma anche per poterlo utilizzare ancora per l'avvenire (14) .
In un secondo momento la Corte si è mostrata più severa con la sentenza Van Mechelen del 23 aprile 1997 (15) .
In occasione di questa sentenza la Corte ha reputato che vi fosse stata una violazione all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
A parte il fatto di ritenere che la condanna degli attori poggiasse "in modo determinante su deposizioni anonime (16) ", la Corte ha preso in esame puntigliosamente la procedura adottata per poter controbattere le testimonianze anonime.
Infatti, "i poliziotti ‘anonimi' sono stati interrogati dal giudice istruttore che ne ha verificato di persona l'identità e, in un dettagliato processo verbale contenente le proprie constatazioni, ha emesso un giudizio sull'affidabilità e credibilità degli agenti, nonché sulle ragioni che giustificavano il mantenimento dell'anonimato".
La Corte ha considerato non sufficiente siffatta procedura in quanto "tali misure non potrebbero sostituirsi adeguatamente all'interrogatorio effettuato direttamente dalla difesa nei confronti dei testimoni, indispensabile per giudicare condotta e affidabilità di questi ultimi. Non si può dunque dire che gli ostacoli incontrati dalla difesa siano stati sufficientemente superati con la procedura sopra esposta " (17) .
Un secondo principio evidenziato in occasione di questa sentenza è che la Corte ha stabilito che "gli interessi della difesa da un lato e gli argomenti addotti in favore del mantenimento dell'anonimato dei testimoni dall'altro, pongono specifici problemi se i testimoni in parola appartengono alle forze di polizia. Se gli interessi di questi ultimi - come evidentemente quelli delle loro famiglie - meritano anch'essi una protezione da parte della Convenzione, bisogna riconoscere che la loro situazione differisce un po' da quella di un testimone o di una vittima. Essi hanno un dovere di obbedienza generale nei confronti delle autorità esecutive dello Stato ma anche vincoli nei confronti del pubblico ministero; già solo per queste ragioni, non bisogna impiegarli come testimoni anonimi se non in circostanze eccezionali " (18) .
Si possono trarre due insegnamenti dalla giurisprudenza recente della Corte europea e trasporla alla materia che ci interessa, il segreto di Stato.
In primo luogo, la Corte ha ritenuto che l'utilizzo di testimoni anonimi appartenenti alle forze di polizia non potesse verificarsi che in circostanze eccezionali. In materia di Servizi Informativi e raccolta di documenti - anonimi e segreti per definizione - noi non riteniamo che circostanze eccezionali possano essere identificate a priori, senza che il giudice possa pronunciarsi sulle ragioni che inducono ad opporre il segreto. Così nella sentenza sopra citata, la Corte ha stigmatizzato la circostanza che il governo olandese non avesse sufficientemente spiegato alla Corte stessa le motivazioni che avevano indotto a ricorrere a limitazioni tanto forti del diritto dell'accusato, quali il divieto di produrre nel corso del dibattimento le prove a carico, né avesse previsto l'adozione di misure meno restrittive (19) .
Sembra dunque che il giudice debba in concreto, nel caso di specie, pronunciarsi sulla pertinenza delle ragioni addotte dai Servizi informativi per evitare la divulgazione di documentazione segreta.
In secondo luogo, la Corte ha ritenuto che la difesa debba poter controbattere direttamente le testimonianze anonime.
Se si traspone questa giurisprudenza al tema del segreto di Stato, è necessario che la difesa abbia direttamente accesso ai documenti segreti al fine di poterne controbattere liberamente il contenuto.
Questa giurisprudenza, che è stata applaudita da una certa dottrina (20) , e denigrata da altra (21) , sembra non essere disposta ad accettare di buon grado la sola idea dei Servizi Informativi che collaborano con gli altri Servizi di polizia. Paul De Hert prevede, secondo la sua opinione, giorni difficili al diritto della polizia rispetto alla giurisprudenza della Corte in materia di diritto di difesa (22) .
La Corte europea dovrà eventualmente pronunciarsi su casi specifici al fine di confortare o meno questa impressione.

Abbiamo visto che i Servizi Informativi, in Belgio, hanno anche compiti di polizia amministrativa.
Quando svolgono tali funzioni, risulta evidente che i diritti di difesa devono essere rispettati come qualsiasi informazione o prova raccolta dalla Polizia latu sensu.
Il vuoto legislativo che si verifica in caso di accesso a documentazione coperta da segreto di Stato mostra la necessità di un puntuale intervento legislativo.
E' necessario prestare attenzione ad un eventuale "affievolimento" dei diritti di difesa, sia sul piano internazionale (23) che regionale (24) . Questa tendenza esiste in egual misura anche nel diritto interno, con la recente creazione dell'istituto del Magistrato Nazionale, autorità segreta dotata di autocontrollo e di autodisciplina, che dispone di ampi poteri informativi e istruttori, secondo quanto sancito dall'articolo 47bis, inserito nel capitolo IVbis del codice di procedura penale.
E' auspicabile che le autorità di controllo (magistratura, Comitato R o Parlamento) vigilino affinché i Servizi informativi siano sottoposti ad un controllo effettivo delle attività svolte.
Non si tratta di una "contrazione idealista" dei diritti dell'uomo ma piuttosto di assicurare il concreto rispetto delle libertà fondamentali secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Oltre alle azioni illegali dei Servizi informativi, sottolineate dall'Ammiraglio Lacoste in occasione di una recente conferenza (25) , le deviazioni totalitarie dei Servizi di polizia degli Organismi informativi non sono il frutto dell'immaginazione paranoica di certi "chierici intellettuali", ma realtà esistenti che bisogna eliminare in avvenire.
L'inchiesta parlamentare concernente le modalità operative della lotta al banditismo e al terrorismo ha infatti stigmatizzato l'appartenenza di alcuni membri della polizia a gruppi di estrema destra, così come, per esempio, la prassi di creare fascicoli riservati (26) .
Il controllo indipendente da parte del Comitato R da un lato e del potere giudiziario dall'altro, consentono di poter ritenere che questa possa essere la soluzione ideale cui ancorare la realtà.


(*) Traduzione a cura della Redazione.
(1) La legge sulle funzioni di polizia del 5 agosto 1992 dà una definizione abbastanza precisa di polizia di sicurezza - l'articolo 14 recita: "La gendarmeria e la polizia comunale vigilano sul mantenimento dell'ordine pubblico, compreso il rispetto delle leggi e dei regolamenti di polizia, la prevenzione dei reati e la protezione delle persone e dei beni. Allo stesso modo prestano assistenza a qualsiasi persona in pericolo." - e di polizia giudiziaria - l'art. 15 dispone: "La gendarmeria, la polizia comunale e la polizia giudiziaria hanno il compito di assicurare alla giustizia gli autori di crimini, delitti e infrazioni, di raccoglierne le prove, di fermarne gli autori, di cercare le prove e di effettuare sequestri nei casi in cui è previsto.
(2) Töllborg, op. cit., p. 129.
(3) Sulla liceità delle intercettazioni telefoniche, vedasi T. Henrion, Les écoutes téléphoniques, JT, 1995, pp. 205-213. Sulla liceità delle localizzazioni telefoniche (Zoller-Malicieux); vedasi Corte d'Appello di Bruxelles (Chambre des Mises), 11 luglio 1997, nella causa KAOUKABI, non pubblicata, e Tribunal Correctionnel di Bruxelles (55a Chambre), 2 dicembre 1997, nella causa ALP, non pubblicata. In queste due sentenze sono considerate illecite le localizzazioni telefoniche eseguite in violazione dell'articolo 88 bis del codice di procedura penale.
(4) Cass., 13 maggio 1986, Pas., I, p. 1107; vedasi anche Cass., 17 gennaio 1990, R.D.P.C. 1990, p. 653 e Cass., 17 aprile 1991, J.L.M.B. 1992, p. 94.
(5) F. Kuty, nota in Cass., 7 febbraio 1995, J.L.M.B., 1997, p. 484. Nello stesso senso, vedasi D. Vandermeersch e O. Kless, La réforme "Franchimont", Commentaire de la loi du 12 mars 1998 relative à l'amélioration de la procédure pénale au stade de l'information et de l'instruction, J.T., 1998, p. 440: "il diritto della procedura penale si colloca al centro dei diritti dell'uomo". Vedasi anche P. Traest, T. De Meester e A. Masset, Le règlement de la procédure et le côntrole de la régularité de la procédure, in M. Franchimont (dir.), La loi du 12 mars 1998 réformant la procédure pénale, Liegi, 1998, pp. 185-186: "l'abbandono di queste garanzie (procedurali) significherebbe in effetti il fallimento inesorabile dello stato di diritto".
(6) Cass., 1° febbraio 1995, Pas. 1995, I, pp. 117-122. Questa nozione "avere avuto la possibilità di contraddire" significa semplicemente che l'imputato deve chiedere di poter contraddire gli elementi di prova presentati contro di lui, e che se non lo fa, il suo diritto alla difesa non sarà comunque violato: Cass., 2 maggio 1990, Pas. 1990, I, pp. 1006-1014.
(7) Cass., 24 aprile 1996; Recenti sentenze della Corte di Cassazione 1997 e nota di L. Arnou, Ammissibilità della prova in materia penale e diritto di difesa, pagg. 10-15; Cass. 30.5.1995; Recenti sentenze della Corte di Cassazione 1996 e nota di P. Traest, L'internazionalizzazione del diritto di prova: intercettazioni telefoniche e modalità di effettuazione delle stesse in territorio estero al fine di consentirne l'utilizzo a fini probatori, pagg. 142-152.
(8) Vedasi dichiarazione di P. Bouchet, in Table Ronde. A proposito del controllo sui Servizi informativi, P. Bouchet, P. Lacoste (Ammiraglio), E. Plenel e B. Warusfel, Les cahiers de la sécurité intérieure, 4a trimestre 1997, n. 30, p. 154.
(9) E non si parla della possibilità di archiviare la denuncia, (articolo 34), della possibilità per gli operatori dei Servizi informativi di non rivelare il segreto (articolo 48, § 1°) e neppure del fatto che il Parlamento possa ricevere semplicemente una parte del fascicolo d'inchiesta (articolo 36).
(10) La normativa è stata recentemente modificata con la legge 11.12.1998, pubblicata in parte III di questo numero della Rivista (Nota a cura della Redazione).
(11) Vedasi al riguardo, M. Preumont, Un exemple de politique criminelle: la dénonciation, cause d'excuse prévue par l'article 6 de la loi concernant le trafic des stupéfiants, in Mélange offert à Robert Legros, pp. 499-516 e A. De Nauw, La loi sur les stupéfiants et la jurisprudence, recyclage en droit, sessione 1998, Facoltà universitaria Saint-Louis, non pubblicato, pp. 4-6.
(12) Al riguardo, ci si riferisce in via generale ad A. De Nauw, i cui riferimenti si trovano nella nota precedente.
(13) Per il testo integrale della sentenza, vedasi n. 14/99 della Rivista, parte III, pag. 877 ss. (nota a cura della Redazione).
(14) Corte europea dei diritti dell'uomo, 15 giugno 1992, R.T.D.H., 1993, p. 309.
(15) Corte europea dei diritti dell'uomo, 23 aprile 1997, R.D.P.C., 1997, p. 1226.
(16) Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, 23 aprile 1997, op. cit., § 63.
(17) Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, ibidem, § 62.
(18) Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, ibidem, § 56, che si intende evidenziare.
(19) Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, ibidem, § 60.
(20) M.A. Beernaert, Note sous Cour européenne des droits de l'homme, 23 aprile 1997, R.D.P.C., 1997, p. 1226.
(21) J. De Codt, Note sous Cour européenne des droits de l'homme, 23 aprile 1997, R.T.D.H., 1998, p. 167.
(22) P. De Hert, Jurisprudence européenne dans la sphère de la police, 1996, Vigiles, 1998, n. 4, p. 30.
(23) A. Klip, The decrease of protection under human rights treates in international criminal law, Rivista internazionale di diritto penale, vol. 68, 1998, pp. 291-310.
(24) S. Cuykens, Le système de contrôle national d'Europol, nella conferenza organizzata ad Amsterdam dall'organismo A.E.D. (Avvocati Europei Democratici), 7 marzo 1998, non pubblicata, 5 pagine.
(25) P. Bouchet, P. Lacoste (Ammiraglio), E. Plenel e B. Warusfel, Tavola rotonda: A propos d'un contrôle du renseignement, in Le renseignement, les cahiers de la sécurité intérieure, 4° trimestre 1997, n. 30, p. 149.
(26) Inchiesta parlamentare concernente le modalità operative della lotta al banditismo e al terrorismo, conclusioni della commissione d'inchiesta, aprile 1988-aprile 1990, Camera dei Rappresentanti del Belgio, sessione ordinaria 1989-1990, pp. 7-8.

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