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Per Aspera Ad Veritatem n.16
Criminalità organizzata interna e stabilità nei Balcani

Carlo JEAN




Desidero iniziare questo intervento ringraziando il SISDe. E' per me un onore partecipare a questa conferenza, in quanto ritengo l'attività dei Servizi di intelligence di enorme importanza e in costante crescita in un mondo che sta vivendo un processo di deregolazione, mai conosciuto negli anni precedenti. Una deregolazione che si muove lungo direzioni impreviste e con una rapidità di trasformazione sconosciuta nel passato, per cui fenomeni quali ad esempio l'aumento demografico o il raddoppio della popolazione mondiale che prima avvenivano in due o tre secoli, adesso si producono in venticinque anni.
Questa accelerazione dei tempi, questa imprevedibilità dell'evoluzione rende necessario il supporto di Servizi di Informazione affinché riescano ad individuare le grandi linee di evoluzione del futuro. Senza questo apporto dell'intelligence non è possibile nessuna decisione "intelligente".
L'intelligence deve essere adeguata, in termini di tempi, alla lunghezza con cui hanno effetto le decisioni che vengono di volta in volta prese. La fine del mondo bipolare e del confronto Est-Ovest ha modificato completamente alcuni dei fattori base su cui si fondava l'ordine mondiale e che, in un certo senso, rendeva più facilmente prevedibile il futuro. Il venir meno di simili punti di riferimento ha determinato una sorta di turbolenza, di ipercompetizione, che io chiamo "turbocapitalismo".
Lo stesso rapporto tra Unione Sovietica e Stati Uniti basato strategicamente sulla dissuasione nucleare, sul congelamento del confronto, era tale da rendere più prevedibile l'evoluzione delle relazioni internazionali.
Ora tutti questi freni, questi sistemi, queste gerarchie tra Paesi, questi comportamenti sono saltati, assumendo caratteristiche del tutto differenti da quelle del passato. Siamo in presenza di una realtà in continuo mutamento, anche in relazione all'applicazione della tecnologia ai molteplici campi dell'agire umano, ivi compreso quello della criminalità.
Mi riferisco, ad esempio, agli effetti dell'utilizzazione di Internet sulla politica interna degli Stati Uniti. Abbiamo potuto osservare in questi ultimi anni come tale strumento abbia trasformato il paese in una specie di grande agorà di tipo ateniese, consentendo forme di democrazia diretta in grado di aggirare il potere di intermediazione dei media e il potere di rappresentanza del Congresso.
Il Presidente Clinton e, in particolare, il Vice Presidente Gore hanno praticamente fondato il futuro degli Stati Uniti sullo sviluppo delle tecnologie dell'informazione, che ha aumentato la turbolenza generale. Tale processo ha anticipato quelle che sono state successivamente le inevitabili trasformazioni subite anche dall'Europa.
Ci stiamo dunque avviando, a mio parere, verso un periodo di "turbolenza" nel corso del quale organi fondamentali dello Stato quali sono i Servizi di intelligence saranno costretti ad adeguarsi, innanzitutto culturalmente, ai rapidi mutamenti, tenuto conto che le previsioni di lungo termine saranno tanto più necessarie quanto più difficili, perché la prevedibilità è notevolmente diminuita.
La "teoria della decisione", che si cerca di insegnare nelle Scuole di Business Administration ai futuri managers, è passata da un'estetica basata su un metodo sostanzialmente di natura cartesiana, in cui si cercava di effettuare l'esame sistematico delle situazioni, a un'estetica della complessità, in cui ci si muove da una sintesi all'altra e tutti i settori sono interrelati fra di loro.
Esaminando, ad esempio, l'effetto che lo scoppio della guerra nei Balcani ha prodotto sulle nazioni dell'Europa occidentale, non si può considerare separatamente l'aspetto militare e l'aspetto della sicurezza interna, l'aspetto della criminalità, quello di institution building e quello dello sviluppo economico.
Purtroppo, le stesse strutture burocratiche organizzate per settori rendono difficile questa visione globale. Invece proprio culturalmente sarebbe necessario superare questi approcci settorializzati per giungere a visioni globali di evoluzione futura, in cui il fattore singolo, ad esempio la criminalità, non può essere esaminato senza tenere conto del complesso dell'evoluzione politico-sociale, economica, culturale.
In Europa si cerca attualmente di affrontare questo processo con l'iniziativa dell'Unione Europea - sostanzialmente tedesca - del "patto di stabilità per il Sud Est Europa". L'ex-ministro tedesco Homback, cui è stato affidato il coordinamento, ha diviso questo patto di stabilità in tre gruppi di concertazione. Il primo, quello riguardante l'Institution Building, ha come obiettivo quello di favorire, per quanto sia possibile farlo, la ricostruzione istituzionale in una società caratterizzata dalla multietnia e dall'assenza di una vera tradizione democratica; il secondo investe invece il settore economico, con l'intento di determinarne la stabilizzazione e lo sviluppo; il terzo è diviso in due sottogruppi: uno riguarda la sicurezza interna, l'altro la stabilizzazione della sicurezza strategica.
A differenza di quel che accade per altri Paesi, non ho mai avuto modo di incontrare nel corso delle riunioni che si tengono per questo patto di stabilità uomini dei Servizi di intelligence italiani. Ho incontrato, invece, funzionari del Ministero degli Esteri e diplomatici, che, penso, abbiano ben pochi contatti.
Questo pone l'Italia, come sistema-Paese, in condizioni non competitive in quanto può essere difficile per il diplomatico che non ha esperienze, ad esempio, di lotta antimafia, elaborare la strategia antimafia.
A mio avviso, si tratta di una stortura che dimostra proprio la settorializzazione corporativa della nostra amministrazione pubblica che assolutamente e rapidamente dobbiamo superare. Bisogna passare, come ha avuto modo di affermare anche l'on.le Giuliano Amato qualche tempo fa, dalla difesa, dal protezionismo mercantilista, all'attacco, considerato che ormai le frontiere hanno cessato di svolgere un ruolo di contenimento, come i fatti di cronaca in Puglia o sulla Riviera Adriatica dimostrano ogni giorno.
Basta esaminare il flusso del denaro sporco nel money laundering attraverso Internet per rendersi conto di come ormai il mondo sia senza frontiere. E' necessario operare proprio una rivoluzione di tipo copernicano. Siamo infatti passati da una società internazionale - sostanzialmente creata con la pace di Westfalia verso la metà del secolo XVII - in cui il mercato coincideva con lo Stato sovrano e in cui tale Stato sovrano esercitava sul territorio praticamente tutti i diritti di sovranità, ad un unico mercato globale senza frontiere. In questo gli Stati, tuttavia, continuano ad avere una natura territoriale, a muoversi in una situazione in cui sono gli unici attori in grado di compromessi e mediazioni tra libertà e solidarietà, tra liberismo e possibilità di tassazione per ottenere risorse destinate a garantire la solidarietà sociale e la solidarietà nazionale.
Lo Stato nazione quindi deve adeguarsi. Lo Stato moderno è sostanzialmente nato per far fronte alla rivolta dei poveri in quanto, basato sul potere della borghesia e sullo sviluppo industriale, aveva come suo scopo quello di proteggere le proprie industrie, i propri campioni nazionali nella competizione economica mondiale. Ora la minaccia allo Stato-nazione non proviene più da un'ipotetica rivolta dei poveri bensì da quella dei ceti più abbienti. Questi infatti esportano attività economiche e capitali all'estero, potendoli investire tranquillamente con una rapidità sempre maggiore, come è dimostrato dal fatto che ogni giorno nei circuiti finanziari mondiali vengono scambiati 1200-1400 miliardi di dollari, una somma superiore al prodotto interno lordo italiano. Tali capitali si spostano, si delocalizzano, rendendo necessario un adeguamento di tutte le strutture dello Stato a questa nuova condizione. Se lo Stato non si adatta abbandonando l'idea di una difesa statica della frontiera - che non è più in grado di contenere una criminalità sempre più internazionalizzata - perderà il controllo del proprio territorio e delle proprie ricchezze.
Abbiamo quindi ricchezze senza nazioni e nazioni senza ricchezza. Ma se questo avviene, saltano tutte le strutture sociali, salta il sistema di coesione sociale, molto verosimilmente salta anche la stessa base del contratto sociale, che è il contratto politico tra cittadini e Stato.
E, a mio avviso, l'adeguamento deve investire tutti gli strumenti di azione dello Stato, gli strumenti di intelligence in primo luogo, che devono adattarsi a questo sistema globale.
Veniamo ora alla situazione dei Balcani. La situazione dei Balcani si può sintetizzare in una parola: se l'Europa non riesce a europeizzare e debalcanizzare i Balcani, i Balcani finiranno per balcanizzare l'Europa. Ciò può avvenire essenzialmente attraverso i collegamenti esistenti tra la criminalità organizzata attualmente presente nei Balcani, sempre più fiorente e forte, e la grande criminalità internazionale, dalla mafia russa alla mafia cecena, dalle triadi cinesi a quelle nostrane, che si è insediata in alcune zone dei Balcani stessi. La criminalità così come era finora conosciuta in Europa Occidentale, divisa settorialmente, va assumendo quindi caratteristiche molto differenti da quelle del passato.
Vorrei innanzitutto delineare rapidamente alcune caratteristiche del fenomeno, che cercherò di sviluppare in seguito. In primo luogo, i gruppi mafiosi non si interessano più in via esclusiva del traffico di sigarette o del traffico di armi o di immigrati o di droga o di money laundering e così via; sono diventati ormai gruppi che svolgono "attività" integrate.
In secondo luogo, questa criminalità si sta rapidamente espandendo attraverso la massa di immigrati balcanici nei paesi europei, così come la mafia italiana si è diffusa negli Stati Uniti anche attraverso gli emigrati italiani.
Questa massa di immigrati balcanici crea in Europa presidi di capisaldi mafiosi. Ciò avviene soprattutto in Europa centrale e settentrionale, ossia in quei paesi che tradizionalmente sono stati meno interessati da tali fenomeni e, pertanto, meno attrezzati a far fronte alla minaccia rispetto, ad esempio, a paesi come l'Italia. La Svezia, la stessa Germania o l'Olanda sono attualmente sotto la fortissima pressione di questa criminalità organizzata.
Questa criminalità balcanica si sta alleando e fondendo con le criminalità dei paesi europei. Si è creata una specie di internazionale criminale, una sorta di "cupola", che tende a diventare sempre più unitaria.
Tale direzione strategica sempre più unitaria si trova di fronte ad una difesa e ad un'attività di contrasto da parte degli Stati Occidentali che invece non presenta lo stesso livello di coordinamento, nonostante l'attività dell'Interpol e dell'Europol. Anche lo stesso contatto tra i Servizi di intelligence non è tale da poter contrastare l'intelligence esistente in questi gruppi mafiosi.
Siamo in presenza di una realtà ibrida, caratterizzata da una convergenza forte tra l'elemento nazionalistico e quello criminale. Anche in Italia, nella nostra esperienza storica, abbiamo avuto simili fenomeni. I "picciotti" siciliani che appoggiarono Garibaldi oppure la mafia italo-americana che sostenne lo sbarco degli Alleati nel '43 in Sicilia costituiscono indubbiamente fenomeni analoghi.
Tuttavia nei Balcani questa realtà risulta particolarmente accentuata. La guerra civile e ciò che ne è derivato ha fatto sì che nei Parlamenti i rappresentanti politici delle popolazioni fossero sempre più espressione di gruppi mafiosi in competizione e in cooperazione tra loro piuttosto che di partiti politici veri e propri.
Sono cambiati i conflitti etnico-identitari, le guerre civili non sono più quelle della Guerra Fredda. Durante la Guerra Fredda, Stati Uniti e Unione Sovietica rappresentavano le potenze unificanti dell'ordine mondiale. Le guerre civili venivano mantenute sotto controllo e finanziate dall'uno o dall'altro blocco per cui il confronto bipolare tra Mosca e Washington e i rispettivi Paesi satellite costituiva praticamente un gioco a somma zero. Quindi, i guadagni dell'uno equivalevano di fatto alle perdite dell'altro.
Con questa "deregolazione", il gioco è divenuto adesso a somma diversa da zero.
Non ci sono più quelle regole che consentivano a Mosca e Washington di adottare le stesse norme di razionalità ed imporle nelle proprie aree di influenza.
E' chiaro che i rapporti tra Europa e Stati Uniti erano molto differenti rispetto a quelli tra i Paesi satelliti e Mosca, perché la struttura politica degli Stati Uniti era differente da quella dell'Impero sovietico. Tuttavia l'esistenza di una comune "razionalità" dell'azione assicurava al sistema un andamento abbastanza prevedibile, garantendo al contempo una capacità piuttosto marcata di controllare l'evoluzione dei fenomeni, che si producevano senza salti e punti di flesso.
In sostanza Washington e Mosca finanziavano le guerre civili dappertutto. Tra l'altro, finanziando le guerre civili si rafforzava il potere politico di chi riceveva il danaro, che riusciva in tal modo a controllare, attraverso una forte amministrazione logistica centrale, gli elementi centrifughi.
Chi può infatti gestire finanziamenti per i rifornimenti di armi può anche garantire capacità di addestramento e così via. I capi delle guerre civili mantenevano così questi conflitti sotto controllo. Adesso la situazione è cambiata perché nessuno ha più interesse a finanziare una guerra civile interna, come purtroppo ci dimostra la situazione in Africa avviatasi sempre più rapidamente verso la barbarie.
Questo ordine di fattori è saltato. Non è più possibile un finanziamento centralizzato e pertanto le guerre civili non possono alimentarsi altro che con le razzie, con il racket, il contrabbando, con traffici di tutti i generi.
L'organizzazione dall'alto verso il basso, di tipo gerarchico, quale quella che ha caratterizzato lo svolgimento delle guerre civili nel periodo della Guerra Fredda si è trasformata in un'organizzazione che si muove invece dal basso verso l'alto.
I signori della guerra, i capi locali operano facendo razzie sul territorio e sulla popolazione, seguendo una strategia funzionale al profitto che garantisce loro sia la possibilità di disporre di mezzi finanziari necessari a pagare i propri seguaci e i loro clan, sia il mantenimento di livelli di ricchezza ben superiori non solo agli standard balcanici medi, ma anche a quelli occidentali.
Le guerre civili nei Balcani sono state gestite e sostenute sostanzialmente dalla criminalità economica. Qualunque attività da cui si potesse ricavare profitto, di fatto, è stata concordata tra bande criminali, anche se potenzialmente nemiche. La questione del conflitto etnico, a mio avviso, descrive solamente una minima parte della realtà. Il nodo centrale è rappresentato dagli interessi di élite politico-mafiose ad acquisire e mantenere il potere. Questi gruppi necessitano cioè di una legittimazione politica che possono ottenere dai propri concittadini disponendo di denaro sufficiente a pagare i clan e mantenerne il sostegno politico.
Un esempio di quanto ho detto in precedenza circa l'incidenza degli interessi economico-mafiosi sullo svolgimento stesso della guerra civile nei Balcani è rappresentato da quanto è accaduto durante l'assedio di Sarajevo. In quell'occasione i gruppi politico-mafiosi serbi, bosniaci, bosniaco-musulmani e bosniaco-croati hanno, di comune accordo, modulato la strategia dell'assedio in funzione dell'aumento dei prezzi sul mercato nero che ne poteva derivare.
A questo riguardo, forse avrete sentito parlare del cd. "tunnel della libertà" sotto l'aeroporto di Sarajevo. Sarajevo, una città assediata per tre anni, in cui la sopravvivenza era in gran parte assicurata dal mercato nero, i cui proventi venivano divisi tra gruppi politico-mafiosi musulmani e serbi.
Le numerose tregue all'assedio della città erano anche finalizzate a consentire il passaggio dei rifornimenti destinati al mercato nero. Quando i magazzini erano stati riforniti, il tiro delle artiglierie veniva intensificato così da favorire nuovamente l'aumento dei prezzi.
Gli ingressi al tunnel della libertà infatti non sono mai stati bombardati né dall'una né dall'altra parte e i proventi derivati dai traffici che vi si svolgevano sono stati divisi tra coloro che li gestivano. Solo di recente, grazie alle rimesse nel sistema bancario tedesco e soprattutto nel Liechtenstein, è stato possibile comprendere come tali proventi siano stati divisi e distribuiti. Tuttora sussistono partite finanziarie aperte.
Uno dei miei compiti, tra l'altro, ora che da guerriero mi sono trasformato in pacificatore, è studiare i bilanci. Nello svolgimento di tale attività mi è capitato di visionare il bilancio della Difesa, un bilancio militare piuttosto lacunoso nel quale mancava, tra l'altro, la voce di spesa relativa al vitto dei militari. Quando ho chiesto delucidazioni al Corpo d'Armata, mi è stato risposto che a ciò provvedevano le municipalità. In realtà, approfondendo la questione, è risultato evidente che i viveri dei soldati venivano finanziati con il contrabbando di benzina. Ciò avveniva a livello di Corpo d'Armata regolare, cioè quindi a livello di un'organizzazione ufficiale e non di una banda tipo quella di Arkan. Un altro episodio: una riunione dei responsabili finanziari dei Ministeri volta ad esaminare bilanci militari ha evidenziato che i numeri del bilancio erano completamente differenti dalla realtà. Le truppe, tra l'altro, sono finanziate in base alla loro etnia, ossia, rispettivamente, i musulmani dai Paesi islamici, i serbi dalla Federazione Jugoslava e i croati-bosniaci dalla Croazia.
Che cosa è dunque sorto in tutti i Balcani? Come si diceva precedentemente, siamo in presenza di una forma di criminalità ibrida che potremmo definire criminalità "nazionalistica o patriottica". Questa criminalità ibrida è sostenuta completamente dal potere politico e l'Occidente si trova ad avere praticamente le mani legate, vittima anche dei condizionamenti psicologici che si è autoimposto, quali, ad esempio, quello di garantirsi una guerra a morti zero, con bombardamenti d'alta quota, ecc..
Il risultato di tutto questo è che con l'impiego della forza militare non si riesce ad ottenere la vittoria, ma solamente alcune tregue. Le tregue, tuttavia, devono essere concluse con capi mafiosi nazionalistici che, attraverso la tregua, trasformano il provento dell'economia criminale, necessaria per alimentare la guerra, in flussi economici destinati ad aumentare le ricchezze personali e a mantenere il controllo sui clan. Per costoro è quindi indispensabile mantenere questa forte instabilità interna in quanto questo è l'unico modo per garantirsi la legittimazione politica.
I leader jugoslavi fanno leva sulla paura di una nuova guerra anche attraverso una propaganda ossessiva ancora molto capillare, nonostante il fatto che non possa più avvenire attraverso lo strumento radiotelevisivo, poiché le forze internazionali intervengono procedendo alla chiusura di radio e all'oscuramento di reti televisive.
E' quindi necessario tener conto del fatto che i capi della guerra civile convivono con questa forma di criminalità ibrida e tale realtà composita è, a mio avviso, estremamente difficile da penetrare anche per i Servizi di intelligence.
L'intento del mondo europeo occidentale dovrebbe essere quello di democratizzare la Bosnia Erzegovina. Tuttavia, la democratizzazione per noi significa elezioni. Purtroppo le elezioni che hanno avuto luogo non hanno fatto altro che legittimare gli elementi più nazionalistici, radicali e corrotti, legati alla malavita. Costoro hanno la capacità, oltre che di controllare i voti attraverso il gioco delle preferenze, sistema tipicamente mafioso, anche di creare una psicosi collettiva che spinge gli elettori a sostenere gli elementi radicali mantenendo questa instabilità e opponendosi a ogni misura di stabilizzazione che viene proposta dalla comunità internazionale.
La stabilità, infatti, che cosa significherebbe in questo contesto? Perdere il potere e il sostentamento economico fondamentale al mantenimento di clan, famiglie, mafie e gruppi criminali. Una delle pressioni utilizzate dall'Occidente è stata quella di sottoporre il paese ad embarghi economici che tuttavia hanno alimentato il mercato nero controllato da questi gruppi mafiosi. Per questa ragione la politica scelta dall'Occidente, a mio avviso, si è rivelata disastrosa in quanto è stato ben presto chiaro che l'embargo contro la Serbia non erodeva il potere di Milosevic, anzi lo rafforzava.
L'unico strumento in possesso della comunità internazionale è quello di opporsi all'accesso da parte di esponenti di tali gruppi criminali alle cariche politiche e militari.
Purtroppo non sussistono attualmente le condizioni per trasformare la presenza della comunità internazionale in un vero e proprio protettorato di carattere internazionale, come sarebbe necessario per rinnovare profondamente questa società.
Periodicamente vengono effettuati blitz, ma la situazione rimane estremamente fluida, confusa, instabile.
Questa realtà è resa più difficile dal fatto che i gruppi mafiosi si sono spartiti le attività criminali sul territorio, attenuando le cause di conflittualità interna e favorendo l'instaurazione di uno stretto legame con il potere politico. Per questo motivo, ad esempio, le sigarette arrivano all'Aeroporto di Podgorica, capitale del Montenegro, e poi lì vengono smistate in parte verso la Serbia, in parte verso l'Erzegovina - zona di Mostar, mentre la mafia croata e quella del Montenegro provvedono ad esportarne un'altra parte verso l'Italia. Inoltre, la sensazione è che i principali gruppi mafiosi e la criminalità organizzata italiana abbiano in tutto questo la loro controparte.
Il problema è quindi quello di riuscire anzitutto a comprendere i meccanismi alla base degli eventi e, in secondo luogo, adottare le decisioni più idonee a contrastarli.
E' anche questa la ragione per la quale ho lamentato in precedenza l'assenza dei Servizi Italiani, della D.I.A. e della Guardia di Finanza nei contesti internazionali.
I rappresentanti europei presenti al tavolo del patto di stabilità dovrebbero elaborare una strategia congiunta per combattere questi fenomeni che stanno destabilizzando l'Europa poiché stanno sottraendo ai Governi il controllo del territorio. Infatti, l'appoggio politico derivante dal riconoscimento internazionale consente, di fatto, a queste mafie di rafforzarsi ponendo problemi crescenti alle Forze di Polizia.
Lo sforzo internazionale per cercare di eliminare il controllo politico-mafioso, almeno entro determinati limiti dovrebbe, a mio avviso, concentrarsi sulle nuove generazioni. Sradicarle da queste realtà offrendo loro la possibilità di acquisire una formazione culturale occidentale con l'auspicio che costoro, una volta tornati in Patria, possano applicarne i principi basilari per la ricostruzione del loro paese.
D'altra parte sarebbe importante ristabilire il controllo in queste zone, riuscendo a penetrare le realtà sociali, le strutture familiari, claniche e tribali, seppure complesse. In quest'ambito, il mondo dell'intelligence dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale. Ritengo tuttavia indispensabile che, perché ciò possa avvenire, le strutture vengano dotate di strumenti, almeno per quanto riguarda taluni settori, tecnologicamente superiori a quelli della controparte. Le organizzazioni criminali hanno fatto enormi progressi soprattutto per quanto riguarda talune tecniche crittografiche e taluni software molto sofisticati. E' chiaro quindi che per far fronte ad una simile minaccia è necessario garantire consistenti investimenti in questo settore. Si tratta di uno dei campi in cui lo Stato deve fare uno sforzo di adeguamento molto rapido.
Uno degli ambiti in cui l'Italia, in particolare, dovrebbe impegnarsi maggiormente, a mio avviso, soprattutto a breve termine, è quello delle operazioni "coperte", che sono sostanzialmente operazioni illegali ma legittime in quanto finalizzate a tutelare interessi nazionali. Lo Stato deve riappropriarsi della capacità di proteggere adeguatamente il proprio territorio e i propri investimenti. I Servizi di intelligence hanno in questo un ruolo fondamentale da giocare, e ciò richiede, prima di tutto, un adeguamento tecnologico, culturale, finanziario e normativo.
Proprio questa comprensione degli eventi, che non è solamente determinata dall'entità dei dati informativi, ma soprattutto dalla capacità di interpretarli in maniera adeguata, può costituire il presupposto per sconfiggere e contrastare questo vero e proprio sindacato internazionale del crimine che rischia di destabilizzare l'Europa occidentale.
Se l'Europa non dovesse riuscire a raggiungere questo obiettivo, avrebbe veramente perso la sua battaglia; avrebbe cioè compiuto una sciocchezza enorme nel cercare, per motivi umanitari e per quel poco di retorica che muove la politica estera occidentale, di intervenire nella zona anziché lasciare scorrere gli avvenimenti, consentendo la nascita di una grande Serbia, di una grande Croazia, di una grande Albania verso cui dirigere, successivamente, i consistenti aiuti per stabilizzare questi tre complessi.
In quest'ambito, va osservato che la politica americana è molto diversa da quella europea. Sembra infatti preoccupata prevalentemente dai riflessi negativi della situazione nei Balcani sulla situazione interna turca, considerato che la Turchia costituisce il centro, la base geo-politica e geo-strategica degli interessi americani in Caucaso, in Asia centrale e anche verso il Golfo Persico e il Medio Oriente.
L'alleanza tra Turchia e Israele sta diventando un fattore fondamentale per i futuri assetti del Medio-Oriente e di questo gli americani tengono conto. Altrettanto importante è il fatto che l'opinione pubblica turca avverte una specie di rimorso per avere abbandonato al proprio destino le decine di milioni di musulmani che sono stati massacrati durante le prime guerre balcaniche all'inizio di questo secolo per sostenere i turchi dell'impero ottomano prima della sua sconfitta. Molti turchi originari della Bosnia, del Kosovo e dell'Albania sono andati a vivere in Turchia e costituiscono una forza politica abbastanza rilevante.
I diversi interessi tra europei e americani dovrebbero tuttavia trovare punti di collaborazione e di contatto per il fatto che, comunque sia, la grande criminalità organizzata presente in Europa ha riflessi e collegamenti forti anche sulla grande criminalità esistente negli Stati Uniti.
Taluni ritengono che un ulteriore motivo di coesione vada rintracciato nella necessità di contrastare un'altra potenziale minaccia alla stabilità internazionale data dalla presenza islamica nei Balcani.
Sicuramente all'inizio della guerra in Bosnia si è verificato un consistente afflusso, e in questo caso la solidarietà islamica ha funzionato, di aiuti militari e di mujaheddin, che si sono tuttavia ben presto trasformati in bande criminali compiendo crimini ai danni delle popolazioni locali. Solamente alcuni di costoro si sono integrati nel paese e attualmente vengono utilizzati dagli elementi più radicali del partito bosniaco per intimorire i croati e indurli ad abbandonare la Bosnia centrale. E' in atto quindi un'omogeneizzazione etnica anche in Bosnia, proprio nella zona dei monasteri cappuccini, in zone di insediamento croato.
Tuttavia l'installazione di un potere islamico in Bosnia non credo costituisca un fattore strategicamente pericoloso per l'Europa.
In realtà, a mio avviso, noi occidentali abbiamo dell'Islam un'idea abbastanza distorta. L'Islam religioso e il fondamentalismo islamico sono stati impiegati fino a poco tempo fa, fino cioè alla fine della Guerra Fredda, dai Paesi occidentali per destabilizzare i movimenti nazionalisti dei Paesi Arabi, soprattutto dei Paesi produttori di petrolio. Il FIS algerino è stato sempre finanziato dall'Arabia Saudita e, a mio avviso, ciò difficilmente sarebbe potuto accadere senza la benedizione di qualche potenza atlantica.
Sappiamo poi che il terrorismo sciita è completamente differente dal terrorismo sunnita. Anche se l'opinione pubblica occidentale ha dell'Iran e di Khomeini un'immagine alquanto negativa, tuttavia, a mio avviso, con l'Islam sciita è possibile trattare e raggiungere compromessi. L'Islam sciita ha infatti una struttura piramidale e gerarchica molto rigida - per certi versi simile a quella della Chiesa cattolica - con cui è più agevole instaurare un dialogo. Ciò rende, a mio parere, il terrorismo sciita indubbiamente meno pericoloso di quello sunnita. Quest'ultimo, inoltre, gode di una disponibilità economica decisamente superiore.
Ritornando all'ipotesi della minaccia islamica, ritengo che il vero pericolo non provenga dai Balcani bensì penso sia costituito dai milioni di immigrati islamici presenti in Europa, in rapida crescita e molto meno controllabili e conosciuti. Tali presenze, se inserite in contesti caratterizzati da forte emarginazione, possono diventare realmente pericolose. Inoltre è noto che in Italia il numero dei cittadini italiani che ogni anno abbracciano la fede islamica è in costante crescita. Tuttavia le autorità di polizia non si avvalgono di tali soggetti, a differenza di quello che accade in altri Paesi, per cercare di esercitare un certo controllo sulle comunità islamiche. Intensificare i contatti con gli italiani convertiti all'Islam sarebbe inoltre opportuno in quanto consentirebbe di acquisire strumenti utili alla comprensione di comportamenti altrimenti di difficile lettura.
Ritornando al nostro tema, il problema fondamentale quindi è come spezzare questo rapporto nazionalismo-criminalità, tenendo conto del fatto che l'auto-stabilizzazione dei Balcani richiederà decenni e che, a mio avviso, sarà necessario ricorrere ad una più incisiva politica per evitarne il consolidamento.
Inoltre, bisogna tener conto anche del fatto che alla comunità internazionale tali interventi costano molto ed una larga parte di essi è utilizzata a fini organizzativi. L'anno scorso, ad esempio, circa il 40% del totale degli investimenti internazionali per la Bosnia è stato assorbito dal costo delle organizzazioni non governative e dal costo delle burocrazie internazionali. Si calcola poi che circa un ulteriore 30% sia stato assorbito dai circuiti di corruzione politica interna. Quindi, per lo sviluppo del Paese, è rimasta solo una quota pari a circa il 20% con cui non è possibile creare attività produttive in grado di far riemergere il ceto imprenditoriale, unica speranza di alternativa alle classi politiche nazionaliste mafiose che sono attualmente al potere.
L'unica possibilità di sviluppo economico che intravedo, a breve termine, è, infatti, quello legato alla piccola e media impresa, in quanto la creazione di poli industriali non mi sembra ancora possibile, sia per mancanza di capitali che, soprattutto, di competenze tecniche. In ogni caso, affinché ciò avvenga, è indispensabile procedere ad una stabilizzazione politica in un contesto non più caratterizzato dal predominio di gruppi criminali.
Non dimentichiamo che una delle ragioni del freno allo sviluppo del Mezzogiorno è stato proprio la presenza diffusa della criminalità che, in vari modi, ha dissuaso gli imprenditori dall'investire in quelle regioni inducendoli a spostare i propri capitali verso aree più convenienti all'estero. Bisogna invece considerare che lo sviluppo dei Balcani può provocare nell'economia del Mezzogiorno tassi di sviluppo e stabilizzazione ben superiori a quelli determinati dalle economie mediterranee che rischiano invece di essere in competizione con l'economia meridionale. La realtà è che i Balcani sono molto più complementari all'economia meridionale di quanto non lo sia il Nord-Africa.

Vorrei concludere questo mio intervento con talune brevi considerazioni riassuntive.
A mio avviso, una trasformazione di carattere democratico nei Balcani richiede la nascita di una nuova élite politica che può provenire solo dal mondo imprenditoriale. A tal fine, non è solamente necessario il superamento dei conflitti etnico-identitari, ma bisogna anche procedere alla trasformazione di economie comuniste, di mentalità e culture di carattere centralista e burocratico, in strutture di libero mercato.
Va considerato anche che tutta la zona balcanica è ancora fortemente impregnata di quella che era la struttura fondamentale organizzativa dell'impero ottomano in cui esisteva un'organizzazione, soprattutto per quanto riguardava la rappresentanza dei diritti civili, personali e della famiglia, legata alla cultura religiosa. Si trattava di una forma organizzativa estremamente flessibile che con la caduta dell'impero ottomano ha dato luogo ad una disgregazione sociale completa e al riemergere di clan, tribù, famiglie. Purtroppo la comunità internazionale non tiene adeguatamente conto di questa differenza di cultura e abitudini.
L'educazione alla democrazia, inoltre, non deriva solamente da fattori culturali ma è determinata anche da profonde trasformazioni di carattere politico, economico e sociale.
Nel breve termine credo che due provvedimenti in particolare dovrebbero essere adottati dalla comunità internazionale per evitare di creare nuovi disastri. Il primo provvedimento consiste nel rinunciare all'idea che tutto il mondo sia fatto ad immagine e somiglianza dell'Europa. Il secondo è quello di sospendere gli aiuti economici diretti ai Balcani limitandosi alla mera presenza militare, nel tentativo di scardinare nel tempo il potere dei gruppi criminali riducendone le fonti di approvvigionamento.


(*) Testo tratto dalla conferenza tenuta il 21/01/2000 presso la Sala Briefing della Direzione del SISDe.

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