GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
Per Aspera Ad Veritatem n.13
Effetti sociali e conseguenze sulla sicurezza interna della guerra dell'informazione

Roberto DI NUNZIO




Le identificazioni chiare di nemico ed amico, di obiettivi militari e civili, di ideologie, di religioni e modi di vivere, persino di pace e guerra, le certezze della Guerra fredda, sono finite sepolte sotto le macerie del Muro di Berlino.
Sotto quelle rovine è scomparsa non solo la dissuasione, ma la "discussione" nucleare. Un modo di vedere le cose semplice, che rendeva tutto più identificabile, lasciando nel calcolo politico e militare ampi margini alla razionalità dell'avversario. MAD - Mutual Assured Destruction, e Second Strike erano i guardiani del mondo.
I concetti elaborati per oltre quarant'anni dagli U.S.A. e dall'U.R.S.S non sono più sufficienti a regolarizzare e spiegare i conflitti, divenuti sempre più frammentari e localistici, basati, almeno sul piano della rappresentazione comunicativa, su principi etnici, religiosi o, comunque, "identitari".
Segreti ed armi nucleari sembra ormai si possano o si vogliano diffondere un po' ovunque, raggiungendo persino i paesi del Terzo Mondo. Oggi la "persuasione" è più dal "Forte al Folle" che dal "Forte al Forte". Un folle che non ha gli stessi interessi e, quindi, la stessa razionalità del forte. Da qui la proposta di alcuni analisti, quali Kenneth Waltz, di incoraggiare la proliferazione delle armi nucleari proprio nel Terzo Mondo al fine di rendere tutti "razionali". Un tentativo di dotare tutti di un uguale metro cognitivo. Una parificazione che sicuramente può avere successo nelle relazioni internazionali tra Stati, ma che sicuramente non avrebbe lo stesso effetto nelle cosiddette "piccole guerre" o "micro-conflittualità" che sempre più spesso scoppiano in tutto il mondo. Conflitti che appaiono tutti "irrazionali" rispetto alle logiche dominanti nelle strutture sociali ed economiche delle Nazioni ricche. Piccole guerre e/o atti di terrorismo, prevalentemente etnici o religiosi, tutti basati su motivazioni non necessariamente economiche e spesso "arcaiche", generalmente riconducibili a gruppi caratterizzati da una forte "identità". Identificazione ed immedesimazione, appartenenza partecipante ad un gruppo e/o credenza attiva in un'idea che qualcuno, forse troppo superficialmente, ha voluto raffigurare come "narcisismi collettivi". In realtà questi gruppi, non importa se coincidono con etnie, con fedeli di religioni monoteiste o animiste, con sette o terroristi si caratterizzano per la loro struttura cognitiva, ovvero, se ci si passa il termine, per la loro "personalità" di base. Meglio, per le caratteristiche e le modalità di pensiero con cui gli individui che ne fanno parte entrano in contatto e/o percepiscono la "realtà" fisica, morale e soprannaturale. Esiste un confine identificativo assolutamente preciso: la morte. I gruppi "identitari" hanno un Super-io collettivo ed individuale che gli fa accettare la morte come mezzo "naturale" e, quindi, "razionale" per il raggiungimento della loro causa. La causa può richiedere il proprio e l'altrui olocausto. L'individuo, come nella migliore mitologia guerriera e sociale, non ha significato come tale, ma solo come membro attivo e partecipe del gruppo. La scomparsa del gruppo significa la scomparsa dell'individuo. L'individuo senza gruppo non ha identità, quindi, non esiste. Il cerchio cognitivo si chiude, in una soluzione tragica, assai lontana dalle logiche razionali e materialiste imposte da due visioni positiviste classiche quali il "marxismo" ed il "capitalismo".


Dall'utilità fisica, materialista, adottata da entrambe le parti, basata sulle dimensioni reali delle conseguenze, fisiche, "dure" e "calcolabili", di un conflitto atomico, si è passati o si sta passando all'utilità "simbolica", basata sulle dimensioni cognitive, "morbide" e dagli effetti psico-sociali "imprevedibili" o poco calcolabili. La discussione pura, a tavolino, è stata sostituita dall'intervento operativo tattico, non più soltanto con finalità di annientamento, ma di convincimento. Una vasta gamma di possibilità graduabili ed integrabili, che vanno dalla diplomazia classica a quella "soft", dalle "operazioni diverse dalla guerra" alla guerra classica. Interventi concentrati su obiettivi parziali, limitati nel tempo e nello spazio, detti "chirurgici" perché finalizzati ad arrecare danni puntuali. Danni non soltanto materiali, ma simbolici. Capaci di essere "letti" sia come minaccia di ulteriori danni sia come offerta di negoziato o di "onorevole resa".
Oltre alla potenza e precisione del "fuoco", basata doppiamente sull'intelligence (analisi degli obiettivi e dei danni fisici e psico-sociali) acquista un peso decisivo la capacità d'influenza simbolica, diviene politico, strategico e tattico il controllo riflessivo sulla percezione dell'informazione e la rappresentazione degli eventi, siano essi militari o civili. Per dare senso all'azione diventa indispensabile, all'interno ed all'esterno del conflitto, rappresentarla, ri-costruirla con una copertura mediale globale che influenzi tutti i possibili attori o recettori.
Anche il danno inferto e minacciato dalle guerre di "peace keeping" e/o di "enforcing" è un simbolo, anzi un medium informativo-comunicazionale e, quindi, va letto come una "rappresentazione" di quello che è il potenziale della forza applicata e di quello che potrebbe essere il futuro se la dissuasione avesse o non avesse successo. Un "medium" che, come diceva Mc Luahn, è anche un "messaggio". Un messaggio cognitivo ampliato ed orchestrato dalla "CNN-politics" o dalla stessa "CNN-war". Un mostro, contemporaneamente visibile ed invisibile, capace di abbattere non solo le frontiere fra gli Stati, ma quelle tra politica estera ed interna, subordinando sempre di più la prima alla seconda.
Una politica estera che non può prescindere dalla conoscenza dell'avversario, come pure degli "alleati". Ogni valutazione oggettiva scompare, tutto deve essere ridotto alla soggettività dell'altro. La sua identità diviene l'elemento di partenza per calcolare le sue valutazioni di "utilità". Saranno i suoi valori, stereotipi, attitudini, regole e/o principi a dare significato alle scale e griglie di valutazione a lui riferibili. Ancora una volta torna in gioco la capacità di acquisire e trattare informazioni precise, "chirurgiche".
I rischi di sbagliare si fanno altissimi. Somministrare simboli senza essere certi di come verranno decodificati dai vari recettori può trasformarsi in una catastrofe, non soltanto sul piano dell'immagine. Chi ragiona immerso nella super tecnologia, abituato a valutare dati e simulazioni soltanto nella sua bolla cognitiva virtuale, magari influenzato da retaggi "illuministico-romantici", potrebbe avere bruttissime delusioni sul campo non mentale, quando confrontandosi con avversari meno tecnologici, non analizzerà bene anche le loro diversità culturali. La civiltà del desiderio e della rappresentazione è profondamente diversa da quella del bisogno e dell'azione. I concetti di "utilità" sono profondamente diversi.
Nell'ultima le capacità di sacrificio estremo e, quindi, di resistenza e convivenza con la violenza e la morte sono elementi "naturali". Nell'altra rappresentazioni mediatiche.
In un mondo privo, come direbbe Aristotele, di "enti artificiali", vale a dire di manufatti, macchine, segni e rappresentazioni virtuali, la conoscenza della realtà è legata ad esperienze e strutture cognitive dirette, semplici, fisse, influenzate da una memoria storica cristallizzata, tendenzialmente unica ed omogenea. Nel combattimento reale, occorre ricordare e comprendere che tutti i gruppi "identitari", in particolare quelli etnici e religiosi, specie se fissi e concentrati geograficamente, basano la loro cultura sull'antico primato dell'essere, così lontano e contrapposto ai primati del fare, dell'avere e del rappresentare che interagiscono potentemente nelle cultura delle Nazioni, dei gruppi e degli individui più evoluti sul piano economico-tecnologico.


Le cosiddette "opinioni pubbliche", anche se sempre più indefinibili, sono divenute con il diffondersi delle tecnologie dell'informazione in tempo reale, ancora di più un fattore centrale di ogni "calcolo", non solo politico, ma anche strategico e, sempre di più, tattico.
Gli abitanti del "villaggio globale", collegati in tempo reale con gli eventi trasmessi, possono essere chiamati o recarsi in ogni momento nelle agorà per conoscere, approfondire, sapere, dibattere, decidere o "votare" su di essi, magari attraverso sondaggi od analisi d'opinione.
Ormai la "guerra" o la "non-guerra" si combattono contemporaneamente, con uguale importanza ed impegno, una sul campo e l'altra sui media. Anzi, in alcuni casi, come ad esempio nei conflitti a bassa intensità, è più importante vincere in rappresentazioni mediali che in azioni militari. Il consenso è ormai un elemento indispensabile alla gestione di ogni organizzazione pubblica o privata e di ogni rappresentazione e/o azione posta in essere.
Nell'era dell'informazione, se la guerra diviene conflitto e rappresentazione, se le armi si fanno virtuali e cognitive, le possibilità di nuove minacce e di nuovi pericoli si estendono a dismisura, entrando nel nostro vivere quotidiano per raggiungere le nostre teste. "Le tecnologie basate sul linguaggio, come la radio e la televisione - avverte D. De Kerkhove -, possono incorniciare il cervello sia fisiologicamente, sul piano dell'organizzazione neuronale, che psicologicamente, sul piano dell'organizzazione cognitiva". La rivoluzione dell'informazione pone indistintamente gravi problemi sia alla politica che all'economia sia al sociale che alla strategia ed alla sicurezza.
Le strategie non possono essere elaborate e sviluppate nel vuoto, debbono tener conto, per essere vincenti, non soltanto della natura dei problemi da affrontare, ma di tutte le componenti del sistema di relazioni in cui opereranno, dalle strutture organizzative ed istituzionali alle tecnologie, dalle culture specifiche alle capacità cognitive e rappresentazionali degli organismi coinvolti. Se il consenso è sempre più necessario, occorrerà sempre di più ottenerlo e questo si può fare in due modi: "organizzando" ed appropriandosi di quello che già è manifesto (Marketing - Comunicazione), oppure suscitando ed "organizzando" quello che non è manifesto (Persuasione - Comunicazione).
Con l'estendersi della copertura elettronica ed informazionale, la deregulation economica impone alla società quella semiotica comunicativa. Sempre di più si fa avanti l'ipotesi, sempre meno esoterica, - magistralmente evocata da Eugenio Montale nel suo "Auto da fé" -, di un mondo avvolto da una sfera di psichismo in continuo aumento di spessore che avvolge e condiziona un'altra sfera più interna, quella materiale. "Una cappa - avverte il poeta - sempre più fitta di informazioni e di visibilità proiettate a distanza copre il mondo abitato da noi…L'espressione del pensiero non è più individuale, è un organismo collettivo". Il pericolo, conclude, è quello che un individuo ("anima singola") per riconoscersi - per avere una sua identità n.d.r. - debba necessariamente incontrare un fantasma che gli dica: "Eccomi qui, io ti somiglio". L'azione comunicativa, simbolica o semiotica che dir si voglia, è comunque ormai imprescindibile dalla vita stessa della nostra società. E' divenuta non solo un "valore" aggiunto dell'economia e delle relazioni umane, ma un fluidificatore, un acceleratore, dei processi di produzione e circolazione di tutti i tipi di merce, acquistati e/o scambiati, ivi compresa l'informazione.


Nell'era dell'informazione tutto può diventare oggetto di attacco semantico, è così che lo stesso nome di "guerra", alla ricerca di un suono e di un significato più accettabile o gradito, può essere messo in discussione, rivisitato ed elaborato per compiacere le varie sensibilità dei gruppi a cui o da cui è presentato. In genere l'operazione di restyling tradisce l'identica struttura comunicativa: tutti i termini usati nascondono l'effetto ultimo, esaltando caratteristiche parziali non letali.
I primi a compiere questa operazione in modo ampio e sistematico sono stati i supercitati coniugi futurologi americani, Heidi e Alvin Toffler, teorizzatori delle "onde" della civiltà. Per loro, gli uomini producono la ricchezza nello stesso modo in cui fanno la guerra, pertanto gli attuali cambiamenti nel mondo dell'economia e degli affari si rifletteranno negli eserciti di ogni Paese, modificandone armi e modo di essere.
E' nata così la definizione di "guerra disarmata", seguita da quella di "anti-guerra" e di "Guerra dell'informazione", tipica della Terza Ondata prodotta dalla "rivoluzione informatica".
Altri autori si sono cimentati in questo gioco, aumentando le definizioni; si può così parlare di: "guerra ad eliminazione morbida", "guerra non letale", "a morti zero", "non-guerra", oppure, secondo Luttwak: "guerra post-eroica", oppure gli inesauribili "peace keeping" e/o "peace enforcing".
Invertendo gli ordini dei fattori il prodotto però non cambia: la guerra rimane sempre l'applicazione attiva dell'uso della forza o della deterrenza basata sull'uso della forza, sia essa cognitiva o fisica, per raggiungere determinati obiettivi. Del resto essa continua a far parte, assieme alle armi letali o non, e agli eserciti, di leva o non, delle "relazioni internazionali", vale a dire, della politica degli Stati. Del resto già lo stesso Clausewitz aveva osservato che "ogni epoca ha avuto ed ogni epoca ha una propria teoria della guerra ".
Guerra è oggi - secondo la definizione di uno dei più noti studiosi militari italiani di questi temi, il Gen. Carlo Jean - "L'espressione armata e cruenta di un conflitto, fra Stati o fra gruppi politico-sociali organizzati, in cui viene impiegata la forza militare per imporre ad un avversario la propria volontà, possibilmente attraverso la convinzione (guerra virtuale e guerra limitata), ma se necessario con la distruzione (guerra di annientamento). All'uso della forza - aggiunge - si accompagnano sempre forme non cruente di lotta: economica, psicologica e così via". Una definizione molto onesta che sicuramente tenta una grande mediazione tra il fine ultimo e tutte le caratteristiche possibili, siano esse cruente od incruente, ma senza nascondere l'essenza reale del significato. Eppure il Gen. Jean non riesce a rendere con le sue parole, forse proprio perché troppo caratterizzato dalla sua "identità", che le parole scelte per la sua definizione non calzano più con il futuro che è già cominciato. Forse un'altra definizione di un altro generale italiano, Fabio Mini, esperto di comunicazione, ci dà la misura del pericolo prossimo venturo. La guerra è oggi: "Qualsiasi contrapposizione di volontà fra organizzazioni che impieghino qualsiasi mezzo violento o coercitivo (scontri armati, guerra fredda, coercizione palese od occulta) per imporre il proprio interesse o punto di vista". In effetti le due definizioni nella sostanza potrebbero sembrare uguali, ma nella seconda ci deve far riflettere la scomparsa dell'aggettivo "militare" e la comparsa di termini quali: "Qualsiasi contrapposizione di organizzazioni" (qualsiasi n.d.r.). Questo implica non solo che la guerra sia a monte di ogni conflitto, ma che qualsiasi sua espressione - armata o disarmata, cruenta od incruenta - nasconda sempre, al di là dei mezzi impiegati, effetti curenti. Nella guerra è scomparsa, è sempre il Gen. Mini ad avvertirci, la "limitazione degli attori" che vedeva impegnati soltanto stati ed organismi politico-sociali. Oggi, essa può essere condotta indifferentemente anche da "non-Stati", vale a dire da gruppi economici, sociali od organizzazioni non politiche nel senso classico.
La guerra, gli fanno eco le parole del Ten. Colonnello Umberto Rapetto, ufficiale della Guardia di Finanza, specialista della sicurezza informatica, è in mezzo a noi. Sono l'informazione, l'informatica e la telematica che ce la portano in casa tutti i giorni. Anzi noi tutti siamo guerrieri e vittime dell'informazione. "La si chiami cyberwar, information warfare - avverte lo specialista anche di criminalità - o con mille altri nomi strani è la guerra del XXI secolo, dove l'informazione è nel contempo lo strumento per combattere il tallone d'Achille ed obiettivo per chi vuole sferrare il colpo micidiale. E' la guerra tra le Nazioni, tra le organizzazioni, tra le imprese industriali e commerciali. Forse, e non ce ne siamo accorti prima, è semplicemente la guerra di tutti i giorni".
Se è così quotidiana, qualcuno ha già obiettato, non può riguardare i militari. Non si deve confondere la sicurezza affidata alle forze che lottano contro la criminalità con la sicurezza affidata alla Difesa. Un'osservazione istituzionalmente corretta, ma che non trova certo fondamento nella grande nebbia che nella realtà operativa annulla ogni confine o limite. Soprattutto, non può essere rispettata se qualcuno decide di riversare le sue superiori capacità tecnologiche dal civile al militare e viceversa.


Tutti gli analisti concordano nel sostenere che l'introduzione dell'informatica e dell'informazione nell'organizzazione e nelle strategie militari ha prodotto e produrrà sempre di più "rivoluzioni" paragonabili, per effetti e portata, a quelle verificatesi nel mondo economico. Mondo in cui la caduta dello spazio e la "smaterializzazione" hanno portato a sconvolgimenti epocali, che hanno imposto sulla produzione la vittoria della "finanziarizzazione", una vera e propria "bolla di senso" immateriale, ma dalle conseguenze materiali, basata sul denaro invisibile ed ultra veloce, divenuto pura informazione.
Si parla oggi di Info-Econo-Sfera, per indicare quello "spazio" integrato che si va delineando nell'intersezione tra economia e informazione, una sfera di tipo nuovo in cui si producono cambiamenti nella natura degli elementi combinati, spesso con inspiegabili contraddizioni. Ad una rete globale di pura informazione si accompagna l'intervento di specialisti sempre più specializzati capaci di produrre o gestire le complessità nei flussi o nei nodi del sistema, producendo velocità con l'introduzione di nuova tecnologia o know how. Oltre alla conoscenza, diviene essenziale il tempo e la capacità di attenzione cosciente che le menti riceventi possono dedicare al flusso di informazioni provenienti dalle emittenti che cercano di agire sull'attenzione sociale. Hakim Bey, cyber-filosofo, ha scritto che "La vecchia tecnologia produceva e distribuiva risorse materiali, mentre quella più recente genera e diffonde informazioni a comprova del processo di smaterializzazione". Ovviamente, stiamo parlando di un processo in itinere, di un irresistibile trend, come ci avvertono gli stessi coniugi Toffler. E', però, un dato di fatto che mentre nel mondo si combatte ancora con la "real war", negli U.S.A. sia ormai acquisita, visto il declino del deterrente atomico, la possibilità di garantire il consenso, la sicurezza interna e, soprattutto, internazionale, attraverso la "guerra basata sull'informazione", anticamera della "hyperreal war".
Sarà proprio la capacità di gestire l'informazione a formare le nuove gerarchie di potenza. Infatti, non tutti i Paesi ricchi che in passato hanno potuto esercitare il potere del ricatto o dell'attacco atomico potranno mantenere questo vantaggio con l'informazione. Le tecnologie richieste, il know how sono talmente alti che la mappa del potere si è ridisegnata attorno ad un unico Paese: gli U.S.A. Ma se gli Stati Uniti d'America potranno usare tutto il deterrente politico e strategico dell'Extended Information Dominance non è detto che non avranno avversari, magari al proprio interno o in quello dei Paesi loro alleati.
Anche per la guerra, come per l'Info-Econo-Sfera si produce la strana forbice sopra descritta. Ad una rete informativa che si fa sempre più globale ed interattiva si affianca e si integra l'intervento di specialisti di nicchia, dotati di conoscenze, arcaiche o futuribili, ma comunque raffigurabili, di sapere operativo unico per esasperazione applicativa.
Il soldato Ryan sta per essere sostituito non solo dall'informazione e dalle reti, ma dai "consulenti". Siano essi scienziati, hacker o specialisti nell'uso del pugnale. Oggi, come sostengono i coniugi Toffler, i "servizi" ed i "consulenti" per la guerra si acquistano sul mercato dove sono offerti ai consumatori da Stati e privati. Un'offerta ed una domanda talmente libere e "private" da valere per tutti i consumatori ed i produttori, compresi ovviamente nemici militari e civili, siano essi terroristi o vicini di casa con turbe "psicochimiche" o "psicoidentitarie".
Il posto del soldato regolare vacilla: già adesso gli eserciti tradizionali sono costretti ad aumentare il numero delle forze speciali (O.S.), modello "Rambo", per adattarsi alle guerre subconvenzionali a bassa intensità, contrastando così anche sul piano "fisico", oltreché su quello mentale e comunicativo, i "guerrieri barbari". Lo scenario si riempie, da un lato, di aerei e missili invisibili, capaci di colpire con grande precisione, attraverso un'interfaccia, obiettivi tanto distanti da sembrare virtuali, secondo il principio "spara e dimentica" e dall'altro, appunto, di "guerrieri di nicchia" capaci di combattere ed uccidere anche corpo a corpo.
Secondo R.D. Steele, i combattenti del futuro, mezzo guerriglieri e mezzo soldati, dietro la modellizzazione dei quali è abbastanza facile identificare i profili di alcune Nazioni o entità del Terzo Mondo, saranno riconducibili a quattro categorie:
Fanatici a bassa tecnologia, basano la loro azione esclusivamente sulla violenza, ricorrendo alle tecniche della guerriglia e del terrorismo.
Profeti senza tecnologia, basano la loro azione su contenuti opinionali fortemente condivisi, combattono e fanno combattere crociate ideologico-culturali, etniche, identitarie e/o religiose, ricorrono alle tecniche della mobilitazione delle masse e/o alle campagne terroristiche, utilizzando come braccio armato i "fanatici a bassa tecnologia".
Fanatici ad alta tecnologia, basano la loro azione sulla ricchezza e sul sapere, tipici degli Stati che cercano di trasformare la loro ricchezza in un'egemonia regionale, ricorrono alla guerra anche classica, con uso di armi di distruzione di massa, per lo più chimiche e batteriologiche - non escludendo il nucleare - ed al terrorismo, potendo usare i "fanatici" ed i "profeti" (Irak, Iran, ma anche sette come la giapponese Verità Assoluta del guru cieco Shoko Asahara).
Pirati dell'alta tecnologia, basano la loro azione sul sapere, attuano le tecniche proprie della Cyberwar, sono capaci di penetrare ed alterare i circuiti e le fonti del sapere vitali per la vita delle moderne società.
A queste quattro categorie, per completezza di analisi, se ne dovrebbe aggiungere una quinta, quella dei "Profeti dell'alta tecnologia". Una categoria sfuggita a Steele, forse, proprio perché gli USA sono il Paese con il più alto ed indiscusso livello di tecnologia del mondo. L'unica Nazione dove i "profeti" non solo teorizzano e parlano di "information warfare", ma veramente combattono con le informazioni. In questo paese le profezie tecnotroniche sono, grazie allo sviluppo tecnologico ed al know how applicativo, realtà quotidiana. L'"Extended Information Dominance" può concretamente uscire dai documenti ufficiali e dalle rappresentazioni più o meno romanzate dei media per agire su tutto il mondo.


La risposta militare, almeno quella degli U.S.A., alle sfide dell'informazione è stata ed è davvero immediata. Abbiamo già rilevato che le "rivoluzioni" tecnologiche ed economico-sociali sono tutte state seguite da immediate "Rivoluzioni" in campo bellico, sia a livello di studi e proposte, sia a livello di strumenti operativi. Cambiamenti che per essere definiti rivoluzionari debbono, però, prevedere in ambito militare l'adozione di dottrine, strutture operative e/o costruzioni di mezzi e sistemi d'arma basati su nuove tecnologie o conoscenze, in grado di realizzare capacità operative e strategiche qualitativamente diverse.
La RSA è l'ultima (forse) rivoluzione militare. Dietro la sigla si nasconde la "Rivoluzione negli Affari di Sicurezza" il più innovativo e sofisticato modo di concepire ed organizzare la guerra. Una guerra tecnotronica, invisibile e visibile nel contempo, "SOFT" e forse "CNN", a "morti zero", ma totale e altrettanto micidiale nei risultati di dominio o annientamento, meglio di annichilimento o circonvenzione dell'avversario.
Un combattimento integrale, diffuso e capillare, evoluzione diretta della RMA, ovvero della "Rivoluzione negli Affari Militari", vale a dire, il penultimo modo (ma siamo ad oggi) di concepire la guerra basato anch'esso su di un'altra rivoluzione non ancora terminata, quella delle tecnologie informatiche, dell'acquisizione, trattamento ed utilizzo in fase difensiva ed offensiva delle informazioni.


Gli obiettivi possibili della RSA, ma gli stessi sistemi ipotizzati od utilizzati, sono così variegati e molteplici da abbattere o superare il confine non solo degli avversari, ma del mondo militare e civile, del lecito ed illecito o, addirittura, del nemico e dell'amico.
L'Extended Information Dominance è per sua natura una medaglia a due facce. Se garantisce da un lato la pace a "morti zero", dall'altro utilizza armi veramente invisibili, attraverso il più capillare e globale sistema di raccolta, controllo, trattamento, creazione ed uso dell'informazione, per avere il domino assoluto della conoscenza.
Gran parte delle azioni previste da queste nuove tipologie di guerra, RMA o RSA che siano, si basano su operazioni cover, divenute, grazie alla tecnologia, realmente invisibili o del tutto "virtuali". Un'invisibilità che va dai sistemi di fuoco, di difesa ed attacco elettronico agli aerei ed ai missili, dai sistemi di sorveglianza e sicurezza ai personal ed ai video.
Il vantaggio di "conoscere" e di "usare la conoscenza" impone di entrare, manipolare, percorrere per spiare reti e/o flussi informatici, telematici o elettronici; di copiare, alterare banche dati pubbliche e private; di monitorare, seguire, sorvegliare "identità" elettroniche e fisiche (G.P.S.); di bloccare o semplicemente alterare gli infiniti meccanismi automatici ed elettronici su cui oggi si basa non solo la difesa di uno Stato o l'attività economia ed amministrativa di un Paese, ma finanche la quotidianità della vita del singolo cittadino.
Questo nuovo tipo di guerra "a morti zero", basata ancora di più della RMA sullo sviluppo delle potenzialità belliche offerte dai sistemi tecnologici informativi e comunicativi, è talmente rivoluzionario ed innovativo da evidenziare caratteristiche assolutamente nuove. Basti pensare che non consente di percepire l'attacco se non dopo che esso si sia realizzato. Anzi, è realmente possibile ipotizzare, non solo di nascondere la paternità del danno, ma, in alcuni casi, il danno stesso. L'attacco potrà, infatti, essere così "quotidiano" e avere un volto così familiare ed amichevole da convivere con il suo avversario senza allarmarlo, modificando però giorno dopo giorno il sistema "cognitivo" di uomini e macchine in direzione dell'obiettivo desiderato dagli operatori della RSA.


L'information warfare o la cyberwar, di cui ancora in Italia si stenta a parlare, sono guerre da Paesi civili, ad alto sviluppo economico e sociale in cui le opinioni dei cittadini contano, anche perché spesso reggono leadership non "solide" proprio per l'uso diffuso ad ogni livello e in ogni gruppo dell'informazione. Violare le regole democratiche, spargere sangue o violenza anche se contro gli "avversari" ed in modo "chirurgico", non è più tollerato. L'evoluzione della coscienza di gran parte dei cittadini degli Stati più evoluti, o più materialmente il benessere da loro raggiunto, come pure il loro basso o bassissimo grado di sviluppo demografico, impediscono di accettare o, tantomeno, giustificare "morti" e sacrifici per Paesi o in Paesi spesso sempre più lontani, collegati o relegati a sacche di sottosviluppo e povertà. Chiedere di morire per la Patria, o più semplicemente di "prestare servizio militare" non trova ormai nelle Nazioni più evolute, recettori sufficienti. "Negli ultimi 45 anni - nota J. Naisbitt, altro importante futurologo statunitense - non c'è stata nelle 44 Nazioni più ricche del mondo una sola guerra".
Anche per questo la guerra della "Terza Ondata" è e sarà "disarmata". Ma, attenzione: Essa sarà e continuerà ad essere! Chiamarla "Rivoluzione della sicurezza" o "peace keeping" o "Peace Enforcing", come già abbiamo illustrato, non significa che non ci sia più o tutti siano divenuti buoni e pacifisti, compresi i militari. L'information warfare presuppone che le parti in lotta abbiano entrambe sistemi sociali, economici e tecnologici evoluti, anche se non necessariamente simmetrici e/o dello stesso livello. Quando ciò non si verifica l'alternativa diviene ancora quella dell'uso della forza. E' per questo che anzi, come rileva sempre il Gen. Jean, ora che non servono più le "vittorie totali", si torna a parlare della necessità della "forza in being, cioè della forza intesa quale strumento organico della diplomazia, come era al tempo della pax britannica". La forza non andrebbe, ovviamente, usata in modo massiccio, ma - spiega - "virtuale", vale a dire, una combinazione di "volontà di impiegare la forza" e di "tempestività, precisione ed efficacia nell'eventuale applicazione di essa", come sta avvenendo in questi giorni in Serbia.
Già negli anni ‘80 le sfide economiche del mercato globale avevano imposto il trend che affidava all'economia un ruolo di prevalenza sulle ideologie, ricevendo una storica conferma, agli inizi di quelli ‘90, dalla dissoluzione dei Paesi comunisti e, poi alla fine del millennio, dai sussulti dei Paesi in via di sviluppo che cercano di fare o delineare nel sangue una possibile pace con i loro vicini.
Su tutto e tutti sembra imporsi un unico modello di sviluppo: la "market democracy". Le nuove e più complesse relazioni ed interconnessioni tra finanza, economia, comunicazioni ed informatica, l'Info-Econo-Sfera, hanno delineato un nuovo mondo dove lo sviluppo economico ed il "soft-power" diventano realmente gli angeli della pace, oppure la soluzione finale e di ogni "negoziazione".
I problemi posti alla sicurezza degli Stati ed alla democrazia da queste nuove concezioni sono assai rilevanti. Non sarà - e già non è - più possibile, come abbiamo sopra accennato, distinguere il "militare" dal "Civile". Gli attacchi potranno avvenire da tutte le parti e contro tutti. Gli stessi soggetti potranno essere di volta in volta attaccanti ed attaccati e le combinazioni saranno molteplici. Gli attacchi esterni colpiranno sempre ed in modo quasi esclusivo all'interno dello Stato, rendendo indispensabile il controllo della sicurezza interna, con gravi ed intuibili sconfinamenti nella violazione della privacy di organismi e cittadini. Organismi e cittadini resi sempre più "deterritorializzati" ed integrati dall'economia mondialista (global shopping center, global factory, global business community) e dal reganiano "free flow information".


Prima di analizzare il mondo delle imprese, artefici di questo cambiamento epocale, forse merita di ricordare che in inglese il termine "global" è sinonimo di "holistic" quindi non ha soltanto un significato geografico, ma rimanda ad un concetto più ampio che include quello di "unità complessiva o sistemica". Vale a dire che ogni parte è al servizio del complesso.
Gli studiosi giapponesi di teoria del management parlano di "glocalize", contrazione di global e local, per significare la duplice integrazione "interno-esterno", possibile soltanto se si passa a gestioni virtuali dell'azienda. Un'organizzazione che impone di fatto l'adozione di un sistema a rete o a maglia, e presuppone la totale integrazione tra i tre livelli locale, nazionale ed internazionale.
All'interno di questa "globalizzazione", apparati militari, amministrazioni centrali e locali, grandi e piccole imprese, reti e sistemi di produzione e/o distribuzione delle informazioni, le multinazionali più organizzate o gli hacker più solitari, le strutture criminali o quelle più innocue, tutti potenzialmente sono e sempre più saranno partecipi, consapevoli od inconsapevoli, del "grande gioco", da noi vissuto ancora romanticamente secondo quanto descritto da Kipling.
Invece la realtà è profondamente mutata. I soggetti del gioco, piccolo o grande che sia, sono cambiati. Generali, soldati, armi e spie, non vestono più alla "militare", anzi le "divise", i giochi di guerra, virtuali o simulati fisicamente, entrano nel "quotidiano". La terminologia guerresca o del combattimento è entrata nel linguaggio di tutti i giorni, in particolare nel mondo del management o, più semplicemente, del "porta a porta" o del "multilevel". Termini come strategia, tattica, ma anche battaglia, conquista, disfatta, scenari operativi, nemico e alleato, si inseguono per descrivere i fatti economici. I manager, come - insistiamo - i venditori del porta a porta ed i praticanti di arti marziali, studiano Clausewitz, L'arte delle guerra di Sunzi (**) , I trentasei stratagemmi, ed Il libro dei cinque anelli del maestro di spada giapponese Musashi. Addirittura, guru internazionali della comunicazione interpersonale insegnano a questi nuovi "guerrieri del quotidiano", oltre alle tecniche di negoziazione, quelle - senza nemmeno tante rivisitazioni - del "lavaggio del cervello" e del "condizionamento", sia per rafforzarli che, appunto, per condizionarli.
Uscendo dal soggettivo, per entrare nell'organizzativo, dobbiamo rilevare, come ha fatto magistralmente Armand Mattelart, che: "l'esigenza di massima visibilità costringe l'impresa a diventare protagonista politico, direttamente coinvolto nella gestione della cosa pubblica. La gestione virtuale dei vari settori pubblici da parte dell'impresa è diventata professionale, i compiti della comunicazione si sono differenziati". Le P.R., ovvero le pubbliche relazioni - è sempre lo stesso sociologo a dirlo -, sono ormai divenute "affari pubblici". Definizione, per altro, già pubblicamente adottata da alcune grandi imprese americane.
Le varie relazioni sociali, ambientali, politiche, commerciali e finanziarie, locali, internazionali o globali che siano, come pure gli "attacchi" e le "crisi", interne od esterne, divenute ormai permanenti, hanno reso l'impresa un centro politico-strategico, costretto a comunicare.
Oggi, l'impresa deve considerare necessariamente la comunicazione come una sua funzione aziendale, meglio, come "un'ottima tecnologia di gestione sociale".
La "rivoluzione" basata sulla comunicazione comporta, però, altri sconfinamenti. Le minacce alla privacy sono fin troppo evidenti. La standardizzazione "universale" e la segmentazione "personale" sono i due termini del nuovo rapporto dialettico imposto dai mercati. Gli specialisti della comunicazione al servizio delle imprese "globali" parlano, nell'affrontare i problemi di comunicazione "interculturale" dovuti appunto ai "freni culturali" dei diversi soggetti interagenti, di "meticciato". Un termine che indica uno spazio antropologico-cognitivo diverso da quelli che lo hanno determinato, ma capace di risolvere positivamente la necessità di evitare fratture o scontri frontali con le diverse culture che agiscono ed interagiscono all'interno ed all'esterno di queste imprese.
Le nuove strategie di marketing pongono l'accento sempre di più sulla conoscenza profonda del cliente, anzi questo viene considerato da alcuni come il vero azionista o socio di riferimento, quindi, il centro del centro dell'attività. Tale centralità comporta un'attenta analisi dell'identità e delle utilità (caratteristiche psico-sociali, oltreché economiche) di questo soggetto.
Le minacce ed i pericoli certo non diminuiscono se si considera che è la natura stessa del fenomeno, sempre instabile ed imprevedibile, della globalizzazione degli scambi ad imporre la necessità di conoscere, di vigilare non solo sullo sviluppo tecnologico, ma sull'informazione economica e, persino, sui soggetti pubblici e parapubblici che interagiscono con essa. Occorre sempre di più individuare le minacce della concorrenza esterna.
I manuali di intelligence economica, anche ad uso dei privati, definiscono tanto chiaramente quanto pubblicamente questa attività come l'insieme degli atti coordinati per la ricerca, il trattamento, la trasmissione e la protezione delle informazioni utili agli operatori economici ottenute in modo legale.
Il ricorso sempre più massiccio alla pubblicità e la necessità di assicurare il massimo della penetrazione ai propri beni e servizi comporta una ricerca sempre più sofisticata dei messaggi. La segmentazione del parco consumatori progredisce di pari passo col perfezionamento delle banche dati e delle altre tecniche informatizzate per costruire e gestire, in tempo reale, una "cartografia" socio-economica dei destinatari dei messaggi.
Gli effetti potenziati al massimo non solo dalle ricerche psico-sociali, ma dall'applicazione delle tecnologie di manipolazione delle immagini e dei suoni, capaci di produrre su scala industriale "realtà virtuali", si riversano incessantemente su tutti noi.
A ben guardare la stessa industria pubblicitaria ormai si presenta come un immenso laboratorio di "guerra psicologica". Anzi le sue tecniche influenzano sempre di più le altre tipologie dell'informazione. Cinema, radio, televisione, ma anche comunicazione politica, giornalismo e P.R. non sfuggono alle tecniche della spettacolarizzazione degli eventi e/o degli effetti speciali, anzi virtuali.


La nuova guerra "disarmata" richiede un'osmosi costante con la società, con lo Stato, ma, soprattutto, con l'economia dello Stato da cui è teorizzata o praticata.
Essa, infatti, non può prescindere dal sistema economico, in particolare dallo sviluppo delle tecnologie e dalle loro applicazioni commerciali. La tendenza, avvertono gli specialisti, non è quella di trasformare le spade in aratri, ma gli aratri in spade, e, quindi, i contadini in guerrieri. Ovvero saranno impiegate a fini bellici tecnologie, capacità ed "identità" civili. Questa confusione di ruoli introduce diversi elementi di preoccupazione per la sicurezza nazionale.
All'interno, il pericolo è fin troppo evidente, se assicurarsi il dominio del "cyberspazio" comporta trasferimenti di know how, risorse umane e tecnologiche dal civile al militare, i limiti ai "segreti" saranno sempre più vulnerabili. Le informazioni e la conoscenza si dilatano ed affiorano in mille rivoli, sempre più copiosi, dalle fonti aperte, tendenzialmente infinite. "Segreti" ed "obiettivi" entrano nel "quotidiano", tanto che Steele, tra i maggiori esperti di sicurezza americani, ha proposto che non solo l'intelligence possa attingere a tutte le fonti, ma che essa stessa diventi fonte d'informazione disponibile al pubblico. Per lui l'intelligence non può essere ormai che una parte di un ampio sistema cognitivo nazionale che includa processi educativi formali, valori culturali informali, reti informali sociali e professionali di scambio cognitivo e lo stesso sistema di governo.
L'intelligence - conclude - deve diventare uno stimolante apporto al sistema cognitivo nazionale e non un luogo di sterili analisi statistiche. Altri studiosi, come Sheppard o Codevilla, senza giungere a tanto, propongono comunque soluzioni innovative, basate sulla decentralizzazione, per mettere in grado i Servizi di meglio interagire nella società dell'informazione, quali l'appalto esterno di operazioni e reparti, la privatizzazione di istituti come il "Foreign Broadcast Information Service" od il dislocamento di unità di analisti presso i singoli dipartimenti governativi: Commercio, Tesoro, Estero, Agricoltura.
I linguaggi e le tecniche, ma soprattutto gli obiettivi, si mescolano. Cresce il rischio di un utilizzo indebito di conoscenze, anche residuali, per fini personali o commerciali, non solo per finalità di spionaggio militare.
All'esterno, se è vero che il vantaggio competitivo è assoluto, è altrettanto vero che la "sicurezza" limita nei fatti la possibilità dello Stato detentore delle tecnologie di trasferirle ai suoi alleati per evitare danni commerciali alle sue imprese, creando così un monopolio assoluto rivolto, quasi indistintamente, contro amici e nemici.
Un monopolio che di fatto, assicurando solo ad uno la supremazia assoluta nell'"information dominance", riduce il ruolo degli altri a quello di semplici fanti che mettono in gioco la loro vita, mentre i "Signori della guerra" rimangono al sicuro nella sala di controllo del "castello" o dell'astronave. Anzi, negli stati "amici", proprio perché oggi l'economia si è smaterializzata, basandosi su flussi informativi, cresce addirittura il sospetto che essi stessi possano essere "attaccati" segretamente, per svariati obiettivi di "sorveglianza" o di "guerra economico-commerciale", attraverso i propri arretrati sistemi tecnologici, proprio dal più evoluto alleato, spesso loro fornitore tecnologico.
Un attacco cover di "hacker warfare" contro i sistemi informatici amministrativi od economici di uno stato evoluto, può avere effetti più devastanti che un attacco diretto ad impianti "militari". Occorre riflettere che nel campo militare classico non avrebbe senso attaccare un sistema informatico avversario senza poi occupare o colpire con una qualsiasi forma di "fuoco" il teatro "nemico". Il danno deve tendere a consolidare e rendere visibile il risultato raggiunto. Un'azione di "information warfare", soprattutto tra "alleati", ma non solo, può e deve rinunciare a rendere visibile il raggiungimento degli obiettivi. In particolare nelle fasi di studio. Quante guerre o conflitti di nicchia si prestano a questo?
Una metodologia che può essere anche quella della criminalità e/o del terrorismo più evoluto. Il combattimento "chirurgico", rappresentazionale proprio perché abbinato ai risultati cognitivi, consente non solo la selezione delle azioni, ma dei pubblici di riferimento. Turbare la coscienza della più vasta e sensibile opinione pubblica potrebbe essere controproducente, soprattutto nelle fasi preparatorie e/o "negoziali". Il terrorismo più evoluto, come la destabilizzazione strisciante, possono benissimo rinunciare a "bucare il sistema e farlo sapere a tutti". Accontentandosi di bucarlo e farlo sapere soltanto a pochi. Senza andare sul terreno istituzionale quante imprese, in particolare banche, sono state bucate con l'informatica? Quanti hacker hanno trovato lavoro in questo modo?
Il mondo della rappresentazione mirata, individuale o di gruppo, proprio perché "globale" si sovrappone ed in qualche caso si sostituisce a quello dell'azione.


Occorre riflettere che sinora il pensiero militare anche quello più "modernista" aveva sempre tenuto distinte le tre componenti classiche della guerra contemporanea: sistemi informativi e di sorveglianza, di comando e controllo, di fuoco di precisione in profondità (vale a dire, indiretto). Affidando a strutture separate il compito di sviluppare e gestire le scoperte settoriali e le stesse attività operative. La tendenza sembra ora invertirsi e, al di là delle resistenze e degli attriti interni, l'applicazione delle tecnologie "globalizza" anche questo mondo a compartimenti stagni. Se i tre sistemi non sono più considerati autonomi, se il sistema informativo viene potenziato ed integrato, non v'è dubbio che esso assuma un'importanza tattica e strategica fondamentale, divenendo il centro del centro da cui si irradiano sia le forze visibili che invisibili. Si rendono così possibili nuove forme di offesa e di difesa, basate su una precisione ed una selettività quasi assoluta, capaci di colpire con azioni "rappresentative", dotate di senso, sia sul piano fisico che cognitivo-semiotico, oggetti e soggetti.
Nasce così l'idea del "sistema dei sistemi" dell'Ammiraglio statunitense Owens, che privilegiando il potenziamento dell'information dominance rispetto a quello della potenza di fuoco e delle unità di combattimento pesanti, mette al centro della guerra occidentale, così ricca di citazioni "hardware" di Clausewitz, gli insegnamenti "software" del cinese Sun Wu.
Per il generale cinese del VI secolo a.C. - detto "Sun Tzu", vale a dire, "Maestro Sun" - la "Guerra è l'arte di ingannare" ed il risultato supremo è: "Sottomettere il nemico senza combattere, questo è geniale…"
Tutto viene affidato ad una minuziosa valutazione iniziale che consente di vincere senza fare la guerra o limitando l'azione ad interventi mirati e circoscritti che assicurino il massimo del risultato con il minor dispendio di forze.
Uno Stato ridotto in rovina non è certo una grande vittoria, come pure un nemico morto o ridotto alla disperazione non può portare grandi benefici, perché non può essere utilizzato né tratto dalla propria parte.
L'azione psicologica diviene indispensabile contro il nemico e nel proprio campo. Non si tratta però di piccole astuzie o stratagemmi, ma di una vera politica della comunicazione volta a demotivare l'avversario e a motivare i propri comandanti e soldati. Per Sun Tzu, ci informa il Gen. Fabio Mini esperto sinologo: "Lo scopo dell'azione psicologica è di disorientare il nemico e fargli commettere degli errori di valutazione, di indebolirlo, di esaurirlo (spossarlo) o di facilitare i propri movimenti con dei trucchi o delle apparenze ingannevoli".
Siamo alla più grande anticipazione teorica della guerra virtuale e/o simbolica che tentano di realizzare gli specialisti del Pentagono. "Non-guerre" i cui fronti, come abbiamo prima osservato, si fanno e si faranno sempre più molteplici. Ai teatri terrestre, marino, aereo e spaziale, già così ricchi di applicazioni tecnotroniche, se ne aggiungono ora due molto specifici, quanto invisibili, quelli elettronico-informatico e soprattutto, occorre dirlo con chiarezza, quello mediatico. Agli spazi fisici si sono aggiunti, sospinti dalla dematerializzazione e dalla finanziarizzazione dell'economia, quelli "virtuali" (potentemente spinti da Internet) e mentali. Il territorio, lo spazio e la conoscenza sono diventati "la rete", una rete informativa da dove è possibile raggiungere in tempo reale, in modo virtuale e non, amici e nemici. Ogni organismo esposto ad un flusso crescente di informazioni rischia di collassare se il suo sistema di registrazione e trattamento non è adeguato. Nel mare infinito dei dati e delle informazioni vincerà chi sarà in grado di produrre da essi conoscenza, vale a dire di individuare e separare ciò che è significativo da ciò che non lo è.


Già la scienza sociologica americana, applicata alla comunicazione, aveva teorizzato e poi applicato due principi fondamentali, quelli dell'agenda setting e della rappresentazione sociale. Sostenendo, esasperando le due teorie indicate, si può asserire che la "rappresentazione" sociale dei fenomeni è data da potenti mediatori della realtà, quali: giornali, Tv, radio, cinema e pubblicità. Un'alterazione che impedisce una corretta formulazione delle nostre opinioni, alterando le strutture delle nostre attitudini, attraverso una proposizione selettiva degli argomenti estranea alla volontà del soggetto stesso. Un'alterazione che giorno dopo giorno ha fatto sì che la "rappresentazione" si sia sostituita, per molti, all'azione. Le comunità virtuali, i "meta gruppi" sono gli elementi più preoccupanti di questi modi di essere "virtuali" e/o rappresentazionali e/o relazionali.
"Conoscenza, più che mai, è potere. La Nazione che riuscirà a realizzare in maniera migliore la rivoluzione dell'informazione sarà la più potente di tutte. Per il prossimo futuro gli Stati Uniti sono questa Nazione. L'America ha un'evidente forza nel campo del potere militare e della produzione economica. Tuttavia, il suo più "sottile" vantaggio è dato dalla sua abilità nel processare, "trattare" e diffondere informazioni, un vantaggio che quasi certamente crescerà nel corso del prossimo decennio". Così ammoniscono Joseph S. Nye Jr., e William A. Owens. Un vantaggio che ci fa riflettere non soltanto sull'ormai consueto "l'informazione è potere", ma ci offre uno spaccato assai realistico dell'uso strategico di questa "arma" contemporaneamente di pace e di guerra.
Mentre ancora in Italia si stenta a parlare in sede accademica, politica o giornalistica di "information warfare" o di "cyberwar", Nye e Owens, ci parlano già di "soft power". Vale a dire, della capacità di raggiungere gli obiettivi desiderati in affari internazionali attraverso l'attrazione piuttosto che la coercizione. Un'arma finale, che non è altro se non l'informazione stessa. Funziona convincendo gli altri a seguire, o facendogli accettare, norme ed istituzioni che producono l'effetto desiderato. Il "soft power" può basarsi sul richiamo esercitato dalle proprie idee o sull'abilità nel fissare l'ordine del giorno (agenda setting) in modo da "modellare" le preferenze degli altri. Se uno Stato riesce a far sì che gli altri percepiscano il suo potere come legittimo e riesce a stabilire istituzioni internazionali che incoraggino gli altri Paesi ad incanalare o limitare le loro attività, non sarà necessario utilizzare tante delle sue costose risorse economiche e militari tradizionali. Dalle bombe atomiche ai missili intelligenti, dallo spionaggio alla guida soft delle Nazioni, la guerra sembra perdere le caratteristiche di violenza e di morte che ne hanno sempre accompagnato il nome. Dal corpo il bersaglio è passato alla mente, ma anche la mente è il corpo. Spogliando la guerra delle sue caratteristiche più brutali in realtà ne allarghiamo il campo all'infinito, dal macrocosmo passiamo al microcosmo, dall'eccezionale ed orrido passiamo al quotidiano e consueto.


L'informazione produce la realtà. Se l'albero cade fa rumore, ma se non c'è nessuno ad ascoltare il rumore, chi può dire che ci sia stato il rumore o che l'albero sia caduto? Udito e vista non riescono però da soli a fare la "differenza", occorre anche la capacità di interpretare, di dare senso alle sollecitazioni, di rappresentarle a se stessi e agli altri. Secondo J. Arquilla e D. Ronfeld, studiosi di cyberwar, "l'informazione è qualsiasi differenza che fa la differenza". Il linguaggio e la comunicazione creano la socializzazione, non soltanto perché consentono le interazioni, ma perché la legittimano e la istituzionalizzano.
Il sistema economico e quello politico nell'era dell'informazione non possono più prescindere dal sistema comunicativo che non solo li attraversa, ma che, in una certa forma, li contiene dando, nel più vasto sistema sociale, la rappresentazione pubblica di essi. E' proprio il sistema comunicativo che consente sia l'integrazione dei conflitti che scoppiano negli altri due sia la regolazione del consenso e l'adeguamento degli interessi del "pubblico" alla normalità sociale richiesta dall'economica e dalla politica. Attenzione, non siamo di fronte ad una dipendenza mutua tra sottosistemi, ma ad una vera e propria funzione mediatrice del sistema comunicativo.
Funzione che non deve essere considerata semplice attività selettiva e tematizzante, come vorrebbero certe teorie tipo "gatekeeper", ma un'azione orientata alla costruzione della realtà sociale, oggettivata istituzionalmente attraverso pratiche quotidiane di rappresentazione degli avvenimenti. Soprattutto nella società contemporanea la realtà sociale esiste soltanto nella misura in cui la comunicazione permette che si disponga di un meccanismo di relazione, meglio, di interazione tra gli individui.
Tutti gli esseri umani sono il centro del mondo in cui vivono. Le dimensioni di questo mondo sono definite dalla direzione e dalla distanza con cui le notizie ci raggiungono. "Le notizie - sostiene Robert Ezra Park, sociologo della comunicazione ed ex giornalista americano - sono una delle forme più elementari della conoscenza".
L'attività comunicativa produce e dà senso sociale agli individui e al mondo che li circonda. Innesca in loro processi di oggettivizzazione, tipicizzazione e autolegittimazione. La comunicazione intenzionale ha sempre come scopo l'adesione del recettore. L'effetto di essa è sempre "cognitivo", vale a dire capace di incidere sulle forme quotidiane di conoscenza. L'obiettivo civile e militare è: influire sulla percezione e sull'organizzazione mentale dei contenuti al fine di rappresentare o determinare la realtà voluta.
Se la guerra o, meglio, il combattimento diventano "rappresentazioni" essi debbono essere elaborati in modo cognitivo e simbolico non solo rispetto a se stessi (l'opera) e a chi li pone in essere (scrittore, produttore, finanziatori, regista), ma, soprattutto, rispetto agli "spettatori" (i propri alleati, gli amici dell'altro, i neutrali) e agli stessi "attori" (se stessi, i propri nemici e gli alleati comunque impegnati).


La "guerra informazionale", sia essa militare o non - come pure il "terrorismo informazionale"- già comprende nelle sue manifestazioni pubblicitarie, mediali e di P.R. operazioni psico-sociologiche. Vale a dire: operazioni tendenti ad influenzare nell'altro emozioni, motivazioni, ragionamenti e comportamenti.
Non è possibile non pensare che buona parte del combattimento decisivo nella guerra del futuro si giocherà anche sul campo di battaglia dei media, con largo utilizzo di "effetti mirati", manipolazioni, "tempi reali irreali", realtà virtuali e cyberazioni, capaci di colpire "chirurgicamente" masse, gruppi ed individui sia con messaggi finalizzati e personalizzati sia con sottrazioni - fisiche o virtuali - di elementi di conoscenza.
Si badi bene, l'information warfare è soprattutto una concezione, un modo diverso di concepire la guerra, o meglio qualsiasi forma di relazione conflittuale. Essa è, soprattutto, una pratica cognitiva che, attraverso l'uso combinato di elettronica ed informazione, produce senso all'interno e all'esterno di se stessa al fine di raggiungere determinati obiettivi. La guerra, come pure ogni forma di combattimento o di relazione umana, nell'era dell'informazione sono o possono essere, come già avviene per l'economia, l'impresa, i prodotti ed i servizi, una "fabbrica di consenso", un modello, un simulacro da vendere, una rappresentazione semiotica.
Nel 1996 il Pentagono elenca con chiarezza per la prima volta in un suo documento reso pubblico i possibili tipi ed obiettivi dell'information based warfare.
§ Esercitata principalmente contro militari e sistemi:
- Guerra elettronica (attacchi alla capacità elettronica);
- Guerra C2 (attacchi ai centri di Comando e Controllo);
- Guerra basata sull'informazione (attacchi a "intelligence, reconnaissance, surveillance, target acquisition");
- Hacker warfare (attacchi alle reti e ai sistemi informatici);
§ Esercitata prevalentemente contro popoli e civili":
- Guerra psicologica (attacchi alle percezioni e alle decisioni);
- Cyberwar (attacchi virtuali);
- Guerra informativa economica (attacchi alle capacità di acquisizione e trattamento di informazioni, in particolare, sul commercio mondiale).
Sicuramente a leggere certe riflessioni si prova il sospetto od il desiderio di trovarsi di fronte ad esagerazioni apocalittiche proprie di fine millennio, eppure, tralasciando le pubblicazioni "militari" e/o rivoluzionarie, la diplomazia internazionale parla ormai apertamente di "soft power", ovvero del "potere che viene dalla capacità di raggiungere gli obiettivi desiderati in affari internazionali attraverso l'attrazione piuttosto che la coercizione". Basterà, semplicemente, convincere "gli altri" a seguire, "o facendogli accettare", norme ed istituzioni che producono l'effetto desiderato.
Dalla diplomazia alla RSA il passo è brevissimo. In teoria, in questa guerra vincere è o sarà molto semplice. Basterà avere il controllo delle informazioni e dei sistemi cognitivi siano essi umani o tecnotronici.
Un'impostazione lodevole, che esclude la guerra clausewitziana, grondante sangue e distruzioni, come proseguimento della politica, ma che di fatto rende implicito l'uso preventivo di armi letali anche se "a morti zero". L'obiettivo non si raggiunge più con l'eliminazione fisica, ma con il controllo e/o alterazione e/o distruzione dei sistemi cognitivi. Non più il corpo, ma la mente. O, perché no, l'immagine, ovvero la percezione che un'identità personale od organizzativa ha di sé o che gli "altri" gli attribuiscono.


La guerra informazionale può colpire ovunque, specie i punti deboli dell'avversario, soprattutto quando con un minimo attacco si può ottenere un risultato massimo. Gli obiettivi sono infiniti. Di solito si immagina che siano economici e/o politici, ma potrebbero essere anche istituzionali. Selettivi al punto di alterare la percezione di questa o quella parte, perché no? di una Pubblica amministrazione. Una Pubblica amministrazione che di per se stessa è un'immensa banca dati. Ma che nella maggior parte dei casi e degli Stati non sa di essere in potenza una centrale cognitiva ed un'interfaccia tecno-sociale.
Soltanto pochi Stati possono vantare, ancora una volta dobbiamo dire come gli U.S.A., una Pubblica amministrazione coinvolta e partecipe della rivoluzione economica e cognitiva imposta a tutti i livelli sociali dalla Terza Ondata. Proprio per difendere la loro Pubblica amministrazione, da sempre pienamente integrata nel processo di sviluppo sociale del loro Paese, i nostri antichi e vicini "cugini" francesi, nel 1994, hanno sentito il bisogno di introdurre nel loro codice penale, a salvaguardia delle azioni di intelligence economica, un concetto molto importante per le sue possibili estensioni e per la capacità di cogliere i pericoli delle non-guerre: "Gli attentati agli interessi fondamentali della Nazione, d'ora in poi, comprendono le componenti essenziali del potenziale scientifico ed economico". Visto che oggi - recita ancora il testo - "il rischio è maggiore in campo economico che in quello militare", occorre cautelarsi contro lo spionaggio esercitato anche contro i funzionari pubblici che direttamente od indirettamente potrebbero conoscere "segreti". Si pensi ad un settore per tutti, quello delle telecomunicazioni.
Non mancano in Francia, Paese da sempre molto forte nella sua amministrazione pubblica, circolari che mettono in guardia contro "la vulnerabilità delle informazioni".
Se iniziamo l'analisi degli scenari, quello che più colpisce non è tanto il carattere impreciso, superficiale ed in particolare negativo che caratterizza la comunicazione pubblica di tutti i Paesi, ma è, soprattutto, la grande differenza che esiste tra l'effettiva mole di lavoro prodotta dagli organismi pubblici - la loro infinita serie di contatti e relazioni umane, qualsiasi essi siano - e la rappresentazione minimale che di queste attività e capacità si ha sulla stampa o, comunque, nella percezione generale. Anzi, l'immagine proposta e percepita - come avviene ad esempio in Italia - è talmente negativa da impedire a volte la conoscenza stessa della funzione svolta.
Tutto sembra inadeguato e disorganizzato. Tutto sembra fatto contro i cittadini che debbono necessariamente organizzarsi "privatamente", perché la "globalizzazione" dell'economia impone lo stesso tipo di efficienza, la stessa velocità, in tutto il mondo.
Nel nostro Paese la "rappresentazione" inadeguata colpisce con forte intensità tutti gli organi pubblici, compresi i più importanti sia per valore costituzionale che per reale produzione di informazioni utili, o addirittura essenziali, alla vita dei cittadini e del Paese in generale.
Un esempio empirico valga per tutti: proviamo a scorrere le pagine di un giornale o le immagini di un telegiornale, come pure ad ascoltare le parole di un radio-giornale per scoprire e/o verificare che l'informazione "parlamentare" è indubbiamente sotto dimensionata rispetto a quella sui partiti, sulle alleanze, sulle varie beghe interne agli schieramenti o sui "pettegolezzi" alimentati, in positivo o in negativo, dai singoli uomini politici. Sempre più seguiti e rappresentati nella loro dimensione "domestica", anziché istituzionale.
Il quadro si fa ancora più preoccupante, se si crede nella democrazia e nella funzione dello Stato, perché nessun organo pubblico ad ogni livello sembra preoccuparsi di affermare la propria immagine, che nell'era dell'informazione e della globalizzazione informatica ed economica coincide con la stessa identità dell'ente e la sua stessa capacità cognitiva.
Si badi bene che qui non stiamo parlando delle esigenze imposte dalla trasparenza, ma della necessità che tutti gli Stati hanno sempre avuto di affermare una propria immagine istituzionale.
A puro titolo di esercitazione accademica pensiamo a cosa succederebbe in Italia se qualcuno, che ovviamente al momento non esiste, decidesse di colpirci in questo modo. Non stiamo ipotizzando soltanto attacchi hacker alle banche dati delle Finanze né della Sanità a cui altri analisti e studiosi hanno pensato, ma per pura provocazione vogliamo aggiungere a questi un attacco mediale all'immagine di qualche ente statale. Percorrere l'autostrada delle opinioni già cristallizzate per affermare i nostri obiettivi è il vincere senza combattere del già citato Sunzi. La filosofia del terrorismo informazionale è altamente adattiva, perché anch'essa basata sulla conoscenza, può, quindi, avvalersi ugualmente di tattiche della Seconda Ondata: "bucare il sistema e farlo sapere". Sono proprio A. e H. Toffler a ricordarci che tra le armi civili e militari della terza ondata ci sono i media. Come e con chi reagiremmo? Come e con chi reagiamo?
Le immagini ed i soggetti rappresentazionali della nostra comunicazione istituzionale sono tra i più ricchi di significati e organismi impropri vista la forte presenza e sovrapposizione della comunicazione politica. Tale sovrapposizione, indubbiamente sostitutiva, produce effetti positivi soltanto in situazioni di benessere economico generalizzato, consenso e sintonia tra cittadini e mondo politico. Divenendo addirittura essenziale nei momenti di crisi economica e/o di frattura sociale, in cui è necessaria l'individuazione rapidissima di capri espiatori.
Il rischio è quello che la sovrapposizione di immagini e di soggetti esterni ed estranei alle istituzioni specifiche generino identificazioni e sostituzioni "personalistiche" tra Parlamento, Governo, Ministeri, Enti pubblici o parapubblici, da un lato, e Partiti, gruppi o singoli uomini politici, dall'altro.


E' fin troppo facile affermare, e non solo parafrasando gli studiosi del settore, che in Italia "l'informazione politica ha sopraffatto e/o annullato non solo quella funzionale, ma finanche quella simbolica delle istituzioni".
Ogni attività di comunicazione non può essere soltanto analizzata per "contenuto" e "finalità" od "effetti", ma anche per "soggetti" promotori e recettori. Alla luce di ciò non è possibile dipingere politici e giornalisti come strateghi, artefici ed esecutori di un'azione cosciente, organica e coerente di "information warfare" ai danni delle istituzioni. La verità fattuale italiana nasconde non tanto un pulsante mondo di astuzie e di intrighi, quanto una disarmante assenza di "avversari". La comunicazione istituzionale pubblica, semplicemente, dal dopoguerra ad oggi, non è esistita o, meglio, non è riuscita ad essere visibile. Mancano strutture, strategie, obiettivi e valori condivisi. Manca, soprattutto, la voglia di "essere" una funzione "cognitiva". E', addirittura, impensabile il fantasticare rispetto al ruolo di "interfaccia tecno-sociale" imposto dalla "Terza ondata".
Soltanto da pochi anni si è cominciato a riparlarne, anche con un lodevole tentativo di approccio strategico, oltreché funzionale, vincendo quel pudore che impediva di evidenziare e richiedere funzioni "statali" che da destra o da sinistra potevano richiamare i "fantasmi" del totalitarismo. Fantasmi che nella realtà da entrambi i lati avevano generato potenti "con-fusioni" tra Stato e partiti.
Questa carenza ha fatto sì che il nostro Stato ed i suoi organi continuino a voler essere percepiti dai cittadini attraverso le esperienze e le "immagini" che essi hanno di queste istituzioni. Rappresentazioni che derivano da stereotipi, conoscenze e valori ideali sicuramente propri del passato o di rappresentazioni attuali o mediali - spesso di derivazione straniera, si pensi al predominio della produzione filmica e televisiva americana - che nulla hanno a che vedere con la nostra realtà. Nella comunicazione il vuoto si riempie sempre con il pieno.
L'immagine di un organismo, è bene tenerlo presente, è in realtà la sintesi delle percezioni che il mondo esterno ha di esso. Tanto più questo organismo non comunica e/o non si preoccupa di come è percepito, tanto più lascia agli "altri" la costruzione della propria immagine. Tanto più non si ha volto, tanto più nell'era dell'informazione, il volto ci verrà dato dagli "altri" o attraverso le rappresentazioni preesistenti o attraverso le maschere da essi confezionate e sovrapposte.
Ovviamente, nessuna comunicazione istituzionale dovrebbe essere soltanto tattica, ma strategica e coordinata a fini non solo "istituzionali", ma statali. Essenziali nelle organizzazioni pubbliche dovrebbero diventare le strutture di comunicazione, intese non come "uffici del portavoce" o come forme evolute di "uffici reclami", ma come vere e proprie funzioni aziendali di senso, interno ed esterno, interfacce capaci di compiere azioni o interazioni identiche a quelle degli organismi privati. Una "rivoluzione" reclamata dal grande mare delle "informazioni aperte" e dai media. Non sembrino queste parole visionarie. Il futuro attorno a noi è già cominciato. Siamo o non siamo la V o VI potenza economica del mondo? Esprimiamo o non esprimiamo la "Presidenza" dell'Unione Europea?
Ci chiediamo perché non sia giunta l'ora di dotare di "identità" cognitiva le nostre istituzioni, da quelle "civili" a quelle "militari", di "polizia" o di "sicurezza", attraverso la creazione di strutture competenti, capaci di erogare non solo comunicazione nella loro interazione con i cittadini ed i media, ma "senso" sia all'interno che all'esterno.
In assenza di qualsiasi iniziativa i nostri concittadini continueranno a percepire soltanto inefficienza e il volto demoniaco delle istituzioni, non importa che sia la fila alle Poste, molto più pesante anche sul piano della percezione di quella in banca, o le immagini imposte ad infinitum, rispettivamente, "brancaleonesca" per le nostre Forze Armate e "stragista", "antidemocratica" e "inaffidabile" per i nostri "Servizi". Gli stereotipi e le "guide di opinione" cristallizzate nella mente dei cittadini e dei giornalisti, veri e propri paradigmi cognitivi, in assenza di correttivi, possono solo scattare automaticamente in un'unica soluzione. Impedendo a tutti, persino ai diretti interessati, di vedere che da qualche tempo importanti giornali e periodici italiani ed internazionali pubblicano con regolare cadenza articoli entusiastici sulla nascita e lo sviluppo di "Eserciti" e "Servizi" privati. Organismi efficientissimi nati ad oriente dalla dissoluzione dell'Impero sovietico e ad occidente da quella degli eserciti "coloniali". Anzi, qualcuno ha proposto e teorizzato brillantemente l'impiego di questi mercenari come truppe O.N.U. da impiegarsi su contratto, di volta in volta, per questa o quella esigenza di pacificazione. Come si vede il futuro è già cominciato.
La possibilità di affittare armi e soldati "letali", come pure prodotti ed agenti speciali, non aiuta certo i Paesi che hanno scarso senso di sé o, per dirla con un termine arcaico, dello Stato. Un pericolo generalizzato che si estende a tutti i Paesi siano essi a limitate risorse economiche e tecnologiche e/o, per varie ragioni, poco omogenei o fortemente divisi al loro interno. In tutte queste Nazioni la "guerra simbolica o cognitiva", specializzazione dell'information warfare, combinata con azioni "chirurgiche" condotte dai nuovi "soldati" o "guerrieri" che siano può portare attacchi gravi se non letali. Ritardare per poco tempo lo sviluppo di un Paese evoluto confondendo o distruggendo le sue "scartoffie" è già un vantaggio competitivo notevole nella non-guerra tra Paesi ricchi o alleati.
Tornando all'informazione istituzionale e concludendo, dobbiamo ammettere che le comunicazioni "pubbliche" sono e debbono restare due, poiché rappresentano tipologie assai diverse per contenuti, organizzazione e finalità. Deve essere però chiaro che nell'era dell'information warfare, continuare a mescolarle o a praticarne una soltanto potrebbe essere molto pericoloso per la salute dello Stato e della Democrazia.


John ARQUILA e David RONFELDT:
- Information dominance edges toward new conflict frontier, Signal 48, August 1994.
- Cyberwar and netwar: new modes, old concepts of conflict, Rand Resarch Review, Fall, 1995.
Franco BERARDI (Bifo), Neuromagma, Lavoro cognitivo e infoproduzione, Castelvecchi, Roma, 1995.
Giorgio CASACCHIA (a cura di), I trentasei stratagemmi, l'arte cinese di vincere, Guida Editori, Napoli, 1990.
CRITICAL ART ENSEMBLE, Sabotaggio elettronico, Il primo gruppo americano di critica e attacco ai mass media, Castelvecchi, Roma, 1995.
Manuel DE LANDA, La guerra nell'Era delle macchine intelligenti, G. Feltrinelli Editore, Milano, 1996.
Erving GOFFMAN, La vita quotidiana come rappresentazione, Società Editrice il Mulino, Bologna 1969.
Carlo JEAN:
- ( a cura di) La guerra nel pensiero politico, Franco Angeli, Milano 1987.
- Guerra, strategia e sicurezza, Editori Laterza, Bari, 1997.
Pierre LEVY, L'intelligenza collettiva, per un'antropologia del Cyberspazio, G. Feltrinelli Editore, Milano, 1994.
Armand MATTELART:
- La comunicazione globale, Editori Riuniti, Roma, 1998.
- La comunicazione Mondo, Il saggiatore, Milano, 1991.
Fabio MINI, L'altra strategia, I classici del pensiero militare cinese dalla guerra al marketing, Franco Angeli, Milano, 1998.
Miyamoto MUSASHI, traduz. Giulio DE MICHELI, Alfredo Augusto Editore, Milano, 1984.
John NAISBITT e Patricia ABURDENE, Megaterends 2000, Le nuove tendenze per gli anni' 90, Rizzoli, Milano, 1990.
Joseph S. NYE Jr., Bound to lead: the changing nature of american power, BasicBooks, 1990.
Joseph S. NYE Jr. e William A. OWENS, Il vantaggio dell'informazione americana.
C. PELANDA, L'evoluzione della guerra, CeMiSS - Franco Angeli, Milano, 1996.
William A. OWENS:
- JROC: Harnessing the revolution in military affairs, Joint forces quarterly, Summer 1994.
- The emerging system of systems, Naval institute proceedings, May 1995.
Ferrante e Margherita PIERANTONI, Combattere con le informazioni, Franco Angeli, Milano, 1998.
Umberto RAPETTO e Roberto DI NUNZIO, Cyberwar la guerra dell'informazione, Buffetti Editore, Roma, 1996.
Stefano ROLANDO, Comunicazione pubblica, Modernizzazione dello Stato, diritti del cittadino, Il SOLE – 24 Ore Libri, Milano, 1992.
R.D. STEELE, La reinvention du renseignement, L'Hermattan, Paris, 1995.
Alvin e Heidi TOFFLER, La guerra disarmata, la sopravvivenza alle soglie del terzo millennio, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1993.
SUBCOMANDANTE MARCOS, La quarta guerra mondiale è cominciata, supplemento de Il Manifesto.
SUN TZU, L'arte della guerra, tattiche e strategie nell'antica Cina, Sugarco Edizioni, Milano 1980.
Aljs VIGNUDELLI, La comunicazione pubblica, Maggioli Editori, Rimini, 1992.


(*) Le tesi esposte sono in parte tratte da una serie di interventi, riflessioni ed argomenti svolti dall'autore nel corso di Seminari e Conferenze tenuti, negli anni accademici 97/98-98/99, presso la Scuola di Addestramento del SISDe.
(**) Sun Tzu secondo la nuova dizione si scrive Sunzi.

© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA