Data alle stampe nel gennaio dell'anno scorso, l'opera della scrittrice inglese - che per la terza volta si cimenta in una pubblicazione che traccia un quadro preciso e privo di retorica sulla situazione del popolo albanese - si dimostra, grazie ad una precisa ed attenta ricerca di carattere storico, di grande ausilio per quanti abbiano voglia di approfondire le notizie che giornalmente i mass media propongono su una questione ormai e sempre più di tragica attualità, anche per l'estensione del conflitto che ha coinvolto direttamente anche le forze militari occidentali.
L'Autrice, attraverso la conoscenza diretta, acquisita mediante l'incontro sul posto delle popolazioni locali, squarcia con rara chiarezza quello che per molti risulta essere il mistero che circonda la guerra nella regione del Kosovo.
Ecco quindi che per spiegare che non si tratta di una guerra civile ma di una guerra tra due popolazioni (serba ed albanese) che la storia ha portato alla coabitazione in una stessa regione, l'opera è divisa in due grandi sezioni. La prima spazia dall'arrivo dei turchi nel 1400 sino alla fine della seconda guerra mondiale; la seconda prende le mosse dalla nascita della Repubblica socialista yugoslava (all'interno della quale il Kosovo fu incluso quale regione amministrativa della Serbia) per giungere ai nostri giorni, passando per la disgregazione della ex Yugoslavia che ha coinciso con l'implosione del 1991 del comunismo albanese.
Guerra di nazionalismi, quindi, ma di nazionalismi importati, tanto che secondo la Vickers le tensioni che si agitano nel Kosovo nascono per lo più altrove; ed infatti agli scolari, a seconda dell'etnia, si insegna che prima dell'arrivo dei serbi (tra il 500 ed il 600) la regione era disabitata, ovvero e in senso contrario, che gli albanesi, quali discendenti diretti degli antichi Illiri, risiedevano sul territorio ben prima dell'apparizione degli slavi. Tutti però, indistintamente, traggono orgoglio dalla circostanza che l'ultima grande battaglia contro il conquistatore ottomano sia stata combattuta in queste valli nel 1389.
La conquista turca contribuisce poi a dividere ancora di più i due popoli, poiché gli albanesi abbracciano la fede islamica e ciò, in un territorio ove tale etnia rappresenta il 90% della popolazione, rappresenta un ulteriore, forte elemento di divisione, anche perché i panorami kosovari con le loro chiese e monasteri ortodossi rappresentano la testimonianza di uno stato medievale serbo.
La disgregazione seguita al collasso dell'impero ottomano non porta però l'indipendenza degli albanesi del Kosovo che, viceversa, vengono forzatamente inseriti nel neonato Regno di Serbia, Croazia e Slovenia dove, almeno sino al 1941, subiranno di fatto una dominazione colonialistica serba; sarà, paradossalmente, la seconda guerra mondiale e la conseguente occupazione italiana della regione a fornire ai kosovari di etnia albanese, grazie ad un rapporto di collaborazione con le forze d'occupazione italiane e tedesche, la possibilità di sottomettere i kosovari di etnia serba. Naturalmente la fine del conflitto significa, di fatto ed almeno sino alla metà degli anni ‘60, la piena e totale sottomissione ai serbi, tanto che anche la presenza albanese nel partito comunista della regione del Kosovo può considerarsi pressoché nulla; intorno agli anni ‘70, però, si forma una classe media ed una, pur ristretta, élite di etnia albanese che ottiene il riconoscimento di diritti per l'intera etnia. La lenta agonia del regime comunista nella ex Yugoslavia e il definitivo crollo del 1991, saranno perciò gli inneschi dell'attuale, deflagrante situazione: è difficile infatti ravvisare una terza via tra il ristabilimento del dominio serbo, ovvero la nascita di una repubblica indipendente del Kosovo.
Conclude quindi l'Autrice, che opportunamente fa cenno anche alla ricchezze minerarie di cui dispone la regione geograficamente divisa in due realtà separate, che le motivazioni di carattere storico rappresentano solo un pretesto per le tensioni etniche. Ciò che infatti va colto nella sua reale importanza è la posizione geograficamente strategica della regione che impedisce che i serbi possano accettare la nascita di uno Stato indipendente del Kosovo ovvero garantire alla regione una reale autonomia. Le montagne del Kosovo rappresentano infatti per la Serbia l'unica difesa naturale dall'Albania, tradizionale alleata militare della Turchia, paese storicamente nemico della Serbia.
Un libro assai interessante e soprattutto attuale la cui lettura può quindi risultare di grande utilità per chi, non particolarmente informato, senta l'esigenza di comprendere meglio quanto si agita nella travagliata regione.
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