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Per Aspera Ad Veritatem n.13
Camera dei Deputati - XIII LEGISLATURA

Relazione sulla politica informativa e della sicurezza (secondo semestre 1998) presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Massimo D'Alema





L'analisi dei principali fattori che connotano, sotto il profilo intelligence, i quadri di situazione interna ed estera configura una serie, diversificata ma sempre più interconnessa, di concreti rischi per la sicurezza.
Il fenomeno criminale nel suo complesso, a prescindere dal livello organizzativo e dal campo d'azione dei vari sodalizi, lede l'ordinato sviluppo della vita del Paese, evidenziando il potenziale eversivo delle aggregazioni di stampo mafioso, che pongono in essere strategie di inquinamento delle strutture pubbliche e tentativi di penetrazione nell'economia legale e nei processi produttivi.
L'introduzione dell'euro ed il consolidamento della globalizzazione dei mercati vengono raccolti dalla criminalità organizzata come occasioni di espansione ed opportunità di riciclaggio.
Ulteriori rischi sono connessi alle prospettive di crescita dell'immigrazione clandestina, con nuovi forti esodi causati dalle crisi in atto nella regione del Mediterraneo allargato e nelle aree a ridosso.
Il fenomeno è suscettibile di aumentare l'incidenza delle presenze straniere nei circuiti della microcriminalità e di favorire la diffusione delle istanze di matrice integralista islamica, nonché le strumentalizzazioni da parte delle frange più radicali del separatismo e dell'antagonismo politico.
Nell'ambito di quest'ultimo settore, sempre determinato ad attuare forme di forte contestazione nei confronti delle Istituzioni, la componente anarco- insurrezionalista si pone alla maggiore attenzione per progettualità ed iniziative di evidente matrice eversiva, mentre gli ambienti della destra extraparlamentare appaiono impegnati a rilanciare l'attività di propaganda anche allo scopo di allargare l'area del consenso.
Per quanto concerne i riflessi derivanti dall'evolversi dello scenario internazionale, il prevalere della logica della forza e la propensione allo scontro armato nella soluzione delle controversie - con particolare riferimento ai Balcani, al Medio Oriente ed al continente africano - delineano una situazione di estesa instabilità che finisce con il costituire anche l"'humus" della minaccia terroristica di matrice islamica ed etnico-nazionalista.
La cronicizzazione dei conflitti, con le conseguenti difficoltà incontrate dagli Organismi internazionali nel contenere il progressivo ampliamento delle aree di crisi, sta creando, inoltre, terreno propizio alla ripresa dello spionaggio militare ed economico-industriale, nonché allo sviluppo delle attività di acquisizione di armi di distruzione di massa.
Quanto sopra traccia uno scenario composito dove sfuma la stessa distinzione tra dinamiche interne ed esterne in ragione della loro interdipendenza ed emergono tematiche che, pur non possedendo una connotazione eversiva originaria, sono suscettibili di mutuare da altri contesti moduli operativi che ne determinano uno slittamento di valenza destabilizzante.
Ne consegue un'estensione dei confini delle aree di rilievo intelligence, cui si affianca un'accentuata interazione tra fattori di minaccia anche di portata diversa che eleva l'impatto di taluni fenomeni minori i quali, anche in ragione di tale commistione, vengono percepiti dal contesto sociale con particolare allarme che può prestarsi ad inserimenti strumentali.
Tutto ciò postula un peculiare impegno che privilegi, al tempo stesso, l'attività di acquisizione informativa e di analisi valutativa, intese quali profili avanzati di contrasto, consentendo una lettura delle linee di tendenza dei principali processi in atto, mirata a coglierne gli aspetti, anche inediti, di rischio.




a. Sinistra extraparlamentare
Il complesso delle iniziative intraprese dall'area oltranzista ha evidenziato una rinnovata determinazione a creare un contesto più favorevole all'impegno militante attraverso la strumentalizzazione delle tematiche di maggior presa.
Su questa linea, la contestazione ha mirato ad inasprire lo scontro sociale, alimentando focolai di tensione su un'ampia serie di problematiche e cercando, tra l'altro, di far leva sul malessere di talune fasce del mondo giovanile, la cui protesta si esprime sovente in una pluralità di forme ribellistiche dalle forti implicazioni simboliche. Al tentativo di esasperare i toni non è corrisposta, peraltro, l'adesione unanime dell'area antagonista, poiché in vari settori prevalgono atteggiamenti favorevoli al dialogo.
I rischi più concreti per la sicurezza continuano a provenire dalla componente anarco- insurrezionalista, che mostra di adottare una diversificazione degli obiettivi e di privilegiare il ricorso ad azioni, talora eclatanti, che, anche se non riconducibili ad un progetto strategico ben delineato, mantengono un'accentuata pericolosità in ragione del loro spessore eversivo e della loro imprevedibilità.
Emblematica, fra l'altro, la "campagna estiva" dei pacchi bomba che disegna un ventaglio composito di bersagli, richiamando passate stagioni in cui i nemici del movimento rivoluzionario venivano identificati con ogni espressione istituzionale della società civile e democratica.
E' oggetto di attenta verifica una serie di acquisizioni relative a progettualità terroristiche di quegli ambienti, specie del Nord, in risposta ad un'asserita attività persecutoria dello Stato. A questo proposito, le scadenze processuali a carico degli esponenti dell'area, così come ogni circostanza ritenuta in grado di amplificare gli effetti di gesti violenti, costituiscono possibile pretesto di attivazione.
In una fase di fervore propagandistico finalizzato alla contestazione del Giubileo, sono state programmate iniziative che potrebbero tradursi anche in attività di sabotaggio ovvero in azioni di disturbo nei confronti di strutture ricettive ecclesiastiche o di obiettivi-simbolo della religione cattolica.
Le segnalate convergenze con omologhi ambienti esteri hanno trovato ulteriore conferma nella reiterazione di attentati in Grecia contro interessi del nostro Paese, rivendicati da gruppuscoli anarchici locali in segno di solidarietà con militanti italiani.
In alcune regioni del Nord sono ricomparsi documenti e sigle, riconducibili a gruppi clandestini di matrice neobrigatista, indicativi di simmetrie concettuali nei propositi di rilancio della lotta armata; questi ultimi, per quanto velleitari, sono suscettibili di fare breccia in quei segmenti oltranzisti, specie dell'anarchismo, inclini a tradurre concretamente pulsioni ribellistiche. Il tenore di taluni volantini induce a valutare con attenzione l'eventualità di azioni dimostrative ed intimidatorie, non solo nei confronti della NATO e delle aziende del comparto difesa, ma anche contro emblemi ed esponenti dello Stato e del mondo politico - con particolare riguardo all'arco delle forze di Governo - economico e sindacale.
Nel contempo, è stata registrata un'assidua propaganda da parte di organizzazioni ispirate a modelli ideologici di stampo brigatista, che tentano di inasprire le conflittualità connesse alla crisi occupazionale avvalendosi, specie nel Mezzogiorno, del favorevole terreno di coltura costituito dal quadro di precarietà sociale. E' prevedibile, per il prossimo futuro, che da tale "humus" possano svilupparsi nuove iniziative tese ad alimentare la tensione ed a provocare degenerazioni violente delle manifestazioni di piazza.
Le formazioni animaliste radicali, presenti soprattutto nel Centro Nord, hanno ampliato i tradizionali ambiti della contestazione - includendovi, tra l'altro, l'utilizzo di biotecnologie in campo alimentare - anche attraverso episodi eclatanti, cui potrebbero seguire ulteriori azioni volte a creare allarme indiscriminato ed atti emulativi ad opera di settori anarchici oltranzisti intenzionati a dare visibilità alle più varie tematiche ambientaliste. Principali obiettivi potrebbero essere le multinazionali operanti nei comparti alimentare, petrolifero, tessile e della cosmetica, già oggetto di attacchi della pubblicistica d'area e, all'estero, di contestazione violenta.
Anche le varie componenti della cd. autonomia hanno continuato a ritenere centrale l'inserimento strumentale in problematiche in grado di catalizzare l'interesse, soprattutto dei giovani, quali la riforma della scuola e la questione occupazionale.
Molteplici acquisizioni hanno evidenziato il tentativo del settore di saldare le rivendicazioni del precariato e dei disoccupati con quelle degli immigrati, nell'ambito di una strategia che trova nell'opposizione all'Unione Europea il proprio punto di forza.
Ulteriori profili di rischio si rinvengono nella possibilità che formazioni antagoniste fortemente ideologizzate indirizzino verso derive eversive la contestazione di gruppi spontaneisti e che frange violente si attivino in talune mobilitazioni programmate all'estero a breve e medio termine, anche in concomitanza con importanti vertici in materia economico-occupazionale.
Spunti di rilievo per gesti dimostrativi potrebbero derivare, inoltre, dalla contestazione all'asserito interventismo dei Paesi e degli Organismi internazionali impegnati nel teatro balcanico ed in quello mediorientale, nonché dall'adesione alle istanze di movimenti rivoluzionari o di opposizione armata esteri.

b. Destra extraparlamentare
Specifica attenzione informativa è stata rivolta all'area dell'estrema destra, in ragione dell'inalterato carattere di insidiosità, dato principalmente dai contatti con ambienti criminali e dai collegamenti con il radicalismo islamico.
Lo sforzo organizzativo volto a rilanciare l'azione dell'intero settore e ad ampliarne la base di consenso vede una costante concertazione tra latitanti all'estero - cui è da ricondurre una rete di rapporti politico-commerciali in continua espansione - e militanti italiani.
In tale contesto, si vanno sviluppando "campagne" di propaganda attraverso le quali l'ultradestra, facendo leva sulle posizioni improntate a fanatismo tradizionalista, tenta la strumentalizzazione di situazioni di disagio economico e sociale ovvero di tematiche di attualità.
Si sono evidenziate, specie nel Centro Nord, vecchie e nuove aggregazioni, anche di matrice neonazista, ancora caratterizzate da uno spiccato "spontaneismo" che si sostanzia essenzialmente nella ricerca dello scontro fisico.
Resta in primo piano, poi, la propensione delle frange skinhead a sfruttare manifestazioni collettive, quali quelle sportive, per porre in essere atti di violenza indiscriminata.
In simmetria con i movimenti di opposto segno politico, rimane costante il proposito di alimentare tensioni nel mondo giovanile, soprattutto con riferimento alla questione studentesca ed occupazionale, ed è in atto un'intensa mobilitazione in chiave antieuropea.
Per altro verso, secondo schemi ideologici propri del settore, prosegue l'accesa critica nei confronti della politica governativa in materia di immigrazione, ove è elevato il rischio che le problematiche legate a tale fenomeno, particolarmente avvertite in numerosi contesti urbani, forniscano il pretesto ai gruppi più esaltati per fomentare sentimenti di ostilità nei confronti degli extracomunitari e per il compimento di gesti di intolleranza.
Molteplici risultanze informative hanno confermato l'orientamento strategico ad acquisire una dimensione internazionale, evidenziando il rafforzamento dei rapporti, non solo politici ma anche finanziari, con organizzazioni dell'estrema destra continentale per concordare iniziative comuni.
E' sempre sostenuto l'attivismo degli estremisti convertiti alla religione musulmana che ne hanno abbracciato le istanze più radicali in chiave antioccidentale e di cui sono accertati i collegamenti, anche all'estero, con fazioni integraliste. Al riguardo, si fa più concreta l'ipotesi di iniziative controindicate per la sicurezza, in un momento caratterizzato dal fermento degli ambienti islamisti interessati a radicalizzare il confronto con l'Occidente, specie in funzione antistatunitense ed antisraeliana.

c. Degenerazioni del fenomeno secessionista
Segnali di rischio di slittamenti eversivi del secessionismo più radicale si rinvengono in una propaganda che continua a diffondere, seppure con minore intensità rispetto al passato, sentimenti di ostilità nei confronti delle Istituzioni, utilizzando tematiche di facile presa, al fine di alimentare l'intolleranza e l'esasperazione.
Una particolare insidia è costituita dal carattere intimidatorio di alcune azioni di basso profilo che hanno avuto ancora come obiettivi privilegiati la Magistratura ed altre espressioni dello Stato. Ciò in ragione della possibilità che il loro ripetersi induca gli elementi più facinorosi in talune aree a gesti eclatanti, specie in concomitanza con eventi ritenuti in grado di conferire ad essi particolare portata.


a. Sodalizi endogeni
Il crimine organizzato resta fattore primario di inquinamento del tessuto sociale e delle attività produttive, nonché di taluni segmenti dell'amministrazione periferica e locale, palesando caratteri di accresciuta ferocia in contesti di degrado che ne favoriscono, in alcune zone a rischio, lo sviluppo quale contropotere di natura eversiva. I tentativi di aggressione all'economia legale continuano a sostanziarsi nelle tradizionali attività illecite dell'usura e delle estorsioni e nel riciclaggio, quest'ultimo verosimilmente avviato a trarre nuove opportunità dall'introduzione della moneta unica.
Se da un lato persiste l'attenzione criminale nei confronti delle grandi opere pubbliche, legate soprattutto al Giubileo ed al progetto dell'Alta Velocità, gruppi delinquenziali vanno mostrando altresì crescente interesse verso particolari settori in grado di offrire profitti molto elevati a fronte di rischi ridotti, come lo smaltimento illegale di rifiuti, il mercato della contraffazione, le scommesse clandestine ed il traffico di opere d'arte e reperti archeologici.
La criminalità organizzata, nonostante l'incisiva azione di contrasto che la costringe a continue ridefinizioni degli equilibri e delle dinamiche di potere interni, oltre a mantenere un saldo radicamento nelle zone di origine, accentua le proprie proiezioni in altre aree del Paese ed all'estero; a questo proposito, risultano particolarmente insidiosi i collegamenti con l'Est europeo, specie per quanto concerne i traffici di armi e di esplosivi.
Aspetto caratterizzante del fenomeno delinquenziale è dato dal fatto che, pur a fronte di numerosi arresti, i circuiti della illegalità rimangono alimentati da una costante domanda (droga, prostituzione, scommesse clandestine, contrabbando).
Il persistere di siffatto sistema e la portata degli interessi in gioco sono destinati a conservare elevata la minaccia in termini di violenta contrapposizione al potere statuale e di iniziative intimidatorie nei confronti di obiettivi-simbolo delle Istituzioni.
Ad articolare il quadro, interviene l'associarsi al grande crimine, specie nelle aree urbane, delle attività della microcriminalità - soprattutto ad opera di bande minori - talora incidenti sui medesimi settori della società e destinati ad innalzare in maniera esponenziale il livello di allarme. A dividersi il campo sono delinquenti autoctoni ed immigrati irregolari, più difficilmente controllabili per la loro rilevante mobilità.
Segnata da particolare aggressività è la situazione della Campania, ove alla progressiva frammentazione dei clan "storici", dovuta ai numerosi fatti di sangue ed ai notevoli risultati ottenuti dalle Forze di polizia e dalla Magistratura, è seguita la proliferazione di nuove compagini di vario spessore, che fanno ricorso a strategie di forte intimidazione, secondo modalità di tipo terroristico e logiche di alleanza flessibili legate ad interessi contingenti.
Negli ultimi anni, la mancanza di personaggi di "carisma" ha generato un aumento della conflittualità tra gli affiliati alle varie consorterie, determinando una sorta di "anarchia criminale". La rottura dei vecchi equilibri ha provocato sconfinamenti territoriali e faide, a fronte dei quali è sorta l'esigenza, per i sodalizi coinvolti, di rafforzarsi collegandosi con altri gruppi criminali.
Mentre nel Casertano e nel Salernitano non si registrano significativi mutamenti nell'assetto dei vertici, a Napoli si va profilando il tentativo di assumere l'egemonia da parte di un singolo aggregato criminale, punto di riferimento per le principali attività illegali. I clamorosi episodi verificatisi nell'autunno rientrano, verosimilmente, nella logica di consolidamento del predominio di quel sodalizio e sono indicativi di un'evoluzione nelle tecniche operative, finalizzata a ribadire la capacità di colpire i clan rivali.
L'influenza sul territorio e l'assunzione di un ruolo centrale nell'ambito sociale vengono perseguite dalla camorra anche attraverso tentativi di infiltrare il fronte dei disoccupati.
Siffatto contesto postula una stretta vigilanza sulla realizzazione di importanti opere pubbliche e di altre iniziative di rilancio economico affinché esse, nel Capoluogo come nell'intera regione, non costituiscano oggetto di indebita cooptazione.
I fatti delittuosi, specie intimidatori, avvenuti in Sicilia, contro diversificati obiettivi, anche istituzionali, testimoniano l'intendimento delle cosche di contrastare la riaffermazione della legalità ed il processo di rinnovamento nella gestione della cosa pubblica. In questo senso, esse continuano a rivolgere prioritaria attenzione agli appalti, voce essenziale dell'economia mafiosa, mirando, a tal fine, a sviluppare rapporti collusivi.
La nuova visibilità di quella criminalità potrebbe, da un lato, essere funzionale alla difesa dei più immediati interessi economici messi in pericolo dall'opera di contrasto, dall'altro, costituire l'indice di una graduale riemersione di "cosa nostra", che è da ritenere sempre capace di azioni eclatanti, soprattutto in risposta all'attività investigativa e giudiziaria.
La mafia palermitana mantiene una posizione di guida nei confronti dell'intera organizzazione nonostante i vuoti di potere prodottisi, che potrebbero indurre soggetti di secondo piano a tentativi di scalata al vertice, provocando una nuova guerra per il controllo del sodalizio corleonese.
Parallelamente, mentre nell'Agrigentino resta immutata la capacità offensiva dei vari clan, vanno assumendo rilievo crescente quelli trapanesi, da tempo alleati dei corleonesi.
Nelle province di Catania e Ragusa la situazione è contrassegnata da lotte cruente, correlate all'emergere di nuovi gruppi od a contrasti in seno ai principali clan.
Nel Nisseno, e in particolare a Gela, ove è attiva la "stidda", si è assistito ad una progressiva intensificazione della pressione criminale, volta ad inquinare le iniziative imprenditoriali collegate ai progetti di rilancio dell'economia.
In Calabria, la 'ndrangheta continua a far ricorso a metodi di peculiare insidiosità, perseguendo una sorta di "legittimazione" del proprio potere, in un contesto di diffusa intimidazione e di difficile permeabilità che ha fatto registrare la ripresa delle faide tra le principali famiglie.
Quale area a maggiore densità mafiosa si conferma il Reggino, caratterizzato al momento da una sostanziale stabilità delle strutture criminali, mentre fermenti si colgono nella provincia di Vibo Valentia, in ragione dell'interesse di quei sodalizi alla contaminazione del nuovo contesto politico-amministrativo.
Del pari, le prospettive di accaparramento degli investimenti destinati al rilancio dell'attività produttiva vanno inasprendo lo scontro tra gruppi nel Crotonese e potrebbero rappresentare l'occasione per un consolidamento della presenza mafiosa nelle province di Catanzaro e Cosenza, dove il fenomeno si è sinora mantenuto su livelli minori.
Le consorterie calabresi sembrano destinate ad acquisire, nel medio termine, un'influenza ancora maggiore sul panorama criminale, attese le notevoli capacità espansive anche all'estero - grazie agli ingenti capitali derivanti dal traffico della droga - e l'ampia disponibilità di armi.
La scena pugliese appare connotata dall'assenza di una leadership, dal conseguente incremento delle guerre tra bande, composte sempre più da giovanissimi, e dalla propensione a ramificarsi in altre regioni e ad interagire con la criminalità dei Paesi dell'ex Jugoslavia e dell'Albania.
Gli omicidi di appartenenti a clan rivali avvenuti nel Capoluogo regionale testimoniano il permanere di uno stato di "belligeranza" tra vecchie e nuove famiglie, a fronte del quale i sodalizi tradizionali starebbero stringendo inedite alleanze anche con gruppi avversi, intensificando i rapporti con la delinquenza salentina e la camorra.
Scontri fra clan si sono verificati pure nel Foggiano e nel Brindisino, provincia, quest'ultima, caratterizzata dalla contrapposizione fra i capi "storici" della Sacra Corona Unita ed i loro ex "luogotenenti".
Il contrabbando, vero e proprio volano dell'economia illecita, gestito con logiche di tipo "imprenditoriale" nella fase organizzativa e con piglio "militare" nei confronti delle Forze dell'ordine, viene utilizzato quale supporto per più rimunerativi traffici, specie di stupefacenti ed armi.
Di natura diversa è la situazione in Sardegna, ove la serie di omicidi, attentati ed atti intimidatori compiuti ai danni di rappresentanti pubblici, soprattutto nel Nuorese, appare riconducibile in genere all'ostilità di alcuni soggetti verso l'attività amministrativa locale, che si traduce in reazioni individualistiche di tipo vendicativo, secondo una prassi di risoluzione dei conflitti tipica della realtà barbaricina.

b. Gruppi stranieri
La dimensione transnazionale che contribuisce ad attribuire caratura eversiva alla criminalità organizzata italiana qualifica altresì talune realtà delinquenziali straniere ed assume peculiare rilevanza prospettica in connessione con il processo di globalizzazione destinato ad ampliarne gli ambiti di espansione.
Ruolo primario riveste, al riguardo, la cd. "mafia russa", le cui proiezioni operative interessano direttamente anche il nostro Paese.
Le varie mafie etniche dell'ex URSS hanno registrato una crescita esponenziale in correlazione con l'instabilità economico-politica dei luoghi di origine, ove, forti di un'organizzazione che si sostanzia in un vero e proprio sistema illegale, gestendo lo sfruttamento di materie prime ed interi segmenti finanziari, bancari e produttivi, hanno raggiunto livelli di marcata aggressività.
All'estero, si muovono essenzialmente con i tratti e le metodologie delle grandi holding affaristico-finanziarie, nella prospettiva del sistematico reinvestimento, in settori legali, dei proventi delle attività illecite. Così, anche in Italia esse si confermano impegnate in una graduale quanto costante infiltrazione nel tessuto economico, mediante reti societarie ed operazioni immobiliari e commerciali, specie nel Centro Nord ed in Sardegna.
Se la valenza di minaccia derivante dall'internazionalità del grande crimine risiede nel pervasivo inquinamento dei circuiti economici legali, andando ad incidere su un livello di sicurezza vitale ma di non immediata percettibilità, a vulnerare direttamente l'ordine pubblico intervengono le attività delittuose di bande straniere ormai saldamente radicate sul territorio nazionale.
In questo senso il nostro Paese è diventato terreno d'impianto per una molteplicità di forme malavitose, tutte assimilabili alle "nostre" mafie per taluni aspetti peculiari - quali la forte coesione interna, l'impenetrabilità e l'uso dell'intimidazione - e tuttavia connotate dai moduli organizzativi ed affiliativi più disparati. Tale eterogeneità è di per sé potenzialmente prodromica allo sviluppo di situazioni di conflitto, specie per la progressiva conquista di consistenti fette del mercato criminale che potenziano l'impatto e la dimensione qualitativa dei vari gruppi, determinandone una crescente concorrenzialità anche con le più strutturate associazioni endogene.
Ciò vale specie per i clan albanesi, il cui accresciuto potere d'influenza potrebbe portare, soprattutto nel Mezzogiorno, talora a più consolidate forme di collaborazione con i sodalizi italiani, talaltra a contrasti con le consorterie locali per il controllo del territorio o di settori di attività. Intanto, in varie realtà del Centro Nord essi già egemonizzano lo sfruttamento della prostituzione e diversificati ambiti microcriminali, oltre a gestire una gran parte degli ingenti e rimunerativi commerci di armi e stupefacenti dall'area balcanica, sovente associati al traffico di clandestini, secondo una strategia che sfrutta le difficoltà di contrastare un fenomeno dall'alta caratterizzazione umanitaria.
Del pari si registra lo sviluppo delle capacità organizzative dei gruppi nigeriani, permeati da forti vincoli etnico-tribali, che, soprattutto sul litorale campano, stanno cercando di riciclare i proventi del lenocinio e dello spaccio di droga in attività lecite del settore commerciale.
La criminalità cinese, infine, sempre più coinvolta nello sfruttamento della manodopera clandestina, sembra allargare il proprio raggio d'azione al di fuori delle originarie zone di insediamento del Nord Est, della Toscana e della Campania ed ai settori del gioco d'azzardo e del narcotraffico. La pericolosità delle organizzazioni asiatiche, oltre che dalla estrema compartimentazione, è testimoniata dai ricorrenti tentativi di infiltrare associazioni di tutela delle proprie comunità per strumentalizzarne l'azione.
I gruppi sopra indicati, al di là delle differenze che attengono alle connotazioni organizzative ovvero ai profili funzionali, appaiono accomunati dal passaggio da una fase di primo insediamento ad una successiva, di più articolata strutturazione.
Tale processo, destinato ad acutizzare sia i conflitti interni, legati alla conquista della leadership, sia il confronto tra sodalizi per l'occupazione di settori illeciti, può essere costellato da episodi estremamente cruenti che, seppur privi di specifica valenza destabilizzante, presentano gravi ed immediate ricadute sul piano della visibilità e dell'allarme sociale.

c. Strategia di contrasto - azione dei Servizi
Nelle aree del Paese in cui maggiormente viene avvertita l'influenza della criminalità organizzata, il Governo ha proseguito nell'impegno di lotta alle strutture delinquenziali, indirizzando la propria azione verso l'affermazione della legalità, il ripristino delle condizioni di sicurezza ed il miglioramento dei servizi pubblici: obiettivi, questi, imprescindibili nei processi di crescita economica e civile.
La dimensione transnazionale, ormai conclamata, del crimine conferma la validità dell'orientamento, di cui il nostro Paese è da tempo assertore, volto a realizzare un'armonizzazione delle normative nazionali di contrasto e ad intensificare la lotta al riciclaggio, in primo luogo attraverso la ridefinizione del segreto bancario e l'abolizione dei "paradisi finanziari". Appare, infatti, chiaro che un'efficace opera sia di tipo preventivo che repressivo nei riguardi del fenomeno ha un senso soltanto se è espressione di una concertata collaborazione internazionale ed ha tante più possibilità di successo in ragione del numero degli Stati cooperanti sul piano operativo e dell'assistenza giudiziaria.
Il SISDe, oltre ad analizzare gli aspetti evolutivi delle principali organizzazioni ed i loro prioritari campi d'azione, ha trasmesso agli Enti istituzionali 181 segnalazioni che hanno consentito l'arresto di 227 persone, delle quali 104 per associazione a delinquere di stampo mafioso e 85 per droga, nonché la cattura di 11 latitanti. L'apporto informativo del Servizio ha reso altresì possibile significativi sequestri di droga, armi ed esplosivo, valori nazionali ed esteri anche falsificati.
L'azione informativa del SISMi di contrasto alla criminalità organizzata transnazionale è stata indirizzata verso la ricerca e l'analisi di dati concernenti le più diverse attività illecite.
In particolare, le risorse disponibili sono state utilizzate per l'acquisizione e l'approfondimento di informazioni, riversate agli Organi investigativi, nei settori del traffico di armi e droga in direzione dell'Italia, teso anche a finanziare movimenti terroristici o indipendentisti balcanici; del contrabbando di tabacchi lavorati esteri e di oli minerali; della localizzazione all'estero di esponenti di spicco di organizzazioni criminali italiane; del traffico di clandestini e dell'utilizzo di "paradisi finanziari" per il riciclaggio e l'esportazione clandestina di valuta.


La natura evolutiva del concetto di sicurezza economica nazionale e dei correlati profili di intelligence trova momento qualificante negli scenari connessi all'integrazione monetaria celebrata con l'adozione dell'euro. La nuova cornice costituita dalla maggiore libertà degli scambi, dallo sviluppo dei flussi finanziari e dal capillare uso delle tecnologie informatiche e telematiche, pone problemi originali, quali la preservazione dei tratti specifici delle organizzazioni interne agli Stati, a fronte del rapportarsi di questi ultimi secondo innovati modelli istituzionali.
La ricerca di più efficaci meccanismi decisionali si accompagna, infatti, alla prospettiva di una nuova frontiera del diritto pattizio che, sotto la spinta dell'interdipendenza dei mercati, struttura le relazioni tra i Paesi nel segno della armonizzazione degli ordinamenti giuridici e del trasferimento ad Istituzioni internazionali di funzioni e responsabilità.
Dal punto di vista della politica della sicurezza, ciò ha sollecitato l'adeguamento dell'intelligence. Il rinnovamento e la rimodulazione dello specifico settore sono stati, peraltro, agevolati dalle esperienze già maturate - a seguito di una mirata iniziativa nell'ambito di un gruppo di lavoro permanente allargato ai Dicasteri ed agli Enti con compiti di vigilanza e controllo in campo economico-finanziario, che mira ad esaltare la collaborazione e le sinergie delle diverse conoscenze e professionalità, in funzione di analisi e valutazione dei fattori di rischio per il Paese.
Quanto ai settori della ricerca, i Servizi hanno continuato a sviluppare la propria attività in direzione delle infiltrazioni criminali nel tessuto economico-finanziario, delle manovre di penetrazione da parte di Paesi controindicati, delle possibili lesioni del patrimonio nazionale industriale, scientifico e tecnologico di rilievo strategico.
Con riguardo all'inserimento criminale nell'economia legale, rilevanza prioritaria riveste il riciclaggio dei capitali di illecita provenienza che, nel fungere da moltiplicatore di quei patrimoni, amplifica, di conseguenza, il potere destabilizzante della delinquenza di tipo mafioso ed è in grado di determinare gravi turbative per l'ordine economico. Verosimilmente, la criminalità organizzata non mancherà di strumentalizzare le dinamiche di liberalizzazione connesse al varo della moneta unica, trovando, con l'avvio della terza fase dell'Unione economica e monetaria, ulteriori margini di espansione nei ridotti costi di transazione, nella maggiore integrazione nelle attività degli intermediari e nell'ancora incompiuta armonizzazione, su piazza continentale, delle metodologie di vigilanza dei circuiti finanziari.
Effetti accelerativi sul fenomeno potranno inoltre derivare, a livello mondiale, dalla debolezza strutturale del sistema di monitoraggio derivante dall'accresciuto volume dei flussi.
Sul versante della tutela del patrimonio economico, industriale, scientifico e finanziario nazionale di rilevanza strategica, accanto all'individuazione delle possibili manovre di penetrazione riconducibili a Paesi ritenuti "a rischio" ed aventi finalità destabilizzanti, è stata avviata una capillare disamina degli Enti, Istituti e Centri di ricerca italiani potenziali obiettivi di aggressione, al fine di predisporre un piano per la tutela del settore da illecite ingerenze; prosegue la consueta collaborazione nel Comitato Difesa-Industria.
Con riguardo all'industria dell'alta tecnologia, è stata sviluppata una approfondita azione di intelligence - relativamente all'affidamento di una commessa, bandita da Paese estero - per la verifica di eventuali condotte sleali volte a pregiudicare l'utile partecipazione italiana.
Ha, altresì, suscitato interesse l'area balcanica, quale singolare teatro di confluenza di articolati fattori di rischio, individuabili nell'espansione criminale, nell'insediamento di centri di poteri illeciti e nella concentrazione delle rotte dei traffici illegali, sul cui radicamento, in qualche caso, non hanno mancato di influire inefficaci politiche di liberalizzazione, privatizzazione e deregolamentazione.
Con riferimento alle problematiche legate all'economia interna, è costante l'osservazione di alcuni fronti da cui possono scaturire rischi per la stabilità e la sicurezza, identificabili nella protratta precarietà occupazionale, generatrice di forti tensioni specie nel Mezzogiorno, e nei tentativi di strumentalizzazione del malcontento ad opera dell'antagonismo e della criminalità organizzata di tipo mafioso.
E' stato inoltre seguito l'evolversi di situazioni di tensione connesse a prospettive di crisi di comparti produttivi, in grado di provocare, specie nel settore agricolo, manifestazioni di protesta, talvolta eclatanti, in relazione al permanere di difficoltà legate alla crescente globalizzazione ed alle posizioni assunte in sede comunitaria.
Nel campo del controspionaggio, sono state acquisite evidenze informative sulla propensione di alcuni organismi stranieri a sviluppare la raccolta di informazioni nel settore economico-tecnologico mediante attività commerciali di copertura ed utilizzando, all'occorrenza, i canali della diplomazia ufficiale, nel cui ambito vengono sempre più frequentemente accreditati personaggi noti per pregressa esperienza di intelligence.


a. Ecosistema
Un concetto evolutivo dell'attività di intelligence porta ad ampliare la sfera di attivazione, ricomprendendovi la tutela dell'ambiente, della salute e dell'incolumità pubbliche, oggetto di aggressione da parte di soggetti ed organizzazioni illecitamente operanti nell'ambito della produzione e dello smaltimento delle sostanze nocive.
Sotto il profilo del "modus operandi", sono emersi, quali elementi caratterizzanti, il ricorso alla pratica dell'interramento dei residui, mediante utilizzo di cave dismesse o appezzamenti di terreni agricoli offerti da privati compiacenti, ed il progressivo consolidarsi dei flussi che vedono il trasferimento di scorie ad elevata tossicità dalle aree di produzione verso zone del Mezzogiorno, ove l'azione di contrasto è resa difficoltosa dal forte radicamento delinquenziale.
Crescente è il coinvolgimento della criminalità organizzata, anche in ragione della capacità deterrente relativamente blanda della disciplina sanzionatoria in rapporto ai cospicui profitti conseguibili con la gestione dei traffici di rifiuti tossici e radioattivi.

b. Reti telematiche
Notevole potenzialità destabilizzante possiede l"'eversione informatica", che sfrutta la diffusione capillare della tecnologia come fattore di generazione e veicolo di propagazione della minaccia.
Nel fenomeno converge anche l'attività di soggetti ed aree già di per sé rilevanti per la sicurezza, come l'antagonismo ideologico e la criminalità organizzata.
Le formazioni radicali dell'ultrasinistra ed anarchiche si sono evidenziate per un sostenuto uso dello strumento informatico a fini propagandistici e per l'utilizzo di schermature tese a rendere i propri sistemi impenetrabili ad eventuali controlli da parte delle Forze di polizia.
Il mezzo telematico viene impiegato, oltre che per la realizzazione di reati tradizionali come le truffe, per attività illecite conformate dalla specificità del settore, quali l"'hackeraggio" ai danni di banche-dati protette e l'elaborazione e diffusione di virus informatici. Esso inoltre costituisce ambito di nuova espansione per le operazioni di riciclaggio e per i reati in danno di minori.

c. Sette e centri occulti di potere
Il fenomeno della proliferazione dei culti alternativi viene seguito per i profili di minaccia connessi agli illeciti arricchimenti ed all'eventualità di condizionamento a fini controindicati degli affiliati, alla quale conferiscono peculiare spessore i toni apocalittici della propaganda imperniata sulla fine del millennio.
La problematica riveste inoltre carattere di specifica attualità per il nostro Paese in vista delle celebrazioni del Giubileo, il cui valore simbolico potrebbe costituire fattore determinante per l'attuazione di iniziative eclatanti.
Ulteriori ambiti di attenzione riguardano, poi, la diffusione di sette di importazione tra gli immigrati, le contiguità tra i gruppi satanisti ed il circuito della pedofilia, nonché il possibile allignare di atteggiamenti di disobbedienza civile ispirati da nuovi culti.




Sul versante estero, l'attività informativa si muove entro uno scenario articolato da una pluralità di crisi e di focolai di tensione, il cui potenziale di minaccia - dai riflessi più diretti per l'accresciuto ruolo assunto dall'UE, e dall'Italia in particolare, nella diplomazia internazionale - si esprime eminentemente in una sfida terroristica di crescente portata ed in una forte pressione migratoria clandestina, in un quadro che interessa anche zone cui sono legate le esigenze di approvvigionamento energetico dell'Europa occidentale.
In questo senso, mirata attenzione è stata rivolta all'area balcanica, in ragione della sua contiguità ai confini nazionali che amplifica le ricadute dei processi colà in atto sulla sicurezza del nostro Paese; alle diverse realtà territoriali dell'ex Unione Sovietica, le cui vicende non hanno mancato di mostrare pericolose implicazioni a livello mondiale anche in termini di stabilità economica; alle dinamiche dello scacchiere mediorientale, sempre suscettibili di riflettersi sugli assetti geopolitici e strategici non solo della regione ed, infine, al continente africano, attraversato da varie e contraddittorie spinte politico-economiche e confessionali e segnato, in una fase di ridefinizione delle zone di influenza, dall'inasprirsi di conflitti etnici e contenziosi che rischiano di produrre nuove emergenze di carattere umanitario.

a. Area balcanica
La situazione della Repubblica Federale di Jugoslavia (RFJ) e, con essa, quella dell'intera area balcanica, restano condizionate dagli sviluppi della crisi kosovara.
La mediazione internazionale nel conflitto che oppone Belgrado ai separatisti ha trovato momento significativo nell'accordo di ottobre sul ritiro di aliquote dell'apparato serbo-federale dalla regione a maggioranza albanese. I limiti di tale risultato si rinvengono, peraltro, nell'incremento delle attività degli albano-kosovari, volto, da un lato, a riacquisire il controllo di consistenti aree del territorio e, dall'altro, a riorganizzare la propria struttura militare per potenziarne le capacità operative nella prospettiva di un'offensiva su più vasta scala da attuarsi con il miglioramento delle condizioni meteorologiche.
Ciò, in una fase in cui le trattative tra le parti sembrano pregiudicate sia dall'intransigenza di Belgrado, sia dalla determinazione dei secessionisti a perseguire l'indipendenza, respingendo qualsiasi soluzione alternativa.
L'emergenza umanitaria conseguente al protrarsi della crisi, tradottasi in consistenti flussi di profughi verso i Paesi limitrofi (specie l'Albania, il cui territorio è stato utilizzato per infiltrare armi e militanti), non appare destinata a venir meno nei tempi brevi, poiché, anche a fronte dell'eventuale contenimento delle attività belliche, il reinsediamento dei fuoriusciti è ostacolato dalle intimidazioni e dalle rappresaglie poste in essere sia dai gruppi serbi che dagli albano-kosovari.
Tale contesto è suscettibile di riflettersi ulteriormente sul nostro Paese, trasformando le partenze clandestine in un vero e proprio esodo, e presenta rischi per l'incolumità degli osservatori internazionali e degli operatori umanitari che potrebbero essere coinvolti in scontri armati o costituire obiettivo di attentati, da parte sia indipendentista, quale reazione ad un accordo che non accolga quelle rivendicazioni, che serba, per il mancato soddisfacimento delle aspettative di sicurezza.
I rapporti interni alla RFJ risentono anche dell'acuirsi dello scontro politico tra le Autorità del Montenegro e Belgrado, tradottosi, tra l'altro, nel boicottaggio dei lavori parlamentari ad opera dei deputati montenegrini che hanno attribuito ai vertici federali intenti di destabilizzazione.
Nella Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina (RSBE) continuano a registrarsi crescenti difficoltà nel processo di stabilizzazione, episodi di intolleranza interetnica e manifestazioni di insofferenza, specie nelle roccaforti ultranazionaliste, per l'attività delle Organizzazioni umanitarie finalizzata al reinserimento dei profughi.
A fronte dell'ulteriore deterioramento dei rapporti con la comunità internazionale, dovuto ad attriti sulla nomina di un esponente radicale alla guida del governo serbo-bosniaco, sono possibili ritorsioni da parte di elementi estremisti, anche a seguito dell'arresto di un alto ufficiale serbo per presunti crimini di guerra, compiuto da reparti statunitensi della Forza di Stabilizzazione (SFOR) nel settore di responsabilità del contingente italiano.
La presenza di una consistente minoranza favorevole alla causa indipendentista albano-kosovara appare destinata ad incidere sugli sviluppi futuri della FYROM, connessi all'atteggiamento che la nuova maggioranza di destra assumerà nei confronti delle misure volte a promuovere la tolleranza interetnica adottate dal precedente Governo.
In Croazia il progressivo rafforzamento delle correnti nazionaliste del partito al governo, espressione della "lobby erzegovese" - che mantiene stretti legami con i croato-bosniaci, influenzandone l'evoluzione politica nella Bosnia Erzegovina - può avere riflessi anche nei rapporti con le comunità minoritarie residenti nel Paese, inclusa quella italiana.
In Albania, la crisi verificatasi nel mese di settembre ha condotto alla formazione di un nuovo esecutivo, le cui possibilità di successo appaiono legate ai risultati che esso sarà in grado di conseguire sul fronte della lotta alla corruzione, del risanamento economico, del ripristino del controllo sul territorio e del mantenimento dell'ordine pubblico. Profili, questi, che fanno ancora registrare un bilancio fortemente deficitario.
Sull'opera del Governo gravano il rischio di reazioni dei gruppi criminali - intenzionati a salvaguardare i guadagni illeciti e le reti di complicità di cui hanno finora goduto - e gli esiti delle tensioni che si registrano sul piano politico e che hanno visto il partito di maggioranza attraversato da forti contrasti interni e l'opposizione dell'ex Presidente rifiutarsi di partecipare alle attività politiche ed istituzionali.
Persiste, pertanto, il pericolo di iniziative destabilizzanti di varia natura: dalla strumentalizzazione di manifestazioni di piazza, al compimento di attentati tesi ad alimentare un clima che giustifichi la riproposizione della richiesta di elezioni anticipate.
In tale contesto, assume rilievo l'eventualità di azioni ritorsive in danno di nostri cittadini presenti a vario titolo in quel Paese, ove si è registrata una campagna di stampa di particolare virulenza contro l'Italia, accusata di aver vulnerato i sentimenti nazionali del popolo albanese.
Ciò, in uno scenario interno che resta contraddistinto dall'incidenza di un fenomeno terroristico di matrice non sempre identificabile e dalla presenza di fondamentalisti islamici, sospettati di coinvolgimento nella rete internazionale dell'integralismo, e che presenta anche rischi di degenerazione connessi ad un aggravamento della crisi kosovara, a causa di possibili operazioni serbe in territorio albanese contro le basi delle formazioni armate.

b. Comunità degli Stati Indipendenti, area caucasica e centro-asiatica
Nella Federazione Russa permangono fattori d'instabilità per il protrarsi di una situazione di incertezza politica ed economica, riconducibile ad elementi strutturali e congiunturali. La nomina del nuovo primo ministro ha attenuato la tensione tra la Duma ed il Presidente, peraltro costretto a causa delle condizioni di salute a frequenti assenze dalla scena politica. La sua figura appare, pertanto, indebolita ed assumono concretezza le ipotesi di dimissioni anticipate, con conseguente avvio della corsa per la successione.
Sul piano economico, la difficile realizzabilità del processo di risanamento - alla cui prosecuzione il premier si è impegnato a livello internazionale - dovuta anche agli alti oneri sociali, rischia di determinare una ripresa della spirale inflazionistica.
La crisi finanziaria ha accentuato il distacco tra le Autorità centrali ed i soggetti federali, con il rischio di compromettere, nel medio-lungo termine, l'assetto istituzionale del Paese.
Segnali in tal senso si colgono nell'intensificazione delle relazioni tra organi locali e comandanti dei distretti militari, in una situazione che potrebbe indurre il Governo russo a negoziare la concessione di una più ampia autonomia amministrativa e politica per imbrigliare quelle forze che premono per la completa indipendenza o per la trasformazione in confederazione.
Ulteriore fattore di instabilità è costituito dalla presenza di vasti arsenali nucleari, la cui sicurezza - pur apparendo, al momento, adeguatamente garantita - è esposta al pericolo rappresentato dalla profonda crisi delle Forze Armate, che favorisce la diffusione della corruzione e crea le condizioni per la penetrazione della criminalità organizzata. In tale quadro, nuovi ritardi nell'adozione di provvedimenti atti a migliorare le condizioni dei militari potrebbero rendere più concreta la possibilità di sottrazione di ordigni a favore di gruppi terroristici o di Paesi proliferanti. Inoltre, l'indebolimento del potere centrale nei confronti dei soggetti federali potrebbe rafforzare i legami tra i comandi periferici delle Forze Nucleari Strategiche ed i dirigenti locali, con il rischio di una progressiva "regionalizzazione" del controllo sulle armi nucleari.
In Ucraina i contrasti politici stanno ritardando l'adozione dei provvedimenti necessari a consolidare i segnali di ripresa economica, con riflessi negativi sulle già precarie condizioni di vita della popolazione. Sul piano internazionale, il Paese si mostra attento a perseguire una politica di bilanciamento tra Est ed Ovest.
In Belarus il peggioramento delle condizioni economiche e sociali, riconducibile ai riflessi della crisi russa ed ai ritardi nel processo delle riforme, ha prodotto una erosione dei consensi, per fronteggiare la quale il Governo ha inasprito le misure di repressione, accentuando così l'involuzione autoritaria del regime e l'isolamento internazionale del Paese.
L'intera area caucasica si caratterizza per una diffusa instabilità, dovuta all'incapacità delle dirigenze locali di garantire lo sviluppo e di risolvere i contenziosi etnici e territoriali, in uno scacchiere che è oggetto di specifica attenzione da parte della Russia e dell'Iran, interessati a rafforzare la loro presenza nella regione, soprattutto in relazione allo sfruttamento delle risorse energetiche.
La recrudescenza dell'attività criminale, il crescente dinamismo degli integralisti islamici e la radicalizzazione dei contrasti interni segnano la situazione delle Repubbliche caucasiche della Federazione Russa, la cui evoluzione è condizionata dagli sviluppi degli avvenimenti in Cecenia, ove la posizione del Presidente si è indebolita, ed in Daghestan, a causa dell'attivismo dei gruppi estremisti intenzionati a costituire uno stato islamico comprendente le repubbliche musulmane russe del Caucaso.
Al momento, proprio in ragione delle difficoltà del potere centrale russo, sono prevedibili l'inasprimento del confronto tra schieramenti moderati ed estremisti, l'aumento dell'incidenza dei movimenti fondamentalisti islamici e non può essere esclusa una ripresa della guerra civile in Cecenia, con conseguenze destabilizzanti per l'intera regione.
In Georgia, il tentativo di insubordinazione di elementi delle Forze Armate e l'incremento dell'attività di guerriglia nelle regioni occidentali hanno evidenziato un indebolimento del Governo che potrebbe compromettere la possibilità di un accordo con la repubblica secessionista dell'Abkhazia.
Nonostante gli sforzi della diplomazia internazionale, sono continuati i contrasti tra Armenia ed Azerbaigian per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, con ripercussioni negative sulle prospettive di crescita economica, legate, in particolare, allo sviluppo dei progetti per lo sfruttamento delle risorse del Mar Caspio.
La mancata attuazione delle riforme grava sulle condizioni di vita della popolazione delle Repubbliche centro asiatiche della CSI, favorendovi l'azione del crimine organizzato.
Un ruolo chiave nell'area viene svolto dall'Uzbekistan e dal Kazakistan, impegnati a contenere l'espansione del fondamentalismo islamico, anche in connessione al rischio di massicci flussi di profughi e di eventuali implicazioni di matrice terroristica, in relazione al conflitto in Tagikistan, ove l'incremento delle attività dei gruppi più radicali della guerriglia e dei clan contrari all'attuale regime ha posto seri ostacoli alla normalizzazione della situazione interna, mettendo a rischio sia il processo di pace sia l'opera delle Organizzazioni umanitarie internazionali.
In Afghanistan, dopo la conquista di gran parte del territorio ad opera dei fondamentalisti islamici, la conflittualità ha assunto una sempre maggiore connotazione etnica ed ha fatto registrare gravi violazioni dei diritti umani e aggressioni contro il personale delle Nazioni Unite. Lo stato di tensione con l'Iran, determinatosi a seguito dell'uccisione, in agosto, di rappresentanti diplomatici di quel Paese, permane elevato soprattutto nella fascia confinaria.

c. Area mediorientale e del Golfo Persico
Il processo di pace in Medioriente non ha fatto registrare significativi progressi sul piano della sicurezza nonostante l'accordo di Wye Plantation, che ha rappresentato un cauto compromesso tra le richieste palestinesi relative al ritiro delle truppe israeliane da alcune aree della Cisgiordania e le istanze di Tel Aviv in tema di adozione di incisive misure antiterrorismo.
L'annuncio dei rilevanti aiuti economici da parte della "Conferenza dei donatori" a favore dei Territori palestinesi, la visita del presidente statunitense a Gaza e la sua partecipazione alla sessione straordinaria del Consiglio Nazionale che ha ratificato l'abrogazione degli articoli antisraeliani della carta costitutiva dell'OLP hanno rappresentato eventi significativi per il prosieguo del negoziato.
Tuttavia, anche in ragione dello scontro politico in atto in Israele - che ha determinato l'indizione delle elezioni per il prossimo maggio - l'applicazione degli accordi continua ad incontrare notevoli difficoltà.
Se si considera, poi, che restano ancora da affrontare il problema di Gerusalemme e dello "status" finale dei Territori, appare evidente come l'intesa di ottobre segni solo l'inizio della ripresa del processo di pace, per la cui effettiva prosecuzione sarà determinante la maggioranza politica che si configurerà a seguito delle citate consultazioni.
Le reazioni ostili provocate dagli accordi nei settori più oltranzisti di entrambi gli schieramenti hanno conferito nuova attualità alla minaccia terroristica o di gesti eclatanti.
Ad elevare il rischio di azioni di matrice palestinese si pone la convergenza sul proposito di proseguire la lotta armata tanto della dissidenza laica, quanto di quella di ispirazione confessionale. Gli integralisti islamici hanno mantenuto elevate capacità operative e potrebbero nuovamente ricorrere all'opzione violenta non solo in danno di obiettivi israeliani, ma della stessa leadership araba.
Preoccupazioni sono state espresse circa la possibilità di attentati, da parte di estremisti ebraici, contro personalità di governo.
Quanto sopra si colloca in uno scenario regionale che presenta un elevato indice di conflittualità, in ordine al quale la posizione di Tel Aviv costituisce un referente centrale nella definizione dei variabili equilibri dell'area.
Così, l'intendimento di bilanciare la cooperazione militare turco-israeliana - percepita come una minaccia alla sicurezza, specie a seguito dello stallo del negoziato sulle alture del Golan - ha indotto la Siria a consolidare le relazioni con l'Iraq, accentuando le frizioni con Ankara, nonostante il superamento della crisi dovuta all'appoggio fornito da Damasco alle formazioni separatiste curde.
L'intensificarsi delle iniziative antisraeliane dei guerriglieri sciiti caratterizza la situazione della zona meridionale del Libano, mentre nel resto del Paese si registra un progressivo assestamento di quella composita società sotto l'egida siriana, sebbene abbiano ancora avuto luogo attentati da parte di talune componenti minoritarie.
Il ruolo di mediazione sinora esercitato dalla Giordania grazie alla stabilità ascrivibile all'autorevolezza del Sovrano, nonostante le precarie condizioni di salute, appare legato per il futuro alla capacità di quel Governo di contenere le spinte dei settori più radicali, in un momento di recessione economica.
Viceversa, continuano ad aggravarsi la situazione socioeconomica e lo stato della sicurezza nello Yemen, ove si sono verificati numerosi atti terroristici, specie nei confronti di turisti, attribuibili alle frange estremiste del dissenso, sia religioso che secolare.
In Iran il quadro politico è caratterizzato dal confronto tra i fautori delle aperture riformiste ed i circoli conservatori. L'attivismo di questi ultimi ha provocato la rimozione da cariche istituzionali di taluni promotori del rinnovamento e ne ha fatto registrare l'affermazione all'elezione dei componenti dell'organo collegiale preposto, tra l'altro, alla nomina della Guida Islamica.
L'opposizione alla linea riformista si è tradotta anche in azioni intimidatorie, segnatamente in direzione di centri studenteschi e giornalisti, nell'aggressione ad esponenti governativi sostenuti dal Presidente e nell'assassinio di intellettuali, in un inasprimento dello scontro politico che non appare destinato ad attenuarsi.
Gli attacchi condotti da forze anglo-americane contro obiettivi sensibili dell'Iraq hanno costituito l'epilogo della crisi che ha opposto quel regime alle Nazioni Unite in merito allo smantellamento delle armi di distruzione di massa. Occorrerà del tempo per valutare appieno se sia stato raggiunto l'obiettivo di eliminare o ridurre la capacità di produzione irachena e quali riflessi ne deriveranno per l'assetto politico del Paese. Intanto la posizione di ferma intransigenza da parte di Baghdad nei confronti di Washington e Londra configura la possibilità di una nuova escalation militare.
In ambito politico diplomatico c'è una generale convergenza dei membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU sulla necessità di indurre la dirigenza irachena a ripristinare la collaborazione con gli organi ispettivi. A tal fine si sta esaminando una nuova soluzione che contempli il monitoraggio continuo dei programmi bellici iracheni e la contestuale revoca controllata dell'embargo.

d. Area nordafricana
Il contesto nordafricano, sia per la contiguità geografica con l'Italia, sia per le dinamiche che da esso si irradiano, costituisce un'area di estremo interesse sul piano della sicurezza, oltre che per la consistente spinta migratoria, per la dura contrapposizione tra il radicalismo islamista - richiamo sempre più forte per quelle popolazioni - ed i Governi, protesi ad intensificare i rapporti ed il dialogo con l'Occidente.
A fronte di tali fenomeni comuni, permane la specificità dei singoli contesti statuali anche sotto il profilo dei rispettivi atteggiamenti nei confronti della comunità internazionale.
Significativa, nel senso, l'evoluzione registrata nelle posizioni della Libia sulla vicenda Lockerbie, indicativa di un nuovo orientamento in politica estera, improntato a maggiore apertura verso l'Occidente. A ciò si è accompagnato un particolare dinamismo diplomatico che, a seguito di difficoltà nei rapporti con i Paesi della Lega Araba, ha portato ad individuare negli Stati del Sahel gli interlocutori privilegiati.
L'avvio di una convinta politica di cooperazione regionale ed una condotta di più spiccata moderazione hanno propiziato la costituzione di un esteso fronte di nazioni favorevoli alla rimozione delle sanzioni ONU, che, tra l'altro, ha portato l'Organizzazione per l'Unità Africana (OUA) a decidere la violazione unilaterale dell'embargo.
In un contesto tuttora segnato dalla vischiosità degli equilibri interni e da un progressivo deterioramento delle condizioni di vita della popolazione, il regime ha sinora efficacemente contenuto l'attività dei gruppi islamisti, facendo di quel territorio un argine ai movimenti integralisti che operano nelle nazioni contermini e continuando peraltro a rivendicare, nella persona del leader libico, un ruolo di guida nei confronti della comunità islamica.
L'esigenza di misurarsi con il fondamentalismo militante conforma la posizione dell'Egitto, che a livello regionale ed internazionale ha sviluppato nuove forme di cooperazione nella lotta al terrorismo, mantenendo rigorose misure repressive.
La sensibile riduzione dell'attività armata da parte delle formazioni radicali è anche da ricondurre alla necessità di ristrutturare l'apparato operativo, nonché al dibattito in seno agli ambienti islamici egiziani sull'efficacia della violenza quale mezzo per giungere alla costituzione di uno stato teocratico.
E' per sfruttare le "smagliature" prodotte da tale dibattito che il Governo ha avviato una politica di caute aperture, intesa a valorizzare l'emersione di una componente di più consistente caratura politica disponibile al dialogo.
In Algeria, si registrano fermenti legati alle prossime elezioni conseguenti alla decisione del Presidente di anticipare la fine del proprio mandato, di per sé indicativa della possibile esistenza di incrinature nella compattezza della dirigenza politico-militare, che trova da tempo nell'atteggiamento da tenere nei confronti del terrorismo islamico un motivo di divisione e contrasto.
L'intenso attivismo dei gruppi armati - tradottosi sia in una indiscriminata deriva stragista, sia nell'enucleazione di obiettivi mirati del comparto energetico e militare - trae costante alimento dal permanere di una situazione di grave crisi economica e nel disagio che ne costituisce l'effetto primario.
Del resto, è proprio nella persistenza di profonde e diffuse situazioni di squilibrio socioeconomico, nonostante l'opera di risanamento intrapresa dai Governi maghrebini, che trova origine la spinta migratoria verso l'Europa e si innesta il richiamo del radicalismo islamico, anche in realtà, come quelle del Marocco e della Tunisia, con le quali il nostro Paese ha da tempo avviato una politica di cooperazione bilaterale improntata alla promozione di una dimensione euromediterranea.

e. Corno d'Africa ed Africa centrale
La situazione nel Corno d'Africa si caratterizza per la notevole precarietà.
I tentativi di mediazione internazionale non hanno sinora conseguito risultati apprezzabili per la soluzione della crisi confinaria fra Etiopia ed Eritrea, che attraversa una fase di tregua, sostanzialmente finalizzata al potenziamento dei rispettivi dispositivi militari.
I frequenti incidenti lungo la fascia territoriale contesa fanno ritenere imminente la recrudescenza del confronto armato, che potrebbe coinvolgere anche Gibuti, accusata da Asmara di essersi schierata a fianco dell'Etiopia.
Qualora la situazione dovesse degenerare, potrebbero verificarsi esodi di massa verso i Paesi limitrofi e prospettarsi rischi per il personale delle Organizzazioni umanitarie e delle imprese straniere operanti nell'area, nonché ripercussioni anche sulla Somalia.
In quel Paese non appaiono esserci concrete prospettive di normalizzazione, in ragione del permanere di un elevato livello di tensione nella Capitale e nel Benadir e della tendenza delle parti in conflitto a costituire entità regionali autonome.
Su tale contesto interagisce l'interesse etiopico alla formazione di strutture politico-amministrative favorevoli ad Addis Abeba, soprattutto per contrastare l'influenza che i gruppi estremisti islamici somali esercitano alla frontiera fra i due Paesi.
La fragilità dell'assetto politico-istituzionale della maggior parte delle realtà nazionali che lo compongono, il permanere di gravi problemi di carattere socioeconomico ed una molteplicità di conflitti interetnici connotano l'intero Centroafrica, le cui ingenti risorse naturali e minerarie non riescono ad incidere positivamente sui fattori che sono all'origine delle crisi ma, al contrario, in qualche caso le generano e ne ostacolano la soluzione.
In tale contesto, ed in assenza di un quadro di riferimento politico stabile, anche i tentativi delle organizzazioni politiche e militari locali, talune ancora allo stato embrionale e prive di strumenti operativi, non conseguono apprezzabili risultati.
La ripresa delle ostilità tra il potere centrale ed i ribelli tutsi nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) ha di fatto spaccato il Paese in due parti ed ha investito progressivamente l'intera regione, anche in considerazione della posizione geografica del territorio congolese.
Nonostante gli sforzi diplomatici per l'avvio di negoziati di pace, la conflittualità appare destinata a protrarsi pure a causa dei contrastanti interessi dei Governi intervenuti a sostegno delle forze in conflitto. La situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi in dipendenza della possibilità di un più allargato confronto diretto conseguente all'impegno militare di parti terze.
Di peculiare significato gli eventi riguardanti la Sierra Leone, ove si registrano crescenti difficoltà della Forza di Pace panafricana, a guida nigeriana, nel contrastare le milizie ribelli. La violenza degli scontri ha sensibilmente deteriorato le condizioni di sicurezza della popolazione, ivi compresi i residenti stranieri, con gravi riflessi sotto il profilo umanitario.


Gli episodi terroristici di maggiore gravità del semestre confermano la rilevanza primaria assunta dalla minaccia proveniente dall'islamismo radicale, la cui portata si è ulteriormente precisata in correlazione con il processo che va enucleando uno schieramento internazionalista dalla marcata vocazione antioccidentale.
A sviluppo di un progetto più volte prospettato dai principali leader della galassia islamica, l'integralismo militante è andato promuovendo il graduale compattamento di diverse formazioni in un unico fronte atto a moltiplicare il proprio impatto attraverso il perseguimento di una strategia unitaria che comporta, quale principale corollario operativo, l'esportazione degli attacchi terroristici in aree inedite. Ciò, in una logica che esclude zone di neutralità e coniuga tattiche contingenti con disegni di più ampio respiro, privilegiando obiettivi presenti in teatri periferici. Tra questi, oltre al già interessato continente africano, particolare rilievo rivestono i Paesi dell'area balcanica, specie per la diffusa instabilità regionale, le Repubbliche musulmane caucasiche e centro-asiatiche - pure a causa della contiguità con i campi di addestramento afghani e della crescita della componente radicale islamica - ed il Pakistan, per i vincoli etnico-religiosi con i talebani.
Tale tendenza evolutiva va valutata tenendo conto che la caratura transnazionale del fenomeno non ne fa venire meno la specificità all'interno delle diverse realtà nazionali e d'area.
Se, infatti, il fondamentalismo ultraradicale ha assunto in Afghanistan veste statuale, in Algeria si confronta con le istituzioni in termini che rasentano la guerra civile, vive quale opposizione armata in seno al regime egiziano ed innerva il disagio delle classi deboli in Tunisia e Marocco. Esso condiziona in Pakistan gli orientamenti filoccidentali, alimenta le rivendicazioni miranti all'autodeterminazione in talune realtà asiatiche e si pone quale vessillo identitario nella questione palestinese.
La descritta spinta aggregatrice è stata impressa al movimento islamista da singole personalità; circostanza, questa, che segna una novità rispetto ad un passato in cui tale ruolo di impulso e guida veniva svolto da soggetti statuali. Resta peraltro tutta da cogliere l'effettività di tale mutamento: se esso, cioè, corrisponda realmente ad un'inversione di tendenza nella strategia dei cd. "Stati sponsor" - sulla cui portata grava comunque l'ipoteca della perdurante operatività di campi e strutture dell'integralismo - ovvero configuri una mera scelta tattica di schermatura, funzionale al recupero di spazi di agibilità sulla scena internazionale.
L'opzione terroristica, che ha trovato il momento più visibile e significativo negli attentati dell'agosto in Kenya e Tanzania, viene confermata anche dal rinvenimento in vari Paesi mediorientali ed europei di prodotti chimici, manuali e videocassette contenenti istruzioni per l'assemblaggio di ordigni e potrebbe ulteriormente potenziarsi in virtù del segnalato interesse di quei medesimi settori del fondamentalismo all'acquisizione di know how e di armi di distruzione di massa.
Peraltro, gli elementi raccolti in ambito informativo evidenziano come stia parallelamente emergendo una linea, anch'essa finalizzata ad imporre l'islamismo a livello mondiale, che privilegia la strada dell"'accreditamento" politico - e, pertanto, della rinuncia o del ridimensionamento dell'offensiva armata - e che ha significativamente inciso sulle formazioni terroristiche egiziane ed algerine, determinandone fratture interne o rimodulazioni operative.
Nell'attuale fase si può ipotizzare che all'affermarsi della corrente fautrice della mediazione e del negoziato, le frange più estreme contrappongano una rinnovata offensiva che potrebbe trovare spunti operativi in tematiche dall'elevato valore unificante - tra le quali continua ad essere centrale la questione palestinese, costante, potenziale detonatore per attacchi antisraeliani ed antistatunitensi - e sponde anche inedite in soggetti e Stati che se ne facciano paladini. Evenienza, questa - suggerita da ultimo dalla nuova crisi con l'Iraq - che risulta favorita dalle sinergie tra aspetti politico-ideologici, instabilità regionali ed interessi geostrategici e tanto più temibile in una contingenza globale che si qualifica per la presenza di vastissimi arsenali bellici e per un'insistente corsa al riarmo nucleare.
Il complesso delle evidenze informative traccia accentuate proiezioni della minaccia terroristica di matrice islamica sul continente europeo, già da tempo base di una capillare rete radicale, di cui il territorio italiano costituisce significativa dorsale logistica, fungendo da trait d'union tra la madrepatria, nuclei attivi in Francia, centrali propagandistiche e finanziarie in Gran Bretagna ed area balcanica, oggetto, quest'ultima, di una stringente penetrazione intesa a fruire della zona quale avanzata testa di ponte verso l'Occidente. In proposito, potrebbero riproporsi anche in relazione al conflitto kosovaro gli schemi organizzativi che vedevano l'Italia, e segnatamente la Lombardia e l'Emilia Romagna, utilizzata quale centrale di smistamento di "mujaheddin" da destinare in Bosnia.
Le strutture europee dell'integralismo sembrano allo stato prioritariamente impegnate nella ridefinizione del rapporto tra il momento logistico e quello operativo, con una prevalenza della propaganda e del proselitismo. Varie acquisizioni d'intelligence, peraltro, hanno riguardato progettualità violente contro obiettivi presenti sul Continente, anche da parte di gruppi sinora relativamente poco noti ed attivi per lo più nei luoghi di origine, con ciò prefigurando il possibile superamento della logica che individuava in quello europeo eminentemente un "territorio funzionale" alle azioni armate da compiere in aree diverse da quelle occidentali.
In un quadro siffatto è meritevole di attenta considerazione l'eventualità che occasioni di grande risonanza, come il Giubileo, possano indurre gli estremisti ad accedere ad opzioni violente.
Il monitoraggio delle attività all'interno dei confini nazionali ha fatto emergere un sostenuto dinamismo della componente egiziana, in seno alla quale sono stati registrati fermenti e tensioni in relazione alla consegna alle autorità cairote, da parte di un Paese dell'America Latina, di un esponente di spicco della comunità islamica in Italia. Le indicazioni relative all'eventuale, crescente impiego delle formazioni egiziane quale braccio operativo dello schieramento transnazionale trovano indiretta conferma nell'arresto a Torino, in ottobre, di cittadini egiziani sospettati della pianificazione di attentati antistatunitensi e nel contestuale sequestro di armi e munizionamento.
Ancora attestato su un livello prevalentemente logistico risulta l'attivismo di matrice algerina, che si sostanzia soprattutto nella fornitura di documenti falsi e nel reclutamento di militanti da inviare in campi di addestramento centroasiatici. Rileva, in proposito, l'arresto a Milano, in novembre, di un presunto terrorista, già inquisito nel '96, per reati che confermano l'impegno di natura organizzativa.
Lo scenario, peraltro, potrebbe mutare in ragione del progressivo affermarsi, anche in Italia, della linea che propugna l'estensione della "jihad" ai Paesi europei ritenuti complici del Governo di Algeri.
Le interconnessioni tra estremisti nordafricani, che ne qualificano le articolazioni estere, sono state ulteriormente riscontrate dagli approfondimenti relativi ad una cellula, smantellata nel febbraio a Cremona, di un'organizzazione radicale marocchina che farebbe parte di un "insieme integralista maghrebino" - comprendente anche formazioni algerine, tunisine e libiche - al momento impegnato nella tessitura di un comune ordito logistico ed ideologico volto all'instaurazione di repubbliche islamiche nel Nordafrica.
Tra i fattori atti a moltiplicare il rischio di attentati a livello internazionale, va annoverata - con l'interscambiabilità dei militanti che ne potenzia, di fatto, le capacità offensive - la fisionomia pulviscolare di cellule e nuclei che rende problematico il loro controllo da parte delle stesse organizzazioni di riferimento e sempre possibili, dunque, iniziative autonome, frutto sia di sentimenti di ostilità nei confronti dei Paesi ospiti, sia dell'intento di tradurre in chiave operativa le suggestioni di teorizzazioni panislamiche che trovano altrove il loro luogo di elaborazione.
Preoccupazioni suscita, in questo senso, la circostanza che l'attività propagandistica degli elementi più estremisti presenti in territorio nazionale abbia fatto registrare un inasprimento dei toni e dei contenuti che riecheggia dinamiche esterne e potrebbe consolidare un humus favorevole alla maturazione di intenti ritorsivi legati ad iniziative giudiziarie riguardanti esponenti di spicco del radicalismo.
Al riguardo, momento agglutinante - sia per il superamento delle divisioni interne, sia per conferire nuovo impulso alle sinergie infraorganizzative - può essere rappresentato dalle celebrazioni dell'Anno Santo, evento suscettibile di catalizzare spinte antioccidentali e fanatismi religiosi.
Lo spessore della minaccia derivante dal quadro descritto ha sollecitato, sia a livello bilaterale, sia in sede di più ampi consessi internazionali, un rafforzamento della collaborazione tra organismi info-investigativi che ha individuato un momento nodale di una concertata strategia di contrasto nella predisposizione di misure atte ad individuare i circuiti di finanziamento del terrorismo.
Per quanto attiene ai gruppi terroristici stranieri di matrice separatista, hanno formato oggetto di azione intelligence organizzazioni indiane, cingalesi e kosovare, impegnate in Italia nel proselitismo e nella raccolta di fondi.
Sono stati seguiti, inoltre, gli sviluppi negoziali riguardanti tanto la questione nordirlandese quanto quella basca, in relazione all'eventualità - che ha trovato in agosto sanguinosa traduzione nell'attentato di Omagh - di iniziative violente tese ad interrompere il dialogo.
Specifici approfondimenti informativi sono stati imposti, infine, dalla vicenda Ocalan, che si inserisce nell'ambito del fenomeno del separatismo curdo, da tempo all'attenzione dei Servizi per le possibili implicazioni sulla sicurezza, connesse essenzialmente ai flussi migratori clandestini ed alla presenza, sul territorio nazionale, di soggetti e strutture a vario titolo legati a gruppi armati.


Le ondate migratorie clandestine che individuano nel nostro territorio la porta d'accesso all'Europa di Schengen trovano la loro principale scaturigine in quelle stesse endemiche situazioni di disagio socioeconomico che costituiscono ambito di ricezione privilegiata del richiamo del radicalismo islamico militante.
Non è un caso che i Servizi indichino da tempo tali flussi quali potenziali canali per la mobilità anche di estremisti e terroristi; questa eventualità, pur residuale, risulta emblematica delle molteplici incidenze sulla sicurezza di un fenomeno che si connota in termini di minaccia - ed in quanto tale è oggetto di attenzione dell'intelligence - soprattutto in ragione dell'accertata gestione criminale delle fasi che lo articolano, non di rado agevolata da smagliature - dovute ora all'inefficienza, ora al voluto disimpegno - nell'azione di contrasto svolta nei luoghi di origine.
L'attività informativa ha posto in luce il crescente coinvolgimento di strutturate organizzazioni malavitose anche nel traffico di clandestini dal Nordafrica, che aveva mostrato sinora di svilupparsi per lo più al di fuori delle grandi reti delinquenziali.
Si sono così andate evidenziando, per le direttrici dal Maghreb, rotte e modalità operative sempre più complesse e diversificate, gestite da sodalizi con basi in Marocco ed in Tunisia, snodi a Malta, in Egitto e a Cipro e ramificazioni nell'Europa continentale.
E' ormai patrimonio conoscitivo consolidato, poi, il monopolio criminale dei flussi dall'area balcanica, che continua a trovare nell'Albania polo d'attrazione e transito anche per le correnti migratorie dall'Asia minore e dal subcontinente indiano. Il territorio schipetaro si qualifica in effetti per il tessuto delinquenziale che, forte di una spiccata flessibilità operativa e di rodati contatti con consorterie di altra nazionalità, appare capace di rapide rimodulazioni organizzative - in termini di diversificazione di rotte e strategie - tese a salvaguardare la rimuneratività di un traffico, e del connesso indotto illecito, che va sviluppando un vero e proprio "terziario" anche per l'esodo di profughi.
La gestione criminale del fenomeno ne condiziona talora in modo inquinante l'andamento, determinando, per esempio, repentine impennate in concomitanza con il varo di misure intese a regolarizzare la posizione nel nostro Paese dei clandestini.
Così, la studiata propalazione di notizie relative ad imminenti, vere o presunte, sanatorie risulta funzionale non solo a fungere da "richiamo" per i migranti, ma anche alla creazione di un clima di emergenza che, di fatto, mantiene le condizioni di clandestinità dei flussi.
Al di là dei suddetti fattori di breve periodo, che in autunno hanno fatto registrare un "miniesodo" intracontinentale tradottosi in una nuova pressione alle frontiere terrestri del Norditalia, resta l'incidenza sul trend migratorio delle varie instabilità regionali. Al riguardo, sono seguite con particolare attenzione le vicende in Kosovo, ove il riaccendersi della violenza potrebbe preludere a nuove urgenze di carattere umanitario, e nei territori curdi, pure in relazione alla possibilità che le spinte centrifughe siano utilizzate quale strumento di pressione sull'Occidente.
La descritta interazione tra fattori strutturali, legati a crisi di ordine economico-sociale, e situazioni congiunturali, connesse al permanere di conflitti etnicoreligiosi, induce ad assegnare cospicua rilevanza prospettica anche agli effetti collaterali del processo di globalizzazione dei mercati. Questi, nel favorire lo spostamento degli investimenti nelle aree a più alta redditività a discapito dei Paesi meno competitivi, finiscono con l'accentuare le disuguaglianze e la povertà in regioni connotate da elevati livelli di disoccupazione e crescita demografica.
Ne consegue una linea tendenziale che non appare destinata a registrare flessioni, a fronte della quale si impone una costante attenzione di intelligence tesa a cogliere, con le implicazioni criminali del fenomeno, i rischi per la sicurezza legati al suo impatto socio-ambientale.
La condizione di clandestinità di parte degli immigrati nel nostro Paese si pone quale sicuro fattore di alterazione del processo di integrazione nel tessuto civile e, nell'accrescere la possibilità di cooptazione nelle file della delinquenza, contribuisce ad acuire le situazioni di degrado e le connesse tensioni sociali.
Così, se già da tempo vengono segnalati, per talune aree urbane del Norditalia, i rischi connessi alla strumentalizzazione del disagio ad opera di settori dell'oltranzismo politico e di frange estreme del separatismo, crescente interesse rivestono, in prospettiva, i segnali raccolti con riferimento ad ampie zone rurali del Meridione. In un contesto di forte disoccupazione e di economie "parallele" basate sul lavoro sommerso, il massiccio afflusso di manodopera extracomunitaria disposta ad accettare i livelli minimi di retribuzione sta progressivamente saturando il "mercato", con il pericolo che la competitività tra clandestini ed autoctoni si traduca in contrapposizioni violente.
Il quadro tracciato delinea le coordinate di un fenomeno composito, cui debbono corrispondere diversificati piani di intervento volti a realizzare un profilo avanzato di contrasto. Rispetto ad esso l'azione di intelligence si pone, ad un tempo, quale parte integrante del dispositivo di tutela - specie attraverso il monitoraggio delle partenze dai porti albanesi, quotidianamente segnalate alle Forze di polizia con l'indicazione delle possibili zone di sbarco, e l'individuazione di gruppi ed elementi coinvolti nel traffico - e riferimento informativo per l'azione di governo, per quanto concerne l'analisi dell'impatto del fenomeno sulla realtà sociale, del suo interagire con i circuiti illegali e delle dinamiche in atto nei luoghi di origine.
Centrali si confermano, altresì, l'iniziativa diplomatica e la stipula di accordi con le autorità dei Paesi di provenienza, che postulano, peraltro, l'individuazione di interlocutori istituzionali affidabili, specie in relazione a quelle realtà statuali nelle quali si registrano diffusi fenomeni corruttivi e frequenti contiguità con la criminalità.
Va ribadita, in proposito, la necessità che a tale politica di dialogo si affianchino strategie concertate tra partner europei, poiché la prossimità geografica dell'Italia con le aree di emigrazione rischia di generare a livello comunitario, insieme con la preoccupazione circa le nostre capacità di contenimento del fenomeno, l'erronea percezione di una sorta di "esclusivo" onere italiano alla cooperazione ed al sostegno dello sviluppo.
L'esigenza di un efficace controllo dei flussi migratori - indicato dal Governo tra gli obiettivi prioritari - non inficia, ovviamente, lo spirito di accoglienza e di solidarietà nei confronti degli stranieri, ma si impone onde evitare problemi per la sicurezza oltre che di impatto sociale.


Anche in ragione della maggiore permeabilità delle democrazie avanzate nell'era della globalizzazione, specifica azione è stata svolta per l'individuazione e la neutralizzazione di ingerenze spionistiche in danno di interessi nazionali, in Italia ed all'estero. Tale impegno, esercitato nell'ambito della più ampia collaborazione internazionale, ha consentito di identificare 33 agenti stranieri, di cui uno nel nostro territorio.
Risulta in crescita l'attività di spionaggio, pure sotto coperture di tipo commerciale, posta in essere da alcuni servizi nei confronti dei membri dell'Alleanza atlantica e, segnatamente, dell'Italia, non solo in direzione del settore del potenziale militare e dell'industria connessa, delle infrastrutture e dei comandi NATO ma, in generale, verso il campo tecnico-scientifico.
Taluni organismi mediorientali e nordafricani hanno continuato ad esercitare il controllo sulla dissidenza all'estero ed incrementato iniziative di propaganda anche attraverso il finanziamento di nuove associazioni.
Parallelamente per gli stessi riveste interesse primario l'acquisizione di notizie intelligence nei settori tecnologico e scientifico, finalizzate a mantenere efficiente l'apparato bellico che rischia di diventare obsoleto per carenza di know how.
Altra priorità è stata assegnata alle attività clandestine volte ad acquisire materiali sottoposti ad embargo.
Con la collaborazione di servizi collegati, infine, particolare attenzione è stata posta nella raccolta di notizie utili a prevenire eventuali minacce ed a fornire supporto informativo ai contingenti militari nazionali impegnati nelle missioni di pace.


Nel quadro delle attività volte a contrastare trasferimenti clandestini di materiale d'armamento, il monitoraggio svolto dai Servizi conferma il perdurare di rilevanti traffici.
I Balcani risultano avere da tempo assunto un ruolo di assoluta centralità per quel mercato illecito, coniugando la veste di fornitore ed utente finale.
In quella regione, infatti, il conflitto in Kosovo agisce da catalizzatore di un crescente flusso di armi, reperite nella stessa area ed in taluni Paesi europei, e movimentate sovente grazie alla corruzione di guardie di frontiera e funzionari doganali degli Stati contermini.
In Albania la criminalità risulta sempre più coinvolta nel medesimo settore illegale, sviluppato in direzione del nostro Paese sfruttando gli stessi canali dell'immigrazione irregolare verso le coste adriatiche - divenute centri di smistamento per altre regioni italiane - ed intensificando i rapporti con organizzazioni malavitose pugliesi ed, in alcuni casi, con formazioni armate balcaniche.
Per lo più dalla ex Jugoslavia e dall'Europa orientale provengono anche le armi oggetto del traffico verso le aree belligeranti del continente africano.
Tra le iniziative intraprese in ambito internazionale, significativi appaiono i passi compiuti nella sessione plenaria dell'organismo di non proliferazione preposto al controllo dei materiali "dual-use" sensibili e dell'armamento convenzionale, ove si è giunti alla ratifica dei criteri per "la definizione dell'accumulazione destabilizzante di armamenti". Detti criteri consentiranno di individuare i casi in cui un'eccessiva concentrazione di armi potrebbe far degenerare tensioni regionali e di porvi rimedio mediante l'adozione di concertate autolimitazioni all'export bellico.
In tale contesto, particolare rilevanza ha assunto lo scambio di notizie di intelligence su programmi produttivi e di acquisizione di materiali d'armamento nelle aree "a rischio", nonché sui soggetti, enti e Paesi compiacenti, coinvolti in tali attività (cd. procurement).
Nel campo delle armi di distruzione di massa, a fronte dell'efficacia delle misure poste in essere dai Regimi multilaterali di non proliferazione, stanno emergendo nuovi problemi relativi all'aumento del numero dei Paesi in grado di sviluppare programmi autonomi, all'intensificarsi dei rapporti di collaborazione tra gli stessi ed al pericolo di trasferimento di tecnologia sensibile "intangibile", mediante strumenti informatici.
In campo nucleare, sono continuati l'attività di controllo delle esportazioni di materiale dual-use da parte di imprese italiane ed il contrasto dei programmi di proliferazione dei Paesi "a rischio".
Nel settore missilistico, tutti gli Stati proliferanti hanno raggiunto o sono prossimi ad acquisire la capacità di produrre vettori con gittata di almeno 500 km. e la metà di tali Paesi avrebbe in corso programmi di sviluppo per ottenere prestazioni maggiori. L'evoluzione in parola aumenta il rischio che, in un prossimo futuro, quei missili siano prodotti e dispiegati, nonché offerti ad altre Nazioni.
Al riguardo hanno determinato forti preoccupazioni gli esperimenti effettuati in estate dalla Corea del Nord e da uno Stato mediorientale.
In prospettiva, Pyongyang potrebbe vendere i propri armamenti anche a Stati proliferanti dell'area mediterranea, già in grado di produrre armi chimiche, con ciò elevando il livello della minaccia per l'Europa.
Destano seri timori le capacità di trasporto di armi chimiche e biologiche sia da parte di missili da crociera che di aerei senza pilota. E' da valutare se questi ultimi, anche per i costi modesti, possano essere utilizzati da gruppi terroristici.
L'azione di contrasto nel settore si avvale del sistematico monitoraggio dei poligoni di lancio e dei siti coinvolti nei programmi di maggior interesse. In particolare, attività informativa è stata intrapresa nei confronti di un ente straniero, responsabile di importanti progetti in campo convenzionale e missilistico, nonché in merito ad un presunto traffico illegale di aeromobili telecomandati per impieghi militari. La ricerca è stata altresì indirizzata verso le reti di "procurement" di alcuni Paesi proliferanti, finalizzate all'acquisizione delle tecnologie necessarie allo sviluppo del settore.
Nel settore chimico, si ritiene probabile l'aumento dell'attività clandestina per l'acquisizione dei precursori necessari alla realizzazione di agenti nervini dell'ultima generazione da parte di uno Stato mediorientale che avrebbe raggiunto la capacità di produrli. Nello stesso contesto risultano proseguire i test di disseminazione, l'ultimo dei quali è stato effettuato nel mese di novembre.
Il campo biologico è quello che desta maggiori preoccupazioni in ragione del crescente interesse di alcuni Paesi mediorientali, anche in direzione della biotecnologia. E' emerso, in proposito, l'avvio di rapporti con enti, organizzazioni ed istituti scientifici di Stati più avanzati, nel tentativo di dare ai programmi di proliferazione la copertura di studi scientifici a scopi civili. Timori sussistono anche per il possibile trasferimento di scienziati dall'Est europeo.
Si è palesata l'esigenza di estendere l'attività informativa anche ai laboratori del settore, nella considerazione che gruppi terroristici con risorse e conoscenze limitate possono realizzare a basso costo aggressivi artigianali.
Nel contempo prosegue il monitoraggio dell'area balcanica, con specifico riferimento all'eventuale supporto al terrorismo islamico da parte di fabbriche e strutture industriali del settore chimico.
A livello internazionale si sta esaminando la possibilità di dar vita a un programma comune di controllo sulla produzione, il commercio e l'esportazione di esplosivi o altri materiali "sensibili", quali armi chimiche e biologiche, in relazione al pericolo di un loro impiego ad opera del terrorismo.


(*) Trasmessa alla Presidenza il 17 febbraio 1999, ai sensi dell'articolo 11, primo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801.

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