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Per Aspera Ad Veritatem n.12
Terrorismo e intelligence di prevenzione

Vittorfranco S. PISANO




Le ordinarie misure di sicurezza possono essere classificate secondo alcune categorie tecniche: sicurezza degli impianti (installation security), sicurezza del personale (personnel security), sicurezza dei documenti (document security) e sicurezza delle comunicazioni (communications security).
Quando lo scenario si presenta tranquillo in ambito interno ed internazionale, queste fungono da deterrente e contribuiscono alla prevenzione di infiltrazioni nemiche e di azioni violente. Di contro, in periodi di tensione o quando ci si prepara ad affrontare emergenze in ambito nazionale o internazionale, le chances di successo a fronte di aggressioni o di minacce sono direttamente proporzionali alla capacità di definire con buon anticipo il potenziale e le intenzioni dell'aggressore.
Sul campo di battaglia tradizionale, il potenziale nemico rappresenta un punto di interesse focale sotto l'aspetto tattico, mentre conoscere le sue intenzioni risulta vitale in termini strategici. Questa esigenza di conoscere è stata tradotta in una serie di criteri e di procedure il cui scopo è fornire elementi informativi essenziali (essential elements of information); produrre ulteriori esigenze informative (other intelligence requirements) e, in forma più completa e sistematica, fornire l'intelligence dell'ordine di battaglia (order of battle intelligence). Più specificatamente, in caso di attacco imminente ove sia importante non esser colti di sorpresa, sono stati messi a punto criteri e procedure per un'attività di intelligence basata sugli indicatori e sui segnali di preavviso della minaccia, d'ora in avanti indications-and-warning intelligence.
I suddetti criteri e procedure non sono applicabili integralmente né indiscriminatamente agli attacchi terroristici, la cui specifica natura non soltanto esula dai principi che governano il civile confronto democratico, ma anche dalle dinamiche proprie del campo di battaglia tradizionale. Ciò nondimeno, se il terrorismo, interno o internazionale che sia, deve essere contrastato, il potenziale e le intenzioni dei gruppi terroristici e delle loro reti di supporto devono essere conosciuti e analizzati dal punto di vista informativo con buon anticipo. è allora essenziale adattare con cura, e non adottare in toto, i metodi informativi tradizionali di efficacia già sperimentata, come appunto, la indications-and-warning intelligence alla specificità del fenomeno terroristico.


Una serie di gravi incidenti verificatisi di recente in luoghi così diversi come Parigi, Gerusalemme, Oklahoma City, Algeri, Dhahran, Lima, Karachi, Nairobi e Dar es Salaam, congiuntamente a molti altri di minore entità, conferma con drammaticità come, alla vigilia del terzo millennio, non vi sia nessuna comunità che possa considerarsi immune dal terrorismo. Ancor più preoccupante è la constatazione che il terrorismo contemporaneo, nato circa 30 anni fa, sfugge ancora ad una precisa definizione comunemente accettata ed anche ai criteri tradizionalmente applicabili all'attività classica di prevenzione e repressione dei crimini. A questa situazione già di per sé confusa deve aggiungersi una diffusa tendenza a classificare in termini di terrorismo tutta una serie di atti di violenza e di intimidazione di natura eterogenea il cui unico comune denominatore è la creazione e la diffusione del terrore.
Sebbene sia adottato universalmente, il termine terrorismo, oltre a mancare di precisione dà adito ad accese controversie le cui conseguenze sono numerose e correlate tra di loro. Prima di tutto, in mancanza di una definizione di terrorismo che scaturisca da una generale convergenza, le risoluzioni internazionali vengono adottate evitando di definire in modo specifico la minaccia terroristica. In secondo luogo, anche nell'ambito delle legislazioni penali e delle normative nazionali il termine terrorismo viene raramente definito in modo preciso e soddisfacente. Terzo, il termine viene utilizzato indiscriminatamente, e spesso a sproposito, da giornalisti, burocrati, attivisti, o da policy makers impegnati a screditare gli avversari. Quarto, l'interpretazione del fenomeno risulta affidata a percezioni soggettive piuttosto che a riscontri oggettivi. Ciò significa che una parte considerevole di tutto quanto viene elaborato in termini di rapporti e analisi è scarsamente attendibile, così come lo sono le relative statistiche.
Questo stato di cose, insoddisfacente a dir poco, è in parte dovuto alla complessità dei fattori che sottendono al fenomeno ed alle modalità con cui i terroristi li utilizzano a proprio vantaggio. Inoltre è arduo elaborare previsioni circa le strutture, le metodiche e le fonti di supporto del terrorismo e questo perché non si tratta di un fenomeno omogeneo né tanto meno statico. Anche ove si riuscissero ad individuare modelli ricorrenti, tuttavia il fenomeno è soggetto a "spasmi". In presenza di tante variabili, ogni previsione comporta naturalmente un rischio.
Nonostante questi limiti e le tante difficoltà, è tuttavia necessario formulare una definizione pratica del terrorismo fondata su elementi empirici, e puntualizzare criteri per un'attività informativa di analisi e prevenzione al fine di poter rispondere adeguatamente alla corrente minaccia terroristica.
In pratica, il terrorismo è violenza criminale di matrice politica perpetrata da gruppi clandestini, con metodi clandestini, a livello nazionale o internazionale. Tre caratteristiche fondamentali differenziano il terrorismo da altri fenomeni.
La violenza criminale caratterizza il terrorismo rispetto all'esercizio legittimo della forza da parte delle forze dell'ordine o del personale militare nell'esercizio delle facoltà loro conferite dalla legge. Inoltre, i terroristi, contrariamente a quanto essi stessi sostengono, non sono combattenti in quanto non si conformano alle vigenti disposizioni di legislazione internazionale afferenti a stati di belligeranza. Infine, un atto di terrorismo è un'azione criminale in virtù della sua stessa natura (omicidi, sequestri di persona, danneggiamenti volontari di proprietà altrui ecc. ...) e non trova alcuna giustificazione legale né nell'impegno ideologico né nel fine politico degli autori. Mentre in termini soggettivi avviene spesso che un individuo sia considerato un terrorista da alcuni e un combattente per la libertà da altri, tuttavia dal punto di vista penale un terrorista è sempre e comunque un criminale.
La motivazione politica differenzia il terrorismo dal crimine comune e da quello organizzato. I terroristi perseguono fini politici, mentre i criminali comuni e le organizzazioni criminali perseguono obiettivi non politici, principalmente di natura economica. Certamente si registrano frequenti casi di azioni criminali mirate all'autofinanziamento di gruppi terroristici (rapine o sequestri di persona a scopo di estorsione), ma è anche vero che ancor più frequenti sono i casi di collusione, nell'ambito di accordi di reciprocità, tra crimine organizzato e personaggi politici e/o organi amministrativi, come dimostrato da episodi di favori elettorali o di riciclaggio di denaro. Tuttavia, in ciascuno di questi casi, si tratta di attività e di rapporti posti in essere per fini prettamente strumentali. La motivazione politica alla base del terrorismo e la motivazione economica alla base del crimine organizzato rimangono immutate e certamente ben differenziate. Questa fondamentale distinzione non viene intaccata neanche dalla constatazione che l'incidenza del crimine organizzato può, ed in molti casi riesce a minare l'autorità degli organi di governo e ad interferire con il regolare funzionamento dello Stato.
Il fanatismo religioso, invece, può essere parte integrante della motivazione politica quando estremisti religiosi invece di professare il proprio culto come fede religiosa, lo perseguono in termini di ideologia, entrando così nel campo della politica. L'analista deve, comunque, operare una distinzione tra il terrorismo politico-confessionale e le azioni violente di singoli squilibrati o di sette pseudo-religiose. L'atto violento di uno squilibrato è per definizione insensato e sfugge quindi ad una categorizzazione in termini politici o religiosi. La violenza di una setta pseudo-religiosa rappresenta, invece, un fenomeno molto complesso dal punto di vista psico-sociologico e, contrariamente al terrorismo, tende a rivolgersi quasi esclusivamente contro gli appartenenti alla setta stessa, le cui specifiche aspirazioni e pratiche si collocano per definizione al di fuori delle dinamiche politiche convenzionali e non.
La clandestinità, infine, differenzia il terrorismo dalla violenza politica comune - intesa come scontro tra avversari in senso ideologico/etnico o come disordine civile originato unilateralmente - le cui dinamiche sono sempre palesi. è vero infatti che anche atteggiamenti violenti o illegali da parte di autonomi (di sinistra) e di skinheads (di destra) generalmente non prevedono la clandestinità e non sono quindi classificabili sotto la voce terrorismo. Questo è valido anche per qualsiasi comportamento di disturbo dell'ordine pubblico, che sia violento, intimidatorio o illegale, compiuto da masse di rivoltosi motivati politicamente.
Strettamente correlate a questa definizione del terrorismo contemporaneo sono due ulteriori caratteristiche di questo fenomeno:
- in primo luogo, la sua data di nascita, che coincide con la diffusione nelle aree urbane, nella seconda metà degli anni '60, di una tendenza volta alla realizzazione di obiettivi ideologici e politici tramite forme di conflittualità non convenzionale;
- in secondo luogo, il suo dare espressione al cosiddetto "terrore dal basso" o più precisamente ai fermenti di gruppi "subnazionali", da non confondere con il "terrore dall'alto" perpetrato da regimi totalitari all'interno dei rispettivi Stati e contro dissidenti rifugiatisi all'estero. Il cosiddetto "terrore dall'alto", anche noto come terrorismo di Stato, rappresenta una precedente manifestazione del terrorismo che oggi convive con la più recente forma "subnazionale".
E' infine necessario sottolineare che il terrorismo si manifesta come una fase nell'ambito delle possibili e graduali espressioni proprie del conflitto non convenzionale o, più sporadicamente, come opzione tattica.
Nel primo caso, si colloca, in successione, dopo l'attivismo eversivo - che coniuga metodi ordinari non violenti con il ricorso occasionale alla violenza - e precede, in caso di successo, la terza fase e cioè l'insurrezione. Una distinzione significativa tra il secondo ed il terzo stadio risiede nella capacità di controllare il territorio nazionale: mentre nella fase insurrezionale vi è un controllo parziale sul territorio, almeno temporaneamente, nella fase terroristica questa capacità manca totalmente. I terroristi inoltre, a differenza degli insorti che si concentrano nelle aree rurali, tendono invece a radicarsi nei centri urbani. Gli attivisti eversivi spesso passano dalla fase eversiva a quella terroristica, mentre più raramente i terroristi passano alla fase dell'insurrezione. Tuttavia un rischio della fase terroristica, ove si fallisse nell'opera di contrasto, è l'evoluzione verso la fase insurrezionale.
Nel secondo caso, quando il terrorismo rappresenta un'opzione tattica, esso può emergere in qualsiasi stadio del conflitto non convenzionale, dall'attivismo eversivo fino alla guerra civile ed al moto rivoluzionario. Generalmente il ricorso al terrorismo come opzione tattica si prefigge obiettivi a breve termine ed è soprattutto frutto di una scelta operata a livello internazionale.
Il terrorismo assume carattere internazionale quando coinvolge i cittadini o il territorio di più di un Paese. Il terrorismo internazionale è di solito il risultato di una sorta di "travaso" oltreconfine o di una allargamento delle attività di formazioni ideologizzate o di matrice etnico-separatista che operano in forma autonoma o di concerto con gruppi stranieri omologhi. Inoltre, in alcuni casi, le operazioni terroristiche internazionali possono avvalersi del supporto di Stati che ricorrono al terrorismo o comunque se ne servono quale strumento di strategia politica. Gli atti di terrorismo sponsorizzati da uno Stato presentano, per loro natura, maggiore pericolosità perché minacciano non soltanto la stabilità interna, ma anche la sicurezza nazionale.


Gli elementi empirici fin qui elencati forniscono uno schema di riferimento a cui rifarsi in sede di valutazione della minaccia terroristica in termini di forza e di debolezza dei vari soggetti esaminati, in altre parole per la indications-and-warning intelligence. Si propone qui di seguito un elenco di possibili passaggi, che, se adattati con attenzione ai diversi scenari geo-politici, possono costituire un valido strumento per la pianificazione dell'azione di contrasto al terrorismo. Tale attività, in entrambi le sue espressioni - l'anti-terrorismo inteso come il complesso delle misure passive/difensive ed il contro-terrorismo cioè l'insieme delle misure attive/offensive - si fonda sulla raccolta, valutazione ed analisi di informazioni tempestive ed affidabili.
Sebbene questo processo di raccolta-valutazione-analisi venga generalmente considerato di competenza dello Stato, dovrebbe tuttavia essere effettuato - attraverso fonti aperte ed in collegamento con gli organi dello Stato - anche dal settore privato tenendo presente che le misure passive/difensive contribuiscono a pieno titolo all'incremento della sicurezza dei singoli e delle imprese. Bisogna tenere a mente che il settore produttivo continua ad essere, senza dubbio alcuno, obiettivo privilegiato del terrorismo internazionale.
Primo: identificare condizioni ambientali favorevoli al terrorismo dal punto di vista storico, politico, economico, sociale e religioso.
Il terrorismo non nasce nell'isolamento, è frutto invece delle condizioni ambientali esistenti nell'ambito di una data comunità, di un Paese o di una più ampia area geografica in un particolare momento storico. Alla sua nascita possono contribuire anche fattori geopolitici esterni alla particolare area in cui esso emerge, come dimostrano gli attentati terroristici compiuti per promuovere cause estranee al luogo in cui avvengono. Basti pensare come esempio ai recenti attentati effettuati contemporaneamente a Nairobi e a Dar es Salaam contro le locali Ambasciate statunitensi, le cui motivazioni sono certamente estranee sia al Kenya che alla Tanzania.
Secondo: determinare la presenza di una o più sottoculture radicali.
Le condizioni ambientali influenzano fortemente la nascita e la vitalità dei gruppi terroristici nazionali e transnazionali, ma vi è un altro elemento molto significativo che dovrebbe essere valutato con particolare attenzione: l'esistenza di una o più sottoculture radicali. Queste sottoculture traggono la loro ispirazione da ideologie a volte ben determinate, a volte piuttosto vaghe, che si rifanno a scuole di pensiero di sinistra, di destra, etniche, teocratiche, o miste. L'attivismo eversivo, cioè il primo stadio del conflitto non convenzionale, è il prodotto di un humus direttamente riconducibile ad una sottocultura radicale. A sua volta il terrorismo, nella sua espressione cosiddetta "dal basso", germoglia dall'attivismo eversivo. Emerge pertanto una relazione triangolare che in presenza di condizioni sociali favorevoli si traduce in: sottocultura radicale, attivismo eversivo, terrorismo. In assenza di una sottocultura radicale, condizioni ambientali precarie tendono a dar luogo a forme di protesta aperta piuttosto che ad atti di terrorismo vero e proprio.
Terzo: monitorare l'attivismo eversivo - pubblicazioni e propaganda rivoluzionarie - congiuntamente a dimostrazioni e ad attività anti-istituzionali.
Dal momento che l'attivismo eversivo rappresenta la culla del terrorismo, è imperativo che venga attentamente monitorato. Gli attivisti generalmente fanno opera di reclutamento, incitano la popolazione a forme di disobbedienza civile, fomentano disordini e ricorrono anche alla violenza aperta. Inoltre, l'attivismo eversivo - nello stadio in cui non ha ancora raggiunto la fase terroristica - convive spesso con gruppi terroristici ideologicamente contigui e può quindi rappresentare un ricco serbatoio di risorse sia dal punto di vista del reclutamento che del fiancheggiamento delle formazioni terroristiche, rinforzandone così i ranghi. La presenza di attivisti eversivi affiliati a diverse sottoculture radicali incrementa altresì la possibilità di emergenza di gruppi terroristici con orientamenti ideologici e politici contrastanti, moltiplicando così le fonti di provenienza del terrorismo. Avviene anche che gli attivisti eversivi di tanto in tanto ricorrano non soltanto a forme di violenza politica per così dire ordinaria, cioè esplicita, ma anche al terrorismo come opzione tattica.
Quarto: analizzare gli scritti ideologici dei terroristi e le loro rivendicazioni al fine di identificare i loro obiettivi nel medio e nel lungo termine.
La pubblicistica dei gruppi terroristici, sebbene spesso fuorviante ed ispirata da una percezione della realtà ideologicamente di parte, fornisce comunque indicazioni preziose circa l'orientamento, la concezione, gli scopi e gli obiettivi prioritari di una data formazione terroristica. I programmi politici e le dichiarazioni dei terroristi contribuiscono a fornire, anche se indirettamente, elementi per valutare il potenziale e l'organizzazione di un dato gruppo.
Quinto: registrare sistematicamente tutti gli episodi di natura terroristica per stabilire il modus operandi.
Per modus operandi di un gruppo si intende la scelta degli obiettivi (selezionata e/o indiscriminata), la tattica (scelta delle armi, agguati, incursioni, rapimenti, presa di ostaggi), le modalità (fattore tempo, attentati coordinati, obiettivi di insieme, attentati principali ed azioni collaterali diversive), la logistica e le operazioni di autofinanziamento, le rivendicazioni e le regole in caso di detenzione. Il modus operandi, il cui livello varia da gruppo a gruppo, è indicativo delle potenzialità presenti e future di un determinato gruppo terroristico. Il fatto che due o più gruppi scaturiscano dalla stessa sottocultura radicale non significa necessariamente che debbano condividere anche il modus operandi e le tattiche. Il modus operandi è anche soggetto a mutamenti nel tempo.
Sesto: determinare la struttura di un gruppo per valutarne il potenziale.
La struttura di una formazione terroristica fornisce indicazioni circa il suo potenziale a breve ed a lungo termine. Gruppi terroristici monocellulari, o pluricellulari e compartimentati, sono strutturati in forma più o meno rigida con una leadership più o meno centralizzata. In alcuni casi possono fungere da "ombrello" sotto il quale si raccolgono altre formazioni di minore entità. I militanti possono essere impiegati a tempo pieno o part time o in entrambi i modi. In molti casi i gruppi terroristici non sono che aggregazioni transitorie o createsi per l'occorrenza. La struttura e le dimensioni del gruppo condizionano non soltanto la sicurezza, la disciplina, l'addestramento, la leadership, il controllo, le comunicazioni, la pianificazione, le operazioni e la logistica, ma anche l'aspettativa di vita del gruppo stesso. Il fatto che gruppi diversi scaturiscano dalla stessa sottocultura radicale non significa necessariamente che debbano dotarsi della stessa struttura, anzi spesso è vero il contrario.
Settimo: individuare le organizzazioni, i movimenti e le reti palesi o semi-palesi che forniscono supporto al terrorismo.
Queste aggregazioni di fiancheggiatori esterne ai gruppi contribuiscono alle loro attività di propaganda, reclutamento e all'organizzazione logistica. Alcune di esse hanno base istituzionale: sono cioè presenti all'interno di scuole, fabbriche, sindacati, negli ambienti dei disoccupati, nei circoli politici extraparlamentari, nei campi profughi, nelle comunità di immigrati o in congregazioni religiose radicali. Altre invece sono localizzate in aree specifiche e questo avviene in particolar modo dove è presente il terrorismo di natura etnico-separatista. In alcuni casi i gruppi terroristici sono sostenuti da partiti politici, in genere extraparlamentari (eccezion fatta per alcuni casi ben noti). Alcuni gruppi sono sostenuti da reti impegnate nella raccolta illecita di finanziamenti interamente destinati alla causa terroristica.
Ottavo: verificare l'esistenza di eventuali collegamenti internazionali con gruppi stranieri omologhi e/o con Stati sponsor del terrorismo.
Quando esistono questi collegamenti sono generalmente di natura precaria, possono andare da una semplice contiguità ideologica fino ad un'ampia collaborazione logistica, e occasionalmente prevedono anche la realizzazione di operazioni congiunte. Comunque sia, rappresentano un'evidente minaccia dal momento che ampliano la base di supporto del gruppo terroristico nonché la sua sfera di azione. La sponsorizzazione da parte di uno Stato, che rappresenta comunque un'eccezione e non può ritenersi la regola, è di norma offerta a gruppi terroristici dotati di una doppia struttura: una palese che svolge attività socio-politica ed una clandestina più prettamente terroristica. Tale protezione fornita a gruppi terroristici "subnazionali" è generalmente condizionata da specifici interessi dello Stato e dalla possibilità che quest'ultimo ha di respingere eventuali accuse negando ogni coinvolgimento diretto (in inglese il plausible denial). Questo spiega in parte perché i gruppi terroristici tendono a cercare fonti di supporto diversificate e alternative rappresentate sia da Stati che da organismi privati. Il supporto finanziario e logistico presumibilmente fornito dal miliardario Osama bin Ladin ai gruppi islamici radicali che ricorrono al terrorismo è un esempio molto attuale di sponsorship privata. Tale caso riporta alla mente un precedente miliardario sponsor privato del terrorismo, Giangiacomo Feltrinelli, la cui ideologia e i cui obiettivi erano ben diversi da quelli di bin Ladin, ma che allo stesso modo faceva ricorso a metodiche violente e clandestine.
Nono: Individuare a fini di strumentalizzazione le debolezze e gli insuccessi dei terroristi sul piano della struttura e sul piano operativo.
I gruppi terroristici si affidano principalmente a due fattori: l'iniziativa e la sorpresa, ambedue strettamente legate alla clandestinità delle strutture e delle dinamiche. Allo stesso tempo sono condizionati da limitazioni che possono essere sfruttate dagli organismi impegnati nell'opera di contrasto. Prima di tutto, la necessaria natura clandestina dei gruppi terroristici rappresenta un'arma a doppio taglio, infatti la clandestinità richiede disciplina, impegno e le capacità di gestire lo stress. Il rispetto delle regole di sicurezza, in particolare la compartimentazione, deve essere costante: non vi sono spazi per distrazioni o rilassamento. I gruppi terroristici devono anche essere sempre vigili al fine di prevenire il dissenso interno ed eventuali fratture. Parallelamente, anche le reazioni e gli umori dei sostenitori e dei simpatizzanti vanno attentamente monitorate. Un sistema di reclutamento indiscriminato può anch'esso rivelarsi fatale, così come può essere problematico il rinnovamento dei ranghi. Infine, il fallimento nella realizzazione degli obiettivi previsti entro le scadenze temporali prefissate può rivelarsi devastante per qualsiasi gruppo terroristico. Gli organismi preposti alla lotta contro il terrorismo devono essere pronti a sfruttare tutti questi fattori.
Decimo: Determinare quale tipo di assistenza in termini qualitativi e quantitativi i Governi degli Stati alleati possono offrire nell'ambito della lotta al terrorismo.
L'atteggiamento che i Paesi adottano a fronte della minaccia terroristica varia - anche alla luce di priorità ed interessi nazionali contrastanti - e variano quindi anche le contromisure che i vari Paesi adottano. Posizioni convergenti o discordanti contribuiscono a rafforzare o ad indebolire le opzioni operative a disposizione dei gruppi terroristici internazionali (o anche interni), dei loro sostenitori e, in particolare, degli Stati-sponsor. Ove non vi sia convergenza tra Paesi a livello internazionale, o anche solo regionale, le agenzie impegnate nella lotta al terrorismo risultano fortemente indebolite.

I punti nono e decimo sotto l'aspetto operativo sono di esclusiva competenza degli organi di Governo. Il settore privato e produttivo deve comunque esserne consapevole, così come deve conoscerne le implicazioni, visto che si tratta di due passaggi che indirettamente contribuiscono al processo decisionale imprenditoriale nonché all'eventuale adozione di misure difensive/passive nell'ampio settore della sicurezza fisica.
Sebbene concettualmente consequenziali, i punti sopraelencati andrebbero in genere applicati congiuntamente, in particolare quando si affrontano soggetti molteplici e diversi che si sono resi responsabili di azioni eversive, terroristiche o di entrambi i tipi. Non va infine dimenticato che anche dopo l'emergere del terrorismo, a fronte del fallimento per motivi politici o tecnici dell'azione di prevenzione, questa attività informativa - la indications-and-warning intelligence - può essere di grande aiuto nelle fasi del contenimento e della repressione del terrorismo.


La indications-and-warning intelligence, applicata al fenomeno del terrorismo, è uno strumento valido al fine di individuare minacce e tendenze del fenomeno; se i risultati verranno appropriatamente elaborati e utilizzati, tale azione contribuirà sicuramente sia alla prevenzione che alla repressione, anche se non può essere considerata una ricetta infallibile contro il terrorismo. Gli anni '90 vanno portati ad esempio con riferimento alla complessità ed alle difficoltà proprie della valutazione e del processo di analisi susseguente la raccolta di informazioni sulle dinamiche della fase "pre-terroristica" e di quella terroristica. Le previsioni sono a loro volta ancor più difficili così come dimostrano molti casi di previsioni azzardate senza solide basi.
Nel corso di questo decennio, moltissimi osservatori hanno espresso la propria preoccupazione alla luce di un'inquietante tendenza a ricorrere alla violenza per realizzare una gamma sempre più ampia di obiettivi. Ciò risponde sicuramente a verità, tuttavia, nello stesso contesto, molti commentatori hanno sostenuto che il terrorismo viene oggi utilizzato quale supporto per iniziative imprenditoriali criminali, questioni sociali, conflitti etnici, fervore religioso, conflitti tradizionali per il potere politico e insurrezioni. Un elenco così ampio ed eterogeneo porta a sottovalutare il fatto che il terrorismo comporta violenza, anzi una forma particolare di violenza o, più specificatamente, una forma particolare di violenza politica. Se non si opera tale distinzione inevitabilmente si incorre in confusione e le informazioni di base di cui si è entrati in possesso perdono in parte la loro utilità.
Ancora, esponenti di spicco e non nell'ambito della lotta al terrorismo hanno altresì sostenuto che negli ultimi anni la maggior parte degli atti di terrorismo non è risultata ascrivibile a Stati sponsor o a loro agenti, né a gruppi terroristici organizzati. Mentre dagli stessi è stato sottolineato come un numero sempre crescente di terroristi risulti privo di una chiara e specifica affiliazione. Si tratta di una valutazione fuorviante in quanto non tiene in alcun conto la prospettiva storica, secondo la quale invece la maggior parte degli atti di terrorismo, in particolare quelli di minore gravità che sono statisticamente i più numerosi, viene perpetrata da formazioni dalla struttura fluida o anche da aggregazioni createsi per l'occorrenza, in ambedue i casi senza alcuna forma di sponsorizzazione da parte di Stati. Molto si può ancora apprendere circa le strutture e le dinamiche del terrorismo sulla base della vasta esperienza maturata in Europa occidentale sia in relazione al terrorismo interno che transnazionale, pur a fronte di una contrazione, statisticamente verificata, dei fenomeni nella regione nel corso degli anni '90.
Per quanto concerne la mancanza di specifica affiliazione, vale la pena sottolineare che tra i precedenti criminologici si trovano anche gravi atti di violenza perpetrati da singoli individui su iniziativa personale senza alcun collegamento con altri, gruppo di appartenenza o complici che siano. In alcuni casi questi solitari hanno operato in forma clandestina e possono esser stati spinti da una ispirazione politica. Ci si pone l'interrogativo: anche questi atti vanno inclusi sotto la voce terrorismo? Alcuni commentatori hanno dato risposta affermativa. Tuttavia, dal momento che la sfera politica implica un'interazione di gruppo (ubi homo ibi societas), in relazione alla organizzazione ed alle dinamiche di una comunità, tali atti di violenza compiuti da individui isolati costituiscono, se proprio si vuole, incidenti terroristici atipici, ai quali manca l'obiettivo di gruppo, e come tali andrebbero quindi analizzati.
Maggiore delicatezza riveste invece la questione dell'utilizzo da parte dei terroristi delle armi di distruzione di massa. In ambito internazionale, molti osservatori hanno registrato globalmente una diminuzione degli atti di terrorismo, accompagnata però da un incremento nel numero di attacchi a maggiore connotazione di violenza. Da tale constatazione si è evinta l'esistenza di una maggiore propensione da parte dei terroristi - in particolare di quelli di matrice religiosa (forse teocratica sarebbe un termine più preciso) e/o etnica, i quali sono attualmente i più attivi - a colpire in forma più distruttiva. Tali considerazioni hanno portato a coniare termini quali superterrorismo o megaterrorismo che evocano scenari apocalittici.
Al fine di evitare equivoci ed apprensioni ingiustificate, si rendono necessari alcuni chiarimenti:
- prima di tutto, il progresso tecnologico ha reso le armi tradizionalmente utilizzate dai terroristi (esplosivi e armi da fuoco) progressivamente più distruttive ed accurate;
- in secondo luogo, è possibile che terroristi contemplino la possibilità di entrare in possesso a fini intimidatori, o anche di usare armi di distruzione di massa, in precedenza definite come nucleari-biologiche-chimiche (NBC). Tuttavia, queste armi comportano una serie di problemi per quanto concerne la produzione, la conservazione, il trasporto e poi la effettiva utilizzazione. è altresì improbabile che tali armi vengano acquisite direttamente dagli Stati sponsor, non solo perché si tratta di beni conservati gelosamente da chi ne è in possesso, ma anche in ragione del fatto che il rapporto esistente tra uno Stato sponsor ed i gruppi terroristici è di natura precaria;
- in terzo luogo, il ricorso strategico o semplicemente tattico, in termini militari, ad armi di distruzione di massa da parte di gruppi terroristici - nel senso più specifico del termine, e quindi non da parte di sette pseudo-religiose - risulterebbe sproporzionato e potrebbe comportare anche l'autodistruzione della formazione il cui scopo finale è invece la realizzazione di un mutamento politico, anche se con metodi violenti;
- quarto. L'eventualità più probabile è rappresentata dal ricorso da parte di gruppi terroristici, per i loro scopi precipui, ad agenti chimici come quelli utilizzati dalle Forze di Polizia per il mantenimento dell'ordine pubblico;
- quinto. La proliferazione di armi di distruzione di massa, che rappresenta certamente una fonte di apprensione nel dopo Guerra Fredda, coinvolge sostanzialmente Stati e, per esigenze di chiarezza, tale denominazione non può applicarsi ad altri tipi di aggregazioni;
- sesto. Va da sé che tali armi non devono finire in mani non autorizzate, in quanto non può escludersi l'eventualità di un loro utilizzo improprio.
In sostanza, comunque, gli attentati terroristici per quanto indiscriminati o mirati a colpire nella massa siano stati e, con ogni probabilità continueranno ad essere, avranno sempre obiettivi circoscritti non paragonabili ai massacri provocati da conflitti militari o da guerre civili, basti pensare a quanto sta avvenendo in Algeria.
Fino ad oggi gli attentati terroristici che hanno causato un numero considerevole di vittime sono in effetti una rara eccezione, nel contesto dei 12.906 incidenti terroristici di natura internazionale registrati nel mondo dal 1968 al 1997, e vengono quindi classificati sotto la voce convenzionale "attentati spettacolari". Qui di seguito un elenco dei più eclatanti nell'ambito interno ed internazionale:
· 23 ottobre 1983. 241 morti a seguito dell'esplosione di un "veicolo-bomba" lanciato contro una caserma dei Marines statunitensi a Beirut. Responsabile: la Jihad Islamica.
· 23 giugno 1985. 329 morti a seguito dell'esplosione, nei cieli sovrastanti le acque territoriali irlandesi, di un ordigno situato all'interno di un bagaglio caricato a bordo di un Boeing 747 dell'Air India. Responsabili: i separatisti Sikh.
· 29 novembre 1987. 115 morti a seguito dell'esplosione, al limite tra gli spazi aerei di Thailandia e Birmania, di un ordigno posto a bordo di un Boeing 707 della Korean Air. Responsabili: agenti nord coreani.
· 21 dicembre 1988. 270 morti a seguito dell'esplosione nei cieli sovrastanti Lockerbie, Scozia, di un ordigno posto nel bagagliaio del volo 103 della Pan Am. Responsabili: si sospetta il coinvolgimento dell'intelligence libica.
· 19 settembre 1989. 171 morti a seguito dell'esplosione, nello spazio aereo del Ciad, di un ordigno situato nel bagagliaio di un DC-10 della UTA. Responsabili: si sospetta il coinvolgimento dell'intelligence libica.
· 19 aprile 1995. 168 morti a seguito dell'esplosione di un "veicolo-bomba" parcheggiato di fronte al Federal Building di Oklahoma City. Responsabili: estremisti di destra.
· 7 agosto 1998. 263 morti a seguito di due attentati dinamitardi contemporanei contro le sedi diplomatiche statunitensi in Kenya e Tanzania. Responsabili: le autorità statunitensi puntano il dito contro i radicali islamici.
A questo elenco vanno aggiunti numerosi altri incidenti che hanno provocato morti nell'ordine delle decine, ma anche questi non devono considerarsi la regola, infatti la stragrande maggioranza di attentati ha avuto come obiettivi o singoli individui o piccoli gruppi di persone. Ancora, vi sono stati attentati terroristici sventati o falliti che avrebbero potuto provocare un numero considerevole di vittime che non possono però essere quantificate.
L'ultimo tema di interesse in questo campo è il cyberterrorismo (terrorismo informatico) un'altra parola di recente conio utilizzata per indicare situazioni che travalicano la sfera del terrorismo, ma anche per formulare infauste predizioni. Non vi è dubbio che i più importanti sistemi infrastrutturali in ambito nazionale ed internazionale si affidano sempre di più alla tecnologia informatica, che è tuttavia altamente vulnerabile in termini di attacco o infiltrazione. Tra i numerosi potenziali aggressori in questo settore vanno annoverati: personale militare straniero, agenti informativi stranieri, criminali comuni o organizzati, imprese commerciali concorrenti, pirati informatici ed anche terroristi. In pratica, tuttavia, tutti questi potenziali aggressori devono prima sviluppare e poi mantenere un livello di potenziale elettronico sempre più sofisticato in un settore in costante evoluzione. Si tratta di una sfida per qualunque gruppo terroristico, sia esso un'organizzazione, una formazione o un'aggregazione spontanea. I dati pubblici finora disponibili dimostrano che i terroristi hanno sì fatto ricorso alla tecnologia informatica, ma soprattutto quale supporto complementare per le comunicazioni, l'addestramento, la propaganda e, occasionalmente, per recapitare le proprie minacce. Al momento non vi sono elementi che dimostrino un ricorso da parte dei terroristi all'informatica come strumento operativo di offesa, solo occasionalmente sono state colpite strutture informatiche, ma con metodiche terroristiche tradizionali. In proposito, come nel caso di un ipotetico ricorso da parte dei terroristi alle armi di distruzione di massa, è opportuno prendere in esame misure protettive e di sorveglianza, mentre abbandonarsi ad orribili previsioni non aiuta la causa della lotta al terrorismo.


L'intelligence, ivi compresa la indications-and-warning intelligence, costituisce parte integrante dell'azione di contrasto al terrorismo. Oltre alla sua funzione intrinseca, la indications-and-warning intelligence è preziosa dal punto di vista metodologico per ideare scenari realistici e per effettuare esercitazioni efficaci dal punto di vista dell'addestramento anti-terroristico. Tutte le considerazioni legate alla pianificazione di simulazioni per la lotta al terrorismo non possono non tener conto di questo aspetto dell'arte dell'intelligence. Qui di seguito vengono riportate alcune indicazioni per esercitazioni che evidenziano il ruolo focale spettante ai vari settori dell'intelligence.
· Concentrarsi sull'ordine pubblico quando si presenta uno scenario di terrorismo interno:
- ogni episodio terroristico è un reato violento o un atto di preparazione per un reato violento;
- viene perpetrato da un gruppo strutturato in forma rigida o fluida o da un'aggregazione appositamente formatasi;
- ha una matrice politica ed il suo scopo trascende le conseguenze immediate dell'atto terroristico in sé;
- le dinamiche sono clandestine;
- il suo obiettivo/i è simbolico, concreto o entrambi;
- i suoi obiettivi privilegiati sono accessibili e remunerativi;
- la responsabilità per l'azione può essere o non essere rivendicata;
- un atto terroristico è in molti casi parte di una serie o l'inizio di una serie;
- se il terrorismo interno viene appoggiato dall'estero, acquisisce carattere internazionale, ciò che comporterà un ampliamento della prospettiva.
· Concentrarsi sulla sicurezza pubblica e sulla sicurezza nazionale quando si presenta uno scenario di terrorismo internazionale:
- le considerazioni sopraelencate sono applicabili anche a scenari di terrorismo internazionale, tuttavia ad esse ne vanno aggiunte alcune altre;
- vengono coinvolti cittadini o territori di più di un Paese;
- le dinamiche operative sono spesso transnazionali;
- la natura internazionale/transnazionale dell'azione, incidente, o situazione trascende la sicurezza pubblica e incide sulla sicurezza nazionale;
- la prova o la possibilità che il terrorismo internazionale/transnazionale sia sponsorizzato da uno Stato aumenta la portata della minaccia di un singolo atto o di una pluralità di atti terroristici;
- la sponsorizzazione di un atto di terrorismo costituisce una violazione delle normative internazionali che può scatenare reazioni specifiche all'atto o agli atti di aggressione.
· Quando il fatto di terrorismo si presenta in territorio straniero occorre concentrarsi sulle implicazioni per gli interessi di politica estera:
- un singolo atto o una serie di atti terroristici che si verificano all'estero possono, in determinate circostanze, recare danno agli interessi di politica estera di Nazioni che non ne sono obiettivi primari;
- tali interessi comprendono la stabilità regionale, l'equilibrio delle alleanze, gli investimenti nel settore produttivo.
· Casi che richiedono cooperazione con Governi stranieri:
- atti terroristici all'interno che tocchino interessi di Governi stranieri;
- atti terroristici all'estero che tocchino interessi nazionali;
- situazioni nelle quali l'assistenza da parte di Governi stranieri possa contribuire alla risoluzione di uno o più atti terroristici, anche se le strategie di contrasto al terrorismo differiscono da Paese a Paese.
· Applicazione dei criteri e delle procedure in uso presso l'organismo competente in via principale:
- per rispondere a scenari di terrorismo interno;
- per rispondere a scenari di terrorismo internazionale/transnazionale;
- contributo di organismi non primariamente competenti per la risoluzione di incidenti o di danni collaterali in scenari specifici.
· Possibilità di impiego delle Forze armate all'estero:
- missioni di soccorso;
- risposta alla sponsorizzazione del terrorismo da parte di uno Stato;
- relazioni con altri Stati: procedure e problemi effettivi/potenziali.
· Possibilità di ricorrere ad azioni sotto copertura quando si simulano scenari che vanno oltre le situazioni contingenti immediate:
- rischi intrinseci;
- considerazioni illustrate in precedenza sotto la voce relazioni con Governi stranieri.


Un esperto osservatore ha sottolineato impietosamente come il terrorismo sia un tema mal definito che attrae impostori e dilettanti come una candela attrae insetti. Dal momento che si tratta di una forma particolare di violenza politica che trova le proprie radici nel conflitto non convenzionale, il terrorismo non deve essere confuso con altri fenomeni e deve essere contrastato con strumenti e professionalità specifici. L'intelligence, in particolare la indications-and-warning intelligence, è uno strumento di contrasto al terrorismo e i suoi criteri e modalità devono essere inclusi nelle simulazioni a scopo di addestramento. Obiettivo finale della indications-and-warning intelligence è in definitiva quello di acquisire informazioni tempestive ed attendibili al fine di offrire soluzioni concrete in tempi brevi. Per quanto avvincenti, gli scenari propri del thriller dovrebbero essere lasciati al regno della finzione letteraria e cinematografica al quale di diritto appartengono.


(*) Traduzione a cura della redazione.

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