Trascorso un quinquennio dalla pubblicazione dei primi studi organicamente dedicati al tema dell'intelligence economica (1), si è voluto tracciare un punto di situazione sull'argomento attraverso un forum al quale hanno dato adesione il Prof. Mario Baldassarri, l'On. Franco Frattini e Stefan Von Stenglin della BundesBank di Francoforte.
Sul tema la dottrina, sin dal primo momento, si è orientata a costruire una "ingegneria strategica dell'informazione", da applicare all'insieme dei sottosistemi che compongono il "Sistema-Paese", finalizzata ad individuare una politica di intelligence in grado di garantire la sicurezza e di prevenire e combattere fenomenologie volte a destabilizzare il comparto economico di uno Stato.
I Paesi maggiormente industrializzati, consapevoli di doversi dotare di strutture in grado di gestire le scelte di strategia industriale e finanziaria, hanno provveduto ad adeguare l'assetto organizzativo istituzionale alla competizione geoeconomica ed a creare punti organici di saldatura tra apparato produttivo privato e Stato. Uno studio che risale al 1995 (2) ha evidenziato in proposito le debolezze e le inadeguatezze dell'organizzazione italiana, soprattutto se questa è messa a confronto con quanto sin da allora posto in essere dagli altri Paesi.
Globalizzazione e dinamicità, componenti qualitative strettamente correlate ed oramai comunemente accettate in tutto il mercato dell'informazione, impongono, a chi opera nella pratica quotidiana in questo particolare settore della ricerca di intelligence, strategie di offesa e difesa a tutto campo.
L'affinamento degli strumenti utilizzati dall'intelligence passa attraverso il potenziamento del capitale umano ed attraverso la capacità di raccordare la ricerca informativa al mondo della cultura e dell'imprenditoria; questo processo potrebbe tuttavia non dare frutti, se mancasse un coordinamento capace di garantire che le informazioni circolino agevolmente ed attraverso ben definiti punti di raccordo tra pubblico e privato.
Proprio in relazione a ciò il primo tema posto all'attenzione degli illustri ospiti verte sulla possibilità, nell'attuale quadro di globalizzazione dei mercati ed in armonia con la nostra partecipazione all'Unione europea, di fissare una linea politica concepita per tutelare, in tutto o in parte, il comparto economico del nostro "Sistema-Paese".
Frattini: L'individuazione di una linea politica finalizzata alla tutela del comparto economico del nostro Paese è senz'altro indispensabile.
A tale conclusione induce, in primo luogo, la diversificazione del quadro della minaccia conseguente al superamento degli assetti geopolitici consolidatisi dopo la seconda guerra mondiale. In tale contesto, si è venuta ad evidenziare progressivamente con sempre maggiore chiarezza l'inscindibile connessione tra la nozione di sicurezza del Paese ed il profilo della stabilità economica del suo sistema economico, considerato nel suo complesso.
In secondo luogo, la stretta interdipendenza dei sistemi economici nazionali che caratterizza il processo di irreversibile globalizzazione dell'economia si associa e si fonda sullo sviluppo dei mezzi di comunicazione. La straordinaria velocità con cui i fenomeni economico-finanziari registrati in un'area del mondo si ripercuotono sull'intero pianeta richiede, sul piano politico, decisioni complesse e praticamente immediate. è dunque indispensabile garantire ai responsabili politici un supporto conoscitivo ampio, approfondito e tecnicamente evoluto, per la cui definizione possono risultare insufficienti i tradizionali strumenti di acquisizione informativa, di analisi e di studio. In tale contesto possono trovare utile terreno di dispiegamento proprio le modalità operative e la tecnica dell'attività di intelligence, previa la definizione - come è ovvio - di un contesto normativo e di indirizzi coerenti con i principi che governano l'ordinamento interno e la comunità internazionale.
Non ritengo in particolare che l'indubbia esigenza di individuare strumenti elastici ed efficaci per garantire la stabilità complessiva del "Sistema-Paese" venga a porsi necessariamente in conflitto con gli impegni assunti in sede comunitaria ed internazionale, ove si definisca un quadro di regole che individui limiti ben precisi alle iniziative consentite in materia agli Organismi di intelligence e si facciano salvi i canoni universalmente riconosciuti dell'attività economica internazionale.
Von Stenglin: Tutti gli Stati all'interno della U.E. hanno, finora, insistito per il controllo assoluto soprattutto nei settori dell'economia e dei servizi che sono di strategica importanza (produzione di armi, settore energia/trasporti) o indispensabili per la struttura statale/logistica. Nell'ambito della legge europea, nel quadro della privatizzazione di aziende statali, molto spesso anche in questi ambiti protetti, si sono inserite imprese private che da parte loro hanno intrapreso cooperazioni transfrontaliere e partecipazioni oppure operato acquisizioni, così sottratte al controllo nazional-statale. In tal senso lo Stato nazionale ha ceduto larghe parti dei suoi diritti di competenza (autorità) e di intervento alle imprese private.
Tuttavia è fuori discussione che continueranno ad esserci - indipendentemente dai citati intrecci economici - settori rispetto ai quali lo Stato nazionale non rinuncerà, per esempio, al diritto di detenere stabilimenti produttivi propri (ad esempio produzione militare, energia), esigenza necessaria per la sicurezza interna ed esterna, diversa a seconda della posizione geografica, della grandezza e dell'orientamento politico governativo. Per questo occorre una politica di definizione dell'interesse nazionale che venga stabilita dai Parlamenti nazionali e messa in pratica dai rispettivi Governi e di cui essi debbano rispondere. Questo interesse nazionale continuerà ad esistere in un prossimo futuro, al di là di una globalizzazione più vasta e di una maggiore integrazione degli staff-membri della Comunità Europea. L'interesse nazionale non esiste soltanto nel settore della politica estera o culturale, ma in qualsiasi azione nei confronti di altri Stati, anche se membri dell'Alleanza.
Ne consegue anche un naturale rapporto di concorrenza che rende inevitabilmente necessari programmi politici a tutela di propri interessi.
L'Unione Europea è destinata a divenire, comunque, sempre più salda; l'Europa è in procinto di dare vita all'Unione Monetaria, che potrà avere l'effetto di limitare ancora di più gli ambiti di politiche tese a proteggere interessi nazionali.
E' comunque un fatto che il costo, in termini di "peso" sociale, che i singoli Paesi pagano per il processo di unificazione, con particolare riferimento all'Unione Monetaria, può essere alto.
Nella prospettiva di veder comparire possibili spinte destabilizzanti non è, forse, opportuno alleggerire il "peso" dei Trattati?
Baldassarri: Bisogna innanzitutto comprendere la differenza profonda che esiste tra la "logica del pre-euro" e la "logica del post-euro". Infatti per poter entrare nella moneta comune poteva essere sufficiente rispettare i parametri di equilibrio finanziario previsti nel Trattato. L'Italia ad esempio, avendo intrapreso la strada in grave ritardo, è stata costretta a raggiungere il famoso 3% nel rapporto deficit/Pil attraverso prevalentemente un aumento della pressione fiscale ed una diminuzione degli investimenti pubblici. In realtà questo è vero anche per quasi tutti gli altri Paesi europei. Nel post-euro, invece, avendo posto i paletti della stabilità monetaria e dell'equilibrio di bilancio pubblico bisogna chiedersi se sia possibile mantenere un livello della spesa pubblica attorno al 50% del Pil, che per di più è dovuta quasi totalmente a spesa corrente, ed un conseguente livello delle entrate pubbliche totali appena sotto il 50% del Pil e, contemporaneamente, poter avere uno sviluppo sopra il 3% annuo e tale da riassorbire la disoccupazione. Ebbene, è mia opinione che questo non sia possibile. Se si mantiene inalterato il peso e la struttura del bilancio pubblico, l'Europa ed ancor più l'Italia si autocondannano ad avere sempre bassa crescita e quindi elevati tassi di disoccupazione. La proposta emersa negli ultimi tempi, anche a seguito delle maggioranze di sinistra che sono andate al Governo nei grandi Paesi europei, è quella di rilanciare l'economia attraverso l'aumento degli investimenti pubblici, escludendoli dal conto del deficit previsto nel patto di stabilità e quindi considerandoli "aggiuntivi" rispetto allo stesso patto. In tal caso rimarrebbe comunque il problema di come rilanciare gli investimenti privati produttivi senza procedere ad un abbattimento della pressione fiscale oppure di procedere a ridurre la pressione fiscale senza considerare anche questo tipo di provvedimento dentro il tetto previsto dal patto di stabilità. In entrambi i casi però, cioè rilancio degli investimenti pubblici e privati, si tratterebbe di fatto di sfondare il tetto del deficit pubblico senza toccare la spesa corrente. In tal caso i mercati potrebbero cambiare le loro aspettative considerando questa strada più accomodante di quanto stabilito nel Trattato di Maastricht e quindi potrebbero determinare un aumento dei tassi di interesse che costringerebbe la Banca Centrale Europea a seguire una politica monetaria restrittiva. Di conseguenza i vantaggi del rilancio degli investimenti potrebbero risultare effimeri e controbilanciati da più alti tassi di interesse.
In realtà, quindi, il nodo vero sta nel rilanciare gli investimenti per promuovere sviluppo ed occupazione mantenendo il vincolo sul deficit pubblico totale. Questo significa una sola cosa e cioè la "politica" europea deve rendersi conto che per conseguire sviluppo ed occupazione occorre fare le riforme strutturali dello stato sociale e del mercato del lavoro che riducano la spesa corrente e rendano più flessibile il mercato del lavoro. Cambiando semplicemente i parametri del Trattato si rischia di illudersi che sia possibile conseguire sviluppo ed occupazione senza fare le riforme.
Per quanto concerne in particolare l'Italia, questa sta affrontando, sul cammino dell'Unione Monetaria, il grave problema del debito pubblico. C'è da chiedersi se ciò possa essere ritenuto un problema reale da parte dei nostri partners europei.
Baldassarri: Il 1° gennaio del 1999 tutti i debiti pubblici degli undici Paesi dell'Unione Monetaria saranno convertiti in euro. Di fatto quindi il nostro debito pubblico diventa anche formalmente debito di tutta Europa. è logico dunque che il suo elevato ammontare che preoccupa noi può e deve preoccupare i nostri partners. Per questo dobbiamo assicurare, a noi ed a loro, che il suo rapporto rispetto al Pil scenda in modo certo e deciso verso il 60%, anche se è ragionevole pensare che questo processo non possa che avvenire in non meno di dieci anni.
Delineato il contesto nel quale si dovrà orientare l'azione dei Servizi di intelligence europei, laddove si evidenzia una crescente interdipendenza delle economie accentuata dalla prossima conversione in euro dei debiti pubblici di tutti i Paesi dell'Unione Monetaria, diventa indispensabile definire un ruolo preciso per l'intelligence economica, anche in ragione dell'evolversi dei rapporti fra i Servizi dei Paesi membri dell'U.E..
Frattini: La funzione essenziale che dovrebbe essere assegnata agli Organismi informativi può essere individuata in primo luogo nella neutralizzazione delle minacce che possano compromettere la stabilità del sistema economico inteso nel suo complesso incidendo sulle sue "macrovariabili" (stabilità del sistema dei cambi, garanzia del libero esplicarsi del meccanismo della concorrenza, efficienza degli investimenti, crescita in equilibrio della ricchezza prodotta, sviluppo dell'occupazione, eccetera).
Più in particolare, l'intelligence economica non deve essere intesa quale strumento di competizione attiva e di intervento sui mercati paralleli a quelli degli operatori istituzionali e ad essi ignoti; ciò costituirebbe un'inaccettabile violazione al principio fondamentale della libera concorrenza ed una alterazione surrettizia delle relative regole. Dagli organismi informativi operanti nel settore ci si dovrebbe piuttosto attendere l'analisi approfondita ed in tempo reale dei fenomeni economici e delle connesse tendenze, finalizzata a sterilizzarne i possibili effetti negativi a carico delle grandezze economiche fondamentali per il Paese. La funzione prioritaria dell'intelligence in proposito può dunque ravvisarsi, a mio avviso, in un'attività di controspionaggio economico in cui prevalgono in maniera decisiva le capacità di analisi e di previsione sostenute da un altissimo livello professionale. In breve, l'intelligence deve permettere di dare risposte preventive ad emergenze per le quali la risposta successiva e per così dire "repressiva" finirebbe per risultare inutile.
In secondo luogo, l'attività in questione deve rivolgersi ai fenomeni economico-finanziari in atto in modo da coglierne tempestivamente le implicazioni non solo, come detto, a carico degli indicatori del benessere materiale del Paese, ma anche sul piano della sicurezza generale di quest'ultimo. È cioè necessario valutare la misura in cui gli scenari economici possano influenzare le variabili tradizionali della sicurezza, sul piano ad esempio della tutela delle istituzioni democratiche, dell'ordine pubblico e del pacifico godimento dei diritti costituzionali. Basti considerare i gravi problemi causati, sotto i profili da ultimo ricordati, dall'afflusso nel nostro Paese dei profughi albanesi determinato dalla crisi delle società finanziarie cosiddette "piramidali", senza contare la devastante perdita di immagine subita dal nostro settore del turismo. E il medesimo discorso può ovviamente estendersi a tutte le situazioni di disagio sociale ed economico che si dovessero registrare nell'area geopolitica di immediato interesse per l'Italia.
È evidente che, in un simile contesto, le relazioni con i Paesi europei - e segnatamente con i rispettivi Servizi di informazione e sicurezza - dovrebbero parzialmente sganciarsi dalle logiche che governano i processi di integrazione in atto, senza per altro giungere all'instaurarsi di situazioni di conflitto ai limiti dell'incidente diplomatico. Ritengo che potrebbe accentuarsi in proposito la prospettiva di collaborazioni biunivoche. In sostanza, il nostro Paese deve essere in grado di dare, non solo di ricevere, in modo da perseguire un incremento qualitativo della nostra partecipazione alla comunità di intelligence internazionale. Ciò consentirebbe il consolidamento dei rapporti con gli Organismi informativi dei Paesi con i quali già esistono buone relazioni.
Von Stenglin: I Servizi informativi sono, molto più che le Forze Armate e esattamente come la Polizia, strutture con un orientamento fortemente nazional-statale. Anche se proprio nell'ambito della NATO e della U.E. la collaborazione fra i Servizi si è ulteriormente intensificata, rimangono strutture nazionali che lavorano per gli interessi del proprio Stato.
La collaborazione fra i Servizi europei è, poi, particolarmente stretta quando si tratta di intelligence o di lotta ad azioni che minacciano la sicurezza della Comunità degli Stati europei in toto o di attività che si manifestano nella stessa misura negli Staff-membri e l'armonizzazione di contromisure da parte di tutti gli interessati (Schengen) si rende necessaria.
Tuttavia i Servizi di informazione e di sicurezza avranno, anche in un prossimo futuro, soprattutto il compito di difendere gli interessi nazionali. Se un giorno ci sarà una politica estera comune dell'Unione Europea, guidata a livello centrale, l'importanza dei Servizi informativi nazionali in questo settore dovrebbe, è vero, diminuire, ma non venire meno.
Così nulla cambierà nel dato di fatto che i Servizi di informazione resteranno sempre strumenti nazionali dei Governi, orientati in modo conforme all'importanza politico-economica del proprio Paese.
Tra i loro compiti vi è quello di tenere lontano dal proprio Stato pregiudizi, soprattutto nei settori di particolare interesse nazionale (per esempio lo spionaggio mirato all'alta tecnologia).
Frattini: È bene ribadire peraltro che, pur essendo auspicabile un atteggiamento di maggiore autonomia del nostro Paese rispetto ai partners europei, non può essere concepita alcuna iniziativa di natura offensiva. La stabilità del sistema economico di ciascuno degli Stati membri dell'Unione è del resto condizione indispensabile perché questa si realizzi pienamente, ed è proprio a questo obiettivo che deve tendere l'attività di intelligence economica. Un'ipotetica speculazione sulla lira simile a quella verificatasi nel 1992 diminuirebbe ad esempio sensibilmente il grado di affidabilità del nostro Paese nel contesto comunitario, con le conseguenze che è facile immaginare, soprattutto nella delicata fase di consolidamento della Moneta unica europea attualmente in atto.
Ciò non toglie che i risultati di un'attenta attività di intelligence economica, ad esempio sotto il profilo della valutazione delle condizioni economiche di un determinato Paese, possano anche supportare azioni non meramente difensive. Mi riferisco, ad esempio, agli eventuali pareri resi su iniziativa di nostri imprenditori che intendessero investire all'estero. Tale iniziativa avrebbe per altro natura mediata e indiretta. Potrebbe darsi l'ipotesi di un Paese che, secondo informazioni riservate, è destinato a cadere a breve termine in una grave crisi economica o in una fase prolungata di instabilità politico-sociale. Tali informazioni, di cui vengono usualmente messi a parte la rete diplomatica e consolare e gli uffici locali dell'ICE, possono essere legittimamente utilizzate da questi ultimi a fronte di eventuali richieste provenienti dal mondo imprenditoriale, per l'espressione di pareri positivi o negativi circa il contesto in cui l'investimento verrebbe a collocarsi.
Uno dei punti nodali del dibattito culturale sull'intelligence economica verte sulla necessità di determinare quali siano i settori di preminente interesse nazionale da tutelare, ad esempio in relazione alle privatizzazioni. Secondo parte della dottrina, nel settore dell'industria e del commercio, in particolare, possono essere identificati segmenti da ritenere di interesse strategico per lo Stato, mentre per altri studiosi la libera concorrenza e l'efficienza sono i soli strumenti adatti a tutelare la sicurezza dei mercati.
Frattini: è forse illusorio ritenere che il semplice funzionamento del mercato, sia pure in condizioni di concorrenza e di efficienza, sia in grado di sterilizzare gli effetti distorsivi che possono prodursi a carico della sicurezza nazionale in conseguenza di interventi leciti in sé considerati.
Si pensi ai meccanismi di riciclaggio del denaro sporco. Non c'è dubbio che operatori avveduti e tecnicamente preparati possano realizzare operazioni di riciclaggio, immettendo nel circuito dell'economia "sana" capitali di provenienza illecita, senza che il funzionamento del singolo mercato ne rimanga per ciò stesso compromesso.
Si pensi ancora alle procedure di privatizzazione. in tale contesto, la conoscenza approfondita degli aspiranti acquirenti e del quadro complessivo di rapporti e di relazioni in cui questi operano consente di apprezzare nelle sue conseguenze ultime, spesso non immediatamente percepibili, gli effetti del trasferimento ai privati di rilevanti quote di ricchezza detenute dalla mano pubblica. Anche in tal caso, senza una specifica attività conoscitiva perseguita con le tecniche proprie dell'intelligence, l'esercizio delle tradizionali prerogative che lo Stato si riserva nell'ambito dei processi di privatizzazione (si pensi alle facoltà connesse alla cosiddetta golden share) può risultare supportato da elementi solidi solo in apparenza, ma che in realtà tali non sono.
In terzo luogo non può disconoscersi l'esistenza di settori economici in cui l'interesse della sicurezza del Paese emerge con particolare evidenza, risultando di fatto assorbente. Mi riferisco, ad esempio, alla produzione ed al commercio delle tecnologie "dual use" e dei materiali di armamento. Poiché in tali casi il libero esplicarsi del meccanismo della domanda e dell'offerta è già condizionato in partenza dalla forte presenza dell'apparato pubblico, determinata da precisi e ben individuati contesti politici e strategici, l'adozione di decisioni ad alto contenuto di politicità non supportate da un adeguato quadro conoscitivo, costruito anche attraverso le tecniche non convenzionali dell'intelligence, si manifesta in tutta la sua pericolosità.
Von Stenglin: Come già detto, vi sono settori industriali e commerciali che sono di interesse nazional-statale/strategico. L'ampiezza ed il numero di questi settori dipendono dall'importanza che il rispettivo Stato attribuisce loro sulla base del quadro dei propri interessi. Il quadro degli interessi dello Stato non viene, però, determinato soltanto dalla sue dimensioni, dalla sua posizione geografica e dai suoi rapporti esterni nella tradizione e nello stato attuale, ma anche dai parametri politico-ideologici che il rispettivo Governo indica. Sistemi politici, che tendono verso una concezione dello Stato centralistica o quelli che traggono da provvedimenti statali garanzia per l'occupazione, non rinunceranno al possesso di aziende statali e all'influenza sul settore commerciale ed industriale.
La libera concorrenza viene consentita solo lì dove non vengono toccati interessi strategici o politico-ideologici dello Stato.
Una delle principali minacce, presenti soprattutto in un mercato globalizzato, è costituita dalla presenza di capitali provenienti dalla criminalità organizzata. Tutti sono stati immediatamente d'accordo nell'affidare all'intelligence un ruolo determinante e di prima linea in questo settore. In questa ottica appare necessario individuare i mezzi dei quali un Servizio di intelligence deve dotarsi per divenire un valido elemento di contrasto alla criminalità.
Frattini: Oltre all'inadeguatezza dei soli meccanismi concorrenziali a garantire la sicurezza dei mercati, ritengo non possa non riconoscersi l'insufficienza a tal fine degli strumenti di cui dispongono ordinariamente le tradizionali autorità di governo preposte ai settori dell'economia e della finanza. A tale situazione difficilmente potrebbe ovviarsi accrescendo la quantità e la qualità degli strumenti medesimi: in primo luogo, essi non potrebbero per definizione equivalere per elasticità ed efficienza alle metodiche della ricerca intelligence; in secondo luogo, la valutazione delle informazioni acquisite resterebbe confinata in ambiti necessariamente settoriali, destinati a non comunicare o, al più, a comunicare usando linguaggi differenti.
Ciò che conta è dunque individuare una sede di raccordo che consenta alle singole istituzioni di valutare congiuntamente alle altre un patrimonio informativo condiviso e che benefici delle conoscenze acquisite mediante il concorso di attività propriamente di intelligence, diversamente precluse.
Di uno strumento analogo si sono del resto dotati due ordinamenti democratici usualmente all'avanguardia sotto il profilo sia degli assetti istituzionali sia, più specificamente, del rilievo riconnesso al contributo degli organismi informativi. Mi riferisco ovviamente alla Gran Bretagna ed alla Francia. Particolarmente significativa appare in proposito l'esperienza del Comitato per la competitività e la sicurezza economica istituito in quest'ultimo Paese con fine legge del 1995. La posizione di staff nei riguardi del Primo ministro e la composizione altamente specializzata di questo organismo viene infatti incontro tanto all'esigenza di un supporto immediato per la decisione politica quanto alla necessità di valutazioni concordate e di analisi effettuate al più alto livello tecnico-professionale.
Non vi è dubbio che particolare cura dovrà essere posta alla formazione del personale chiamato ad operare nel settore nell'ambito degli Organismi informativi. Non sembra che attualmente i nostri Servizi di informazione e sicurezza dispongano di risorse umane adeguate ai contesti più volte ricordati. Poiché del resto, come detto, è l'attività di studio e di analisi che appare prevalente nel settore dell'intelligence economica, si potrebbe utilmente seguire anche in questo caso l'esempio dei Paesi stranieri, curando particolarmente il reclutamento di giovani laureati, o comunque attivi in ambito accademico, che rispondano ai requisiti di elevata specializzazione necessari in tale comparto e che potrebbero essere "seguiti" dai Servizi di informazione e sicurezza anche prima della conclusione formale del corso di laurea.
Von Stenglin: I Servizi di informazione sono, tradizionalmente, per competenza, Servizi di intelligence. Essi devono fornire al Governo le informazioni necessarie alla sua azione che non possono essere ottenute da altre fonti. In tale ottica essi dispongono di norma di una serie di possibilità di accesso a settori che, nell'interesse dello Stato, devono essere tutelati.
Tra questi fino a non troppo tempo fa non vi era, o comunque non in primissima linea, il settore della criminalità internazionale. La minaccia alla sicurezza dello Stato si è, tuttavia, allargata negli ultimi anni, al di là dei noti settori - terrorismo, eversione, pericolo militare - a comprendere la criminalità organizzata internazionale.
Per contrastare questo nuovo fenomeno - la criminalità economica - i Servizi non necessitano soltanto di un rimaneggiamento delle strutture finora utilizzate, ma anche di personale addestrato. Questo, tuttavia, può essere ottenuto con un mirato reclutamento sul mercato o con un addestramento professionale del personale adatto.
Inoltre i Servizi devono attribuire grande importanza all'acquisizione di fonti che sono attive nel settore delle banche, delle aziende, delle società commerciali e finanziarie. Senza la collaborazione di esperti di questo genere, i Servizi non possono assolvere i propri compiti.
Il passaggio alla Moneta Unica si stima possa agevolare il fenomeno del riciclaggio. Per la nuova Europa monetaria unita il Trattato di Schengen sarà tuttavia un problema ulteriore in tema di immigrazione clandestina e terrorismo. Di conseguenza, in ambito europeo, si ritiene corretto che l'intelligence possa occuparsi del monitoraggio dei flussi finanziari "equivoci", in particolar modo di quelli provenienti dall'est europeo, al fine di prevenire non soltanto fenomenologie criminali tradizionali ma anche accadimenti di particolare pericolosità quali il contrabbando di materiale nucleare.
Baldassarri: Certamente la moneta unica ed il Trattato di Schengen potranno agevolare sia il riciclaggio sia la più facile circolazione di personaggi legati alla criminalità, soprattutto se uno o più Paesi si dimostrassero più deboli e meno efficaci nei controlli dei flussi finanziari e delle proprie frontiere che diventano un pezzo di frontiera comune.
Credo assolutamente essenziale che l'intelligence si occupi del monitoraggio dei flussi finanziari, ovviamente senza far conoscere più di tanto le forme ed i modi con cui esercita tale funzione, proprio per non alimentare la fantasia creativa della criminalità che si esercita anche e forse soprattutto nell'inventare nuove e diverse tipologie di operazioni finanziarie e forme di passaggio da denaro sporco a denaro pulito. Ovviamente qualunque attività criminale contiene passaggi finanziari, compreso il contrabbando di materiale nucleare, e proprio per questo motivo il monitoraggio finanziario può e deve essere un efficace strumento di intelligence.
Proprio in ragione dell'importanza che un'efficace attività informativa svolta in campo economico riveste per ciascun Paese è indispensabile che essa trovi valido supporto nella diffusione di una cultura dell'intelligence attinente a questo specifico settore.
E' fondamentale, in questa prospettiva, il ruolo dell'Università che potrebbe costituire uno dei principali punti di raccordo stato-cultura-industria.
Baldassarri: Certamente l'apporto del mondo della cultura va definito attraverso una ampia e profonda formazione economica delle strutture dell'intelligence ed una collaborazione stretta e continuativa con gli studi e le ricerche in ambito universitario. Si potrebbe anche pensare a progetti di ricerca comuni ed integrati. Si potrebbe anche immaginare uno specifico corso di laurea incrociato tra Giurisprudenza, Scienze Politiche ed Economia oppure, e forse meglio, ad un corso di specializzazione post laurea a livello di Master.
Uno degli aspetti fondamentali in tema di intelligence economica, già affiorato nel corso del forum, è quello della creazione di punti di raccordo istituzionali tra il settore dell'intelligence ed Enti ed Organismi che operano nel sistema economico.
Vale la pena approfondire questo argomento cercando di individuare gli interlocutori più adatti per il mondo dell'intelligence e definire i contenuti dei rapporti che da tali contatti possono derivare.
Frattini: Sull'opportunità di avvalersi di strutture di raccordo mi sono già espresso. Quanto all'articolazione da dare in concreto a tali strutture, ritengo inutile e inopportuno istituire un ulteriore organismo ad hoc. è infatti sufficiente creare un "tavolo" di esperti immediatamente riferito alla responsabilità finale per la politica informativa, e dunque al Presidente del Consiglio dei Ministri, che operi raccogliendo ed organizzando sistematicamente le notizie e le informazioni di cui dispongono gli organismi della pubblica amministrazione.
Mi preme in particolare sottolineare al riguardo la necessità di dotare tale struttura di adeguati poteri di intervento conoscitivo, anche di carattere autoritativo, onde evitare di farne sin dall'inizio un'arma spuntata. A tal fine è indispensabile il ricorso allo strumento della legge, che consenta di individuare soluzioni di contemperamento fra importanti diritti ed istituti - quali ad esempio il segreto bancario, il segreto d'ufficio e il diritto alla riservatezza - con la necessità di assistere la decisione politica di più alto livello con i più ampi ragguagli informativi.
E' evidente che, in tale prospettiva, un nucleo ristretto, composto da rappresentanti delle autorità tecniche istituzionalmente competenti (Banca d'Italia, Ufficio italiano cambi, CONSOB, Guardia di Finanza, Istituto per il commercio con l'estero, eccetera), incaricato appunto del coordinamento e del raccordo informativo, dovrebbe essere posto in grado di accedere alle informazioni in possesso di tutte le pubbliche amministrazioni - a cominciare da quelle direttamente rappresentate in seno all'organismo medesimo - ed eventualmente, individuandone ovviamente le forme e i limiti, delle autorità amministrative indipendenti.
Von Stenglin: Senza dubbio ai Servizi di informazione risulterà difficile raggiungere accordi istituzionalizzati con imprese e strutture del settore economico. Questo potrebbe essere possibile soprattutto nel caso di imprese economiche sotto la regia ed il controllo statale, con le quali si potrebbe stabilire una collaborazione.Nel settore della libera economia ciò non sembra affatto realizzabile: le banche, preoccupate del loro classico segreto bancario, non aprono sicuramente i loro archivi ai Servizi informativi. Anche le aziende dell'economia privata si chiuderebbero a chiave, dato che non soltanto temerebbero lo spionaggio in quanto tale, ma anche per le conseguenze negative che potrebbe avere per loro, qualora la loro collaborazione con i Servizi informativi divenisse di dominio pubblico.
Quale unica, realistica possibilità resta una collaborazione non istituzionalizzata, che potrebbe essere conclusa sulla base di accordi privatistici - di servizio, vale a dire sulla base di un personale rapporto di conoscenza e di fiducia tra agenti dei Servizi ed imprese interessate. Il reclutamento mirato di fonti dei Servizi informativi negli organismi del settore economico è l'unica strada che promette successo, anche se impervia. Infatti per questa sono necessari "apripista" dei Servizi di informazione con conoscenze professionali di pari grado.
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