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Per Aspera Ad Veritatem n.10
Identificazione e valutazione dello stress negli operatori dell'intelligence

Carlo SERRA




Il termine stress, la cui definizione generica si riferisce ad ogni forma di sollecitazione dell'organismo (fisica e psichica), viene sovente ridefinito, nell'ambito della psicosociologia del lavoro, con la suddivisione in eustress (stimolazione positiva) e distress (stimolazione aggressiva deteriorante). Evidentemente, la tematica di interesse del presente studio si riferisce al distress e si orienta in direzione della ricerca di quelle componenti, dinamiche e strutturali, che lo generano nell'ambito dell'attività di intelligence.
Dai testi di numerosi scrittori di spionaggio, emergono degli elementi identificativi "della professione di spia" legati alla capacità di analizzare gli eventi, ai processi decisionali rapidi, al controllo delle emozioni, alla simulazione e, comunque, della necessità, da parte del professionista dell'intelligence (P.I.), di una struttura di personalità un po' speciale, talvolta anche affascinante, ma comunque in grado di facilitare un controllo costante del comportamento e, come tale, responsabile della "messa in campo" di grandi quantità di energie emotive.
In effetti, dall'osservazione di questo atipico contesto lavorativo si delineano alcune peculiarità che sembrano essere correlate a numerosi fattori stressogeni legati soprattutto alla necessità, da parte del P.I., di orientare il proprio comportamento in maniera sovente innaturale rispetto ai consueti canoni psicologici, sociali ed educazionali.
Uno dei fattori esemplificativi in tal senso è l'esigenza di operare attraverso un riferimento rapido ed efficace a schemi cognitivi complessi e spesso "innaturali" come nel caso di attività undercover, dove per l'operatore dell'intelligence si viene a costituire una sorta di identità accessoria che si affianca a quella riconosciuta e legata alla quotidianità palese e che implica, per forza di cose, una fase accessoria della dinamica psicologica normalmente antecedente alle azioni umane.
In pratica, nel caso di attività sotto copertura, la fase di anticipazione mentale degli effetti di un'azione, che normalmente precede la fase operativa dell'azione stessa, si complessifica e attraversa un momento di compatibilizzazione con una delle due identità che convivono (semplice cittadino/operatore intelligence) con velocità e dispendio di energia decisamente più elevato rispetto ad altri contesti professionali.



Altro elemento significativo del superlavoro psichico del P.I. è costituito dall'esigenza di sdoppiamento della memoria stabile o, comunque, dalla possibilità di classificazione dei ricordi legati alle due diverse identità per intuibili necessità di giustificazione - spesso anche a distanza di anni - di azioni particolari legate all'attività segreta.
Le ipotesi di fondo di questo studio, che potrebbero offrire spunto per numerose verificazioni empiriche, contemplano quindi l'assunto che le specifiche richieste di adattamento al modello di segretezza, imposte al professionista dell'intelligence, costituiscano per lui fattori di distress elevato che impongono dei percorsi di valutazione e di analisi psicologica che, specie se finalizzati ad eventuali strategie di consulenza e sostegno, devono necessariamente considerare delle peculiarità di contesto non facilmente riscontrabili in altre dinamiche lavorative.
Ad un livello più generale, ad esempio, la stessa organizzazione degli Istituti che svolgono tale attività implica, per esigenza di riservatezza, un'estrema compartimentazione informativa e comunicazionale così che i singoli operatori vengano sovente a conoscenza solo di un ridotto segmento, sul quale sono competenti, del piano generale dell'operazione. Numerosi studiosi, in special modo di impostazione marxista, hanno analizzato tali fattori nell'ambito del lavoro industriale ritenendoli responsabili, forse esasperando le correlazioni, della maggior parte delle nefandezze organizzative nel mondo del lavoro. La non conoscenza del reale obiettivo del proprio agire e la mancanza di un riscontro di validazione immediato alla propria attività lavorativa è stato ad esempio ritenuto da Blauner (1) , nella prima metà degli anni 60', come la primaria situazione alienante che spinge l'attore sociale al distacco dalla realtà che sta vivendo o ad adottare idonee difese psicologiche. Il parallelismo tra gli studi sull'alienazione del lavoro e l'attività di intelligence, se da un verso può apparire azzardato, d'altro canto ci permette di trasporre in termini di stress, concetto più attuale e plasmabile, la problematica della mancanza di informazioni sul lavoro che si sta svolgendo.
L'organizzazione compartimentata della struttura al cui interno operano i P.I. e le peculiarità di azione riservata espone quindi gli stessi a sollecitazioni rilevanti che, secondo la letteratura specifica di settore, sono sovente correlate alla sindrome nota come burn-out, una sorta di esaurimento psicofisico riscontrato in contesti lavorativi a basso profilo di discrezionalità individuale e ad alta incertezza. (2)
Un altro aspetto rilevante e sinergico è rilevabile, a nostro avviso, negli aspetti temporali di esposizione alle sollecitazioni che determinano distress. Mentre infatti la quasi totalità delle professioni ritenute stressanti implicano una sollecitazione generalmente limitata all'orario lavorativo (es. i poliziotti) o all'obiettivo lavorativo (es. i managers), l'attività di intelligence, il cui fattore maggiormente deteriorante è legato all'esigenza di mantenere la copertura sulla propria identità e sul proprio operato, implica una pressione stressante per tutto l'arco delle 24 ore e si protrae ovviamente anche nei periodi temporali che per gli altri lavoratori costituiscono un'opportunità per "staccare la spina" (periodi di ferie, ore passate in famiglia, ecc.).


Assumendo un'ottica di analisi di tipo multidisciplinare, così come del resto sottolinea l'univoca tendenza delle scienze sociali moderne, contemporaneamente ed in interazione ai fattori afferenti alla sfera dell'individualità descritti nel precedente punto, occorre considerare, in tema di stress ed intelligence, alcuni elementi relativi a variabili di tipo macrosociale.
Il passaggio, ad esempio, nelle aree geografiche sviluppate del pianeta, delle strutture e delle dinamiche sociali da un'organizzazione meccanica (prevalentemente rurale) ad una organica (urbana ed industriale) (3) ha di certo gradatamente ridotto la rilevanza dei legami parentali-amicali nella sfera dell'individuo ma tali legami, attualmente, appaiono comunque importanti, in special modo nel sistema sociale italiano che si diversifica, in tal senso, da altri contesti europei.
Nella cultura italiana è quindi saldamente radicata una funzionale rete solidaristica che basa la sua struttura su interazioni abituali di reciproca intimità e confidenza che travalicano spesso il contorno della famiglia "di sangue" per allargarsi alla sfera più sfumata della parentela lontana e della cerchia di amici stabili. All'interno di tale reticolo si articola il progetto di vita della quasi totalità degli attori sociali italiani (integrati con successo) ed è permeato da un universo di valori condivisi tra cui emerge, in primo luogo, la reciproca fiducia intesa come aspettativa di comportamento altrui di tipo prevedibile e funzionale al contesto affettivo di scambio. In quest'ottica appare evidente come un professionista dell'intelligence, che per esigenze provenienti dal suo Istituto deve impostare la quasi totalità delle sue interazioni sociali sulla menzogna, sia costretto, di fatto, a costruire le sue interazioni all'interno del reticolo parentale-amicale di riferimento, in maniera da crearsi una sorta di filtro (la copertura) anche nel rapporto con altri significativi emotivamente ed affettivamente rilevanti.
In pratica, quotidianamente, vengono tradite le aspettative di fiducia di coloro che circondano il professionista dell'intelligence (P.I.) che sa di essere "colpevole" di non averli messi al corrente di una questione così importante afferente alla sua vita.
La stessa dichiarazione mendace, espressa attraverso il linguaggio, rappresenta un'entità reale (4) che non simboleggia semplicemente una situazione ma costituisce il mezzo attraverso il quale tale situazione viene creata, assumendo così potere di costruzione del reale. E, nel caso della menzogna reiterata e generalizzata (allargata all'intera vita del P.I.), si può configurare la creazione e l'esistenza di una sfera simbolica parallela di tipo stabilizzato che necessita di un continuo controllo ed aggiustamento e che pervaderà, in modo irreversibile, il connettivo del reticolo parentale-amicale in modo definitivo costituendo un elemento reale e tangibile che potrà essere dimenticato ma non annullato.
Anche quando infatti il professionista dell'intelligence non avrà più la necessità di mantenere attiva questa sfera simbolica precedentemente confezionata (quando ad esempio va in pensione), tale struttura si manterrà in piedi tramutandosi, agli occhi di numerosi attori sociali appartenenti al suo reticolo, in menzogna ed inganno manifesti con intuibile sgretolamento di uno dei valori di riferimento primari (la fiducia) e con presumibili difficoltà di relazione. Tale struttura simbolica potrà essere controbilanciata da una condotta giustificativa che costituirà simbolicamente un nuovo elemento reale in grado forse di annebbiare il precedente ma senza alcun potere abrasivo nei suoi confronti.


Per alcune specifiche situazioni, in special modo quando l'attività del P.I. all'interno del Servizio di intelligence è temporalmente limitata, si pone un analogo problema per quanto attiene ad un eventuale inserimento in un nuovo contesto professionale. Anche non considerando, infatti, la diffusa connotazione negativa che viene riconosciuta all'intelligence italiana, che già di per sé potrebbe creare non poche difficoltà di integrazione (scandali, deviazioni, ecc.), la stessa generica pregressa appartenenza ad un organismo che si presume abbia forgiato le attitudini dell'attore sociale all'insegna della simulazione è probabilmente in grado di generare, nel nuovo contesto lavorativo, delle aspettative connotate negativamente con conseguenze, in termini di resistenza ed emarginazione, ampiamente illustrate da molteplici ricerche di Psicologia del lavoro (5) .
Questo scenario, infine, puntando su piani di consapevolezza da parte del P.I., se da un verso contribuisce a forme di eustress in direzione di una più accurata attualizzazione della "copertura", contemporaneamente, lo sottopone a pesanti forme di distress sempre più dilanianti a mano a mano che avanza con l'età e che si affacciano, di conseguenza, fisiologici pensieri del "dopo", del rientro nel normale, nel convenzionale (la pensione, un altro lavoro) con uno scenario all'orizzonte, sempre più prossimo, in cui il leit motiv della sua vita si configurerà in termini giustificativi e non, come per molti lavoratori della Pubblica Amministrazione, in termini di semplice, meritata tranquillità.


Occorre infine considerare, a nostro avviso, in tema di distress per il P.I., taluni aspetti educazionali che si manifestano, ovviamente, nel caso che egli abbia costituito un nucleo familiare.
Com'è noto, infatti, le dinamiche di identificazione proiettiva nei confronti della figura paterna e in quella materna assumono un ruolo chiave nei processi psicologici dell'età evolutiva e sono diretti non alla sola sfera emotiva e di comportamento/interazione all'interno delle dinamiche intrafamiliari, ma si estendono alla più ampia relazione del padre e della madre con il mondo esterno compreso, quindi, l'ambito professionale. è evidente che questo processo di identificazione viene generalmente percepito dall'attore sociale/genitore che "sente" il peso di tale responsabilità in termini di aspettative di ruolo e che costituisce, già di per sé, un fattore di distress.
Riteniamo, in quest'ottica, che la consapevolezza da parte del P.I. di fornire un oggetto di identificazione (per i propri figli), una cui notevole area è stata artefatta dall'esigenza di riservatezza, possa costituire un fattore di distress aggiuntivo, e che in alcuni casi possano verificarsi delle tendenze verso la riduzione dei processi comunicazionali genitori/figli intese come risposta "patologica" al descritto contesto stressogeno.


(1) Blauner Robert, "Alienazione e libertà", F. Angeli, Milano, 1983.
(2) Depolo M:, Sarchielli G., "Psicologia dell'organizzazione", Il Mulino, Bologna, 1992.
(3) Merton Robert K., "Teoria e struttura sociale", (1949), Bologna, Il Mulino, 1992.
(4) Mead G. H., "Mente, sé e società", (1934), Firenze, Barbera, 1966.
(5) Spaltro E., De Vito Piscicelli P., "Psicologia per le organizzazioni", N.I.S., Roma, 1990.

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