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Per Aspera Ad Veritatem n.10
Dal mestiere di spia all'arte dell'intelligence

Francesco SIDOTI




L'attività di spionaggio nel senso moderno del termine è stata coltivata in Italia con qualche successo, e secondo alcuni sarebbe stata addirittura fondata proprio in Italia, nel corso del periodo in cui si affinano le tecniche e le motivazioni della Ragion di Stato. Dai machiavellici agli inquisitori, dai giacimenti di arsenopirite agli uffici dell'Ovra, c'è un cammino tutto italiano, nel corso del quale si consolida una disapprovazione senza incertezze nei confronti di "chi fa la spia".
Nella cultura cattolica, dove c'è già tanto spazio e tanto peso per la confessione, al secondo mestiere più vecchio del mondo non sono concesse le molte attenuanti previste invece per il primo mestiere più vecchio del mondo. Il codice penale militare di guerra (art. 59) puniva lo spionaggio militare con la pena di morte mediante fucilazione nella schiena e previa degradazione, anche se fosse rimasto al semplice stato di tentativo. La stessa pena era prevista per chi offriva aiuto ad una spia nemica.
Tutta diversa è la storia di questa attività nella cultura inglese e nei paesi di lingua inglese (1) . Ovviamente esiste lì come in Italia una precisa prevenzione negativa nei confronti di "chi fa la spia". Ma c'è anche un'evidentissima ambivalenza, che si esprime in molti modi. Basti guardare alla grande abbondanza di termini che caratterizza il linguaggio ordinario. Si va dal popolaresco to rat on (che secondo l'Oxford English Dictionary è connesso con "the popular belief that rats leave a house about to fall or a ship about to sink") all'asettico to inform on, con la possibilità di capovolgere il senso della peggiore locuzione, come nel caso celebre di Winston Churchill che disse senza complessi a proposito dei suoi cambiamenti di campo da conservatore a liberale negli anni venti: "Yes, I ratted. And then I reratted". C'è inoltre nella lingua inglese un'enorme gamma di sfumature intermedie, che prevede la possibilità di utilizzare, a seconda delle necessità, verbi come to snitch, to sneak, to blow the whistle, to stool, to peach, e sostantivi come traitor o secret agent, chameleon o mole, sly o grasser, tale-bearer o collaborator, fino a slittamenti progressivi che culminano nella trasfigurazione della spia nel witness, come nel caso importante designato con to turn King's/Queen's/State's evidence (la differenza con la figura italiana del pentito, fra l'altro importata dai paesi anglosassoni, è fin troppo evidente). Anche nella lingua italiana sono usate espressioni rivolte a separare giudizio morale e utilità della funzione: esploratore, confidente, emissario, e, ovviamente, agente segreto che viene usato per la prima volta da Giacomo Casanova. Ma la differenza con la cultura anglosassone risulta evidente sotto vari profili.
Nella letteratura inglese c'è in primo luogo una sensibilità speciale per il tema della doppiezza. Basti pensare al corrusco I'm not what I am con cui Iago si presenta cupamente nella prima scena dell'Otello, o alle sinistre battute iniziali del Riccardo III "Plots I have laid, inductions dangerous...I am subtle, false, and treacherous". Si potrebbe sostenere che al fondo questi siano stilemi tipici della cultura rinascimentale, dunque comuni a tutta la temperie postmachiavellica; invece c'è di certo almeno un aspetto che è specificamente e propriamente inglese sull'argomento in questione. Un aspetto che matura nel corso dei secoli e che viene spesso definito specially British (2) .
Quale che sia l'origine di questa specialità, un punto risulta chiaro e dirimente rispetto alla tradizione dei paesi cattolici: "The British spies are polite and educated" (3) . La tradizione letteraria testimonia abbondantemente in questo senso. Indiscutibile la forza del prototipo della perfetta spia inglese, che fu codificato da Maugham in opere che hanno lasciato il segno nell'immaginario collettivo. Ashenden viene invitato da Scotland Yard a fare la spia, cioè a lavorare per il proprio paese, proprio in ragione della sua rispettabilità. Questo aspetto viene colto in pieno da Hitchcock, che nel 1936 trasse il film "The secret Agent" dai racconti di Maugham e descrisse Ashenden come un invidiabile signore, che fa la bella vita assediato dalle belle donne (è da notare che Hitchcock tratta allo stesso modo il tema della donna-spia, che in "Intrigo internazionale" è una delle sue interpreti più affascinanti: Eva Marie Saint).
Nella cultura americana è ancora più chiara la distinzione tra due diverse, possibili e inconfondibili maniere di parlare della spia: certe spie sono degli esseri infernali (4) , ma ci sono spie che vengono comunemente e deferentemente denominate gentlemen. Questi ultimi hanno sviluppato un'ideologia articolata e coerente dell'attività di spionaggio come attività da gentleman. Allen Dulles capovolse la celebre battuta di Henry Stimmons, che, quando prese il posto di Segretario di Stato nel 1929 (5) , si oppose alla istituzione di un servizio di spionaggio permanente e smantellò il gruppo di operatori che aveva decifrato i codici giapponesi, con la celebre motivazione: "gentlemen do not read each other's mail". Nipote di un segretario di Stato, figlio di un pastore presbiteriano, studi universitari a Princeton, una carriera ai vertici di organizzazioni pubbliche e private prima di dedicarsi allo spionaggio, Allen Dulles rovesciò completamente quella battuta (che fra l'altro, dopo la sorpresina, di Pearl Harbor, non suonava del tutto convincente), e affermò orgogliosamente che "Only gentlemen can be trusted to read other's mail" (6) . Con Allen Dulles, che si installa alla testa della CIA portandosi appresso una schiera di figli di papà, educati come lui nelle migliori università americane e pronti a fare qualunque cosa per il proprio paese, trionfa (7) quella ideologia tipicamente anglosassone per la quale la spia è (rectius: dovrebbe essere) fondamentalmente un gentleman, e proprio per questo abilitata a fare cose che gli altri esseri umani non sono abilitati a fare - innanzitutto infrangere le ordinarie barriere legali e morali (8) . La cultura che deriva dalla riforma protestante è caratterizzata da diversità notevolissime rispetto alla cultura cattolica, dove in particolare è fondamentalmente diversa la delimitazione dell'ambito privato, come risulta evidente ad esempio dalla centralità del sacramento della confessione e dalla particolare dottrina dell'efficacia impetratoria della chiesa, ex opere operantis Ecclesiae.


Tra i paesi di lingua inglese e gli altri, c'è sul tema dello spionaggio una differenza, che merita di essere rilevata, approfondita, volgarizzata. Se non andiamo alle radici è impossibile cogliere questa importantissima distinzione per quello che effettivamente è: l'ennesima conseguenza della grande frattura della cristianità nel sedicesimo secolo. Attraverso un complicato percorso concettuale, che richiameremo soltanto per sommi capi, il mestiere di spia è legittimato da premesse ideali specifiche. Infatti, il lavoro della spia, nel senso anglosassone del termine, non è giustificato soltanto dal patriottismo, ma da una fondazione in termini di filosofia morale, proveniente dalla grande divisione tra protestanti e cattolici, che è rilevante sotto molti profili, incluso questo. La giustificazione dell'attività interna ed esterna di spionaggio non riposa soltanto sul principio di necessità, ma su una serie complessa di motivazioni, che da alcuni sono utilizzate in un senso puramente ideologico, ma per altri hanno costituito una premessa ideale. (9) Voler ridurre tutta la storia dello spionaggio ad una storia di ricatti, di sesso e di soldi sarebbe una prosaica semplificazione interpretativa. Poiché il rischio di una tale semplificazione è stato corso molte volte, sarà lecito per una volta correre il rischio opposto, e vedere invece quella storia alla luce dei più classici dilemmi etici. La vicenda della guerra fredda gronda da tutte e due le parti di una tensione dottrinal-moralistica che sarebbe assurdo disconoscere e che da qualche parte ha pure la sua data di nascita e i suoi genitori. Anche in quelli che qualcuno ha chiamato sprezzantemente i cappellani della guerra fredda, i temi della morale e della moralità della politica sono genuinamente predominanti. (10)
Secondo Max Weber, che riprende alcuni profili già trattati da Tocqueville, se si trascura la rilevanza della dimensione etico-religiosa della riforma protestante si perde la possibilità di comprendere un aspetto chiave della genesi del mondo moderno. La lezione weberiana è stata sottoposta a varie precisazioni e approfondimenti; in particolare, gli sconvolgimenti ideali prodotti dalla riforma protestante si stabilizzano nella fase successiva alle guerre di religione, quando nascono contemporaneamente sia la concettualizzazione di un potere pubblico modernamente concepito, sia la concettualizzazione di un ambito privato modernamente concepito. Lo straordinario successo delle sette fece sorgere il problema della libertà di coscienza, che si afferma prima in Olanda, poi in Inghilterra con il "Toleration Act", dunque attraverso un complicato percorso che culmina, negli Stati Uniti, con il Primo Emendamento. La proliferazione delle sette impedì il primato di una ortodossia fondamentalista nel variegato mondo protestante e permise che il principio di tolleranza si instaurasse come valore supremo, prima praticamente poi legislativamente. Secondo molti studiosi proprio la ridefinizione dell'ambito privato è uno dei fattori decisivi che spiegano la supremazia culturale ed economica dei paesi non-controriformistici rispetto a quei paesi cattolici dove pure erano nati i primi strumenti del capitalismo (dalla partita doppia alla lettera di cambio).
Il riconoscimento giuridico del principio di tolleranza fu decisivo per la nascita di una sfera che doveva essere sottratta alle imposizioni di poteri pubblici o confessionali. L'idea dell'inviolabilità della privacy si afferma sulla base di una scissione e ridefinizione di due ambiti che l'antichità classica aveva visto in larga misura come coincidenti. Nel termine latino privatus era preminente un'idea di carenza, di mancanza, di privazione, fortemente imparentata con la definizione del cittadino greco che non si interessa della cosa pubblica e bada soltanto agli affari suoi come un idiòtes, sprezzantemente contrapposto al polìtes che si identifica invece pienamente con le sorti della sua comunità ed è pronto anche a dare la vita per la patria (11) . In Europa, dopo l'affermazione dello Stato assolutista, nel XVI secolo, pubblico e privato diventano termini drasticamente contrapposti. La linea di confine tra i due ambiti fu segnata dall'individuazione di una sfera che è propria ed esclusiva dell'apparato statale, e nettamente distinta dall'ambito giuridico e patrimoniale dei privati. In Machiavelli la contrapposizione tra pubblico e privato è presente sul piano terminologico come contrapposizione tra privato e Principe, ma è ancora più significativo dal punto di vista concettuale come contrapposizione tra due ambiti che obbediscono a criteri diversi di moralità. Con Machiavelli, poi con Hobbes, e quindi per tutto il pensiero giusnaturalistico, le sfere di azione designate dai termini pubblico e privato si caricano di una tensione concettuale assolutamente sconosciuta all'eredità classica. Lo spazio della morale pubblica e privata viene ridisegnato dalle sette protestanti, che proprio in merito alla definizione del rapporto tra singoli e istituzioni si differenziavano notevolmente sia rispetto alla cultura cattolica sia rispetto alla cultura laica di Machiavelli e Hobbes.
Nel corso delle lotte confessionali, la parte migliore dei riformatori (quella ispirata da tematiche sociniane, arminiane, dalla lezione di Erasmo e Grozio) riesce ad istituzionalizzare (cioè a garantire legislativamente e giuridicamente) il principio di tolleranza, che da quel momento diventa caratteristico dell'idea di modernità e dell'idea moderna di libertà. Con una precisazione relativa agli ambiti della privacy che avrà importanza per la legittimazione delle attività di spionaggio, e in particolare per la definizione morale della intrusione delle attività di spionaggio nella vita privata.
Per la nascita del concetto moderno di privacy è basilare la tematica protestante, che si intreccia ovviamente con altri temi centrali della cultura occidentale, dall'habeas corpus al diritto di proprietà: tutti questi temi hanno un significato specifico nella cultura anglosassone, e costituiscono l'essenza di quel partito anglosassone che è stato fondato e propagandato fondamentalmente da persone che non erano anglosassoni, e che vedevano l'Inghilterra come madre patria del parlamentarismo, della tolleranza e della divisione dei poteri (12) . Di fatto il "Toleraction Act" viene pubblicato in Inghilterra, e, mentre termini che derivano dal latino privatus si ritrovano in molte lingue europee, un equivalente del termine privacy manca, come nella lingua italiana, anche nella lingua francese e in quella tedesca, e probabilmente anche in molte altre (13) . Nella impostazione di Locke, di Hume, di Smith, fuori dalla sfera della public reason c'è un ambito che è definito in termini rigidamente hobbesiani, nonostante la soluzione hobbesiana sia nettamente rifiutata. La tutela della tolleranza viene filtrata alla luce delle esigenze della sicurezza. Lentamente, attraverso i secoli, viene sancita l'esistenza di uno spazio inviolabile in cui ognuno può coltivare la propria religiosità e, in seguito, a scelta, i propri interessi economici, il proprio anonimato, la propria solitudine, i propri affetti, la propria individualità, perfino, in un certo senso, la propria privata follia, quale essa sia, ma a patto di non disturbare l'ordinato svolgimento degli affari pubblici. In breve: quanto più l'ambito privato viene solennemente definito inviolabile, tanto più viene definito potenzialmente pericoloso (tanto più pericoloso proprio perché tanto più libero). Inviolabilità e pericolosità dell'ambito privato vengono pensati e connessi in maniera che si distacca rispetto alla cultura cattolica, legata alla definizione aristotelico-tomistica dell'uomo come animale sociale. Secondo la lezione weberiana, l'etica protestante diventa il sostrato profondo, e spesso inconscio, di una maniera di valutare la moralità che è specifica per l'importanza assegnata, fra l'altro, alla congiunzione di diritto alla sicurezza e diritto alla tolleranza. Da Locke a Kant, da Spinoza a Hume e ad Adam Smith, la cultura liberale delle origini è assolutamente lontana da ogni ipotesi vagamente permissiva o libertina, tanto è vero che abbonda di distinzioni tra liberty e licence, di esortazioni a "Ragionate quanto volete e su ciò che volete, ma ubbidite" (14) .
Le nozioni moderne di privacy e di sicurezza sono dunque strettamente connesse in quella ridefinizione degli impegni morali e civili prioritari che si afferma nella cultura comune dei paesi attraversati dalla riforma protestante. E' assurdo ritenere del tutto preminente in questa cultura l'inviolabilità della privacy, indipendentemente da varie possibili restrizioni. Nelle celebri pagine in cui sono messe a confronto la libertà degli antichi e la libertà dei moderni, B. Constant sottolinea che nel mondo antico l'individuo può essere esiliato, condannato a morte, privato delle sue ricchezze e della sua dignità secondo la volontà discrezionale e insindacabile del corpo collettivo cui appartiene. Il fine dei regimi politici moderni, egli sottolinea, è invece la sicurezza nello svolgimento di affari privati. La libertà è fondamentale, ma non in maniera indipendente dalla considerazione di un possibile danno arrecato agli altri: "Siamo dei moderni che vogliono godere ognuno dei propri diritti, sviluppare ciascuno le proprie facoltà come meglio ci sembra senza nuocere agli altri..." (15) .
La nozione della libertà come valore superiore ad ogni altro valore, ma limitato dal danno che può eventualmente essere procurato ad estranei, viene sottolineata con tutta evidenza anche dai rappresentanti più perentori della cultura liberale. In "On Liberty", J. Stuart Mill afferma recisamente che c'è intorno a ciascuno individuo una sfera che nessun governo ha il permesso di oltrepassare, perché "su se stesso, sul suo corpo e sulla sua mente, l'individuo è sovrano" (16) , ma queste affermazioni erano precedute da una serie di esplicite limitazioni, connesse innanzitutto alla necessità di non nuocere ad alcuno e poi a molte altre precisazioni; inerenti ad esempio alla eventuale mancanza di una capacità di giudizio (viene citato l'esempio classico dei bambini). Mill giunge perfino a giustificare il dispotismo, "forma legittima di governo quando si ha a che fare con i barbari, purché il fine sia il loro progresso e i mezzi vengano giustificati dal suo reale conseguimento" (17) .
Insomma, nella teoria classica la libertà non è un fine autosufficiente, ma è un fine che va coordinato alle necessità della sicurezza o (ad esempio presso gli utilitaristi) soltanto un mezzo (per assicurare la felicità del numero più ampio di persone). L'ambito privato è un ambito inviolabile, ma a patto di non procurare danno agli altri, perché in tal caso può risultare necessario, ad esempio, leggere la posta degli altri. E' ovvio che si tratta di un'intrusione eccezionalmente grave, e proprio da questa consapevole eccezionalità e gravità discende che soltanto un agente moralmente e culturalmente superiore può essere abilitato a tale delicatissima incombenza. Nell'ideologia del gentleman spy la categoria della moralità è, o dovrebbe essere, assolutamente soverchiante. Soltanto persone dotate di una moralità e di una cultura superiore (di fatto la crema dell'intelligence inglese e americana viene reclutata nelle famiglie e nelle università della classe dirigente) possono assaporare la tentazione dell'abuso e rimanere tuttavia integri.
Negli anni della guerra fredda le attività di intelligence venivano promosse all'insegna di una fortissima tensione ideologia e moralistica; finito quel manicheismo, l'esigenza di una caratterizzazione in termini etici dell'attività di intelligence rimane ancora più significativa e pressante, perché soverchiata dagli inquietanti problemi della sicurezza in un'età di grandi incertezze. Dai dilemmi dell'ingegneria genetica a quelli delle guerre non-convenzionali, dai contrasti economico-tecnologici tra paesi alleati alle mille specie di commerci illegali, dall'ecoterrorismo alle narcomafie, il mondo successivo alla fine della guerra fredda appare sorprendentemente colmo di possibilità e di insidie. In un certo senso, molti rimpiangono "l'impero del male" che aveva dominato gli anni dal 1945 al 1989, offrendo un solido riferimento per tutte le tensioni e per tutti i progetti bellicosi: chi voleva entrare nel campo dell'avventura e della sedizione doveva necessariamente incardinarsi in uno dei due grandi sistemi contrapposti che governavano il mondo. L'Unione Sovietica era come una diga che tratteneva una marea di minacce chimiche, batteriologiche, sovversive, terroristiche (18) ; adesso quella diga è crollata e altre minacce, ancora più sconcertanti, pesano sulla sicurezza internazionale (19) . In questo cupo nuovo mondo, la rilettura dei temi classici della filosofia etica, della difesa dei diritti individuali, e delle connesse aporie legali e morali, è uno dei primi appuntamenti indispensabili a quella riorganizzazione delle forze di intelligence che lentamente, ma chiaramente e visibilmente si sta affermando in tutti i paesi democratici.


Scrivono i giornali all'inizio del 1996 che nel Los Alamos National Laboratory è stata sviluppata una tecnica di immagazzinamento delle informazioni che utilizza un raggio ionico per scrivere dati su uno spazio delle dimensioni di cinquecento atomi. La tecnica è stata adoperata per immagazzinare il contenuto di 12 mila dischetti (o 180 cd rom) su uno spillo di acciaio inossidabile lungo due centimetri e mezzo. Poiché un cd rom è equivalente grosso modo a 64.000 pagine, possiamo divertirci a immaginare quanta roba può essere messa su questo spillo di acciaio, e possiamo divertirci ancora di più ad immaginare che queste tecniche di immagazzinamento dell'informazione potranno ulteriormente essere perfezionate. Già il Digital Video Disc rivoluzionerà il nostro rapporto con il televisore. Gilder che è il profeta del declino dell'importanza della televisione, scrive che sulle reti telematiche, attraverso un singolo cavo in fibra ottica, non più grande di un capello, possono già oggi scorrere tutte le telefonate che vengono fatte all'ora di punta il giorno della festa della mamma; lo stesso singolo cavo può mettere in collegamento tra loro 25.000 workstation da 1 Gigahertz ciascuna. Insomma, la terza ondata (20) , che cambia ovviamente molti mestieri tradizionali, non può non avere ripercussioni profonde sul mestiere che per l'appunto si dedica allo spionaggio.
La catena dei cambiamenti innescati dalla terza ondata è connessa con i cambiamenti nell'arte della guerra. è stato da poco celebrato il cinquantenario dell'elaboratore Eniac, che di fatto inaugurò la nuova era. Si discute spesso se questa nuova era sia stata caratterizzata dalle scoperte relative all'energia nucleare o al computer, ma tutte e due le scoperte nascono a ridosso della seconda guerra mondiale, al crinale dunque di quella che per molti motivi può essere considerata la fine di un'epoca. Del resto, computer e bomba atomica sono collegati sotto vari altri profili; il primo calcolatore è stato progettato per abbreviare i calcoli balistici, e von Neumann si unì al progetto nella speranza di facilitare la costruzione della bomba atomica. Lungo trenta metri, contenente 17.468 valvole e pesante oltre trenta tonnellate, l'Electronic Numerical Integrator and Computer diede il via all'era della elettronica grazie all'intervento del Dipartimento della Guerra.
Giustamente Nye e Owens hanno messo in rilievo che la rivoluzione dell'informazione deve essere considerata dal punto di vista delle conseguenze geopolitiche: l'informazione è potere, e l'intelligenza economica diventa un'arma strategica per anticipare i cambiamenti e migliorare la competizione. Ma l'intelligence al suo livello più elevato sarà innanzitutto rivolta ad affrontare situazioni ambigue: "Now the central issue is ambiguity about the type and degree of threats, and the basis for cooperation is the capacity to clarify and cut through that ambiguity......Coalition leadership for the foreseeable future will procede less from the military capacity to crush any opponent and more from the ability quickly to reduce the ambiguity of violent situations, to respond flexibly, and to use force, where necessary, with precision and accuracy" (21) . La vecchia attività di spionaggio era svolta in larga misura nella clandestinità; dunque nasceva e viveva nell'ambiguità. Oggi l'attività di intelligence deve soprattutto fare chiarezza in un mondo colmo di situazioni ambigue: non può aggiungere ambiguità all'ambiguità.
L'attività clandestina dello spionaggio tradizionale non dovrebbe essere confusa con l'intelligence vera e propria, che risiede nella capacità di stabilire una gerarchia di affidabilità, di rilevanza, di verosimiglianza delle informazioni, in modo da trarre dall'analisi di tutte le fonti (aperte e coperte), alternative di intervento. Proprio queste caratteristiche dell'attività di intelligence (separata e distinta rispetto all'attività di spionaggio) vengono esaltate dalla nuova rivoluzione dell'informazione, caratterizzata sia dal grande numero di informazioni sia dalla difficoltà di organizzarle in maniera coerente come premesse per alternative decisionali (22) .
E' significativo che un aspetto della rivoluzione nelle comunicazioni sia la cosiddetta information anxiety: la nevrosi provocata da un eccesso di informazione, l'ansia derivante dall'essere bombardati giorno e notte da un flusso costante di notizie. Una conseguenza è stata la diminuzione di utenti sia dell'informazione scritta sia dell'informazione televisiva: le perdite di lettori della grande stampa quotidiana vanno di pari passo con le perdite di audience dei telegiornali. All'inizio degli anni Novanta il 60 per cento degli americani seguiva regolarmente i telegiornali trasmessi sulle grandi reti nazionali, mentre questa percentuale è crollata al 42 per cento nel 1996; in questo stesso anno molti dei quotidiani più prestigiosi, come il "New York Times" e il "Los Angeles Times", hanno perso un numero consistente di copie. Il mercato lancia segnali precisi che per la loro immediata ricaduta economica non vengono sottovalutati, ma attentamente meditati: il rapporto tra domanda e offerta di informazione sembra modificato in maniera consistente. Insieme alla crescita di informazione attraverso il ciberspazio, le pay-tv e i programmi via cavo, sembra sia in corso un processo di approfondimento e di aumento della sospettosità degli utenti, che diventano non soltanto più diffidenti, ma anche psicologicamente più distaccati rispetto alla situazione di maggiore dipendenza e coinvolgimento che aveva caratterizzato il periodo della guerra fredda. Allora c'era, giorno per giorno, un timore e un'attesa che possono essere ricreati artificialmente e sistematicamente dal pur notevole numero di tensioni e problemi che continuano ad esistere nel contesto internazionale, ma non più contrassegnati da quella atmosfera impalpabile di pericolo costante. L'information anxiety oggi è connessa alla sovrabbondanza e alla incoerenza delle informazioni, non alla sensazione di un pericolo imminente. In questa situazione alcuni aspetti delle indagini sui sistemi di comunicazione diventano particolarmente rilevanti. Già negli anni Quaranta la information theory sottolineava l'importanza di rumori e ridondanze nella comunicazione, cioè gli errori prodotti da disturbi estranei al contenuto dell'informazione e della preponderanza delle parti di un messaggio irrilevanti rispetto al contenuto principale. Oggi l'inflazione nozionistica porta ad un "surriscaldamento cognitivo": la rivoluzione in corso è caratterizzata da costi irrisori e rapidità fulminea; è un'accelerazione che rischia di essere incontrollabile, perché caratterizzata da una modifica straordinaria dei tempi necessari alla sedimentazione e assimilazione delle conoscenze.
Un'altra conseguenza molto importante è connessa alla distinzione tra informazioni cosiddette riservate, provenienti da fonti coperte, e informazioni provenienti da fonti aperte. Una cosa sono le notizie pubblicamente note e discusse, un'altra cosa sono le notizie relative a fatti che non vorrebbero essere rivelati. Su questo tipo di informazioni (che sono soltanto una percentuale piccola, inferiore al dieci per cento dei dati disponibili, ma in alcuni casi decisiva) si esercitava la tradizionale attività di spionaggio, che doveva quasi necessariamente affidarsi alla capacità di corrompere, di origliare, di carpire, con strumenti sovente al di fuori della legalità. Questo era il vecchio mondo dello spionaggio, inevitabilmente connesso con tutta una serie di trucchi sporchi e colpi sotto la cintura. Era il mondo in cui alcuni sostengono potrebbe essere maturato addirittura l'assassinio del Presidente Kennedy (23) ed è anche il mondo in cui nasce l'FBI di Hoover, che è stato descritto in maniera troppo fantasiosa in una serie di volumi deliberatamente scandalistici (24) . Quel vecchio mondo dello spionaggio è (o dovrebbe essere) sempre meno rilevante. Ormai, oltre il novanta per cento delle informazioni può essere acquisito alla luce del sole, attraverso giornali, interviste, documenti ufficiali; da molti anni i satelliti girano intorno al mondo raccogliendo informazioni che si rivelano di importanza vitale in caso di conflitto.
L'attività clandestina era costitutiva della nozione tradizionale (25) di spionaggio, tanto è vero che viene espressamente indicata, insieme ai "falsi pretesti", nelle varie norme del diritto internazionale, dai regolamenti annessi alle convenzioni dell'Aia del 2-VII-1899 e del 18-X-1907, fino al primo protocollo aggiuntivo alle convenzioni di Ginevra del 1949, adottato ancora a Ginevra l'8-VI-1977. La nozione di intelligence invece non è necessariamente connessa all'idea di clandestinità. Tanto è vero che aspetti come la ricerca di notizie discrezionali e la utilizzazione di agenti sotto copertura sono caratteristiche anche degli interventi delle altre forze di polizia (26) . L'uso del segreto, delle fonti coperte, delle informazioni riservate si ritrova in tutti i settori professionali che si occupano della sicurezza; l'impegno relativo alla clandestinità può risultare preminente in alcuni settori dell'intelligence, ma questa preminenza si ritrova in varie altre attività connesse alle tematiche della sicurezza (27) . Dalle prime teorizzazioni sull'arte della guerra, ad esempio nelle classiche pagine di Sun Tzu (che risalgono ad alcuni secoli prima della nascita di Cristo) è stata sottolineata l'importanza decisiva della conoscenza dei piani del nemico; e questa importanza non scomparirà di certo fino a quando ci saranno guerre e nemici; ma voler ridurre soltanto a questo tutta l'attività di intelligence sarebbe pericoloso oltre che erroneo.
Secondo una definizione classica, dobbiamo intendere per intelligence l'uso della conoscenza al fine di fronteggiare le minacce alla sicurezza nazionale: la scoperta e la protezione di segreti è a volte il cuore dell'attività conoscitiva, ma al nocciolo l'ignoranza è il primo nemico della conoscenza (28) .


Il termine intelligence può facilmente indurre in errore. Perché come il termine spia è caratterizzato da un pregiudizio negativo, così il termine intelligenza è caratterizzato da un pregiudizio positivo, ma assai discutibile e discusso. Ad esempio l'omofonia tra intellettuale e intelligente è tra le più fuorvianti, chiunque abbia avuto a che fare con intellettuali sa benissimo che le relazioni tra i due termini sono equivoche e contraddittorie. Intellettuale non vuol dire intelligente. Tanto è vero che quasi ogni intellettuale propriamente detto considera incapaci o gaglioffi tutti gli altri intellettuali, tranne se stesso e i suoi amici intimi. Contro la patetica figura dell'intellettuale "cronicamente scontento", "mescolanza di risentimento e di presunzione" (29) , Karl Popper ha scritto alcune delle sue pagine più veementi: "In ogni occasione sono sempre stati e siamo noi gli intellettuali, per vigliaccheria, presunzione ed orgoglio, a fare le cose peggiori" (30) .
Popper esprimeva un tale sdegno perché riteneva, in accordo con pochi altri studiosi della società industriale, come Raymond Aron, che il mondo emerso dopo la fine della seconda guerra mondiale fosse non il migliore dei mondi possibili, ma il migliore dei mondi che siano mai esistiti, per una serie di dati obiettivi: riduzione della mortalità infantile, aumento della durata media della vita, diminuzione delle disuguaglianze, crescita dei salari, diminuzione dei prezzi, aumenti dei consumi. Invece di vedere riconosciuti questi fatti, dice Popper, "sento tutti i giorni lamenti e brontolii sul mondo tanto cattivo in cui siamo condannati a vivere. Ritengo la diffusione di queste menzogne il più grave delitto del nostro tempo perché minaccia la gioventù e tenta di sottrarle il suo diritto alla speranza e all'ottimismo. In alcuni casi porta al suicidio, alla droga e al terrorismo" (31) .
L'attività di intelligence non può dunque essere considerata né un'attività per intellettuali, né il contrario puro e semplice della stupidità. Anche perché l'idea di stupidità non è univoca, e non ha sempre goduto di una pessima reputazione. Anche da questo punto di vista si potrebbe sostenere che c'è una peculiarità del partito anglosassone; diceva Walter Bagehot: "L'ottusità (dullness) è la nostra specialità, così come l'astuzia (cleverness) è la specialità dei francesi". Accanto a questa maniera di vedere, ce n'è un'altra da Nietzsche a Musil, che infierisce sulla stupidità, vista come una categoria peculiare, a metà strada tra la dimensione morale e quelle intellettiva. Da questa impostazione discende la decisiva distinzione di Cipolla tra buoni, cattivi, incauti, stupidi. In tale prospettiva, anche "un premio Nobel o un ingegnere di spicco possono essere stupidi fino al midollo, a prescindere dalla loro competenza professionale" (32) ; e, dice Cipolla, "la persona stupida è la cosa più pericolosa che esista. Lo stupido è più pericoloso del bandito e la rovina comincia quando tra gli individui al potere si nota un'allarmante proliferazione di banditi con un'alta percentuale di stupidità e, fra quelli non al potere, una ugualmente allarmante crescita del numero di sprovveduti...".
Insieme al catastrofismo della stupidità, esiste un'altra tradizione interpretativa, che preferisce scavare intorno a concetti chiave come ignoranza ed innocenza. E' una tradizione illustre, che ha scolpito personaggi indimenticabili, a cominciare dall'idiota dostojevskiano. Figure come il principe Minskij sono particolarmente care alla cultura popolare; non a caso questo tipo di idiota o di stupido ha avuto una straordinaria fortuna nella cultura di massa più disprezzata dagli intellettuali: la mass culture degli Stati Uniti, dove, da Jerry Lewis a Peter Sellers, stupidi e idioti non soltanto sono più simpatici degli intellettuali, ma sono anche portatori di una implicita filosofia della vita e della storia. Ad esempio, negli Stati Uniti, è assai discusso il grande successo di "Forrest Gump": il film di Zemeckis è stato un portentoso campione d'incasso e il romanzo originario ha venduto un milione e mezzo di copie in poche settimane. La Gumpmania, oltre che un fatto commerciale, era una filosofia: lo scemo sopravvive, mentre muore la ragazza, che si pone troppe domande e segue tutte le mode e le illusioni culturali del suo tempo. Da Frank Capra a Norman Rockwell, gli esponenti più autentici del sogno americano hanno esaltato il tema dell'innocenza in una maniera che non può essere sottovalutata né come fatto di costume né come contenuto e proposta che ha le sue radici in illustri antecedenti. Impossibile dimenticare ad esempio, a proposito dell'eccesso di informazione, la polemica di Montaigne contro l'erudizione. Egli scrisse concisamente che "vi è un maggior numero di persone di qualità tra gli ignoranti che tra le persone erudite" ("Essais", II, 12); e come non ricordare i toni più crudi del rousseauiano "Discorso sulle scienze e sulle arti", che sostiene il primato, se non della stupidità, almeno dell'ignoranza vera e propria?
In conclusione, e in parte sul filo del paradosso (quel paradosso che letteralmente pur essendo contrario alla maniera comune di pensare, ambisce ad essere accettato come tentativo plausibile), la distinzione tra intelligence e intellettuali può tornare utile a chiarire un punto: tramontato il tradizionale mestiere della spia, il nuovo mestiere dell'intelligence è bene che nasca mondato da un difetto iniziale, inevitabilmente connesso a questo tipo di strutture come una sorta di malattia professionale: l'illusione e l'ambizione di dominare gli altri e la natura, la percezione di una missione speciale e di un'investitura superiore, che contemplavano anche una pretesa possibilità di andare oltre le regole valide per i comuni mortali. Di fronte a tendenze di questo tipo, che si sono profilate in vari paesi con effetti spesso drammatici (33) , è bene rivalutare in qualche modo la componente dell'umiltà e dello stupore, se non della stupidità. Da questa rivalutazione può essere favorita la capacità di pensare alle alternative senza la tentazione di metterle all'opera in prima persona. Una programmatica modestia nei confronti di avvenimenti spesso inquietanti può aiutare ad affrontarli senza cedere alla tentazione di poterli manipolare oltre ogni limite. Da un delirio di onnipotenza sono nate alcune delle pagine più controverse della storia dello spionaggio americano, che ha operato a fini di politica interna non meno che a fini di sicurezza internazionale (una celebre battuta, a proposito delle inclinazioni negli anni Settanta di molti analisti della Cia, diceva che "Il più potente governo a cadere per effetto di un'azione di spionaggio americana è stato la presidenza Nixon") (34) . Da questo punto di vista, l'umiltà dell'intelligence è la prima componente di quella nuova cultura dei servizi di sicurezza che lentamente sta nascendo in tutti i paesi occidentali (35) .


Alla fine della guerra fredda esperti di diverso orientamento ideologico hanno parlato di un serious intelligence gap (36) negli Stati Uniti oppure hanno sostenuto che le strutture americane dell'intelligence erano not equipped to cope with the challenges, or to exploit the opportunities, of the new century (37) .
Dopo la caduta del muro di Berlino, nasce un altro mondo rispetto a quello della guerra fredda, che sotto molti profili aveva rappresentato una continuazione senza soluzioni di continuità rispetto alla seconda guerra mondiale. La lotta ai totalitarismi era un potente collante ideologico, che adesso ovviamente quasi non esiste più nei termini tradizionali, mentre è profondamente cambiata pure la maniera di considerare i dati essenziali per la sicurezza nazionale. La stessa ragion d'essere dei servizi di sicurezza come struttura separata e distinta rispetto alle altre forze di polizia è stata messa in dubbio.
Anche se siamo soltanto all'inizio della terza ondata, alcuni punti sembrano comunque già abbastanza chiari. Il trattamento delle informazioni avviene attraverso alcuni passaggi essenziali: la selezione delle fonti e dei flussi di conoscenza, l'efficienza di una struttura di elaborazione delle nozioni raccolte, la capacità di offrire una sintesi finalizzata agli impegni dei vertici politici che devono prendere le decisioni strategiche. Nel percorrere questi tre stadi l'informazione cambia ogni volta utente e natura; in un certo senso, ha valore non in se stessa, ma a seconda della utilizzazione che ne viene fatta. Il fine dell'attività di informazione è l'arricchimento del processo decisionale: l'attività di collezione dei dati non è un accumulo fine a se stesso, ma la capacità di offrire attraverso i dati varie alternative all'azione di governo. Per offrire alternative occorre qualcosa di più di quanto possa offrire la conoscenza pura e semplice; occorre possedere qualcuna di quelle virtù in cui eccellevano i filosofi idealisti e i poeti romantici: occorre quella immaginazione che può rendere l'intelligence un'arte. Quell'immaginazione che oggi è in grado di creare non il mondo, ma un mondo parallelo, che può risultare in qualche caso più verosimile del mondo reale. Occorre l'arte dell'intelligence.
Nella definizione corrente di intelligence è preminente l'aspetto relativo alla utilizzazione delle conoscenze al fine di fronteggiare le minacce alla sicurezza nazionale; in questa definizione esatta e largamente accettata viene però taciuto un profilo, relativo ad un'altra importante caratteristica del lavoro di intelligence: l'utilizzazione della conoscenza al fine di manipolare le percezioni degli avversari, per indurli ad azioni coerenti con gli scopi della sicurezza nazionale. Chi fa intelligence è costretto a pensare continuamente alla possibilità di ingannare e di essere ingannato: la convinzione di agire in una sorta di deserto di ombre e di specchi (in cui niente è come appare e nessuno è quel che dice di essere) è stato un classico tema del lavoro di spionaggio (38) , che diventa ora sempre più assillante perché lo spirito del tempo spinge nella direzione del narcisismo (e della dipendenza nei confronti di un fitta gamma di istituzioni e di organizzazioni). Nella cultura del narcisismo prevale in un altro senso la tendenza a "vedere il mondo come uno specchio", mentre prima era "una terra di nessuno da modellare" a proprio piacimento (39) . La wilderness of mirrors tende a evolvere in qualcosa di inquietante: se gli agenti inclineranno a diventare burocrati, una tendenza all'autocompiacimento e al parassitismo diventerà dominante, e se le strutture patiscono le disillusioni del disincanto democratico (40) , ritroveranno la propria identità dentro una nuova wilderness di specchi, di ombre e di mostri.
Nel corso della terza ondata, lungo un cammino che va dalla televisione alla realtà virtuale, attraversiamo un periodo storico in cui diventa sempre più difficile distinguere tra realtà e simulazione, al punto da indurre alcuni a sostenere che la differenza diventa a volte problematica: molte cose che crediamo reali sono invenzioni, e molte cose che crediamo invenzioni sono invece reali. (41) Dall'aratro ai missili intercontinentali, gli esseri umani sono sempre stati infaticabili costruttori di oggetti artificiali; ma adesso la possibilità di costruzione dell'artificiale arriva non soltanto alla replicazione degli organi fondamentali della vita (il cuore artificiale, il rene artificiale, il sangue artificiale), ma, per così dire, all'invenzione di una vita migliore della vita stessa, perché depurata dei suoi aspetti passionali e imprevedibili: "Artificial intelligence is a non-perturbed intelligence, while that of humans is a perturbed one" (42) . Nel più discusso testo moderno sul metodo e gli scopi dell'intelligence, si sostiene che le scienze sociali e la previsione dei corsi di azione costituiscono il nocciolo del lavoro di raccolta delle informazioni; ma, pur conservando la sua connotazione originaria di attività problem-solving, l'intelligence viene caratterizzata in maniera crescente dalla sua componente innovativa e creativa, per quanto riguarda la capacità di delineare alternative di intervento sulla realtà.
A commento della frase di San Giovanni scolpita con grande evidenza all'ingresso della sede della Cia a Langley, secondo la quale "Voi conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi", Walter Lippmann scrisse "The truth will make us free. Yes, but that truth is a thousand truths which grow and change". Per sopravvivere in mezzo ad una palude di ambiguità, come dicono Nye e Owens nel saggio precedentemente citato, non sono sufficienti soltanto le capacità di raccolta delle informazioni: occorre un'altra dimensione dell'intelligenza; potremmo dire, in termini classici, le ragioni del sentimento e dell'intuizione insieme a quelle della ragione.
Di una rivincita di Pascal contro Cartesio si è già parlato in molti contesti specialistici (43) , e in queste pagine basterà soltanto un accenno. Il Pascal che rivaluta le ragioni del cuore è lo stesso che a vent'anni, nel 1643, inventò la macchina aritmetica, cioè la prima calcolatrice basata sui criteri della geometria, della fisica, della meccanica; è lo stesso che nella lettera a Cristina di Svezia (che gli chiedeva un esemplare della macchina), esalta la sovranità del sapere sugli "spiriti inferiori" ed esprime una "venerazione tutta particolare per coloro che si sono elevati al grado massimo di potenza o di conoscenza". Eppure egli è il più deciso assertore dell'insufficienza dell'esprit de geometrie e dell'importanza dell'esprit de finesse. Pascal non soltanto sottolinea che, accanto alla ragione, ci sono le ragioni del cuore, ma mette in rilievo tutto ciò che sfugge alle dimostrazioni more geometrico, dai misteri della religione all'arte di persuadere, di piacere, di convincere.
In varie rivalutazioni delle ragioni del cuore, del sentimento, dell'intuizione, anche per quanto riguarda la profondità e l'apertura dell'intelligenza (44) , a volte c'è qualche pretesa irrazionalistica, che può facilmente essere fronteggiata facendo riferimento a stadi precedenti del dibattito epistemologico, in cui il problema è stato ampiamente affrontato e conclusivamente definito. Tutti i processi inferenziali, sia quelli di tipo induttivo sia quello di tipo deduttivo, sia quelli di tipo nomologico sia quelli di tipo idiografico, non possono sfuggire alla elementare premessa secondo la quale è discriminante la formulazione di asserti che abbiano una dimensione semantica suscettibile di controllo e di confronto. In questo senso, la sottolineatura, ad esempio, dell'abduzione come principio di una logica di tipo nuovo ha lo stesso peso che aveva negli anni Trenta la contrapposizione della analytic induction nei confronti della enumerative induction (45) : il problema è ogni volta il medesimo sotto mutate spoglie: come fare ad arrivare a generalizzazioni attendibili sulla base di informazioni incomplete, approssimative, probabilistiche?
Anche nei casi in cui il ruolo dell'intuito sembra avere lo spazio più consistente, in effetti pure in quei casi, sostengono gli esperti nella psicologia delle decisioni (46) , c'è un peso schiacciante della conoscenza acquisita sul campo, attraverso l'analisi di casi specifici e l'interiorizzazione di schemi e di alternative. Quello che all'esterno sembra intuito è in effetti il risultato dell'apprendimento precedente. Con una differenza fondamentale: l'apprendimento può avere come scopo soltanto la raccolta di dati, oppure avere come scopo la difesa dei paradigmi interpretativi, oppure avere come scopo la creazione di soluzioni e la ricerca di alternative ardimentose; quando si parla di chi è specializzato in questo ultimo tipo di apprendimento, si parla di qualcuno il cui stile di pensiero viene definito come arte, per la preminenza di procedimenti analogici, intuitivi, inventivi.
Rispetto a quella che è stata la vicenda italiana delle strutture di spionaggio, alcune osservazioni precedenti potrebbero apparire fuori luogo per più di un motivo. Dopo il 1945 la storia dei servizi d'informazione è stata spesso caratterizzata da un uso inconfessato a fini di politica interna. Questo aspetto costituiva una radicale diversità rispetto a molti altri paesi europei. Chi lavorava nei servizi di sicurezza sentiva il peso enorme di questa situazione. La guerra fredda ha inciso in maniera particolare sul paese in cui c'era il partito comunista più forte del mondo, la criminalità organizzata più forte del mondo, il partito neofascista più forte del mondo. L'attività di informazione vera e propria è stata condotta in maniera gravemente condizionata da un contesto specifico che, secondo molte inchieste giudiziarie ancora in corso, avrebbe avuto conseguenze di particolare gravità. Questo passato tempestoso dovrebbe non respingere, ma sollecitare coloro che hanno a cuore la sicurezza e il futuro del paese: è necessario interessarsi secondo i consueti metodi accademici e scientifici anche di questo problema per molti versi scottante e controverso.


(*) Relazione presentata al convegno della Società Italiana di Scienza della Politica, Urbino, 13-15 giugno 1996.
(1) Per qualche riferimento alla bibliografia recente su queste tematiche nei paesi più influenzati dalle origini cattoliche, e non protestanti, cfr. P. Preto, "I servizi segreti di Venezia", Il Saggiatore, Milano 1994; C. Silberzhan - J. Guisnel, "Au coeur du secret", Fayard, Paris 1995; D. Porch, "The French Secret Services, From the Dreyfus Affair to the Gulf War", Farrar Strauss Giroux, New York 1995.
(2) Cfr. Ch. Andrew, "Her Majesty's Secret Service. The Making of the British Intelligence Community", Viking, New York 1986.
(3) D. Johnson, "A Spy's A Spy For All That", in "Book World - The Washington Post", January 27, 1991, p. 2.
(4) Il caso classico è Aldrich Ames, su cui c'è una bibliografia considerevole; cfr. D.Wise, "Nightmover, How Aldrich Ames Sold the CIA To the KGB for $ 4,6 Million", Harper Colins, New York 1995.
(5) H.L. Stimons - McGeorge Bundy, "On Active Service in Peace and War", Octagon Books, New York 1947, p. 188.
(6) P. Grose, "Gentleman Spy. The Life of Allen Dulles", Houghton Miffin, New York 1994. Cfr. anche W.E. Colby, "Honorable Men. My Life in the CIA", Simon & Schuster, New York 1978, e A. Dulles, "The Craft of Intelligence", Harper, New York 1963. Alcuni osservatori sono inclini a vedere tutta la letteratura della spy story come dominata o dalle rodomontate di James Bond o da uno stereotipo, codificato da Graham Greene e John Le Carrè, in cui gli agenti occidentali sono insicuri delle proprie ragioni e della propria verità, rosi dal dubbio e dall'incertezza. Si noti che anche in questa tradizione c'è ampio spazio per personaggi che sono spies e gentlemen contemporaneamente, a cominciare dal celebre Alec Leamas di "The Spy Who Came in from the Cold": è un gentleman spy, che preferisce morire proprio perché gentleman e non perché spy; e poi c'è la tradizione che va da John Buchan e Geoffrey Household fino al Ford Madox Ford di "The Good Spy". Negli Stati Uniti un'altra tradizione ancora sui rapporti tra gentlemen e spies (rispetto a quella di Graham Greene e John Le Carré) è invece rappresentata al suo meglio nei racconti di William F.Buckley Jr.
(7) Il riferimento alla lettura della posta degli altri è diventato proverbiale nella cultura americana. Ad esempio il punto viene citato a proposito delle nuove problematiche dello spionaggio economico. Si afferma infatti: "Forse la nostra riluttanza ad impegnarci nello spionaggio industriale è oggi anacronistica come era anacronistico quel sentimento dopo il 1948?".
(8) Cfr. D. McCurdy, "Glasnost for the CIA", in "Foreign Affairs", January-February 1994, p. 131.
(9) Cfr. K.G. Robertson (ed.), "British and American Approaches to Intelligence", Macmillan, London 1987.
(10) Per un riconoscimento della dimensione morale nella trattazione realistica del peso della forza nelle relazioni internazionali, cfr. L. Bonanate, "Ethics and International Politics", Polity Press, London 1996.
(11) Cfr. Silvio Romano, "La distinzione tra ‘jus publicum' e ‘jus privatum' nella giurisprudenza romana", in "Scritti giuridici in onore di Santi Romano", Giuffrè, Padova 1939.
(12) I massimi propagandisti del partito anglosassone sono stati alcuni dei più autorevoli pensatori francesi, da Montesquieu a Voltaire, da Constant a Tocqueville, da Aron e Crozier. Per una lettura esemplare della spaccatura in proposito nella cultura francese, cfr. il saggio di R. Aron, "Auguste Comte e Alexis de Tocqueville critici dell'Inghilterra", pubblicato in appendice a R. Aron, "Le tappe del pensiero sociologico", Mondadori, Milano 1974, pp. 543-565. Come il partito anglosassone nasce in Francia, così uno dei suoi concetti più tipici nasce negli Stati Uniti, con la formalizzazione giuridica del concetto di privacy; cfr. E. A. Shils, "Privacy: Its Constitution and Vicissitudes", in "Law and Contemporary Problems", vol. 31, n. 2, 1966, p. 283.
(13) G. Martinotti, "Controllo delle informazioni personali e sistema politico", in F. Rositi (a cura di), "Razionalità sociale e tecnologie dell'informazione", Edizioni di Comunità, Milano, 1973, vol. III, p. 340.
(14) Il punto non viene in genere molto sottolineato negli scritti degli autori di "sinistra" come Bobbio o Habermas, e viene invece sottolineato ampiamente negli scritti degli autori di "destra" come Hayek. Cfr. N. Bobbio, voce "Pubblico/privato", in "Enciclopedia Einaudi", Torino 1980, vol. XI, pp. 401-14; J. Habermas, "Storia e critica dell'opinione pubblica", Laterza, Bari 1971; F. Hakek, "La società libera", Vallecchi, Firenze 1975.
(15) B. Constant, "Principi di politica", Editori Riuniti, Roma 1980, p. 233.
(16) J. Stuart Mill, "Saggio sulla libertà", Mondadori, Milano 1984, pp. 32-33.
(17) Ibid., p. 33.
(18) Alcuni osservatori hanno formulato in proposito lo stesso interrogativo che a suo tempo fu proposto nei confronti della criminalità organizzata: che cosa è peggio, la criminalità organizzata o la criminalità disorganizzata? Cfr. J. Buchanan, "A Defence of Organized Crime?", in S. Rottemberg, "The Economics of Crime and Punishment", The American Enterprise Institution, Washington 1973.
(19) L'esempio più evidente dei cambiamenti in corso è offerto dalle trasformazioni nel vasto mondo della criminalità organizzata; cfr. R. Faligot, "L'Empire envisible, les mafia chinoises", Picquier, Paris 1996.
(20) A. Toffler,"La terza ondata", Sperling, Milano 1987.
(21) S. Nye - W. A. Owens, "America's Information Edge", in "Foreign Affairs", March-April 1996, pp. 26-27.
(22) Cfr. M. Negrotti, "Cultural Dynamics and Informatic Diffusion", in "Futures. The Journal of Forecasting and Planning", vol. 16, n. 1, February 1984.
(23) M. Lane, "Plausible Denial, Was the CIA Involved in the Assassination of JFK?", Thunder Mouth Press, 1991.
(24) Per una serie di precisazioni in proposito, cfr. A. Theoharis, "J. Edgar Hoover, Sex, and Crime: An Historical Antidote", Ivan R. Dee 1995.
(25) G.F. Treverton, "Covert Action. The Limits of Intervention in the Postwar World", Basic Books, New York 1987.
(26) Cfr. Ch. Joubert, "Undercover Policing. A Comparative Study", in "European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice", 1994, 1, pp. 16-39.
(27) Cfr. A. Shulsky, "Silent Warfare, Understanding the World of Intelligence", Brassey's, Washington 1991, p. 74.
(28) Il tema è oggetto di accaniti dibattiti; per il punto di vista che più differenzia l'attività di intelligence rispetto alla individuazione e protezione di attività segrete, cfr. due classici testi: S. Kent, "Strategic Intelligence for American World Policy", Princeton University Press, Princeton 1966; S. Turner,"Secrecy and Democracy. The CIA in Transition", Houghton Mifflin, Boston 1985.
(29) W. Lepenies, "Ascesa e declino degli intellettuali in Europa", Laterza, Bari 1992.
(30) K. Popper, "La lezione di questo secolo", Marsilio, Venezia 1994, pp. 90-91. La critica degli intellettuali e la denuncia delle loro responsabilità è stata ricorrente nelle opere di Popper, con una tendenza particolare, mi sembra, ad accentuare questo tema quando aveva di fronte interlocutori italiani. Cfr. la sua comunicazione ad un convegno tenuto a Milano nel 1985, ristampata in appendice a G. Brescia, "Epistemologia ed ermeneutica nel pensiero di Karl Popper", Schena, Fasano 1986. Per più ampie indicazioni a proposito di alcuni aspetti significativi delle vicende intellettuali in Italia mi permetto di rinviare a F. Sidoti, "Emancipazione e politiche culturali negli anni sessanta: Marcuse in Italia", in "Rassegna italiana di sociologia", n. 2, 1974, pp. 241-290; F. Sidoti, "Raymond Aron. Le disavventure di un francese in Italia", in "MondOperaio", luglio, 1992, pp. 104-108; F. Sidoti, "Istituzioni e criminalità", Cedam, Padova 1996, pp. 318-334.
(31) K. Popper, "La lezione di questo secolo", cit., pp. 79-80. Molti intellettuali condividono tesi come quelle raccolte in S. Latouche, "L'occidentalizzazione del mondo", Bollati Boringhieri, Torino 1992. Latouche definisce così l'Occidente: "macchina infernale che stritola gli uomini e le culture per fini insensati che nessuno conosce e il cui punto di arrivo rischia di essere la morte... truffa di una pseudouniversalità imposta dalla violenza e perpetrata dalla negazione dell'Altro". Invece, "nelle plobaciones di Santiago del Cile come nelle favelas di Rio, come nei quartieri di Abidjan o nelle bidonvilles di Casablanca e del Cairo, si ricostruisce un tessuto sociale. Si creano solidarietà che s'inventano nuove basi di legittimazione."
(32) Cfr. F. Savater, "Dizionario filosofico", Laterza, Bari 1996.
(33) Per la denuncia del "culto dell'intelligence" come uno dei problemi più insidiosi, cfr. V. Marchetti - J.D. Marks, "The CIA and the Cult of Intelligence", Knopf, New York 1974, p. 4.
(34) C. Andrew, "For the President's Eyes Only. Secret Intelligence and the American Presidency From Washington to Bush", Harper, New York 1994.
(35) Per maggiori informazioni sull'argomento, mi permetto di rinviare ad una mia precedente trattazione, cfr. F. Sidoti, "I Servizi di informazione e di sicurezza: prospettive per una cultura al servizio del paese", in "Per aspera ad veritatem", a. I, n. 2, 1995, pp. 89-103.
(36) S. Turner, "Intelligence for a New World Order", in "Foreign Affairs", Fall 1991, vol. 70, n. 4, p. 157.
(37) A. Codevilla, "Informing Statecraft. Intelligence for a New Century", The Free Press, Macmillan 1992, p. 72.
(38) D. Martin,"A Wilderness of Mirrors", Harper, New York 1980.
(39) Lasch, "La cultura del narcisismo", Bompiani, Milano 1980, pp. 21-22. Cfr. M. Merleau-Ponty, "Il visibile e l'invisibile", Bompiani, Milano 1969, che attribuisce alla possibilità di scrutare, alla visione un privilegio assoluto sulle capacità sensoriali.
(40) P. Bruckner, "La mélancolie démocratique. Comment vivre sans ennemis?", Points, Paris 1992, p. 1:"Nous vivons bien, encore et toujours, le deuil consécutif à la disparition de l'ennemi unique remplacé par une multitude de menaces d'autant lus effrayantes que mal identifiables".
(41) J. Baudrillard, "Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?", Cortina, Milano 1996.
(42) M. Negrotti, "The Reality of Artificial", in "Imes W P", 5 August, 1991, p. 3. Dello stesso autore, cfr. M. Negrotti (ed.), "Understanding the Artificial. On the Future Shape of Artificial Intelligence", Springer-Verlag, London 1990.
(43) Cfr. A.R. Damasio, "L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano", Adelphi, Milano 1995.
(44) Cfr. D. Goleman, "Emotional Intelligence", Bantam, New York 1995.
(45) F. Znaniecki, "The Method of Sociology", Farrar, New York 1934.
(46) R. Rumiati - N. Bonini, "Le decisioni degli esperti. Psicologia cognitiva delle decisioni manageriali", Il Mulino, Bologna 1996.

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