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Per Aspera Ad Veritatem n.1
Intelligence diffusa e cultura dell'intelligence

Alessandro CORNELI




Lo scopo dell'attività di intelligence è la sicurezza dello Stato per garantirne la protezione dalle minacce interne ed esterne. Tali minacce sono anzitutto quelle derivanti da iniziative imputabili a soggetti identificabili (governi, gruppi, individui) che perseguono obiettivi specifici, ma non sono da trascurare anche quelle minacce che emergono da cause diffuse, riferibili alle situazioni sociali ed economiche, culturali e religiose, politiche interne e internazionali, che formano l'humus propizio all'insorgenza delle minacce stesse.
Le minacce sono dinamiche: non restano mai uguali a sé stesse, si evolvono, spostano i loro obiettivi, si articolano e si collegano in forme sempre nuove al fine di sottrarsi all'osservazione delle strutture che le combattono.
Per la lunga esperienza accumulata nel passato, le minacce si distinguono anche in militari e non militari. La minaccia militare tipica è quella che viene da uno Stato o da una coalizione di Stati dichiaratamente ostili: è stato il caso, per oltre quattro decenni, della minaccia proveniente dal Patto di Varsavia. Ciò ha condizionato tutti i servizi d'intelligence dell'Occidente, spingendoli a collaborare strettamente con gli Stati Uniti nel quadro della NATO. Il crollo dei regimi comunisti ha fortemente ridotto questo tipo di minaccia, che tuttavia si ripresenta sotto forma di conflitti convenzionali, pericolosi soprattutto quando si sviluppano non troppo lontano dalle frontiere nazionali. La diffusione di vettori balistici rende, in prospettiva, il territorio di una media potenza vulnerabile a eventuali attacchi da parte di nuovi nemici potenziali. I servizi d'intelligence militare devono adeguarsi a questo nuovo tipo di minaccia, finora considerata secondaria, nonché all'ipotesi di operazioni militari in teatri anche lontani sotto l'egida dell'ONU.
Il principale tipo di minaccia non militare, pur con profili assimilabili, è stato quello del terrorismo. Quanto a questo fenomeno, si deve distinguere il "terrorismo di Stato", cioè quello usato da alcuni governi per esercitare pressioni su altri governi come surrogato e complemento di diplomazia, e il "terrorismo autoctono", generalmente causato da motivazioni politico-ideologiche e sociali e con finalità eversive interne, anche se non indifferenti per gli interessi di altri stati. Infatti si è potuto constatare come tra le due specie di terrorismo intercorressero numerosi rapporti, sia per quanto si riferiva all'addestramento e alla fornitura di armi, sia per quanto atteneva ai collegamenti logistici. Non si può ritenere che la minaccia terroristica, per i fini più diversi, sia scomparsa.
Il fenomeno terroristico ha spesso ridotto nella pratica la classica distinzione tra servizi segreti rivolti all'estero e servizi segreti rivolti all'interno. Lo stesso deve dirsi per fenomeni, non nuovi ma rafforzatisi negli ultimi 10-15 anni, che vengono sommariamente indicati come "criminalità organizzata" (traffico di stupefacenti, di armi, di tecnologie, di materiali sensibili, di organi, riciclaggio di denaro sporco ecc.). Recentemente sono apparsi fenomeni sociali di tipo xenofobico e razzistico, contrari ai princìpi democratici, che pur presentando sintomatologie nazionali non sono privi di collegamenti internazionali.
Benché nell'insieme tutti questi tipi di minacce siano presenti da molti anni, e i vari servizi segreti si siano attrezzati per affrontarli, la scomparsa dello schema di riferimento Est-Ovest tende a modificare sia l'orientamento generale dell'intelligence sia la sua struttura operativa. In una certa misura tutti i servizi d'intelligence tendono verso una rinazionalizzazione, assumendo la difesa e la protezione, e sempre più spesso la promozione, dell'interesse nazionale come motivo centrale della loro attività. In questo modo i servizi segreti sono sollecitati a rafforzare i loro legami, inizialmente almeno a livello concettuale di analisi, con l'economia nazionale e con la politica estera, riducendo la loro dipendenza dai parametri strettamente militari e legati alla logica della contrapposizione Est-Ovest.
Questa rinazionalizzazione dei servizi d'intelligence va di pari passo con un diverso atteggiamento delle stesse forze politiche e sociali operanti all'interno di ciascun Paese che da un lato acquistano maggiore consapevolezza della loro responsabilità nazionale mentre dall'altro lato avvertono di trovarsi esposte a nuove forme di pressione da parte di soggetti esteri. La mondializzazione dell'economia, ad esempio, favorisce in modo pacifico l'estensione dell'influenza di imprese di un Paese in altri Paesi, creando in questi ultimi, potenzialmente, le condizioni per una loro vera e propria subordinazione. La corsa all'egemonia tra gli Stati, meno militare e ideologica, si è spostata sul terreno produttivo, finanziario, commerciale, tecnologico. Pur respingendo qualsiasi orientamento autarchico, fa parte della sicurezza dello Stato poter sapere fino a che punto si ramificano queste forme di influenza estera e fino a che punto possono trasformarsi da vantaggiose, secondo la logica del libero mercato, in svantaggiose, creando in prospettiva assorbimento di conoscenze tecnico-scientifiche o di capitali, spostando all'estero i centri decisionali, ecc. Al potere politico resta comunque ogni decisione definitiva al riguardo.
La modificazione delle minacce implica una modificazione nel modo di operare dei servizi d'intelligence e, a monte, uno sforzo di aggiornamento del processo di formazione culturale dei loro elementi, sia per quanto attiene alla preparazione precedente l'assunzione in servizio, sia per quanto attiene ai contenuti addestrativi. Sotto il primo aspetto, competenze informatiche, economiche, linguistiche, finanziarie, tecnologiche assumono una importanza crescente rispetto al passato; sotto il secondo aspetto, queste competenze devono essere affinate e orientate secondo le tecniche specifiche dell'attività d'intelligence.
Parallelamente cambiano i modi in cui i servizi segreti partecipano alla vita istituzionale dello Stato e le forme in cui giustificano di fronte alle forze politiche e all'opinione pubblica la loro esistenza e il loro operato. Solo una scarsa consapevolezza del ruolo che possono svolgere i servizi segreti per la sicurezza dello Stato e la promozione del benessere collettivo, e quindi delle istituzioni e delle forze sociali, può immaginare che la fine del confronto Est-Ovest sia una ragione sufficiente per chiedere il loro smantellamento o la loro riduzione.
Allo stesso modo in cui le forze politiche dei diversi Paesi si adattano alla nuova realtà del dopo guerra fredda, così devono fare i servizi segreti, instaurando un rapporto più organico con le forze politiche e l'opinione pubblica. Si può arrivare ad affermare che la fine del confronto Est-Ovest libera molte potenzialità dei servizi segreti per il perseguimento della sicurezza e dell'interesse nazionale.
La consapevolezza di tutto ciò si va diffondendo nei principali Paesi occidentali. In Francia i servizi segreti sono da anni in corso di potenziamento, con particolare riguardo all'intelligence economica, tema ampiamente dibattuto anche negli Stati Uniti, ma da tempo già affrontato e risolto nel Regno Unito, in Germania e in Giappone.
L'ampio processo critico di cambiamento politico, economico, sociale e culturale in corso da qualche anno anche in Italia offre una importante occasione per avviare, dopo le molte polemiche e strumentalizzazioni del passato, anche nel nostro Paese la diffusione, anzitutto all'interno delle istituzioni, e poi presso l'opinione pubblica, di una vera e propria cultura d'intelligence per non privare il Governo di tutte le potenzialità di questa importante struttura, analitica e operativa, al servizio dell'interesse e della sicurezza dello Stato.
Per raggiungere queste finalità è importante operare anzitutto a monte, cioè a livello di formazione degli uomini in quanto la "risorsa umana" è, da sempre, quella più preziosa per un servizio segreto. Vale quindi anche in questo campo la logica dell'investimento: più si cura la preparazione di un elemento, più questo sarà produttivo; e lo sarà tanto più quanto più sarà motivato nella convinzione di svolgere un'attività altamente qualificata, che resterà sempre avara di riconoscimenti pubblici, ma sarà meglio apprezzata dalle istituzioni e compresa dall'opinione pubblica.




Lo schema concettuale entro cui viene di solito inquadrato da qualche anno il dibattito sul ruolo dei servizi segreti (o servizi d'intelligence) nei principali Paesi occidentali si sviluppa essenzialmente lungo tre direttrici:
a) la fine della guerra fredda ha fatto venir meno la minaccia politico-militare del blocco comunista e alcune altre minacce collegate al conflitto Est-Ovest, ma sono in aumento i conflitti di tipo regionale, con eventuale intervento dell'ONU, e i rischi connessi alla diffusione di armi di distruzione di massa. La clamorosa scoperta, annunziata il 21 febbraio 1994, che un alto funzionario della CIA (Aldrich Ames) continuava a lavorare per Mosca, ha tuttavia dimostrato che, caduto il confronto ideologico e avviato il disarmo strategico, la competizione tra gli Stati continua;
b) si modificano le minacce che attentano alla sicurezza interna degli Stati, non tanto attraverso un attacco diretto alle istituzioni per motivi ideologico-politici, quanto piuttosto attraverso la disgregazione della normale attività dei soggetti sociali minata dalla criminalità organizzata, dal narcotraffico, dal riciclaggio di denaro sporco, dai micronazionalismi, dalla xenofobia e dai conflitti interetnici, dal neoterrorismo a sfondo nichilista o religioso, come ha dimostrato l'attentato al gas nella metropolitana di Tokyo avvenuto il 20 marzo 1995;
c) l'interesse nazionale, e quindi la sicurezza nazionale, ha spostato il suo baricentro dagli aspetti militari e ideologici a quelli economici (competizione commerciale, spionaggio e controspionaggio economico, nuove tecnologie, speculazione finanziaria) dove non esistono più Stati amici o nemici, ma una sfrenata concorrenza che, praticata anche da soggetti transnazionali o avente per oggetto imponenti masse di capitali, rende inefficace l'azione di alcuni strumenti tradizionali di controllo degli Stati.
Questo quadro viene considerato come operante una forte spinta all'evoluzione dell'intelligence, quasi una rivoluzione nella sua storia, che si spiega con la confluenza, in un arco di tempo molto ristretto, di alcuni eventi di grande portata: la fine del comunismo euro-sovietico, la mondializzazione dell'economia, l'esplosione delle informazioni grazie agli sviluppi dell'informatica e della telematica, la più stretta interdipendenza tra politica estera e politica interna nonché tra sicurezza militare generale e sicurezza economica, la modificazione del concetto di sovranità, il cui esercizio viene conteso tra i suoi titolari tradizionali (gli Stati) e numerosi altri soggetti (le organizzazioni internazionali, le imprese multinazionali, i soggetti sub-nazionali quali le minoranze etniche, religiose e linguistiche, le organizzazioni religiose transnazionali, le sette, i network comunicazionali o autostrade telematiche, le organizzazioni non governative, i grandi soggetti finanziari).
Per l'intelligence non si tratta soltanto, come spesso viene ripetuto, di adeguarsi a nuove sfide, poiché questo è sempre accaduto. La novità appare piuttosto su due piani: da un lato - ma il fenomeno è in corso da 15-20 anni - si assiste alla crescita esponenziale del volume delle informazioni in tutti i campi della vita sociale, economica e politica, favorita dalla diffusione di strumenti tecnici alla portata di un numero crescente di soggetti; dall'altro lato - e questo è l'aspetto forse più importante - la metodologia specifica attraverso cui l'intelligence raccoglie ed elabora le informazioni viene adottata, per la facilità stessa di accesso alle informazioni e alla loro elaborazione, da un numero crescente di soggetti che diffondono in tal modo sia la pratica che la cultura d'intelligence così da emarginare tendenzialmente proprio quelle strutture che la detenevano in modo istituzionale e privilegiato.
I servizi segreti rischiano di configurarsi come una tra le tante organizzazioni - pubbliche, semipubbliche o private - che si dedicano allo stesso scopo e negli stessi campi d'interesse. Non solo: molti organismi - anzitutto i grandi soggetti finanziari e le principali società multinazionali - dispongono di propri servizi di intelligence mirati che, in alcuni settori, sono più avanzati di quelli ufficiali di molti Stati. Lo stesso deve dirsi per i numerosi e qualificati think tank (pensatoi) che riescono a orientare l'opinione pubblica e le scelte dei governi.
"Il renseignement si è privatizzato", ha detto William Colby, ex direttore della CIA, spiegando che la CIA è ormai sfidata sul suo stesso terreno, nel senso che l'intelligence è diventata un'attività non più riservata a determinati organi pubblici, ma è praticata sempre più largamente da istituzioni private, non solo nel campo dello spionaggio e del controspionaggio economico, ma come supporto strategico al loro processo decisionale normale. La novità di tale evento è la tendenza a istituzionalizzare le connessioni (in parte già esistenti) tra interessi pubblici e interessi privati in un campo che non può essere definito della sicurezza in senso stretto.
È normale quindi aspettarsi una spinta verso la ricezione legislativa di questa realtà e da qui scaturisce il dibattito sulla necessità di una riorganizzazione dell'intelligence che, non a caso, è partito proprio dagli Stati Uniti all'inizio degli anni Ottanta, quando risultò evidente che il sistema economico-politico sovietico, vicino al collasso, avrebbe avuto ripercussioni sull'attività di intelligence.
In particolare, l'enfasi attribuita all'intelligence economica, se da un lato sembra far dimenticare che questo tipo di attività è sempre stato svolto dai servizi segreti, dall'altro lato non mette bene in luce il fatto che essa si inquadra ormai in un nuovo contesto, e quindi esige regole operative diverse. Questo nuovo contesto dipende principalmente dalla modificazione del concetto di sovranità dello Stato, che già si avverte da tempo nell'azione dei suoi organi: i parlamenti dei Paesi dell'Unione Europea, ad es., devono recepire numerose disposizioni comunitarie e adeguare ad esse le leggi nazionali; i governi devono sempre più subordinare le loro decisioni di politica economica ad accordi presi in sede internazionale o piegarsi alle condizioni stabilite da organismi internazionali; lo stesso vale per singoli ministeri, per le banche centrali ecc. Sarebbe assurdo ritenere che tutto ciò non abbia ripercussioni sul modo di essere e di agire dei servizi d'intelligence.
Basti un esempio. In sede di Unione Europea prende sempre più consistenza la lotta contro le frodi, ad es. nel campo agricolo per quanto riguarda la richiesta di fondi relativi a colture che vengono abbandonate oppure attivate, o nel campo commerciale delle importazioni di prodotti contraffatti, sia di lusso sia di largo consumo. Nel primo caso si comincia a ricorrere all'uso di rilevazioni del territorio attraverso satelliti: la raccolta, l'analisi e la gestione di queste rilevazioni può essere multiuso e quindi può interessare i servizi segreti. Nel secondo caso, bisogna vincere la complicità delle autorità dei Paesi che producono ed esportano prodotti contraffatti, e questo può richiedere il supporto dell'intelligence. Ma in entrambi i casi i confini tra interesse privato e pubblico, nazionale e internazionale, politico e economico sfumano, si confondono e l'intelligence ne deve prendere atto. A monte, tuttavia, ne devono prendere atto anche i poteri pubblici che sono chiamati a ridefinire i compiti dei loro servizi segreti mentre l'opinione pubblica va tenuta adeguatamente informata affinché non faccia venire meno il suo sostegno. In altri termini, il nuovo contesto operativo impone una nuova cultura d'intelligence.


Negli Stati Uniti il dibattito è più che mai aperto e approfondito da anni mentre in Europa, almeno a livello pubblico, esso è limitato prevalentemente alla Francia.
A fine marzo, un'apposita Commissione del Senato americano ha concluso che la CIA dà luogo a rilievi di inefficienza e dispendiosità e pertanto deve essere riformata. La reinvenzione dei servizi segreti d'oltre Atlantico è stata affidata dal Presidente Clinton alla Commissione Aspen, che dovrà esaminare le varie alternative. Le posizioni e le proposte, che non mancano di pubblicità, sono le più disparate: mentre il senatore Pat Moyniham vorrebbe chiudere la CIA, il senatore William Cohen propone di privatizzarla e un altro senatore, Howell Heflin, ritiene che vada smembrata.
A favore della privatizzazione si è pronunziato Bruce Bueno Mesquita, politologo della Hoover Institution, uno dei think tank di ispirazione repubblicana. Davanti alla Commissione senatoriale ha detto: "La gente immagina la CIA come un organismo eroico, dove tutti sono dei James Bond. Ma la maggior parte del lavoro si svolge a tavolino: è un lavoro di ascolto, di studio, di ricerca, d'interpretazione. Inoltre, le fonti d'informazione non sono mai state così pubbliche e copiose, basta pensare all'Internet, la rete di computer che collega il mondo. Le università e l'industria privata sono meglio attrezzate della CIA per questo lavoro di spionaggio. Tra l'altro, con la fine della guerra fredda, la CIA si è burocratizzata, non ha più un nemico a motivarla". Un altro esperto della Hoover Institution, Angelo Codevilla, propone tagli alle spese su alcune ricerche da affidare invece alle università e alle industrie private. Bob Gates, ex direttore della CIA, vorrebbe attribuire il compito di analisi e alcune ricerche ai singoli ministeri.
Periodicamente intervengono nel dibattito gli ex direttori della CIA, alcuni spingendo verso un'accentuazione dell'attività di intelligence economica, altri invece negando che questa sia compatibile con la filosofia sociale degli Stati Uniti. Questa seconda tesi sembra prevalere e anche il Presidente Clinton, che in un primo tempo appoggiava la tesi opposta, sembra essersi allineato su questa posizione.
In Francia sono stati numerosi e autorevoli gli interventi pubblici sul ruolo dei servizi segreti ed è stato messo in luce lo stretto rapporto che deve legare la loro attività di ricerca di informazioni, analisi e previsione al complesso della politica estera, nella duplice dimensione diplomatica ed economica. Il più recente e completo contributo è venuto da Claude Silberzahn, dal 23 marzo 1989 al 7 giugno 1993 direttore della DGSE (Direction Générale pour la Securité Exterieure), in un libro uscito alla fine di marzo, "Au coeur du secret" (ed. Fayard).
Si tratta di un'organica riflessione elaborata a caldo sul problema dell'esistenza dei Servizi - che egli preferisce chiamare services spéciaux - e della loro giustificazione. "Da un secolo - scrive Silberzahn - sono stati considerati elementi essenziali della sicurezza degli Stati e del loro peso nel mondo… Nessuno, domani, sopprimerà i servizi, e quindi bisogna riflettere per farne il migliore uso. Da un lato integrandoli nel migliore modo possibile nell'apparato dello Stato, ciò che implica il favorire il loro dialogo con le istituzioni, e dall'altro lato associandoli al processo decisionale del potere esecutivo" (pp. 311-313).
L'ex direttore della DGSE ritiene che "l'indipendenza delle nazioni, il loro peso nel mondo, la loro stessa sicurezza, sono oggi largamente disconnesse dalla loro potenza militare. La minaccia militare non è che una minaccia tra le altre, come quelle che irradiano il denaro, gli integralismi, le migrazioni di massa, l'ambiente" (pp. 315-316). In particolare, lo schema dominante dell'attività dei servizi segreti, venuto meno quello del confronto Est-Ovest, è quello del binomio mondializzazione-parcellizzazione (p.311) che procede a mano a mano che si restringe sempre più "il campo del nazionale a vantaggio del transnazionale" (p.314): la mondializzazione è già fortemente avanzata sul piano dell'economia e delle comunicazioni; la parcellizzazione appare come la reazione dialettica ad essa, assumendo le forme della nascita di nuove nazioni, le insorgenze etniche e religiose, i fenomeni razzisti (p. 311).
Il comunismo non è più il nemico per eccellenza, il fulcro intorno a cui far ruotare l'attività dei servizi speciali all'interno e all'estero. Scrive Silberzahn: "Questo periodo storico agonizza, e con esso tutta la pratica dello spionaggio e del controspionaggio classico che aveva costituito per decenni il cuore del saper-fare dei servizi speciali" (p. 240). Infatti, "lo spionaggio classico - precisa - è un'attività in via di regressione, poiché ciò che è nascosto o segreto oggi in un paese come il nostro riguarda soprattutto il campo economico nel senso ampio del termine: scientifico e tecnologico, finanziario e industriale" (p. 240).
Oggi e per il futuro prevedibile, per le democrazie la "minaccia essenziale" è "quella del denaro che si può definire selvaggio" (p. 256) perché se "ciò che è militare diventa presto strategico, ciò che è strategico si muta in politico, il politico contiene l'economico" (p. 248). Precisa Silberzhan: "Se c'è un campo dove i Servizi devono pienamente giocare il loro ruolo al servizio della collettività, è quello dell'economia sotterranea, illegale e talvolta mafiosa, e della finanza criminale… Oggi, la più pesante delle minacce contro le nostre società democratiche, la più immediata, è in effetti il denaro diventato selvaggio. Il denaro sporco evidentemente, quello della droga, del crimine organizzato, del prossenitismo, delle mafie. Ma anche il denaro politico che implica una possibile manomissione straniera, e talvolta nemica, sui settori vitali degli apparati economici nazionali. Per non dire del denaro della speculazione che, privilegiando sempre il breve termine, dà scacco alla sovranità monetaria, oggi sempre più teorica, degli Stati" (p. 177).


Se non sembrano esserci dubbi sulla necessità di procedere a una profonda riflessione sulla natura e la funzione dei servizi segreti nel passaggio da un'epoca storica (per i suoi caratteri militari, politici ed economici) all'altra, è bene che questo dibattito sia approfondito e in buona misura pubblico per il fatto che nessuna istituzione può fare a meno di una larga base di legittimità. Poiché ormai se ne discute da almeno dieci anni negli Stati Uniti e da almeno cinque in Francia, è chiaro che il problema è complesso, ma il dibattito ha permesso di chiarire alcuni punti:
a) la sicurezza nazionale, base del progresso sociale e civile di un Paese, non è più garantita da un quadro esterno generale. Ogni Paese deve ridefinirla in funzione delle proprie risorse, delle possibilità ambientali e degli obiettivi di breve, medio, e lungo termine che si propone la sua classe politica secondo il mandato democraticamente ricevuto;
b) si attenuano le distinzioni tra sicurezza militare esterna, sicurezza istituzionale interna, sicurezza economica. Questo implica che i servizi segreti devono modificare i rapporti tra le varie compartimentazioni in cui sono divisi e operano, ma soprattutto implica che il loro lavoro si integri regolarmente nell'attività delle altre istituzioni dello Stato;
c) di fronte alla estensione dell'intelligence privata, favorita dai network comunicazionali che consentono l'accesso a una enorme quantità di informazioni, i servizi segreti devono estendere i loro rapporti con le istituzioni sociali che sono in grado di fornire un prodotto utile all'attività di intelligence o che possono beneficiare, nell'interesse della società, del suo supporto;
d) la presenza e la funzione dei servizi segreti nell'apparato istituzionale dello Stato devono essere adeguatamente spiegate a pubblici via via più larghi per evitare ai primi di chiudersi in logiche superate e ai secondi di non vederne l'utilità.
Questi obiettivi possono essere gradualmente raggiunti iniziando a considerare i servizi segreti, in via di prima approssimazione, come qualsiasi altra organizzazione sottoposta a continua mutazione morfo-fisiologica resa necessaria per rispondere sia ai nuovi bisogni sia alle diverse condizioni ambientali. Non solo in questo approccio non vi è nulla di eccezionale, ma la storia dei servizi segreti dimostra ampiamente come, in quanto organizzazioni, essi abbiano sempre manifestato una particolare capacità di adattamento, rinnovando strutture e compiti, modificando le forme di reclutamento e di addestramento, utilizzando nuove tecniche e perfezionando quelle già sperimentate.
Facendo astrazione dai casi singoli, e considerando i servizi segreti come organizzazioni, cioè strutture umano-tecniche finalistiche, essi sono portati ad accrescere il loro ruolo o a ridurlo, a mantenere i propri referenti o a cambiarli in parte, seguendo i cambiamenti sociali globali. I parlamenti, i governi, i partiti, i sistemi postali o bancari, le imprese, le forze armate, la scuola, ecc. offrono chiari esempi di modificazioni anche profonde, di adattamento costante al cambiamento. anche la resistenza ad esso è naturale per qualsiasi organizzazione sociale che deve riscoprire in sé continuamente quali elementi possono adattarsi, quali devono scomparire e quali devono essere potenziati o creati, nella continua ricerca di un equilibrio tra conservazione della propria identità, rinnovamento interno e promozione della propria immagine esterna.
La necessità del rinnovamento, per l'intelligence, è scritta nelle cose, nei fatti, negli avvenimenti. Il problema è di trovare una metodologia per gestire questo rinnovamento: i criteri e i soggetti che vi presiederanno daranno alla nuova intelligence una particolare impronta negli uomini, nei metodi, nella struttura. Forse non è esagerato sostenere che le nuove gerarchie di potenza fra gli Stati, dopo lo scardinamento del blocco sovietico, saranno determinate dall'efficienza delle singole strutture di intelligence di cui disporranno.




Premesso che non intendiamo fare una storia dei servizi di intelligence, ma semplicemente rintracciare quegli elementi che, caratterizzati storicamente, hanno dato origine alle presenti e più diffuse accuse nei loro confronti, diciamo brevemente che i moderni servizi segreti nascono, nel periodo compreso tra la guerra franco-prussiana del 1870 e lo scoppio della prima guerra mondiale, per la confluenza di tre componenti già esistenti: lo spionaggio politico-diplomatico, lo spionaggio e il controspionaggio militare, la polizia segreta.
Queste tre componenti si possono disporre come tre lati di un triangolo scaleno: nei diversi Stati e nelle diverse epoche, questi lati si sono allungati o accorciati, dando al triangolo forme sempre diverse. Si è in tal modo avuta ora la preponderanza del lato indicante l'attività di polizia segreta (tipica dei regimi autocratici o totalitari), ora la preponderanza del lato indicante lo spionaggio politico-diplomatico (generalmente nei periodi di buone relazioni tra gli Stati interessati), ora infine la preponderanza del lato indicante lo spionaggio e il controspionaggio militare (nei periodi di guerra o di minaccia di guerra).
Negli Stati pre-costituzionali, l'attività dei servizi, allora propriamente definibili come segreti, aveva come referenti il re e il suo gabinetto, i grandi personaggi politici o militari, i vertici delle comunità religiose, i capi delle grandi compagnie mercantili, finanziarie e industriali. Non si deve credere che l'attività segreta costituisse una parte marginale del processo decisionale: il sistema stesso favoriva la segretezza ed era, come sempre, teso a proteggere le proprie comunicazioni, a violare quelle dei nemici o concorrenti e ad acquisire quelle informazioni di volta in volta ritenute importanti.
Negli Stati costituzionali, le varie componenti in cui si veniva organizzando l'intelligence acquistarono una legalità dapprima all'interno di singole istituzioni (Ministero dell'interno o di polizia, Ministero della guerra, Ministero degli esteri) e poi un ruolo preciso tra gli organi dello Stato. Spesso furono gli eventi a dettare le soluzioni e la storia dei servizi segreti registra il fatto che essi non hanno mai avuto una vita istituzionale tranquilla, ma sono spesso stati soggetti a suddivisioni e ricomposizioni, a proliferazioni e a concentrazioni, a cambiamenti di denominazione, di indirizzo e di referenti, a fasi di esaltazione dei loro compiti oppure di condanna e persecuzione. Sempre, inoltre, all'interno di uno stesso Stato, i diversi servizi hanno manifestato spinte più o meno concorrenziali, riferibili sia a cause estrinseche (struttura politica generale) sia a cause intrinseche (divisione di compiti e di referenti, questioni gerarchiche, fondi).
Alla trifunzionalità sopra ricordata, la prima guerra mondiale e soprattutto la seconda hanno aggiunto il perfezionamento della trimodalità (raccolta delle informazioni, valutazione o analisi delle informazioni, operazioni clandestine), facendo sempre più ricorso al contributo della scienza e della tecnologia.


Fino a questo decennio prima dello scoppio della prima guerra mondiale, i servizi segreti erano segreti, cioè non se ne parlava al di fuori di ambienti molto ristretti. Ma da quel momento in poi essi sono diventati di dominio pubblico, non solo contro la loro volontà ad opera (inizialmente) di giornalisti o scrittori (alcuni dei quali, però, erano anche agenti segreti o collegati ai servizi), ma anche per la loro stessa volontà o quella dei governi. Spesso si è avuta maggiore pubblicità intorno all'attività segreta di agenti civili rispetto a quella degli agenti militari, più orientati verso la riservatezza sistematica, eccetto che nella ricostruzione di operazioni avvenute durante le guerre a cui si voleva dare risonanza.
Da quando l'attività dei servizi segreti è diventata di pubblico dominio, anche per fini propagandistici, esaltatori entusiasti e detrattori di parte o ideologici hanno inondato il pubblico (anche attraverso libri e film) con racconti contraddittori e soprattutto con giudizi diametralmente opposti, approfittando di singole circostanze. In una certa misura i servizi segreti sono responsabili della loro stessa immagine, ma essi sono anche vittime dell'immagine che altri soggetti, per le più diverse finalità, ne danno al pubblico. I metodi e i risultati non sono uniformi poiché le diverse opinioni pubbliche nazionali, per cultura e tradizioni politiche, reagiscono in maniera diversa, alcune comprendendo meglio l'esistenza e giustificando l'attività dei servizi segreti ed altre invece reagendo negativamente. Ma non sono soltanto logiche mercantili a guidare queste operazioni; ad esse sono spesso legati autentici progetti politici che possono avere come obiettivo un potenziamento o un depotenziamento dei servizi segreti. Negli Stati democratici, accade talvolta che i servizi segreti vengano investiti da una serie di critiche e di accuse alle quali non possono istituzionalmente rispondere.
Riteniamo che sia anzitutto necessario costruire una piattaforma concettuale di normalità intorno a questo tema perché riteniamo che questa sia la premessa metodologica più corretta da seguire per contribuire alla diffusione di una vera e propria cultura d'intelligence.


È un buon metodo prendere in considerazione anzitutto le critiche. Ai servizi segreti più importanti, cioè quelli che non si riducono a polizie segrete ad uso di sistemi dittatoriali, sono state rivolte molte accuse, che possono essere così riassunte:
— di fornire al potere politico (o ai comandi militari in tempo di guerra) delle informazioni che, salvo qualche eccezione, non risultano di importanza decisiva, e viceversa di commettere grossolani errori di valutazione oppure operativi per cui, tutto sommato, il denaro che essi costano non è del tutto giustificato;
— di ingigantire di fronte al potere politico - se non addirittura qualche volta di inventare - le minacce alla sicurezza nazionale in modo da giustificare la loro esistenza e il denaro impiegato;
— di attribuirsi nuovi compiti e di farsi particolarmente visibili presso l'opinione pubblica in epoche in cui la loro attività ed estensione potrebbero apparire eccessive per evitare in tal modo il rischio di ridimensionamento;
— di giustificare la loro esistenza con l'esistenza del nemico, creando una sorta di complicità tra tutti i servizi segreti del mondo;
— di subire l'involuzione tipica di tutte le organizzazioni complesse, cioè la burocratizzazione, la compartimentazione interna fino alla scarsa comunicabilità, l'enorme produzione di rapporti che i destinatari non possono umanamente esaminare e si accumulano generando spesso frustrazione nei loro autori;
— di sfuggire ad un controllo minuzioso delle loro attività e delle loro spese, con l'inconveniente di sprechi, duplicazioni e ruberie - o deviazioni - a danno del pubblico denaro e dell'interesse dello Stato.
Per ciascuno di questi capi d'accusa si possono trovare prove a carico che, se in qualche caso possono essere demolite, restano in altri casi difficilmente confutabili in modo aperto e oggettivo. I critici malevoli ne traggono la conclusione che i servizi segreti dovrebbero essere aboliti o drasticamente ridimensionati; i critici benevoli ne sostengono invece l'indispensabilità e si dicono pronti a favorire tutte quelle misure che possono evitare o ridurre i più noti inconvenienti. Ma, impostato in questo modo, il dibattito è senza fine.
Più utile è invece riconoscere che, nel loro insieme, i capi d'accusa sopra elencati sono comuni a tutte le organizzazioni sociali: partiti, sindacati, imprese, banche, enti internazionali, forze militari, associazioni caritative, mass media, società di assicurazioni, enti non governativi, ecc.. I servizi segreti non sfuggono alle costanti messe in luce dalla sociologia delle organizzazioni: autogiustificazione, autoaccrescimento, burocratizzazione, difesa corporativa, sprechi, corruzione, caduta di efficienza. Un servizio segreto che negasse questi difetti sarebbe altrettanto poco credibile di qualsiasi altra organizzazione che si trincerasse dietro la stessa linea di difesa.
Nei confronti dei servizi segreti, tuttavia, queste accuse appaiono più gravi, agli occhi dell'opinione pubblica, a causa dell'alone di mistero che circonda la loro attività al punto di farli ritenere come potenze oscure al di sopra e al di fuori della legge, forse anche contro la legge, e dalla difficoltà oggettiva, per i servizi segreti stessi, di difendersi pubblicamente o di affermare positivamente il loro ruolo.
Come tutte le altre organizzazioni, essi hanno bisogno di una legittimazione, ma incontrano il limite naturale di non poter giustificare sempre e totalmente la loro base di legittimità precisando i servizi resi: essi non possono illustrare le operazioni che hanno in corso, non possono sempre e in dettaglio raccontare i successi (o gli insuccessi) del passato, non possono reclamizzarsi oltre una certa misura. Devono fare affidamento sulla fiducia di ambienti ristretti che conoscono il loro lavoro in maniera sufficientemente precisa, ma che non possono farsene difensori d'ufficio oltre una certa misura anche perché condizionati dalla loro qualificazione politica.
Un altro limite dei servizi segreti consiste nel fatto che essi sono sistematicamente e contemporaneamente attratti da due poli magnetici: da un lato essi hanno come vocazione istituzionale quella di vegliare, con metodi e mezzi loro propri, sulla sicurezza dello Stato, ma dall'altro lato sono agli ordini dei governi, che cambiano negli uomini e nelle forze politiche che li compongono, e quindi negli indirizzi. In tal modo essi sono divisi tra il perseguimento di obiettivi generali e di lungo termine e obiettivi particolari e di breve termine, e questo crea una continua tensione al loro interno.


Un aspetto che viene spesso trascurato nelle polemiche intorno ai servizi segreti è quello istituzionale: i servizi segreti non sono associazioni private regolate dal diritto privato. Sono organi dello Stato istituiti e organizzati secondo leggi dello Stato e hanno precisi referenti istituzionali.
Qualsiasi soggetto prende le decisioni in base a due elementi: gli interessi e le informazioni. Gli organi politici individuano gli interessi da perseguire e in base a questi chiedono le informazioni necessarie al loro conseguimento. I servizi segreti si innestano nel momento della ricerca e della fornitura delle informazioni in vista di particolari interessi. Ma il processo non è così semplice e schematico perché gli interessi, a loro volta, emergono dalle (si costruiscono sulle, si rafforzano con le) informazioni.
In un caso-limite, un servizio segreto potrebbe monopolizzare tutte le informazioni importanti e quindi influenzare in modo decisivo le decisioni del potere politico. In una società pluralistica (pluralistica anche nel campo delle fonti di informazione) questo è piuttosto difficile se non impossibile. Ma l'ipotesi-limite è sempre presente nella sfera politica che, almeno in certi settori, dipende quasi completamente dalle informazioni del servizio segreto. La contromisura tradizionale è quella di organizzare il pluralismo dei servizi segreti con il corollario, difficilmente evitabile, di provocare una concorrenza tra di loro. Ma questa concorrenza non deve essere esagerata: fa parte della storia e della tradizione dei servizi segreti. Un pluralismo motivato non da diffidenza ma da esigenze funzionali può risultare produttivo.
Il pluralismo dei servizi segreti implica comunque un coordinamento (una struttura di coordinamento o la prevalenza gerarchica di un servizio sugli altri) la cui efficacia si trova sempre in un punto compreso tra l'apparenza di un coordinamento e un reale coordinamento che può essere definito solo caso per caso e difficilmente può essere imposto d'autorità. Come ogni organizzazione, infatti, i servizi segreti elaborano strutture di autoprotezione che di solito sono abbastanza efficaci.
Inoltre, al di là della dipendenza gerarchica e formale, definita dalla legge, i servizi segreti, per essere efficienti, stabiliscono una rete di collegamenti con numerosi soggetti, pubblici e privati, interni ed esteri, legali e, talvolta, illegali. Nel dettaglio, questi legami non possono essere predefiniti: sono le circostanze ad attivarli, e queste dipendono quasi sempre dalle spesso imprevedibili iniziative di soggetti autonomi. Esiste quindi un margine d'azione per i servizi segreti che sfugge normalmente al controllo e le iniziative relative, per esser fruttuose, non devono essere rivelate intempestivamente e non possono essere previste secondo una precisa casistica.
In altre parole, per affrontare con serietà, e non a fini polemici o mirati a un obiettivo prefissato, la questione dei servizi segreti, è necessario anzitutto eliminare la eccezionalità del loro trattamento concettuale. Essi devono essere considerati come una forma organizzativa, e quindi strutturata, come tante altre, da proprie leggi intrinseche a loro volta inquadrate dalla legge dello Stato. Su questa base di partenza è possibile sviluppare un discorso specifico sul tipo di organizzazione, sulle finalità, sul controllo, sui metodi operativi ecc.
In tal modo sarà possibile ottenere, quando ce ne sia bisogno, un importante effetto collaterale: lo sviluppo di una cultura d'intelligence, che non significa un'accettazione acritica dell'esistenza dei servizi segreti e della loro funzione, svolta in un dato modo piuttosto che un altro, ma significa inserire la loro esistenza e la loro attività su un piano di normalità funzionale in seno alla società e allo Stato. Dopo di che sarà possibile discutere le forme e la sostanza della loro attività.




Può essere utile, ai fini di un approfondimento del ruolo dell'intelligence, esaminare rapidamente, in forma sincronica (orizzontale) e diacronica (verticale), l'evoluzione dei fini istituzionali dei servizi segreti in parallelo all'evoluzione delle principali caratteristiche strutturali che hanno dominato la vita dei Paesi occidentali dalla fine della seconda guerra mondiale.
A tal fine sono state prese in considerazione le seguenti strutture: la forma di comunicazione, cioè le caratteristiche dei principali mezzi di comunicazione e la loro influenza sulle forme stesse della comunicazione; la struttura sociale, intesa sotto l'aspetto organizzativo; la struttura politico-istituzionale, cioè le forme istituzionali assunte dai centri di potere; la struttura economica; la struttura della cultura e dei valori. Alla loro evoluzione ha corrisposto un'analoga evoluzione delle strutture dei servizi segreti e delle loro priorità.
La segmentazione temporale in periodi è ovviamente una scelta volontaria. Non tutte le strutture prese in esame rispettano la periodizzazione prescelta, ma non è difficile notare una larga coincidenza che dimostra, ancora una volta, come "tutto si tiene".
Di sfuggita accenniamo alla necessità, nel campo della formazione del personale dei servizi segreti, di fornire, preliminarmente all'attribuzione di specifici incarichi a qualsiasi livello, una preparazione culturale generalista, come quella che si può ricavare dallo schema di seguito riportato.





Questo periodo è considerato come quello in cui si afferma e si consolida la guerra fredda attraverso la costituzione di due blocchi contrapposti su tutti i piani: politico-ideologico, economico-sociale, militare. La spinta è verso la formazione di ampie e solide strutture organizzative verticistiche, sia all'interno degli Stati (grandi partiti, sindacati, chiese) sia tra gli Stati, attraverso la formazione di alleanze militari (NATO, Patto di Varsavia) ed economiche (dal Piano Marshall che getta le basi della ricostruzione post-bellica discende l'OECE e nel suo ambito si forma più tardi il MEC). I mass media dominanti sono la radio e la stampa, strumenti adatti a veicolare messaggi fortemente ideologizzati e propagandistici attraverso cui si combattono gli schieramenti contrapposti (in realtà lo scontro avviene solo all'interno dell'area occidentale in cui i mass media godono di ampia libertà insieme ai partiti di sinistra anti-occidentali e filo-sovietici).
Nel campo dei servizi segreti, è normale che la priorità vada allo spionaggio e al controspionaggio militare e politico, con un'ampia subordinazione dei servizi segreti alleati nei confronti di quello degli Stati Uniti, specie attraverso la struttura della NATO.


Nel campo delle comunicazioni di massa si diffonde la televisione, che entra in un numero sempre crescente di famiglie e attrae per se stessa, come
mezzo, indipendentemente dal contenuto. Il dibattito politico sfrutta immediatamente questo nuovo mezzo che raggiunge le masse, il cui potere economico intanto cresce con la diffusione del benessere e del consumismo.
La tv valorizza le singole personalità e John Kennedy riesce con questo mezzo a colmare il distacco che lo separava da Richard Nixon in occasione delle elezioni presidenziali del 1960. Inizia, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, l'epoca della politica-spettacolo in cui svolge un ruolo determinante la personalità carismatica del leader. È questa che comincia ad ottenere il consenso, attraverso la persuasione, su determinati contenuti. La comunicazione politica, veicolata dai leader, tende a moltiplicarli e ciò avvia un processo di demolizione del monolitismo delle grandi strutture organizzate.
A ridurre il controllo delle grandi strutture sull'opinione delle masse contribuisce la diffusione di alcune tematiche che attraversano le strutture stesse, vanno a colpire gli individui singolarmente, nelle loro coscienze. La crisi di Cuba del 1962, ad esempio, fa prendere consapevolezza del fatto che la pace mondiale dipende dalla buona volontà dei leader delle due superpotenze, e meno dalle grandi strutture politico-militari che USA e URSS hanno messo in piedi. La guerra del Vietnam - la prima guerra in tv - intacca la leadership degli Stati Uniti mentre le notizie del conflitto "ideologico" tra Cina e URSS intaccano la fede dei comunisti nel valore pacificatore del marxismo. Le crisi del Medio Oriente fanno emergere l'importanza del dato economico, dell'interesse nazionale al di là dello schieramento politico e strategico ufficiale. In Italia, il referendum sul divorzio passa attraverso quasi tutti i partiti.
Notevole è l'influenza della diffusione di culture alternative al confronto Est-Ovest, quali il pacifismo, l'ecumenismo (Concilio Vaticano II), il terzomondismo, l'antimilitarismo. Le due crisi petrolifere e monetarie che si manifestano durante gli anni '70 modificano le forme di produzione, mettono in dubbio la perennità del consumismo, aprono il fronte del dibattito ecologico che si allarga nella contestazione del nucleare, pacifico o militare.
Tutti questi elementi disgregano progressivamente la capacità di controllo del consenso delle masse ad opera delle grandi organizzazioni. In queste pieghe si manifestano i fenomeni della contestazione, del gruppismo, che poi sfociano nel terrorismo di destra o di sinistra. La sicurezza esterna, garantita dalle grandi alleanze politico-militari, viene adesso sfidata dall'interno, dalla destabilizzazione, che diventa l'elemento centrale dell'interesse dei servizi segreti, impegnati a combattere fenomeni eversivi che presentano cause endogene e collegamenti esogeni, rendendo spesso difficile indicare la priorità genetica tra i due aspetti. Partendo dal caso della fallita operazione della CIA a Cuba (episodio della Baia dei Porci all'inizio del 1961) e speculando sull'assassinio di Kennedy (1963), inizia una vasta pubblicistica che mette sotto accusa i servizi segreti dell'Occidente, già intaccati dalla scoperta in Gran Bretagna della talpa sovietica Philby e dei suoi complici.
Nasce l'esigenza di superare, o integrare, le grandi organizzazioni internazionali di sicurezza con nuove formule, quali la CSCE (Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), il cui "terzo cesto", relativo ai diritti umani, solo più tardi si rivelerà destabilizzante per il blocco sovietico.


Cominciano a diffondersi a livello di massa i personal computer (PC) insieme ad altri prodotti elettronici di massa ma votati all'intrattenimento privato, come gli impianti musicali HI-FI e i videoregistratori. Ciò spinge verso il privato, mettendo in crisi il gruppismo e creando nuove associazioni di tipo più omogeneo. I mass media tradizionali (stampa, radio, tv) interagiscono e creano un flusso informativo dominato dalle tecniche di influenza delle masse. Sono le catene tematiche a generare nuove correnti di opinioni e questo influisce sulle tecniche di propaganda dei partiti, costretti sempre più a filtrare i loro messaggi attraverso i mass media e in particolare attraverso la tv. La crisi del blocco comunista si può seguire alla tv, dall'abbattimento del Muro di Berlino alla rivoluzione romena. L'URSS di Gorbaciov rinunzia al primato dell'ideologia marxista, abbandona il centralismo democratico e la pianificazione centralizzata.
A questo si arriva però solo alla fine del decennio, caratterizzato, con la presidenza di Ronald Reagan (1981-1988), dalla sfida finale, economica e tecnologica, all'Unione Sovietica, tanto che questa deve ammettere la propria incapacità di reggere il confronto minacciato con la messa a punto dell'Iniziativa di Difesa Strategica (SDI, 1983).
Di fronte al progressivo allentamento delle grandi strutture unificanti, si manifestano i nazionalismi (Polonia, Solidarnosc: inizio anni '80), i particolarismi, le rivendicazioni dei diritti delle minoranze. Ne cominciano a soffrire le istituzioni centrali degli Stati anche occidentali con il divampare di fenomeni autonomistici (nel Regno Unito, in Francia, in Spagna). Per conservare il consenso, durante il decennio dello scontro incruento ma finale con l'URSS, tutti i Paesi occidentali hanno modificato le strutture economiche, puntando sull'innalzamento dei debiti pubblici al fine di distribuire risorse per mantenere alto il livello dei consumi. Questo produce reazioni nelle regioni, all'interno dei singoli Stati, che credono di dare più di quanto ricevono: da qui le spinte regionalistiche, federalistiche, al limite separatistiche.
Il disagio sociale, connesso all'aumento della disoccupazione, trova nella xenofobia una valvola di sfogo, alimentata dal crescente integralismo che, dall'Iran, si diffonde nei Paesi musulmani.
I servizi segreti seguono con particolare attenzione il nuovo ordine internazionale che si profila con i primi accordi per la distruzione o riduzione di armi nucleari, con l'emergere dei nazionalismi e dei separatismi, con l'affermazione di una nuova gerarchia tra le potenze mondiali non più legata principalmente al potere militare: si affermano, oltre alla Germania e al Giappone, la Cina e i Paesi, soprattutto asiatici, di nuova industrializzazione, particolarmente aggressivi sul piano commerciale. Si comincia a parlare di interesse nazionale e di intelligence economica al suo sostegno, ma anche di nuove minacce, legate non solo ai fenomeni sopra indicati ma anche a quelli derivanti dai legami tra terrorismo e criminalità organizzata, mafie, circuiti della droga e del riciclaggio del denaro. Intanto la liberalizzazione dei movimenti dei capitali e la formazione di un mercato finanziario globale riducono i poteri delle banche centrali, diminuendo in tal modo, sostanzialmente, la sovranità dei singoli Stati.


Nel campo della comunicazione si affermano il ricorso sempre più massiccio alle banche di dati, il collegamento internazionale (Internet ha 30 milioni di abbonati in tutto il mondo alla fine del 1994), la multimedialità (testi, immagini, suoni), la corrispondenza elettronica. Se si notano gli effetti a livello di comunicazione politica, attraverso la disgregazione dei partiti tradizionali e la formazione di nuovi referenti, la responsabilità non è solo dei mass media, ma del lungo processo di perdita di influenza sulle masse delle grandi strutture organizzate dell'immediato dopoguerra.
È vero che in una prima fase la tv ha privilegiato la comunicazione carismatica e ha lasciato in secondo piano i contenuti (ad es. ideologici), ma con ciò ha ridotto oggettivamente l'importanza dei contenuti e delle strutture che su di essi si fondavano. È anche vero che, in un secondo tempo, l'insieme dei mass media ha esercitato una influenza sull'opinione pubblica. Ma è altrettanto vero che i mass media sono diventati sempre meno di massa e sempre più personalizzati, e se hanno creato spesso una realtà fittizia o virtuale, non hanno poi impedito ai loro fruitori di reimmergersi, spento il televisore, nella realtà concreta. In un certo senso, il distacco tra la realtà mediatica e la realtà concreta ha fatto rinascere quella capacità di confronto che è alla base della riflessione razionale. E questo è avvenuto sul piano prevalentemente individuale poiché i media dell'ultima generazione consentono al singolo, pur restando solo, di entrare in contatto con tutti, e quindi di non essere isolato. Ma certo il singolo non ha più bisogno di grandi strutture onnicomprensive e protettive.
Una normale reazione è stata quella di valorizzare il gruppo, ma non come negli anni '60 e '70, in vista della realizzazione di un obiettivo esterno, bensì allo scopo di scoprire delle affinità dimenticate (culturali, religiose, etniche ecc.). Ciò ha provocato anche deviazioni xenofobe, fondamentalismi, ghettizzazioni, emarginazioni: tutto ciò che sembra, per il singolo individuo, avere un valore condivisibile con i propri affini ma non più riferibile allo schema di contrapposizione Est-Ovest.
Il singolo che riscopre affinità con i propri simili attraverso i network tende a crearsi un'autosufficienza rispetto alle istituzioni tradizionali, comprese quelle riferibili allo Stato, di cui si contestano il centralismo, gli sprechi, l'inefficienza. Ciò si traduce, in alcuni Paesi, nel valorizzare l'idea di una privatizzazione non solo delle capacità produttive in mano pubblica ma anche di molti servizi. Il fenomeno si accentua a mano a mano che vengono al nodo i problemi della finanza pubblica, sovvertita durante gli anni '80, e ora incapace di sostenere quella rete di assistenzialismo che era stata distesa per conservare il consenso durante la recessione economica e mentre era in atto la sfida finale con il blocco comunista. Ma, parallelamente, emerge il fatto che gli Stati non possiedono più il pieno controllo di alcune leve, prima tra tutte quella monetaria, a causa della liberalizzazione del movimento dei capitali e della globalizzazione del mercato finanziario internazionale.
I servizi segreti sono ora sfidati, in questo inizio degli anni '90, da una serie di minacce che gravano sulla stabilità sociale, sulla sicurezza e sulla indipendenza degli Stati soprattutto per la confluenza di attività in parte legali (trasferimenti di capitali, passaggi di proprietà industriali, delocalizzazioni produttive) e operanti dall'interno e dall'esterno dei confini (forse operanti nel ciberspazio), ma di difficile reperimento, di difficile valutazione in prospettiva, di difficile contrasto anche quando si voglia operare in questo senso (ma spesso manca chiarezza di direttive politiche al riguardo); e per la diffusione di attività illegali che, comunque, riescono in molti modi a diffondersi nel tessuto economico, sociale e politico, sfruttando tecnologie d'avanguardia, competenze professionali elevate, complicità difficili da reperire e da dimostrare.
A ciò devono aggiungersi, per quanto riguarda i servizi segreti, i nazionalismi in effervescenza, i conflitti interetnici, il traffico di armi o sostanze impiegabili per la fabbricazione di armi di distruzione di massa, le minacce dell'integralismo religioso, ecc.. Non è più possibile distinguere con chiarezza i limiti territoriali di una minaccia, né le forme del suo manifestarsi, né i tempi, né gli obiettivi ultimi perseguiti.
Un'ultima sfida all'intelligence di Stato, cui si è già accennato, proviene dall'intelligence privata diffusa, dal pullulare di strutture private che sono in grado di "fare intelligence" su commissione (che spesso utilizzano elementi usciti dai servizi segreti) e, talvolta, con minori vincoli legali dei servizi segreti. Senza contare che le grandi imprese o le grandi istituzioni finanziarie già da tempo dispongono di proprie strutture di intelligence, impegnate tanto nello spionaggio verso i concorrenti quanto nel controspionaggio per difendersi, cui deve aggiungersi la tradizionale e sempre più perfezionata attività di lobby che, per essere efficace, ha bisogno di un lavoro di preparazione e di fiancheggiamento di tipo intelligence.
Se i poteri pubblici e le opinioni pubbliche non sono sufficientemente avvertiti di queste profonde mutazioni ambientali, i servizi segreti si troveranno nella difficoltà di precisare i loro compiti e di giustificare il proprio operato. Eppure mai come in questa epoca, definita era dell'informazione o anche era della conoscenza, gli Stati avvertono il bisogno di contare su efficienti strutture votate espressamente alla raccolta delle informazioni per produrre quella conoscenza che è indispensabile nel processo decisionale.


Senza volere entrare in dettagli, è possibile farsi un'idea della ramificazione dell'intelligence nella società distinguendo l'area dell'attività dello Stato e l'area dell'attività privata, tenendo conto del fatto che tra le due vi è continua osmosi. Nello schema che segue si può osservare l'articolazione degli interessi dei diversi soggetti, il modo in cui questi interferiscono l'uno sull'altro e in che misura è diffusa l'attività di intelligence sia a livello di acquisizione di informazioni e di conoscenza (spionaggio e analisi delle fonti aperte e protette) sia a livello di protezione o difesa dei propri interessi (controspionaggio e analisi delle fonti aperte e protette).
Ogni soggetto, sia che appartenga al dominio dell'attività statale sia che appartenga al dominio dell'attività privata, nel perseguire il proprio interesse (pubblico o privato) ha, schematicamente, sempre due obiettivi fondamentali: la ricerca del potere nei confronti dei soggetti omologhi (conquista, conservazione, accrescimento) e la ricerca del benessere, che consiste essenzialmente nel migliorare le proprie condizioni materiali.
Lo Stato persegue entrambi questi obiettivi attraverso tre tipi di attività: espansiva (o di iniziativa), protettiva (difensiva) oppure regolata. Nei primi due casi, lo Stato è libero nei suoi comportamenti; nel terzo caso, invece, essi sono assoggettati a delle regole che lo Stato stesso ha accettato, o in posizione di subordinazione, o in posizione di uguaglianza con altri Stati: in ogni modo si tratta di accordi internazionali bilaterali o multilaterali, o anche di accordi a livello ministeriale o di altri enti (ad es. le banche centrali). Non si deve però dimenticare che gli Stati possono agire anche contro le regole che hanno accettato con altri Stati oppure sapendo di violare le leggi di un altro Stato.

I vari casi possono essere inquadrati nello schema seguente:

DOMINIO DELL'ATTIVITÀ STATALE

A. Ricerca del potere

1. Attività espansiva (iniziativa)
a. aiuti militari e vendita di armi
b. politiche egemoniche
c. intervento e aggressione
d. conquista territoriale
e. dominio commerciale
f. spionaggio

2. Attività protettiva (difensiva)
a. modernizzazione militare
b. alleanze politiche
c. mantenimento della stabilità politica
d. sicurezza dei confini
e. controllo delle esportazioni
f. controspionaggio

3. Attività regolata (accordi internazionali)
a. leggi di guerra
b. regolamentazione dell'aggressione: Carta dell'ONU
c. alleanze militari e politiche
d. monitorizzazione eventi - banche di dati

B. Ricerca del benessere

1. Attività espansiva
a. aiuti economici
b. commercio internazionale e assistenza tecnica
c. imperialismo e neoimperialismo
d. intervento e aggressione
e. integrazione internazionale
f. diplomazia dei prodotti primari
g. monitorizzazione di eventi - banche di dati

2. Attività protettiva
a. restrizioni nazionali al commercio
b. conservazione delle risorse naturali
c. controlli sulla forza-lavoro - immigrazione
d. politiche fiscali e monetarie
e. protezione informazioni, risorse e proprietà

3. Attività regolata
a. commercio internazionale
b. debito internazionale
c. unioni doganali
d. codici di condotta
e. monitorizzazione di eventi - banche di dati

Quanto all'attività dei soggetti non statali, che si possono definire privati, la ricerca del potere e la ricerca del benessere possono avvenire in due forme: o con un'attività collaborativa, sul piano di parità tra i soggetti (regolati dal diritto privato, nazionale o internazionale, su base consensuale), o con un'attività competitiva, la quale può essere regolata dal diritto, ma in qualche caso può svolgersi contro il diritto, se non dello Stato cui appartengono questi soggetti privati, eventualmente contro il diritto dello Stato sul quale interferisce quella attività o contro il diritto che scaturisce dagli accordi internazionali.

DOMINIO DELL'ATTIVITÀ PRIVATA

A. Ricerca del benessere

1. Attività collaborativa
a. scambi di beni e servizi
b. scambi educativi e culturali - turismo
c. uso delle fonti aperte e delle banche di dati

2. Attività competitiva
a. utilizzazione delle risorse mondiali
b. sviluppo tecnologico
c. competizione per capacità tecnologica, manageriale, ecc.
d. sfruttamento dei mercati monetari globali
e. acquisizione non consensuale di informazioni

B. Ricerca del potere

1. Attività collaborativa
a. mantenimento di un'ideologia orientata al profitto
b. rispetto dei bisogni economici del Governo
c. rispetto dei bisogni economici degli alleati
d. espansione dell'occupazione per iniziativa governativa
e. gestione difensiva dell'informazione

2. Attività competitiva
a. commercio internazionale delle armi
b. protezione dei mercati mondiali e delle materie prime
c. conservazione dei vantaggi commerciali comparativi
d. gestione offensiva dell'informazione

Anche un sommario esame dello schema sopra riprodotto è sufficiente per rendersi conto della pervasività dell'attività di intelligence, necessaria a tutti i soggetti, pubblici e privati, per prendere decisioni in vista della protezione dei propri interessi.
Questa pervasività dell'intelligence è un riflesso della diffusione del potere (politico, economico, ideologico-culturale, religioso, militare) che, come si è già detto, ha intaccato profondamente anche il concetto di sovranità nazionale. Ma non per questo è venuto meno il concetto di interesse nazionale, che può sempre essere definito, o meglio ridefinito con flessibilità a causa dell'accelerazione dei cambiamenti che si è verificata in questa seconda metà del secolo XX. Una flessibilità che, dopo quanto si è detto, si estende naturalmente anche ai servizi segreti, ai quali certo non si può rimproverare di non aver sempre cercato di mantenere il contatto con il fronte avanzato dei cambiamenti, ma verso i quali è necessario diventare sempre più consapevoli, anche in quanto organizzazioni, che i processi di adattamento non finiscono mai e che non è mai produttivo subirli anziché promuoverli consapevolmente.
Questa realtà di intelligence diffusa è, nelle condizioni presenti, irreversibile e quindi costituisce la base di partenza per un accreditamento del ruolo dei servizi segreti nelle società contemporanee, per una promozione della cultura d'intelligence che parta anzitutto dall'interno stesso della comunità d'intelligence di un singolo Paese ma poi, compatibilmente con la sua storia e la sua esperienza, si dilati verso le sfere pubbliche responsabili e, in cerchi sempre più larghi, verso l'opinione pubblica. Perché le strutture più salde sono quelle che godono del più ampio e profondo consenso democratico.



Il concetto di sicurezza nazionale ha esteso, da un lato, i suoi confini e, dall'altro, li ha resi più fluidi. Questo fatto rende più difficile definire in modo normativo e organizzativo sia la struttura dell'intelligence sia l'attività di intelligence.
Tutti i principali Stati del mondo sono quindi impegnati a riorganizzare i loro servizi segreti poiché la loro materia prima - l'informazione - è diventata tale anche per altri numerosi soggetti che operano all'interno degli Stati e attraverso gli Stati.
Questioni militari, industriali-commerciali, tecnologiche, politico-sociali, di natura privata o pubblica o mista, massa esorbitante di informazioni, difficoltà a definire i problemi in termini ideologici o geografici o geopolitici, impongono un'accurata riorganizzazione dei servizi segreti.
Quanto più questa sarà efficace, lungimirante e flessibile, tanto più gli Stati e i loro governi potranno disporre di uno strumento in grado di produrre non solo sicurezza ma anche benessere. Sui servizi segreti si fonda buona parte della nuova gerarchia tra le potenze nel mondo del dopo guerra fredda.



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