Il diritto e la politica internazionale
Sergio Romano
Quando divenne presidente degli Stati Uniti nel gennaio del 1913, Woodrow Wilson aveva una considerevole esperienza giuridica. Era nato a Staunton in Virginia nel 1856, aveva fatto una brillante carriera accademica insegnando giurisprudenza ed economia politica, era diventato Rettore dell’Università di Princeton nel 1902 e aveva lasciato fra gli studenti un indimenticabile ricordo delle sue lezioni. Dopo il passaggio alla vita politica fu senatore degli Stati Uniti e governatore del New Jersey. Era convinto che i rapporti internazionali, come ogni attività umana, dovessero osservare le regole della legge, e questa convinzione divenne ancora più forte dopo l’inizio del Primo conflitto mondiale, nell’agosto del 1914. Gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania nell’aprile del 1917 perché Wilson, da più di quattro anni al vertice dell’Amministrazione americana, era convinto che soltanto la partecipazione alla belligeranza gli avrebbe garantito l’autorità necessaria per convincere e guidare le potenze combattenti verso il traguardo che si era prefisso: una pacifica convivenza dei popoli e degli Stati in una società internazionale dominata dal diritto. Qualche mese dopo, l’8 gennaio, pronunciò un discorso in cui elencò i 14 punti a cui le potenze vincitrici avrebbero dovuto ispirarsi per realizzare il suo sogno. Quando, dopo la fine delle ostilità, arrivò a Parigi per la conferenza della pace, disse subito ai suoi partner – Clemenceau per la Francia, Lloyd George per la Gran Bretagna e Orlando per l’Italia – che il suo obiettivo era la creazione di una Società delle Nazioni, e divenne presidente del gruppo di lavoro a cui fu dato l’incarico di scriverne lo Statuto. Si scontrò spesso con gli altri uomini di Stato quando avrebbero preferito che il criterio da usare in alcune circostanze fosse soprattutto quello dei rapporti di forza, e dovette fare qualche eccezione; ma raggiunse il suo obiettivo e lasciò al mondo, quando tornò in patria, un’Organizzazione internazionale governata da una Assemblea Generale, un Consiglio Esecutivo e un Segretariato. Gli obiettivi, per grandi linee, erano la preservazione della pace, la risoluzione pacifica dei conflitti e la punizione degli Stati che avrebbero violato le regole della convivenza internazionale.
Wilson non era solo. Altre personalità della politica e del diritto avevano accompagnato o addirittura preceduto il suo sogno. Persino il più autocrate dei sovrani, l’imperatore Nicola II, zar di tutte Russie, aveva proposto conferenze della pace e per la pace che ebbero luogo all’Aja rispettivamente nel maggio 1899 e nell’ottobre 1907. Intellettuali, filosofi, esponenti della politica e della diplomazia avevano auspicato un mondo dominato dal comune desiderio di concordia: in Francia, un intellettuale e uomo politico, Léon Bourgeois, noto per le sue considerazioni filosofiche sul concetto di solidarietà, fu un appassionato promotore della collaborazione internazionale mentre in Gran Bretagna e in Italia alcune delle persone che maggiormente si dedicarono a questo traguardo furono Edward Grey, segretario di Stato per gli Affari esteri dal 1905 al 1916 e Vittorio Scialoja, giurista e delegato alla Società delle Nazioni dal 1921 al 1932.
Dopo la sua costituzione, la Società delle Nazioni lavorò seriamente per alcuni anni affrontando e risolvendo crisi provocate da contenziosi di confine o dissensi sull’appartenenza di territori contesi: lo statuto delle isole Aland, situate tra Finlandia e Svezia; il confine tra Albania e Jugoslavia; il bisticcio persiano-iracheno per la città di Mosul; il confine tra Colombia e Perù; l’appartenenza dell’Alta Slesia; la definizione dei confini tra Germania e Polonia; lo statuto della città lituano-tedesca di Memel; il confine greco-bulgaro; la Saar, contesa tra Francia e Germania. I problemi da affrontare divennero più complicati negli anni Trenta quando tre grandi Paesi (Germania, Italia e Giappone) decisero di lasciare l’organizzazione. Ma vi fu anche un’espulsione, quella dell’Unione Sovietica, nel 1939, dopo la sua occupazione militare dei Paesi Baltici e la guerra alla Finlandia. Questo atto di forza fu anche il suo ultimo. Poco tempo dopo cadde in un sonno da cui non si è più risvegliata. Ma vi erano ancora uomini pubblici che credevano nella necessità di un’Organizzazione intergovernativa e l’iniziativa fu presa ancora una volta da un presidente degli Stati Uniti.
Franklin D. Roosevelt non aveva dimenticato la Società delle Nazioni. Era stato senatore dello Stato di New York (1910-1913), sottosegretario alla Marina nel gabinetto di Woodrow Wilson (1913-1920) e governatore dello stesso Stato di New York (1929-1932). Quando dal 4 all’11 febbraio 1945 partecipò alla conferenza di Jalta nella veste di presidente degli Stati Uniti, mandato che ricoprì per quattro volte consecutive, propose la creazione di un’organizzazione che si sarebbe chiamata Onu (Organizzazione delle Nazioni Unite). Churchill accettò, ma Stalin obiettò che se i dominion del Regno Unito (Australia, Canada e Nuova Zelanda) ne avessero avuto il diritto, Londra avrebbe potuto contare, nelle votazioni, su quattro voti. Churchill obiettò che non sempre i tre dominion si sarebbero espressi come la loro vecchia casa madre, ma Stalin insistette e ottenne che un seggio venisse assegnato anche alla Bielorussia e all’Ucraina: due repubbliche sovietiche che avrebbero ricevuto istruzioni da Mosca prima di mettere il loro voto nell’urna. Anche l’Onu non ha realizzato il sogno unitario dei suoi più ottimisti fondatori. Ma ha dato vita ad Agenzie che hanno, a loro volta, creato diritto internazionale. Le maggiori sono l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao), l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Who). Il suo quartier generale, ospitato in un grattacielo a Manhattan, nel frattempo non ha raggiunto tutti i suoi ambiziosi obiettivi, ma in parecchie circostanze è riuscito a dividere i combattenti ripristinando con i suoi caschi blu una pace, ancorché imperfetta e non sempre duratura.
Esiste infine un’altra organizzazione, il Consiglio d’Europa, che ha enormemente contribuito a creare norme per risolvere piccoli e grandi problemi. Nata a Londra il 5 maggio 1949, l’Istituzione ha un padre nobile nella persona di Winston Churchill. Quando fu invitato dall’Università di Zurigo per pronunciare un discorso, il 19 settembre 1946, l’uomo che aveva governato la Gran Bretagna durante la Seconda guerra mondiale disse: «Tra i vincitori vi è una babele di voci, tra i vinti il cupo silenzio della disperazione. Questo è quanto gli Europei, raggruppati in tanti antichi Stati e nazioni, e questo è quanto i popoli germanici hanno ottenuto dilaniandosi a vicenda e spargendo rovina per ogni dove». Ma aggiunse che esisteva un rimedio e che se fosse stato «adottato dalla grande maggioranza dei popoli in molti Paesi, trasformerebbe come per miracolo l’intera scena e in pochi anni renderebbe tutta l’Europa, o la gran parte di essa, libera e felice com’è oggi la Svizzera. Qual è questo rimedio supremo? Esso consiste nel ricostruire l’edificio europeo, e per quanto più è possibile, nel dotarlo di una struttura in cui esso possa vivere in pace, in sicurezza e in libertà. Dobbiamo costruire una forma di Stati Uniti d’Europa». Non furono creati in quel momento, ma a Londra, il 5 maggio 1949, fu firmato un trattato che venne ratificato da Belgio, Danimarca, Francia, Regno Unito, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, e Norvegia. Gli Stati membri oggi sono 47 e l’unità dell’Europa è ormai la ragione d’essere di un’altra istituzione: l’Unione europea. Ma il Consiglio d’Europa, considerevolmente ampliato, ha tenacemente lavorato all’unificazione di una società europea con più di 200 trattati e convenzioni che hanno affrontato i più disparati problemi della vita umana: sicurezza sociale, assistenza sociale e medica, brevetti d’invenzione, periodi di studi universitari, assicurazioni obbligatorie, gruppi sanguigni, doppia nazionalità, responsabilità degli albergatori, farmacopea, arbitrato, adozione dei minori, protezione dei rifugiati, protezione degli animali, lavoro di persone ‘alla pari’, efficacia delle sentenze penali, crimini di guerra, assistenza giudiziaria, protezione degli animali da macello, trasferimento di persone condannate. Per ciascuna di queste materie esiste oggi un codice internazionale. Per ‘normalizzare’ queste materie e molte altre, il Consiglio d’Europa ha interpellato i maggiori esperti del mondo creando così una straordinaria intellighenzia internazionale. Non ha costruito gli Stati Uniti, ma è diventato una straordinaria fucina della convivenza umana.