GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI



» INDICE AUTORI


Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
punto di vista 4/2019

punto di vista Vigilia di Guerra 1939-1940
Sergio Romano biografia

Nel 2019 abbiamo ricordato molti avvenimenti del secolo scorso: il Trattato di pace firmato a Versailles dopo la fine della Prima guerra mondiale (1919); i trattati del Laterano fra l’Italia e la Santa Sede per il riconoscimento dello Stato della Città del Vaticano (1929); la nascita a Pechino della Repubblica Popolare Cinese (1949); la firma a Washington del Trattato di alleanza fra Belgio, Canada, Danimarca, Gran Bretagna, Islanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo e Stati Uniti per la difesa dell’Atlantico settentrionale (1949); la nascita nella Germania Orientale della Repubblica Democratica tedesca (1949); la nascita a Bonn della Repubblica federale di Germania (1949). Abbiamo però prestato meno attenzione a uno degli eventi più drammatici del secolo: l’inizio di una guerra combattuta prima da Francia, Gran Bretagna, Germania, Polonia e Unione Sovietica, e poi estesa a molti altri Paesi fra cui l’Italia.
Le vicende di quel conflitto sono note grazie a uno stuolo di storici appartenenti ai Paesi che combatterono o restarono neutrali. Da qualche mese, tuttavia, è in libreria un nuovo libro (I. Origo, Un brivido nell’aria. Vigilia di Guerra 1939-1940, Biblioteca Passigli, Firenze 2019) che concerne soprattutto gli italiani.
Non racconta fatti d’arme e non descrive l’enorme lavoro diplomatico che ha preceduto e accompagnato il conflitto. È il diario di una scrittrice anglo-irlandese, Iris Origo, che aveva sposato un gentiluomo fiorentino e ha lungamente vissuto in Toscana con i suoi figli sino alla morte nel 1988. È molto nota per alcune biografie: Leopardi, Bernardino da Siena, Marco Datini (Il mercante di Prato) e Allegra, la figlia di Byron. H scritto pure memorie, profili biografici di amici e contemporanei, un diario della Guerra in Val d’Orcia che ebbe molta fortuna e il merito di rivelare ai Paesi di lingua inglese l’esistenza di una resistenza partigiana, durante il Secondo conflitto mondiale, di cui ignoravano l’importanza.
Il diario, trovato dopo la sua morte, descrive gli avvenimenti dei mesi che precedono l’inizio della guerra e fu interrotto quando la scrittrice decise di dedicare buona parte del suo tempo alla cura dei bambini che erano stati alloggiati nella sua tenuta e alle iniziative umanitarie della Croce Rossa. La parte rinvenuta va dall’aprile del 1939 (il mese in cui Mussolini decise l’occupazione militare dell’Albania) al giugno del 1940 quando l’Italia dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna. Lo spazio dedicato alle singole giornate è relativamente breve. Iris Origo segnala i titoli dei giornali italiani e stranieri, trascrive i commenti che le sembrano particolarmente interessanti, riferisce le voci raccolte nei salotti o durante i suoi viaggi, confronta le notizie diffuse da una radio straniera, generalmente inglese o svizzera, con quelle diffuse dall’Eiar (il nome della Rai d’allora). Ha familiarità con l’Ambasciatore americano, amico di famiglia e suo padrino di battesimo dal quale apprende, tra l’altro, che è stato incaricato dal presidente Roosevelt di consegnare a Vittorio Emanuele III, mentre pesca in una valle del Piemonte, il messaggio con cui esorta l’Italia a prendere una iniziativa per la pace. Il re accetta il messaggio benché gli ricordi di essere, come i sovrani dell’Inghilterra e del Belgio, un re costituzionale.
Iris Origo è una scrittrice intelligente, ha il talento dei grandi biografi, sa cogliere i sentimenti e gli umori della pubblica opinione. Dalla lettura del diario emerge per grandi linee un Paese che non vuole la guerra. Esistono i fascisti militanti che ripetono gli slogan del regime sulla decadenza delle democrazie, le responsabilità delle grandi potenze coloniali e i diritti mediterranei dell’Italia. Ma tutti coloro che lavorano per la grande fattoria degli Origo non perdono l’occasione, quando la padrona visita le sue terre, di manifestare le loro paure e apprensioni. Li rasserena soltanto la convinzione che ‘il Duce’ saprà intervenire nel momento del maggior pericolo per correggere il corso degli eventi. Come ha ricordato Renzo De Felice nella sua grande biografia, e come segnalano i prefetti nei loro rapporti, questo è il momento in cui Mussolini gode del maggiore consenso. I nazionalisti gli riconoscono il merito di avere dato l’Etiopia all’Italia e i cattolici di avere aiutato Francisco Franco a vincere la guerra di Spagna (Madrid capitola il 28 marzo 1939). Nelle università e fra gli intellettuali vi sono piccoli gruppi che guardano con interesse alla Unione Sovietica, ma i cantieri dell’E42 (l’esposizione Universale che l’Italia avrebbe dovuto ospitare tre anni dopo) stanno già dando lavoro ad artisti e architetti. Esiste un’Italia che non ama il regime e diffida delle sue avventure, ma anche quella che attribuisce a Mussolini il merito dell’incontro quadripartito di Monaco, nel settembre del 1939. I fatti hanno dimostrato che quei sentimenti erano spesso mal riposti, anche se lo storico non può negare che erano allora largamente condivisi. La stampa è strettamente controllata dal regime, e dalla rappresentazione delle vicende internazionali nei giornali letti e citati da Iris Origo emergono confusione e incertezza. Non mancano, quasi ogni giorno, i temi tradizionali cari al regime sui diritti delle nazioni proletarie, ma la lettrice osserva con ragione che qualche segnale interessante può essere ricavato dalla frequenza e dal rilievo con cui il ministero della Cultura Popolare chiede alle redazioni di far conoscere le dichiarazioni dei Governi stranieri. Se un discorso di Chamberlain o Daladier viene ignorato o sottovalutato, significa che il regime non vuole che l’opinione dell’Inghilterra o della Francia venga presa sul serio. Se la citazione è lunga e non viene immediatamente criticata, il regime potrebbe essere disposto a prenderla in considerazione. È evidente, per buona parte del 1939, che Mussolini non ha ancora assunto una decisione. Sa che la crisi di Danzica ha aperto un nuovo fronte e che la Gran Bretagna si è impegnata a difendere la Polonia contro qualsiasi attacco, ma non ha ancora capito sino a dove Hitler sia disposto a spingersi per raggiungere i suoi obiettivi. Il capo del Governo non ignora, perché gli è stato riferito ripetutamente dai suoi comandanti, che le Forze armate, dopo le due guerre degli anni precedenti, non sono pronte a sostenere subito il peso di una terza. Quando Hitler rompe gli indugi e, dopo un accordo di ‘non aggressione’ firmato con l’Urss il 23 agosto 1939, invade la Polonia, Mussolini, colto di sorpresa, propone una nuova ‘Monaco’, mentre la Gran Bretagna accetta di negoziare soltanto dopo il ritiro delle forze tedesche dal territorio polacco. È il 2 settembre.
Il 3 settembre Francia e Gran Bretagna dichiarano guerra alla Germania. Mussolini invece scelse per l’Italia un nuovo status: la non belligeranza. Spiegò ai suoi ministri, al Gran Consiglio del fascismo e al Paese che non si sarebbe trattato di neutralità e che l’Italia avrebbe continuato a essere politicamente alleata della Germania.
La formula era ipocrita e tortuosa, però piacque anche ad altri Paesi che l’avrebbero usata in futuro e convinse gli italiani che Mussolini, ancora una volta, avrebbe pilotato il Paese attraverso gli scogli della politica internazionale. Era probabilmente convinto che vi sarebbe stata, come fra il 1914 e il 1918, una lunga e logorante guerra di trincea e che l’Italia avrebbe avuto il tempo necessario per modernizzare le Forze armate e riempire gli arsenali. I suoi progetti furono sconvolti dagli avvenimenti. Nel maggio del 1940 la Germania invase il Belgio e l’Olanda e il 22 maggio sfondò il fronte lungo la linea Maginot. Fra il 24 maggio e il 4 giugno si combatté a Dunquerque, lungo la costa della Manica: le truppe francesi e britanniche dovettero lasciare il continente, ma riuscirono a salvare 400.000 uomini e a farne una vittoria morale. Vi furono in quel periodo tentativi inglesi e francesi di evitare l’intervento italiano con aperture promettenti, ma Mussolini era terrorizzato dalla prospettiva di una vittoria tedesca e dalla possibilità che la Germania sedesse da sola al tavolo dei vincitori. Quando il Maresciallo Badoglio gli disse che l’Italia era impreparata al conflitto, rispose: «Le affermo che in settembre tutto sarà finito e che io ho bisogno di alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo della pace quale belligerante». Non è tutto. Temeva anche che un voltafaccia italiano avrebbe risvegliato nella memoria dell’alleato il ricordo del periodo fra il 1914 e il 1915, quando l’Italia aveva abbandonato la Triplice Alleanza per schierarsi con gli Alleati contro gli Imperi centrali, e che sarebbe stata descritta, come allora, treulos (infedele, sleale). Le ultime pagine del diario contengono le conversazioni che Iris ebbe in quei giorni con il padrino di battesimo, William Phillips, ambasciatore degli Stati Uniti a Roma. Le raccontò di avere fatto giungere a Mussolini, in quelle drammatiche giornate, due messaggi del presidente americano. Nel primo Roosevelt diceva che, se l’Italia non fosse entrata in guerra, sarebbe intervenuto a Londra e a Parigi per favorire un’accoglienza positiva alle richieste mediterranee dell’Italia (Corsica, Malta, Tunisi). Nel secondo, inviato quando l’intervento dell’Italia era ormai pressoché certo, Roosevelt aveva completamente rovesciato il tono del messaggio precedente: se l’Italia fosse intervenuta la sua decisione avrebbe cambiato l’atteggiamento degli Stati Uniti verso il conflitto e, da quel momento, l’America avrebbe messo tutte le sue risorse a disposizione degli Alleati.
La propaganda del regime e lo stesso Mussolini avevano ripetutamente dichiarato che la guerra sarebbe stata una campana a morte per tutte le democrazie. Non era difficile immaginare che Roosevelt si sarebbe servito di quelle dichiarazioni antidemocratiche per superare le obiezioni e le riserve dell’America isolazionista. Quattro anni dopo le Forze armate statunitensi sarebbero entrate a Roma.

© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA