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punto di vista 3/2019

punto di vista Russia e Stati Uniti, la fine del disgelo
Sergio Romano biografia

Stiamo assistendo ormai da parecchi mesi a un progressivo peggio-ramento dei rapporti tra la Russia e gli Stati Uniti. I due Paesi non smettono di muoversi accuse reciproche. Gli americani sostengono che i russi si sono serviti dei loro migliori hackers per boicottare la campagna elettorale di Hillary Clinton contro quella di Donald Trump; e Trump, dopo avere dichiarato che avrebbe approfittato della vittoria per migliorare i rapporti con Mosca, è stato costretto a un passo indietro quando ha constatato che avrebbe fornito argomenti a chi già stava lanciando una campagna per la sua incriminazione (impeachment) di fronte al Congresso.
Per qualche anno, dopo la caduta del muro di Berlino, gli americani sembrarono desiderosi di instaurare con la Russia un rapporto costruttivo.
Prima della riunificazione tedesca George H.W. Bush, presidente degli Stati Uniti dal 1988 al 1991, promise a Michail Gorbaciov, presidente della Federazione Russa dal 1990 al 1991, che le basi della Nato non sarebbero state installate al di là dei vecchi confini fra le due Germanie: la Repubblica Federale e la Repubblica Democratica. Nel corso di una visita a Mosca, nell’agosto del 1991, lo stesso presidente fece una sosta a Kiev per esortare gli ucraini ad accontentarsi di una forte autonomia piuttosto che aspirare all’indipendenza.
Quando divenne presidente, nel 2001, il figlio, George W. Bush, invitò Vladimir Putin, succeduto a Boris Eltsin nel dicembre 1999, a fargli visita nel Texas; e subito dopo, durante il vertice atlantico di Pratica di Mare, nel maggio del 2002 approvò la creazione di un’Associazione Nato-Russia, lasciando sperare che, prima o dopo, la Nato avrebbe smesso di essere un’Alleanza politico-militare contro Paesi nemici e sarebbe diventata un’organizzazione per la sicurezza collettiva di una grande zona che, secondo una frase coniata dal generale De Gaulle, «si sarebbe estesa dall’Atlantico agli Urali».
Ma questo clima promettente, nel frattempo, stava cambiando. Alcuni Paesi che avevano fatto parte del Patto di Varsavia o dell’Urss (fra cui in particolare la Polonia e le tre Repubbliche del Baltico) non si acconten-tavano di essere accolti nell’Unione Europea. Temevano, o sostenevano di temere, il nazionalismo russo, volevano consolidare i loro rapporti con gli Stati Uniti e chiedevano di entrare nella Nato. Questi desideri trovavano a Washington orecchie attente e interessate. In un libro di memorie diplomatiche (The Back Channel) pubblicato da Random House nel 2019, William J. Burns, Ambasciatore degli Stati Uniti in Russia dal 2005 al 2008 e Sottosegretario di Stato dal 2008 al 2011, ricorda che secondo Tony Lake, consigliere per la Sicurezza nazionale durante la presidenza di Bill Clinton, l’ingresso di alcuni ex satelliti nella Nato sarebbe stato un’assicu-razione contro nuove forme di nazionalismo russo o addirittura, dopo la riunificazione della Germania, di nazionalismo tedesco. Altri, come lo stesso Burns, temevano che l’allargamento della Nato sarebbe stato percepito a Mosca come un atto ostile e avrebbe pregiudicato qualsiasi politica di amichevole collaborazione con la Russia. Ma la prospettiva dell’allargamento della Nato piacque a Bill Clinton che nel 1997, all’inizio del suo secondo mandato, inviò un formale invito a Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. George Kennan, uno dei migliori osservatori dell’Unione Sovietica e padre di una saggia politica che andò sotto il nome di containment, disse che quella decisione sarebbe stata «il più fatale errore della politica americana nella intera era del dopo Guerra fredda». Il resto è noto. Nel 1997 entrarono nella Nato tre Paesi: Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca; nel 2004 Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia; nel 2009 Albania e Croazia; nel 2017 il Montenegro: e nel 2018 è stata avviata la procedura per l’ingresso nell’organizzazione della Macedonia del Nord. Le giustificazioni erano sempre le stesse e implicitamente antirusse: garantire la sicurezza dei nuovi membri.
Sarebbero state credibili se la Nato fosse stata un’organizzazione per la sicurezza collettiva di una vasta area geografica. Ma l’Alleanza Atlantica era nata nel 1949, agli inizi della Guerra fredda, per preparare militarmen-te i suoi membri alla prospettiva di un conflitto con l’Unione Sovietica.
Continua a essere diretta da una pluralità di consigli e comitati che riuniscono periodicamente i capi di Governo, i ministri degli Esteri e della Difesa. Dispone di forze militari integrate; ha un comandante supremo (sempre americano) che ha le funzioni di un capo di Stato Maggiore; prospetta e studia i conflitti possibili; organizza grandi manovre.
Naturalmente le manovre sono utili soprattutto se si svolgono in un contesto simile a quello in cui le truppe dovranno operare nell’eventua-lità di un vero conflitto. Quelle della Nato, anche quando non è detto esplicitamente, lasciano intendere che il nemico sarebbe la Russia. Altre iniziative americane possono sembrare, non soltanto ai russi, ostili.
Da alcuni anni gli Stati Uniti sembrano decisi a denunciare alcuni dei trattati che erano stati negoziati negli anni della Guerra fredda per ridurre le possibilità di un conflitto.
Il 27 maggio 1972 Richard Nixon, Presidente degli Stati Uniti, e Leonìd Brežnev, Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, avevano firmato un trattato che fu chiamato Abm (Anti-Ballistic Missile) per disciplinare l’uso dei missili balistici con testata nucleare e gittata intercontinentale. I missili potevano essere intercettati e distrutti da altri missili prima di colpire l’obiettivo; ma i due nemici avrebbero corso il rischio di distruggersi vicendevolmente in una tempesta di fuoco. Per evitare una tale prospettiva fu deciso che ciascuno dei due Paesi avrebbe potuto installare all’interno delle sue frontiere soltanto due basi anti-missilistiche e che avrebbe così esposto sempre al nemico una parte considerevole del proprio territorio. Apparentemente paradossale, quel trattato fu per molti anni una geniale garanzia di pace.
Ma la scienza e le nuove tecnologie non cessavano di progredire e poco meno di dieci anni dopo, nel 1983, un altro presidente americano, Ronald Reagan, annunciò la creazione nello spazio di un sistema offensivo com-posto da una larga gamma di nuove armi, non soltanto nucleari. Se fosse stata realizzata, la Strategic Defence Initiative (come il sistema venne chia-mato) avrebbe privato il Trattato Abm della sua funzione originale e garantito la superiorità degli Stati Uniti. Ma le prime sperimentazioni dettero risultati mediocri e l’incontro di Reagan e Gorbaciov a Ginevra, nel novembre 1985, ebbe l’effetto di aprire nuove e migliori prospettive.
Il clima divenne ancora una volta minaccioso quando George W. Bush denunciò il Trattato Abm, il 13 giugno 2012, Washington spiegò che la decisione era stata motivata dalla recente apparizione sulla scena inter-nazionale di alcuni rogue states (Stati canaglia) fra cui l’Iran degli Ayatollah. Gli americani installarono una base missilistica a Deveselu, in Romania, e cominciarono a progettare l’installazione di un radar nella Re-pubblica Ceca. Più recentemente, durante la presidenza di Donald Trump, hanno denunciato un altro trattato, simbolicamente molto importante: quello chiamato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces) che Ronald Reagan e Michail Gorbaciov avevano firmato a Washington l’8 dicembre 1987 per vietare a sé stessi l’installazione in Europa di missili di media gittata. Era il felice risultato dell’incontro di Reagan e Gorbaciov a Reykjavik in Islanda nell’ottobre 1986; e terminava la pericolosa fase iniziata qualche anno prima, quando Brežnev aveva cominciato a installare nelle regioni occidentali dell’Urss i missili SS20 diretti contro le maggiori città dell’Europa: una strategia, che nelle intenzioni di Mosca, sarebbe servita a separare le sorti dell’Europa da quella degli Stati Uniti (decoupling) seminando fra gli alleati della Nato diffidenze e sospetti.
Gli americani sostengono che il trattato è stato denunciato perché la Russia lo aveva violato migliorando le caratteristiche tecniche dei vecchi missili. È possibile. Ma è altrettanto lecito constatare che gli Stati Uniti si stanno progressivamente sbarazzando dei vincoli che avevano imposto a sé stessi, d’intesa con l’Urss, durante gli anni del disgelo.
Quali obiettivi cerchino di raggiungere con questa Seconda guerra fredda è un tema distinto, da affrontare separatamente.

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