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punto di vista 2/2019

punto di vista Il canale di Suez centocinquanta anni dopo
Sergio Romano biografia

Il Canale di Suez, di cui ricorderemo fra poco il 150° anniversario, fu nel corso della sua storia molte cose. Fu anzi tutto la realizzazione di un sogno lungamente coltivato da sovrani e condottieri. Fu un avvenimento mondano quando venne inaugurato il 17 novembre 1869 alla presenza di una imperatrice (Eugenia de Montijo, consorte di Napoleone III). Fu un evento culturale quando due celebri compositori, Johann Strauss e Giuseppe Verdi, accettarono l’invito del Khedivè a onorarne la costruzione con la loro musica. Johann Strauss (figlio) scrisse per l’inaugurazione una Marcia Egizia e Giuseppe Verdi un’opera (Aida) che due anni dopo celebrò l’inizio della stagione operistica del Cairo ed è ancora una delle più frequentemente rappresentate sui palcoscenici di tutto il mondo. Fu un’opera europea progettata da Luigi Negrelli, architetto trentino, allora cittadino austro-ungarico, e realizzata da un diplomatico francese, Ferdinand de Lesseps. Fu un simbolo della modernità e del progresso perché avrebbe accorciato la distanza fra tre continenti (Europa, Africa e Asia) di cui divenne l’anello. E fu una via d’acqua internazionale quando una Conferenza internazionale, che si tenne a Parigi nell’aprile del 1885, decise che sarebbe stato liberamente navigabile anche in tempo di guerra. Fu una grande operazione finanziaria quando la Gran Bretagna approfittò delle difficoltà in cui versavano le finanze del Khedivè (sorta di Viceré dell’Impero ottomano) per acquistare la maggioranza delle azioni della Società proprietaria e fece del Canale, da quel momento, la principale via d’acqua di quello che di lì a poco, grazie a Benjamin Disraeli, sarebbe stato l’Impero britannico. Ma credo che ai lettori di questa Rivista interessi soprattutto la parte che il Canale ebbe nelle relazioni internazionali dopo la Seconda guerra mondiale. Bisogna fare un passo indietro.
La costruzione del Canale non giovò all’indipendenza dell’Egitto. Quanto più Suez diveniva necessario alla Gran Bretagna per il governo del suo Impero, tanto più cresceva a Londra il desiderio di rafforzarne il controllo. L’occasione si presentò nel giugno del 1882, quando, ad Alessandria scoppiarono sanguinosi moti nazionalisti contro gli stranieri. Gli inglesi decisero di intervenire militar-mente, ma volevano un partner e cercarono di coinvolgere gli italiani.
Francesco Crispi (tra i maggiori esponenti della Sinistra storica) avrebbe accettato entusiasticamente e fece un viaggio a Londra dove ebbe un lungo colloquio con il capo del Foreign Office, Lord Granville. Ma il ministro degli Esteri in Italia era Pasquale Stanislao Mancini che declinò l’invito.
Fu il primo scontro fra le due correnti che si sarebbero frequentemente confrontate sin dai primi decenni della storia nazionale: quella che aveva fretta di fare dell’Italia una grande potenza, e quella a cui premeva anzitutto rafforzare nella pace le istituzioni del paese. Gli inglesi agirono da soli e l’Egitto fu da allora un protettorato britannico, particolarmente utile, non soltanto a Londra, quando l’Impero ottomano si schierò con gli Imperi centrali nel novembre 1914. Divenne un regno indipendente dopo la Seconda guerra mondiale, ma continuò ad avere un rapporto speciale con la Gran Bretagna sino a quando un gruppo di giovani ufficiali, nel luglio del 1952, s’impadronì del potere e costrinse il re a lasciare il paese. Gli ufficiali avevano un leader, il colonnello Gamal Abd el Nasser, che aveva ambizioni politiche sin dal 1942, quando sarebbe stato lieto di accogliere le forze italo-tedesche a braccia aperte se fossero riuscite a occupare Alessandria. Aveva anche costosi progetti per la costru-zione di una grande diga ad Assuan, destinata a garantire la fertilità delle regioni meridionali, e contava su finanziamenti americani. Ma quando a Washington ebbero l’impressione che il suo regime stesse cedendo alle lusinghe che provenivano dall’Unione Sovietica, i finanziamenti furono bruscamente interrotti. Nasser reagì annunciando la nazionalizzazione del Canale durante un infuocato discorso ad Alessandria, e i due paesi maggiormente interessati (Francia e Gran Bretagna) si intesero con Israele per riconquistarlo. L’operazione, con l’intervento di tre portaerei britanniche, sarebbe riuscita in tempi relativamente brevi se il presidente degli Stati Uniti non fosse pesantemente intervenuto per ingiungere alle due potenze europee di interrompere le operazioni. Fu detto che Eisenhower fosse preoccupato dalla prospettiva di un conflitto mondiale se l’Unione Sovietica, come minacciava il suo leader, Nikita Chruscëv, avesse colpito qualche capitale europea. Ma nella ingiunzione di Eisenhower agli alleati europei vi fu anche un malcelato fastidio per le pretese di vecchie potenze che continuavano a comportarsi come se non vi fosse ormai, dopo il 1945, una nuova potenza mondiale. Ne avemmo la prova quando la Gran Bretagna, ancora esitante, fu richiamata all’ordine dal timore che gli Stati Uniti manifestassero il loro disappunto smettendo di sostenere la sterlina alla Borsa di New York. La Francia, invece, avrebbe cercato di resistere agli ordini di Washington perché era impegnata nella guerra d’Algeria ed era convinta che Nasser stesse aiutando i ribelli della sua vecchia colonia; ma dovette anch’essa piegarsi. Dei tre paesi che avevano combattuto contro l’Egitto il solo che ne uscì vincitore fu Israele. La sua aviazione, nelle prime ore del conflitto, aveva colpito gli aeroporti egiziani, distrutto al suolo la forza aerea del paese e raggiunto il suo principale obiettivo strategico.
La guerra di Suez ebbe altri effetti non meno importanti. La Gran Bretagna precipitò in una crisi introspettiva che rimise in discussione la propria politica nazionale e internazionale. Il Primo ministro, Anthony Eden, s’ammalò e fu rapidamente sostituito dall’uomo (Harold Macmillan) che aveva rappresentato il governo britannico nel Mediterraneo durante la Seconda guerra mondiale e apparteneva all’area progressista del partito conservatore. Privata del Canale di Suez, la sua classe dirigente decise rapidamente che non sarebbe stata più in grado di amministrare direttamente le proprie colonie africane e ne fece, in tempi brevi, altrettanti stati indipendenti. Divenuta ormai meno imperiale e più europea, cercò di riunire in una nuova associazione chiamata European Free Trade Association (Efta) i paesi che non avevano aderito alla Comunità economica europea; ma si risolse, dopo qualche delusione a chiedere di essere ammessa a quest’ultima. Non volle rinunciare al suo rapporto speciale con gli Stati Uniti e ne coltivò l’amicizia sino a prendere decisioni, in qualche occasione, che non rispondevano ai suoi reali interessi (penso in particolare alla guerra irachena del 2003). Ma dette prova di buon senso e realismo. Ho vissuto a Londra in quegli anni e ricordo con quanta saggezza e senso dell’umorismo la Gran Bretagna sia riuscita a vivere il proprio declino imperiale. I suoi commediografi e romanzieri crearono un nuovo stile spregiudicato e coraggioso. I suoi stilisti dettero prova di grande fantasia e conquistarono i gusti delle nuove generazioni. La sua monarchia ha saputo attraversare con pazienza una imbarazzante stagione di scandali famigliari. Il declino è evidente e ne abbiamo avuto una ulteriore dimostrazione quando un infelice referendum sulla sua appartenenza all’Unione europea ha inceppato la madre dei parlamenti e provo-cato la crisi del partito di governo. Ma lo spettacolo, in altri paesi e in simili circostanze, sarebbe stato peggiore. Dopo essere stato un mito imperiale, il Canale di Suez, nel frattempo, continua a fare instancabilmente il suo lavoro. Nel 2015 alcuni tratti sono stati raddoppiati e alla sua lunghezza (164 km) ne sono stati aggiunti 35. La profondità è aumentata e non vi è nave, almeno per il momento, che non vi possa transitare. Centocinquant’anni dopo l’inaugurazione, il Canale è ancora più utile alla economia mondiale di quanto lo fosse nel giorno della sua inaugurazione.

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