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GNOSIS 4/2005
La parabola di Hizbollah
dalla resistenza armata al partito politico


Alessia DE CARO

La storia di Hizbollah e l’analisi della sua evoluzione da movimento di lotta armata a partito politico rivela aspetti di notevole interesse per chi è attento alle dinamiche sociali e politiche tipiche dello scenario mediorientale. Oggi considerato a metà strada tra l’organizzazione terroristica, qual’è ancora ritenuto dagli americani, e il partito politico, se lo si osserva con l’ottimistico paternalismo di qualche analista europeo, Hizbollah ha dimostrato nel tempo una incredibile capacità di adeguarsi ai mutamenti che esso stesso ha contribuito a determinare ed una originale attenzione alla comunicazione e ai mass media, aprendo la strada già negli anni ottanta alle strategie di impatto mediatico che oggi costituiscono il primo strumento di pressione delle organizzazioni terroristiche. A differenza di altri movimenti di opposizione armata, il “Partito di Dio”, non ha dimenticato l’intervento concreto in favore delle popolazioni che ambiva a difendere; fondazioni, scuole, associazioni contribuiscono, infatti, a completare l’opera del movimento assicurando supporto economico, sanitario, scolastico a chi ne ha bisogno, oltre naturalmente ad alimentarne il sostegno tra la popolazione. Al contempo Hizbollah, pur lasciandosi ontologicamente ispirare dalla tradizione islamica, è stato in grado di rendere sempre più laica la sua strategia concreta avvicinandosi alle dinamiche proprie dei partiti e dei movimenti politici occidentali e rinunciando alla pretesa di uno stato islamico in un microcosmo, quale quello libanese, così variegato.
Hizbollah, dunque, è stato un movimento che ha introdotto originali forme di organizzazione e di lotta, anticipando spesso di decenni il modus operandi dei movimenti di questo tipo, arrivando ad essere il fautore dell’interpretazione che ha consentito di legittimare i kamikaze trasformando, per via islamica, il loro suicidio in un atto di martirio. Gli attuali sviluppi dello scenario libanese, determinati dall’assassinio dell’ex premier Hariri e dal conseguente disimpegno forzato della Siria, e l’influenza che questo movimento subirà dalla politica iraniana e irachena, ci diranno fino a che punto chi crede nella lotta armata possa evolversi fino a cominciare una battaglia diversa, combattuta con le armi della parola e del sostegno politico.



da www.openfire.us



Le ultime elezioni libanesi del maggio 2005 hanno riconfermato Hizbollah (il “Partito di Dio”) come una delle principali forze politiche del paese. Il Partito ha infatti guadagnato un sostegno interno importante che nessuno forse in occidente avrebbe pensato potesse ottenere soprattutto all’indomani del ritiro della Siria dal Libano, accusata più volte di aver appoggiato l’organizzazione.
Dalla comparsa ufficiale nel 1985, gli Hizbollah hanno vissuto un processo di trasformazione che li ha portati dall’essere un gruppo di resistenza ad un vero e proprio partito in grado di raccogliere numerosi consensi nella complicata scena politica libanese, adattandosi agli eventi interni e regionali, senza mai abbandonare il loro iniziale obiettivo di combattere Israele.
Il movimento nato durante gli anni della guerra civile, venne alla ribalta per le operazioni di resistenza perpetrate contro le forze straniere presenti in Libano. All’inizio anche la sua attività comunicativa fu incentrata unicamente sul confronto militare con Israele.
Le numerose campagne di jihad eseguite attraverso i “martiri” (shahid) contro il “nemico occupante ed invasore”, permisero ad Hizbollah di acquisire pian piano maggiore consenso non solo all’interno del territorio libanese, ma anche in altri paesi vicini come Palestina, Siria ed Iran coinvolti direttamente o comunque impensieriti dalla politica di espansionismo attuata da Israele. A livello internazionale il movimento cominciò ad essere conosciuto e contestato in occidente a causa della sua attività militare; l’immagine di Hizbollah cresceva in modo proporzionale alle attività “di resistenza” che i suoi miliziani portavano a termine. Senza queste attività ed operazioni il Partito non sarebbe stato in grado di mantenere una presenza nel paese.
Per questo motivo, in un certo senso, si pensò erroneamente che la sopravvivenza di Hizbollah fosse pertinente solo in funzione della lotta contro Israele. Questa idea, in realtà, apparteneva anche ad alcuni membri fondatori dello stesso Partito che inizialmente istituirono il movimento proprio e solo al fine di mobilitare una resistenza contro il nemico israeliano.


L’integrazione al sistema politico libanese

La fine della guerra civile in Libano nel 1990 fu uno dei fattori determinanti per la trasformazione di Hizbollah da movimento di resistenza a partito politico. Nonostante l’applicazione degli accordi di Taef permettesse la restaurazione della pace attraverso l’istituzionalizzazione della multiconfessionalità e la suddivisione del potere politico operata a favore di quest’ultima (la carica di Presidente della Repubblica viene affidata ad un cristiano maronita, quella di Primo Ministro ad un musulmano sunnita, ed infine quella di Presidente del Parlamento ad un musulmano shiita), i passi da compiere nei campi della ricostruzione politica, economica e sociale del paese restavano numerosi.
La stessa evoluzione dei rapporti internazionali alla fine degli anni 80 con la caduta del Muro di Berlino, la fine della Guerra Iran-Iraq con la sconfitta dell’Iran ed il fallimento del tentativo di esportazione della Rivoluzione Islamica nei paesi vicini, incoraggiò Hizbollah ad orientarsi maggiormente sulle priorità nazionali e a riconsiderare la sua strategia e le sue alleanze in favore di quest’ultima. Inoltre la scelta da parte di Hizbollah di collaborare come attore politico per l’unità e la salvaguardia del Libano non poteva far altro che unire tutti i settori della società libanese nell’azione di resistenza. La rinnovata strategia per una piena integrazione nel sistema però doveva essere realizzata attraverso un avvio di colloqui con le altre forze politiche libanesi.
Molteplici furono gli sforzi da compiere, sia a livello culturale che pratico, affinché Hizbollah incominciasse la sua avventura politica con le elezioni parlamentari del 1992. Iniziò allacciando i primi contatti con le altre forze politiche libanesi e con il tempo riuscì a presentarsi come una forza che poteva garantire, a livello politico, benessere ed una certa stabilità al paese. Si rese necessaria allo stesso tempo un’operazione anche sotto il profilo mediatico, i nuovi programmi del movimento vennero così resi noti da giornali e televisioni. I colloqui intrapresi con vari movimenti sindacali, i discorsi pubblici rilasciati, così come la campagna elettorale avviata, servirono a svelare gradualmente gli obiettivi a lungo raggio e la visione politica di Hizbollah, uno dei pochi partiti a presentare un programma politico per le elezioni del 1992.
Il partito univa azioni pratiche e resistenza concreta all’occupazione straniera a proposte di soluzioni politiche ai problemi attraversati dalla società libanese. Proponeva allora come oggi l’abrogazione del settarismo confessionale politico-istituzionale esistente, la difesa della libertà politica e dell’informazione, lo sviluppo di una politica sociale e la necessità di porre rimedio alle disparità socio-economiche tra le differenti regioni libanesi. Oltre alle operazioni militari, Hizbollah ha saputo usare numerosi ingranaggi per la macchina dei consensi, costruendo “un impresa” totalmente dedita alla sua causa tramite la creazione di istituzioni sociali che apportavano aiuto morale e materiale alla popolazione.
Si è occupato concretamente della sanità, dell’educazione e dell’informazione, prendendosi cura finanziariamente delle famiglie dei martiri, dei feriti e dei civili sotto occupazione israeliana attraverso le fondazioni. Prima fra queste, per farne alcuni esempi, è la fondazione al-Shahid creata nel 1982 al fine di assicurare un aiuto finanziario, tramite una sorta di pensione, e la scolarizzazione dei figli delle famiglie dei combattenti martiri o caduti sotto i bombardamenti di Israele.
Per quanto riguarda la sanità, in un paese in cui la sicurezza sociale è quasi inesistente, al-Shahid si occupa di dispensare aiuti economici, e non solo, a numerosi ospedali nel sud del Libano e nella regione del Bekaa. Proprio per questo ospedali come quello di Al-Rasul Al-Azam dotato di una delle migliori équipe mediche del paese con un buon centro di analisi e di radiologia, o quello di Sheykh Ragheb dipendente dall’istituto di medicina islamico, si prendono cura gratuitamente delle famiglie dei martiri e offrono cure a prezzo modesto per i civili in genere (una radiografia o analisi che all’Ospedale Americano o in altri ospedali del paese verrebbe a costare circa 22 euro, costa tra i cinque e i sei euro nei due sopra citati).
Tenendo sempre ben presente l’importanza di preparare una base sociale per la resistenza islamica, la fondazione al-Shahid ha creato e controlla un istituto culturale incaricato di diffondere la cultura del martirio.
La fondazione al-Jarih si occupa invece della reintegrazione sociale dei combattenti feriti. Jihad al-Bina, fondata nel 1985, dedita principalmente alla ricostruzione delle migliaia di casa distrutte o danneggiate dai bombardamenti israeliani, si è più volte impegnata anche nella costruzione di scuole, ospedali e centri religiosi.
Questa fondazione si è occupata anche dell’approvvigionamento di acqua potabile della periferia sud di Beirut, della regione del Bekaa e di numerosi villaggi nel Libano del Sud, edificando, inoltre, pozzi artesiani e stazioni di pompaggio per permettere l’irrigazione dei campi e numerose centrali elettriche nelle regioni in cui queste erano insufficienti.
Nel settore agricolo le migliorie ed il sostegno delle fondazioni di Hizbollah hanno riguardato: la creazione di spacci regionali in cui vengono venduti sementi, pesticidi, concimi e altro materiale agricolo a prezzo ridotto; la costruzione di due centri veterinari a Nabatiyye (Libano del Sud) e Sohmour (ovest del Bekaa); pianificazione di canali di irrigazione; organizzazione di corsi di formazione agricola per far fronte alla riconversione, in colture alternative e tradizionali, delle piantagioni di hashish e di papavero vietate nel 1992 dallo stato libanese.
Nel campo dell’educazione, in cooperazione con il Consiglio Pedagogico Libanese, la rete di scuole Al-Mahdi, dodici sparse in tutto il territorio, si preoccupa di assicurare un programma di insegnamento in arabo, francese ed inglese in aggiunta al basilare insegnamento religioso fornito ai circa cinque mila alunni i quali vengono gratuitamente dotati di libri, uniformi e materiale scolastico necessario. Sotto lo slogan di una società più solidale e giusta, Hizbollah ha pensato di occuparsi, tramite l’associazione Al-Amdad (il sostegno), anche delle famiglie bisognose, degli anziani e delle persone affette da handicap.
La vittoria e l’impatto maggiore sulle masse, per l’attività compiuta dal Partito, si registrò alla fine del maggio 2000 con il ritiro, anche se non completo, dell’esercito israeliano dal Libano (l’area di Shebaa rimane tuttora occupata da Israele).
Questo non fece altro che accrescere il consenso verso Hizbollah che, a seguito di tale avvenimento, si impose sempre più sulla scena nazionale trasformandosi ancora di più in una realtà, non solo militare, ed espandendo il suo interesse al benessere generale sociale, politico e culturale della nazione.


da www.rainews24.rai.it

In un certo senso Hizbollah è stato capace di costruire ed organizzare uno stato nello Stato coprendo i fabbisogni e le carenze delle istituzioni libanesi soprattutto nella parte sud del Libano.
D’altronde l’esistenza del Partito dipendeva soprattutto dalla sua efficienza oltre ai finanziamenti provenienti dall’Iran e alla zakat (l’elemosina rituale, uno dei pilastri dell’Islam). L’unità d’intenti interna al Partito ed il favore popolare registrato sono stati in passato la ragione del continuo sviluppo di consensi attorno al movimento e sono attualmente la base della crescente influenza che il partito potrebbe acquisire ancora nel tempo.
Qualsiasi tipo di pressione da parte statunitense o israeliana su Hizbollah, alla luce delle ultime elezioni, non farebbe altro che rafforzare automaticamente il Partito, soprattutto in riferimento al fatto che Israele non ha ancora abbandonato il Libano completamente.
E’ innegabile il fatto che Hizbollah, non solo con azioni pratiche ma anche con abili mosse ideologiche, sia riuscito a conquistare consenso e guadagnare una buona percezione popolare, muovendosi e sfruttando i bisogni di uno stato e di una popolazione, che stremata da una lunga guerra civile, si trova ancor oggi a dover affrontare una situazione abbastanza critica.


Hizbollah e mass media

Raramente un movimento di guerriglia ha ricevuto un tale interesse da parte dei mass media fin dall’inizio della sua comparsa. Sicuramente questo è dovuto al fatto che lo stesso Hizbollah si è avvalso sin da subito dello strumento mediatico filmando spesso le sue milizie durante gli addestramenti, ma soprattutto, riprendendo i suoi miliziani durante le operazioni militari così da mostrare il coraggio dei suoi affiliati a tutti i simpatizzanti.
Questa strategia mediatica si è rivelata determinante per la credibilità del “Partito di Dio”. I video venivano in seguito inviati alle agenzie stampa internazionali e quindi trasmessi dalle televisioni occidentali dimostrando all’opinione pubblica mondiale, e in particolar modo a quella israeliana, l’efficacia della guerriglia nel sud del Libano.
L’interesse per il Libano da parte dei media occidentali però cominciò a diminuire con la fine della guerra civile, ma a questo si pose rimedio con la creazione nel 1989 del canale televisivo Al Manar (Il Faro), divenuto poi canale satellitare dal 2000, e ribattezzato “Televisione della resistenza e della Liberazione”. Nella programmazione di questo canale la priorità viene concessa alle notizie e ai talk show incentrati sul conflitto arabo-israeliano ed in particolare sulle operazioni di “resistenza” in Libano ed in Palestina.
Questo tipo di trasmissioni e la linea di programmazione intrapresa, che hanno portato il 12 luglio 2004 alla chiusura del canale televisivo che trasmetteva dalla Francia, hanno influenzato l’opinione pubblica araba e musulmana riuscendo a promuovere il modello di resistenza incarnato dagli Hizbollah.
Proponendo un’altra lettura dei fatti tramite la messa in onda delle operazioni militari da parte della guerriglia musulmana, Al Manar ha contribuito, prima del ritiro del 2000, ad esacerbare il dibattito interno allo stato israeliano sulla convenienza e l’opportunità di mantenere o meno le truppe nel Libano del sud.
Le immagini trasmesse da Al Manar, che non erano mai state diffuse dalla televisione israeliana, divennero fonte di informazione sugli sviluppi interni alla “zona di sicurezza” in particolar modo per i parenti dei soldati che vi erano impiegati. Due telegiornali in lingua straniera inoltre, uno in francese ed uno in inglese, venivano quotidianamente trasmessi per raggiungere il maggior numero di pubblico possibile.
Non si dimentichi infine che Hizbollah ha saputo adattarsi in questo campo anche alle nuove tecnologie aprendo un sito internet, tramite il
Lebanese Communication Group di Al Manar, quotidianamente aggiornato con notizie internazionali di economia, cultura, politica etc. Gli articoli, consultabili in lingua araba o in inglese, riguardano soprattutto il mondo arabo-islamico ma approfondimenti su Libano, Iraq e Palestina sono stabilmente previsti.



Il linguaggio di Hizbollah: l’Islam

Tra le azioni sociali in cui si è impegnato, Hizbollah ha favorito l’insegnamento della religione nelle scuole primarie e secondarie, e ha provveduto alla creazione di scuole religiose per garantire una “buona e giusta” formazione dei suoi teologi.
Sono quattro le scuole teologiche (Hawza Almiyya) fondate dal Partito sparse sul territorio libanese incaricate di formare una rete di teologi in grado di diffondere il messaggio divino. Hizbollah inoltre è riuscito ad assicurarsi il controllo su numerose moschee, nella parte sud del Libano, amministrate da comitati dipendenti dal Partito.
Per quanto l’Islam sia un elemento importantissimo però, la religione è sempre stata relegata unicamente al ruolo di fonte di ispirazione.
La differenza principale tra questo ed altri movimenti islamisti è che, conoscendo bene la realtà ed il carattere multiconfessionale del Libano, Hizbollah ha ammesso l’impossibilità di edificare uno stato islamico in questo paese, adattando a tale considerazione il suo programma politico.
Similmente a quanto successo al movimento palestinese Hamas, che nel tempo ha preferito porre maggiormente l’accento sulla lotta nazionale piuttosto che sull’ideologia religiosa, e contrariamente a quanto succede per altri movimenti islamisti, lo stato islamico non è dunque l’obiettivo politico di Hizbollah.
La realizzazione di un tale progetto, a detta degli stessi rappresentanti del Partito, porterebbe all’edificazione di un regime privo di legittimità rischiando un ritorno alla guerra civile. Questo non ha comunque fermato Hizbollah dal partecipare alla vita politica del paese usando la religione come fonte di ispirazione per “combattere le ingiustizie” e il linguaggio religioso per giustificare le sue operazioni militari ed il “martirio” dei suoi combattenti. D’altronde la stessa denominazione del movimento, formata da i due termini Hizb (Partito) e Allah (Dio), sono presenti, a sottolinearne l’importanza, sia nella sfera politica che in quella religiosa.
E’ stato Hizbollah a fare del martire carico di esplosivo un mito. Nella resistenza contro gli occupanti stranieri, che erano per lo più di fede diversa, la miscela composta dalla religione, il patriottismo e la disponibilità al sacrificio si dimostrò l’unica via percorribile. Lo stesso sceicco Fadlallah, uno dei membri fondatori di Hizbollah, ha affermato: “se non avessimo avuto i nostri martiri, non saremmo riusciti a vincere”.
Per giustificare il sacrificio di morte dei suoi combattenti, dato che l’Islam vieta il suicidio, Hizbollah dovette ricorrere ad un escamotage religioso legittimando la morte volontaria ai fini della resistenza, denominata anche “jihad difensivo”, tramite una serie di fatawa (sing. fatwa), editti religiosi, definendo così questo sacrificio di vite non “suicidio” ma appunto “martirio”.
Il teologo shiita Naim Qassem, membro fondatore vice responsabile e deputato del Partito, dichiarò: “E’ un dovere religioso di ogni musulmano partecipare alla guerra santa e apportarvi il massimo sacrificio. Noi siamo convinti che il momento della morte di ogni persona è nelle mani di Dio. Tutto ciò che il singolo può fare si riduce alla scelta del modo in cui morire.
Chiunque conosce l’Islam capisce che indubitabilmente chi compie questa scelta, in realtà non muore prima del suo tempo. Da questo punto di vista noi consideriamo il martirio come una scelta del musulmano di stabilire da sé il modo, ma non il momento di morire, che è prefissato”.
Bisogna ricordare però, che Hizbollah riuscì a tenere le operazioni di martirio sotto controllo, rendendolo uno strumento da impiegare in modo mirato e parsimonioso, al fine di ottenere la maggior risonanza possibile con il minimo sacrificio. Furono altre le armi usate, non appena ne venne in possesso, per realizzare la sua strategia: bombe elaborate con innesco a distanza; razzi Katiusha; un buon servizio di informazioni e spionaggio (grazie alla Siria); rapimenti di soldati israeliani e di agenti dei servizi segreti. Hizbollah era un’organizzazione troppo piccola ed impegnata a garantire la sopravvivenza dei propri combattenti per poter ricorrere con eccessiva frequenza al martirio.
I funzionari del Partito hanno spesso mostrato segni di disapprovazione e di preoccupazione per la troppa ricorrenza a questa tattica da parte dei movimenti radicali palestinesi, ribadendo che, le operazioni di martirio, devono essere usate con prudenza e circospezione per la preziosità delle vite umane.
Hizbollah si è sempre vantato del fatto che le sue operazioni venivano inoltre perpetrate solo contro obiettivi militari nemici riducendo al minimo le vittime civili. Per lo stesso principio lo stesso Fadlallah, uno tra i più radicali shiiti libanesi, fu tra i primi religiosi islamici a condannare gli attentati dell’11 settembre affermando che l’uccisione di migliaia di civili non è in alcun modo giustificabile o legittimabile da nessuna religione.
Per guadagnare maggior importanza e credibilità nella complessa realtà libanese inoltre, Hizbollah ha saputo usare il linguaggio religioso senza urtare la sensibilità delle altre confessioni, tant’è che Nasrallah, Segretario Generale del Partito, ha sempre denunciato la pericolosità dello “scontro di civiltà”.
Come più volte dichiarato la loro non era e non è una guerra di religione. Hizbollah considera Israele “il nemico” solo perché forza occupante (la stessa considerazione però non veniva attuata nei confronti della Siria prima del ritiro), e parla ai civili libanesi esortandoli alla resistenza, ricorrendo appositamente a dei versetti del Corano in cui Allah non si rivolge strettamente ai “musulmani” ma agli “oppressi” in generale.


Il futuro di Hizbollah

In più di venti anni di esistenza, Hizbollah è stato testimone e attore di numerose trasformazioni intervenute sulla scena libanese, regionale ed internazionale. Queste evoluzioni hanno avuto un impatto importante sul movimento in considerazione divenuto, al giorno d’oggi, uno dei principali partiti e la maggiore forza di resistenza all’occupazione israeliana in Libano.
A cominciare dalla sua creazione, la priorità di Hizbollah è sempre stata la lotta per la fine dell’occupazione di Israele. Il Partito ha sempre riadattato e riconsiderato le sue alleanze ed i suoi comportamenti politici, sul piano interno ed esterno, proprio in funzione di questo obiettivo, trasformando una motivazione propria dei suoi militanti in un vero e proprio obiettivo nazionale del partito politico in cui si è trasformato negli anni.
Nonostante Hizbollah sia iscritto nella lista americana delle organizzazioni terroristiche (non compare invece più in quella europea dal 2002), subito dopo l’attentato alle Torri Gemelle del settembre 2001, gli Stati Uniti hanno fatto sapere al “Partito di Dio”che sarebbero stati disposti ad aprire una nuova pagina nelle loro relazioni nel caso in cui quest’ultimo si fosse dichiarato disposto a sottostare ad alcune condizioni.
La prima era lo scioglimento del suo braccio armato, la Resistenza Islamica, e la rinuncia a qualsiasi rivendicazione sull’area di Sheeba; in cambio Washington assicurava aiuto materiale e finanziario alle numerose istituzioni e fondazioni caritatevoli di Hizbollah. La seconda condizione riguardava la richiesta di un disimpegno totale su tutti i fronti di Hizbollah dal conflitto arabo-israliano e la cessazione di qualsiasi intervento in favore dei palestinesi.
Con la terza, infine, gli USA chiedevano al Partito collaborazione nel campo della sicurezza nella guerra contro al-Qa’ida.
Per tutta risposta Hizbollah rifiutò queste condizioni rispondendo che: primo, il ritiro totale di Israele dall’area di Sheeba era un imperativo per la sicurezza e la sovranità nazionale del Libano; secondo, la solidarietà con il popolo palestinese costituiva un principio sul quale non avrebbe mai negoziato; e terzo, la guerra al terrorismo intrapresa contro al-Qa’ida era un conflitto che opponeva questa organizzazione, finanziata inizialmente dagli stessi americani, agli Stati Uniti e quindi un affare di famiglia che non riguardava in alcun modo Hizbollah.
A livello internazionale Hizbollah ha sviluppato negli anni una rete di relazioni con diversi stati arabi e non (ad eccezione di Israele e Stati Uniti) e con diverse organizzazioni internazionali e regionali, concentrandosi soprattutto nel rafforzamento dei suoi legami con l’Iran e la Siria.
Non è facile, proprio per i continui sviluppi internazionali e regionali, prevedere con sicurezza il futuro di Hizbollah. Lo stesso Segretario Generale Nasrallah non ha mai definito la visione a lungo termine del suo partito. Alla domanda che spesso si pone su cosa ne sarà di Hizbollah se Israele abbandonasse la zona di Shebaa e terminasse definitivamente l’occupazione israeliana, Nasrallah come Naim Qassem non hanno mai risposto chiaramente trincerandosi sempre dietro la dichiarazione che “le opzioni sono numerose, tutto potrebbe succedere. Anticipare un piano significherebbe solo esporre tale piano agli occhi del nemico”.
Gli stessi israeliani, secondo questi ultimi, avrebbero sempre optato per la strategia di tenere tutte le opzioni aperte fino all’ultimo momento, così da trarre il maggior beneficio dalle azioni che poi sono intraprese.
Proveremo dunque a fornire di seguito alcune considerazioni possibili a seconda dei diversi sviluppi che potrebbero venire a crearsi.
L’unica certezza fornita da Hizbollah è la sua capacità di modificarsi e trasformarsi, pur conservando la tradizione, a seconda delle situazioni. Il peso e la capacità politica conquistata, poi, fanno presagire che Hizbollah non sarà mai un attore facile ad eliminarsi sulla scena libanese. Capace di adattarsi a livello politico a qualsiasi sfida, coalizzandosi con le altre forze libanesi quando serve, non disdegnando di usare, come spesso ha fatto, la religione per i propri scopi ed interessi, in una civiltà in cui purtroppo e spesso proprio la religione rimane la maggiore causa e spinta alla mobilitazione anche a fini politici.
Oggi Hizbollah controlla in modo impercettibile e a tutti gli effetti la parte meridionale del Libano non solo istituzionalmente tramite i seggi conquistati nelle ultime elezioni. Le bandiere gialle con il nome del Partito, tracciato in modo da delineare la sagoma di un Kalashnikov, sventolano nei villaggi e agli incroci delle strade. I combattenti sono in grado di trasformarsi al momento giusto in contadini, impiegati e commercianti.
Il potere detenuto istituzionalmente da Hizbollah oggi è tanto più forte alla luce della svolta del 30 agosto scorso nell’inchiesta sull’attentato dell’ex Premier Hariri.
Quattro ex-dirigenti delle forze e servizi di sicurezza, esponenti di spicco dell’establishment filo-siriano, sono stati arrestati ed incriminati dalla magistratura libanese per questo assassinio. L’atmosfera nel paese per la maggioranza al governo definita “anti-siriana” (nonostante la presenza di Hizbollah), alla luce dei numerosi attentati accaduti negli ultimi mesi è molto critica.
Per la pericolosità della situazione (è molto probabile una nuova serie di attentati), numerosi sono gli esponenti politici e dei media anti-siriani che hanno trovato attualmente rifugio a Parigi: tra questi proprio il figlio dell’ex premier Hariri ed il leader druso Walid Jumblatt. Tra le forze di questa maggioranza “anti-siriana”, Nasrallah, quindi, resta l’unico leader di maggioranza rimasto a Beirut a non temere attentati.


da www.malas-noticias.com.ar/Terror

Per quanto riguarda il braccio armato del Partito, la Resistenza Islamica, forza parallela all’esercito libanese, la persistente occupazione israeliana nella zona di Sheeba rimane la giustificazione della sua esistenza. Qualora ve ne fosse la necessità sotto pressione esterna e comunque sempre dopo un eventuale ritiro completo di Israele dal Libano, Hizbollah sarebbe sicuramente in grado di sciogliere le sue milizie senza perdere il controllo della situazione.
Il braccio armato, che sussiste solo in quanto resistenza contro l’occupante, si è sempre dichiarato “in armonia” e non in contrasto con le forze regolari libanesi. L’unità di intenti e di vedute del Partito non verrebbe minata da un eventuale scioglimento delle milizie. Ma finché Israele sarà presente sul territorio libanese nessuna pressione esterna raccoglierà il favore del popolo per l’eliminazione di miliziani di Hizbollah. Il “Partito di Dio” detiene un favore interno non trascurabile; la stessa Siria durante tutta l’occupazione, ma in particolar modo all’inizio quando i rapporti non erano poi così buoni, si è guardata bene dall’entrare in contrasto con questa forza, fornendo ad essa quando e quanto possibile il proprio appoggio.
Finora in effetti gli Hizbollah non sono mai usciti dal loro campo di azione di resistenza e non sono mai entrati in conflitto con le forze armate, lasciando a queste qualsiasi compito istituzionale di sicurezza interna.
Quanto alla Siria, alleata nella lotta contro Israele per gli interessi nel Golan nonostante sia stata allo stesso tempo “occupante”, il suo ritiro dal territorio libanese potrebbe aver giovato al Partito.
Visto il ritiro forzato delle truppe siriane, operato sotto pressione occidentale, e assodato comunque che la cooperazione tra questo stato ed Hizbollah rimarrà viva anche se indebolita per l’unione di intenti riguardo il vicino israeliano, la resistenza libanese non potrà più essere accusata di sopravvivere grazie al sostegno siriano.
Tutt’altro, la collaborazione potrebbe intensificarsi in maniera informale: la Siria non essendo più presente nel territorio, potrebbe finanziare e supportare in modo maggiore chi, all’interno di esso, condivide ed opera per gli stessi obiettivi.
Prendendo in considerazione il fronte siro-palestinese, i rapporti con il “Partito di Dio” potrebbero indebolirsi sia a causa del difficile momento che sta attraversando la Siria per le sue delicate relazioni con gli USA, sia a causa del nuovo corso politico che la Palestina sembra aver imboccato con la morte di Yaser Arafat e l’elezione del nuovo presidente Abu Mazen.
Pertanto la resistenza e l’interesse di Hizbollah potrebbero concentrarsi ancora di più sui nuovi governi di Iran e Iraq. Dovremmo forse tener conto quindi del “nuovo triangolo Shiita” che potrebbe venire a crearsi tra Hizbollah, Iran (con cui sono stati sempre in legami stretti) e shiiti iracheni, che sempre più ricoprono un ruolo importante nel nuovo governo iracheno e sempre più chiedono indipendenza per le province in cui rappresentano la maggioranza nel nuovo Iraq federale.
La resistenza shiita in Iraq contro gli americani potrebbe rappresentare un imperativo nazionale per Hizbollah al pari della resistenza palestinese verso il comune nemico israeliano. Agli occhi di Hizbollah la guerra in Iraq degli Stati Uniti ha rappresentato un ritorno al colonialismo.
La tradizionale ostilità del Partito a Saddam Hussein per la repressione attuata sugli shiiti sotto la sua dittatura, la guerra contro l’Iran e l’invasione del Kuwait che diede il pretesto agli Stati Uniti di installare una presenza militare nella regione del Golfo, non gli impedì di lanciare, prima dell’attacco, una iniziativa di riconciliazione tra tutte le forze irachene.
L’obiettivo era quello di cercare di privare gli USA del pretesto di attaccare strumentalizzando le divergenze irachene in favore dei propri interessi.
Nonostante avesse denunciato l’illegittimità della guerra all’Iraq e la successiva “occupazione”, Hizbollah si è ben guardato dall’opporsi però apertamente alla partecipazione dei partiti shiiti al Consiglio di Governo ad interim creato sotto gli auspici americani. La strategia del Partito, come più volte dimostrato, è sempre stata quella di stringere nuove e diverse coalizioni con attori differenti a seconda dell’occorrenza.
Nel considerare infine gli sviluppi internazionali non si può non citare il nuovo corso adottato dalla politica di Israele, in primis con il ritiro dalla striscia Gaza e poi con il tentativo di avviare e normalizzare rapporti con gli altri paesi arabi e islamici della regione.
Il primo settembre scorso la capitale della Turchia Istanbul è stata teatro della prima stretta di mano tra Pakistan ed Israele. Anche se non si è assistito ad un vero e proprio riconoscimento dello stato israeliano, questo avvio di colloqui con il Pakistan ha permesso al Ministro degli Esteri israeliano Shalom di sottolineare l’importanza di questo primo passo che potrebbe portare, a detta dello stesso ministro, all’apertura di relazioni con altre nazioni musulmane.
E mentre il Presidente pakistano Musharraf, (spinto dalla necessità di rafforzare l’immagine del suo paese con l’occidente dopo la scoperta che gli attentatori di Londra erano pakistani o comunque uomini addestrati in Pakistan) dichiarava che questi primi colloqui “indiretti” sarebbero stati sostenuti da Arabia Saudita e Autorità Palestinese, queste ultime reagivano ufficialmente attaccando l’apertura del dialogo insieme ad Hamas, Jamaat-al-islamiyya (maggior partito islamico del Pakistan) e numerosi altri paesi arabi.
In questo clima internazionale, atteso peraltro il particolare momento storico, nessuno può escludere che si arrivi ad una svolta anche nelle relazioni tra Israele e Iran.
Anche se non proprio un vero riconoscimento dello stato israeliano, un inizio di dialogo potrebbe portare l’Iran a godere di maggior credito da parte degli stati occidentali. Una sorta di do ut des per cui lo stato iraniano, se Israele chiudesse un occhio, potrebbe portare avanti il suo programma nucleare da poco avviato, se fosse assicurato lo scopo civile. Per contropartita l’Iran potrebbe stringere la cinghia sul fronte libanese diminuendo il suo contributo di armi e finanziamenti verso Hizbollah.
Qualsiasi sviluppo internazionale si voglia considerare, comunque, non si deve dimenticare che il potere conquistato all’interno del Libano dal “Partito di Dio” a livello nazionale gli permette ormai di sopravvivere anche senza aiuto esterno.
Solo un netto cambiamento di programma o una divisione, per adesso non prevedibile, all’interno dello stesso Hizbollah potrebbe apportare piccole o grandi rivoluzioni e provocare pericolosi mutamenti.
Qualora, ad esempio, a causa del potere raggiunto, l’idea dello stato islamico ora non considerata, facesse breccia nelle menti dei teologi del Partito, il Libano si troverebbe di nuovo nel bel mezzo di una guerra civile, in un mondo in cui spesso “oppressi” e “oppressori” facilmente si scambiano di ruolo.



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