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GNOSIS 3/2005
Eticità e giuridicità nell'incontro-scontro di civiltà
La 'Reconquista' della Spagna


Diego MEDINA MORALES

Che cosa è stata la Reconquista? Qual è il significato da attribuire al termine nel contesto storico spagnolo? La questione è assai controversa. La Reconquista è stata vista e descritta con toni da vero poema epico, come se si trattasse di una grande impresa nazionale diretta alla cacciata degli invasori maomettani. In questa guerra lunga e senza quartiere, il popolo cristiano si è occupato dei suoi diversi aspetti fino alla cacciata del nemico della cristianità, come si trattasse di una crociata nei territori spagnoli. Si è anche sostenuto che nel corso di questo periodo si è registrata una vera e propria convivenza fra le tre culture, cosa che non ha impedito tuttavia il diffondersi di tensioni religiose, odi e diffidenza tra diversi gruppi. Non deve sembrare strano che questo genere di manifestazioni (romanzate) si basino su un fatto storico, soprattutto per la precarietà dei mezzi e per la mancanza di rigore scientifico, che fino quasi alla metà del XX secolo ha caratterizzato la storiografia; e ancora meno ci possiamo sorprendere di siffatta versione romanzata se consideriamo quanto il romanticismo fosse imperante nel lavoro di costruzione storica in Spagna nel XVIII e XIX secolo ad opera di gente come, per esempio, Washington Irving (1) , fenomeno che tanto ha contribuito a creare un’immagine romantica della storia della Spagna.


Quando ci troviamo davanti alla necessità di dover interpretare gli avvenimenti in Spagna, dalla battaglia del Guadalete fino all'espulsione dell'Islam dal territorio ispanico, dovremmo tenere presente che ci stiamo riferendo ad una esperienza storico-reale nella quale confluiscono categorie politico-giuridiche grazie alle quali si può giungere ad una interpretazione.


da www.educared.net

La Reconquista non è stata un processo storico casuale, nulla a che vedere con il mondo spirituale, ma risponde ad una relazione di imputazione, causa-effetto, molto simile, per non dire uguale, a quella delle relazioni giuridiche. Un atto considerato ingiusto da una comunità caratterizzata da un codice etico e giuridico abbastanza sviluppato, cristiano occidentale, è seguito da una reazione che ristabilisce l'ordine giuridico infranto. Se i musulmani, come vedremo, invasero la Spagna grazie ad un atteggiamento considerato sleale a quel tempo - patti infranti, rottura della fides - il popolo oltraggiato, per meglio dire gli autoctoni ispanici, si sentirono giuridicamente autorizzati a ristabilire l’ordine infranto e quindi a cacciare dalla comunità il perfido invasore.
Vista così la Reconquista diventa un’esigenza etica, una necessità giuridica, cioè qualcosa che è molto di più di un casuale avvenimento storico.
Così, quando si parla di Reconquista è necessario parlare di legittimità o illegittimità di un dominio, poiché stiamo parlando - secondo le valutazioni dell’epoca - della proprietà di terre e della legittimità di tale proprietà, che si manifesta con la sua difesa, come ci dice Carl Schmitt.



I fatti

Alla morte di Witiza (febbraio del 710) (2) un gruppo di suoi fideles propose come successore al trono uno dei suoi figli - cosa che supponeva la rottura con il tradizionale sistema selettivo della monarchia visigota. Tale possibilità non dovette essere molto gradita, in un certo senso, ad una parte della nobiltà che, prendendo spunto dal danno che ciò avrebbe causato alle tradizioni giuridiche relative alla successione al trono, ottenne che il Senatus rifiutasse tale proposta innovativa; ne conseguì quindi, secondo quanto stabilito dal sistema tradizionale giuridico, che il nobile Rodrigo fosse eletto nuovo monarca.
Sánchez Albornoz, buon conoscitore di questa parte della storia della Spagna, rappresenta così il clima nel quale si svolsero tali avvenimenti: “poichè la più alta carica dei magistrati era elettiva, le fazioni gote si scontrano ferocemente per portare al potere uno dei loro. Intrighi, sgambetti, odi. Ambiente da guerra civile” (3) . “La scelta cadde su Rodrigo, duca di Betica, e, sembra, rinomato uomo d’armi.
Ma il trono era già stato occupato dai vitizani che dovettero essere cacciati con la forza… I clan nobiliari si scontrarono ancora… Era logico che il clan detentore del potere temesse di essere spodestato dopo venti anni di governo e che quindi si opponesse a Rodrigo eletto, senza dubbio, dal partito avversario. Scoppiò la guerra civile. Le cronache arabe riferiscono della contesa. Trionfò l’ex duca di Betica. Ma i vitizani non si rassegnarono alla sconfitta e cercarono la rivalsa” (4) .
Fu proprio in questo clima di instabilità, presente in Spagna dal 710 al 711, che i vitizani ordirono un piano per strappare il potere ed il trono a Rodrigo, un piano che, poiché segreto, indusse i fautori dei figli di Witiza ad adottare un comportamento apparentemente sottomesso (5) alla sua autorità. La situazione è quella caratterizzata da un clima sociale marcato e scandito dalla continua opposizione violenta tra le due fazioni nobili che volevano ottenere il maggiore potere, il trono. A tutto ciò bisognerebbe aggiungere, come fa presente l’Orlandis (6) , la grave crisi economica verificatasi alla fine del regno e causata principalmente da due fattori: a) pertinaci e gravi epidemie (7) , b) contrazione del commercio estero causata dall'occupazione musulmana del Vicino Oriente e del Nordafrica. Infine, sul regno si abbatté anche una forte crisi religiosa. Tutto ciò risulta decisivo per spiegare la situazione nella quale si verifica quella che erroneamente viene definita invasione della Spagna da parte dell'Islam; come giustamente afferma Menendez Pidal, questo clima, che avrebbe scatenato una guerra civile, trovò la sua origine nella furiosa parzialità, nella lotta tra le fazioni delle famiglie Chindasvinto e Wamba (8) .
Mentre la Penisola era afflitta da tali contese i musulmani erano riusciti, con molta difficoltà, a raggiungere lo stretto di Gibilterra dove la città di Ceuta, comandata dal cosidetto Oibán, Urbán, Ulyán, Alyán o Julián (9) (protagonista di molti racconti leggendari, esageratamente celebrato) opponeva una strenua difesa. Questo Julián, che sembra simpatizzasse per i vitizani, dovette ritenere, forse su raccomandazione dei capi dell'insurrezione e in vista della perdita di potere dei vitizani nella Penisola, che un ‘cordiale’ avvicinamento commerciale a quel popolo appena giunto alla frontiera avrebbe potuto risultare ‘utile’, al momento giusto, per far recuperare il trono al suo partito.
Questo probabilmente spinse Julián e Tarik a raggiungere un accordo vantaggioso per entrambi (10) , che rispondesse alle aspettative politiche della fazione vitizana senza dubbio favorevole all’avvicinamento con i berberi, e poter contare sul loro aiuto, qualora, come era probabile, fosse giunto il momento di lottare per la corona (11) mentre i musulmani avrebbero guadagnato la simpatia del potere visigoto.
I vitizani contavano, come possiamo vedere, sulla possibilità di ottenere il sostegno dei musulmani che si erano stabiliti dall’altro lato dello stretto per deporre Rodrigo – il che, a sua volta, non era una novità per il mondo visigota abituato nelle sue avventure politico-militari a contare, come in molte altre occasioni, sui mercenari.
Sembra molto probabile che i vitizani abbiano chiesto ai musulmani di partecipare come alleati all’insurrezione che stavano organizzando e che avrebbe dovuto terminare, presumibilmente, come poi fu, in uno scontro aperto tra i due gruppi visigoti - chiamiamoli vitizano e rodrighista - e quindi, in una guerra civile. Riteniamo che questa richiesta di aiuto sia ormai ampiamente verificata, anche se le fonti non sempre sono molto esplicite né troppo chiare, e non vogliamo ripetere quanto fossero limitate. Della stessa opinione sono molti famosi medievalisti tra i quali Sanchez Albornoz (12) , Menéndez Pidal (13) ,
Eduardo Saavedra (14) , José Orlandis (15) , García Moreno (16) , Luis G. De Valdeavellano (17) , ma con questa ipotesi concordano anche autori come García De Cortázar (18) e E. Lévi Provençal (19) , nonché altri studiosi, troppi per poter essere elencati.
I vitizani, nel faticoso tentativo di riappropriarsi del potere politico, cioè della corona, non considerarono il grosso rischio al quale si sottoponevano, e con la convinzione aprioristica che i musulmani avrebbero rispettato quanto promesso e che si sarebbero accontentati del bottino concordato non furono capaci di calcolare il pericolo al quale stavano esponendo l’integrità territoriale della monarchia (20) .
Mentre al sud, come stiamo vedendo, si ordiva un piano per spodestare Rodrigo e si preparava lo sbarco di truppe di ausiliari, al nord si percepiva la prossima rivolta dei guasconi. Come già in altre occasioni questo popolo si sollevava contro il potere centrale e in questo caso è necessario sospettare che vi fosse molto probabilmente una partecipazione del partito vitizano.
Senza alcun dubbio tutto ciò che poteva servire a distogliere l'attenzione del monarca da quanto si stava ordendo nel sud contro di lui, favoriva gli interessi del partito vitizano; non c’è quindi da meravigliarsi che fossero proprio i vitizani quelli che a tal fine incoraggiavano la ribellione al nord; cosa assai normale che chi prepara un ‘colpo di Stato’ distolga l’attenzione di colui che deve subirlo, creando altri problemi nel paese che lo preoccupino e senza perdere occasione di svelare trame contro di lui tanto per creargli una situazione di disagio. Il dettaglio non è sfuggito ad Eduardo Saavedra, che nel suo Studio sull’invasione araba in Spagna lo spiega così: “Gli scontenti lavoravano con l’obiettivo di creare quante più difficoltà possibili al re e riuscirono ad ottenere che, all’inizio della primavera del 711, i franchi attaccassero la frontiera di Navarra, facendo sollevare i guasconi ed obbligando Rodrigo ad accorrere in quella regione con i veterani del suo esercito. La situazione si presentava propizia per entrare nella penisola…” (21) .
Nel corso della notte tra il 27 ed il 28 aprile, mentre Rodrigo combatteva i guasconi al nord, Tarik sbarcava alla rocca di Calpe alla testa delle truppe ausiliarie. Per questa spedizione furono utilizzate quattro piccole imbarcazioni di proprietà, sembra, di Julián, cosa che rese necessario più di un viaggio per trasbordare da Ceuta circa settemila uomini (22) , attesi sull’altra riva dalla fazione vitizana. In due o tre settimane Rodrigo riuscì a sapere cosa stava succedendo al sud ed una volta appreso della presenza straniera in territorio spagnolo, ordinò che il suo esercito si riunisse a Cordoba dove si diressero lui, i suoi fedelissimi e quelli che tramavano la sua deposizione, che successivamente si sarebbero contrapposti sul campo di battaglia (23) .
Infine, il 19 luglio i due eserciti si affrontarono sulle rive del Guadalete - secondo altri sulle rive del lago di Janda, sebbene per il risultato sia indifferente la definizione del luogo; ovunque fosse, il fatto è che questo avvenimento era visto dal mondo ispano-visigoto (24) come un’ ’ingiustizia giuridica’. Per alcuni giorni i due schieramenti si osservarono e, con varie scaramucce, testarono le rispettive forze. Si suppone che nel corso di questi giorni i vitizani non perdessero occasione per incitare alla defezione coloro che ancora erano fedeli a Rodrigo (25) , ottenendo così un maggior numero di effettivi a discapito delle truppe di Rodrigo.
Sin dall’inizio della battaglia i vitizani assunsero il loro ruolo di organizzatori dell’insurrezione ponendosi sul campo di fronte a Rodrigo, che si rese così conto della sollevazione di quella parte della nobiltà gotica contraria alla sua designazione e impaziente di ottenere il potere a qualunque costo (26) .
Se si analizzano i fatti si possono osservare i seguenti elementi e circostanze: si evidenziano due gruppi ben definiti, che combattono ferocemente con ogni mezzo per ottenere il trono; uno di questi, il vitizano, aveva organizzato contro l’altro, il rodrighista, un ‘colpo di stato’, portandolo addirittura sul terreno sul quale l'avrebbe sconfitto. Questi fatti quindi sono da considerare una ‘guerra civile’ (27) dalla quale, secondo una logica elementare, uno dei due gruppi sarebbe uscito vincitore - ricordiamo, entrambi visigoti, o ispanici -, unici contendenti della stessa, difensori di una diversa dinastia reale e, ovviamente, appartenenti alla stessa identità etnico-culturale, che non poteva essere altra che quella ispanica.
Ma contrariamente ad ogni pronostico, la storia non finì così. Dopo una cruenta e dura battaglia la milizia di Don Rodrigo fu sconfitta e lo stesso re, secondo quanto si narra, ucciso in battaglia (28) . Tuttavia il suo corpo non fu trovato, possiamo supporre che se così non fosse stato, se invece fosse stato trovato, con la prova che il trono era vacante e la possibilità che Achila lo occupasse, la campagna si sarebbe conclusa con il conseguimento del suo obiettivo e le truppe ausiliarie non sarebbero state più necessarie e che quindi una volta ottenuto il bottino, sarebbero rientrate in Africa. Ma il fatto che il corpo non fosse stato trovato ed il timore che Rodrigo fosse ancora vivo, indussero i soldati a continuare la campagna e a dirigersi verso Toledo; infatti poichè i fedeli di Rodrigo continuavano a combattere in tutte quelle piazze che li vedevano in maggioranza, i vitizani dovettero pensare che Rodrigo fosse ancora vivo. Fu necessario, quindi, continuare a contare sulle forze alleate fino alla fine (29) . Ancora molto utili dovettero essere a Ecija, dove poco dopo si svolse un'altra cruenta battaglia che vide ancora una volta i vitizani vincitori. Dopo questa seconda vittoria, grazie alle perdite subite dall’esercito di Rodrigo, la marcia verso Toledo fu più rapida. È necessario tuttavia ricordare che le piazze governate dai fedeli alla causa vitizana, come è normale, non opposero alcuna resistenza a quell’esercito.
Una volta a Toledo i vitizani si aspettavano, così come concordato, che si proclamasse re uno dei figli di Witiza, e sembra fosse stato prescelto Achila. Tuttavia, percepito il tradimento dei musulmani (30) che non erano disposti a rispettare l’accordo, Tarik proclamò la sovranità del Califfo di Damasco, anche perché era consapevole di quanto fossero decimate le forze di coloro che avrebbero potuto accusarlo di tradimento. In seguito lo stesso Muza, al suo arrivo in Spagna, rimproverò Tarik per il suo comportamento, per non aver manifestato in maniera evidente il suo audace tradimento, per aver concesso troppa forza all’esercito visigoto e non averlo debilitato abbastanza nelle battaglie precedenti, per aver reagito immediatamente ed aver così rischiato non solo di causare una sconfitta ai musulmani ma di aver anche messo in pericolo i loro possedimenti in Africa.
Ma alla fine Muza, lungi dal mantenere la parola data, invece di ristabilire il potere e la sovranità di coloro ai quali aveva giurato fedeltà -infatti quando concordò l’aiuto si impegnò a difendere la legittimità al trono di uno dei figli di Witiza - ratificò la dichiarazione di sovranità fatta da Tarik (31) , compiendo un atto di tradimento secondo i parametri etici del mondo cristiano, ma sempre negato dai discendenti di quei visigoti.
Così si svolsero i fatti. La logica ed il significato degli stessi sono risultati chiari al famoso giurista (32) e statista spagnolo dell'’800 Joaquin Francisco Pacheco ed è con le sue parole che concludiamo l’esposizione dei fatti: “i fedeli dell'ultimo re, vinti da Rodrigo e alleati contro di lui, sicuramente lo aiutarono se non altro avvisandolo ed accelerando il suo arrivo. Julián, governatore di Ceuta e del territorio occupato dai goti sin dai tempi di Sisebuto dall’altra parte del mare, Oppas, vescovo di Siviglia e fratello di Witiza ed i figli di quest’ultimo, furono i promotori di un’invasione che poteva essere un modo per vendicarsi e allo stesso tempo per impossessarsi del regno. Non sapevano gli illusi quanto forte fosse il potere africano, né quanto impossibile che i figli dell’Arabia accettassero di ricoprire un ruolo di semplici ausiliari che lavorano per il profitto di altri. Dovette essere terribile il disinganno, crudele come il loro grande pentimento, quando si videro trascinati come schiavi insieme ai loro nemici dei quali si volevano vendicare, che volevano dominare e decimare” (33) . Inutile qualunque commento. La stupidità, almeno in politica, non ammette compassione e difficilmente il perdono.


Il patto

Abbiamo già descritto gli avvenimenti che si svolsero dopo la morte di Witiza nella Penisola e li sintetizziamo come segue: due fazioni visigote lottano per il potere, quella di Rodrigo, imperante, al potere perchè eletto dalla maggior parte della nobiltà e quella di Akhila, aspirante, che non voleva riununciare allo scettro (34) . La guerra civile si profilava all’orizzonte, una guerra che per essere vinta dalla banda vitizana doveva poter contare sull'aiuto di truppe mercenarie. Altre volte si era fatto ricorso a loro e quindi perchè non ora? Per questo, come abbiamo già detto, ci si rivolse agli arabi appena arrivati sulle coste africane.
Si suppone che quando i visigoti richiesero l’intervento degli arabi come alleati, si accordarono con loro sulle condizioni della partecipazione compresa, quindi, la somma da pagare per il servizio. Sembrerebbe quindi logico, molto più che probabile, che si procedette così, come è anche confermato da qualche prova documentale e da sufficienti indizi giunti sino ai nostri giorni.
Solo tenendo presente questo carattere di alleati dei vitizani nella contesa civile si può spiegare il sorprendente sbarco delle truppe berbere nella Penisola o la presenza di ufficiali di stirpe gotica (35) a capo delle truppe. Non si trattava di conquistare un territorio ma di combattere per ristabilire la dinastia vitizana, fatto così evidente per i vitizani che in virtù di ciò non dubitarono mai dei musulmani - che consideravano alleati e, quindi, amici -; solo quando il tradimento si consumò a Toledo, solo quando gli alleati non rispettarono i patti dopo aver vinto i fedeli di Rodrigo, solo allora fu evidente il tradimento o l’inganno. I patti conclusi da entrambe le parti ed il sentimento di rispetto o impegno alla parola data del popolo visigoto li spinse ad avere fiducia dei presunti amici. Che fu così ce lo dimostrano le parole che l’ Ajbar Machmua fa pronunciare ai vitizani poco prima di dare inizio alla battaglia di Guadalete: “Questo figlio di buona donna - riferendosi a Rodrigo - è divenuto padrone del nostro regno senza essere di stirpe reale, anzi, un nostro inferiore: quella gente (riferendosi agli arabi) non vuole stabilirsi nel nostro paese, la sola cosa che vuole è il bottino: una volta ottenuto questo se ne andrà e non tornerà. Fuggiamo al momento della battaglia ed il figlio di buona donna sarà sconfitto” (36) . Il fatto che fossero tanto sicuri del comportamento dei berberi “non vogliono stabilirsi nel nostro paese, vogliono solo il bottino”, fa supporre l'esistenza di un patto ed il suo rispetto. Solo l’esistenza di questo accordo, che i vitizani consideravano inviolabile, spiegherebbe la loro apparente tranquillità.
L’esistenza di questo patto non è soltanto un’ipotesi verosimile, infatti abbiamo notizia della sua esistenza grazie ad una cronaca molto antica riportata nell’Albayano’L-Mogrib di Abenadari - archivio di frammenti di storia araba (37) - opera redatta da uno storico, un certo Isa ben Mohámed. Nell’opera si riferisce di questi accordi conclusi tra Tarik ed i figli di Witiza.
La narrazione dei fatti di questo cronista è, come ha dimostrato Sánchez Albornoz (38) , quasi contemporanea ai suddetti avvenimenti e quindi più affidabile di altre fonti successive che riportano gli avvenimenti già distorti dal trascorrere del tempo.
Alcuni racconti, frutto della fantasia, come l’espugnazione della Cava e la successiva offesa di Don Juán che appaiono in altre fonti successive, non sono ancora riportati in questa narrazione; ciò fa supporre necessariamente che il suo autore la scrisse prima dell’occupazione.
Racconta Isa ben Mohámed che i figli di Witiza presero parte agli accordi con i ‘caudillos’ arabi e che per questo motivo si recarono in Africa; ciò fa supporre che il piano che questi ordirono contro Rodrigo non doveva essere attuato con fretta, ma dopo lento e attento studio; prima di realizzare questo viaggio dovevano essere dunque ben chiare le richieste da presentare agli arabi, in qualità di truppe alleate, come era pure necessario stabilire e discutere i termini dell’accordo.
Questi patti, secondo quanto citato dalla fonte, furono formalizzati con Tarik (39) , conformemente a quanto si faceva con gli accordi di detta natura giuridica, cioè con una convergenza di volontà contrattuale tra le parti, ispirata al principio che nessuno si impegna in azioni contrarie alla propria volontà. Tenendo presente questo dettaglio ed il fatto indubbio che i vitizani (appartenenti alle classi dirigenti della popolazione (40) ) non avrebbero guadagnato nulla né avrebbero migliorato le loro condizioni consegnando la Spagna (culturalmente occidentale) nelle mani di persone estranee (di diversa cultura ed etica), la cosa più verosimile è che la loro volontà, riflessa nei patti conclusi, salvo un masochismo cui non crediamo, fosse quella di migliorare la loro condizione: per questo motivo sembra logico pensare che l’accordo prevedesse che, in cambio di un sostanzioso bottino o pagamento, i vitizani avrebbero ottenuto l’aiuto necessario per combattere gli eserciti di Rodrigo e impossessarsi del trono. Ogni altra cosa sembra inverosimile ed incredibile, soprattutto per la sicurezza con la quale si espressero i vitizani, così come abbiamo riportato. Gli aiuti prestati dagli alleati ad una fazione visigota (come già in numerose altre occasioni quando si lottò per il trono) erano stati concordati in termini approssimativi. Anche in questo caso fu così: dobbiamo presumere che la promessa del caudillo saraceno fu quella di combattere per la legittimazione della dinastia vitizana, solenne promessa che, tuttavia, non fu mai rispettata per il rifiuto del mondo ispanico, che sentendosi ingannato, defraudato, vittima di un’ingiustizia, preso in giro, non lo avrebbe dimenticato come non lo dimenticarono tutte le generazioni che lottarono per ristabilire l'ordine infranto con tanta malizia (41) .


La Reconquista

La Reconquista fu pertanto caratterizzata da un lato dal desiderio di ristabilire il vecchio ordine violato, e dall’altro dalla necessità di rimediare all’ingiustizia che, per il mondo ispanico (che attribuiva un grande valore alla parola data, in quanto parte della morale precristiana e cristiana) consisteva nella violazione del contenuto dei patti concordati. La bassezza costituiva un comportamento giuridico ed etico inaccettabile per il mondo ispanico.
In effetti con la Reconquista furono reintrodotti i tratti distintivi del popolo ispanico, lottando contro una cultura che non era né migliore né peggiore, ma in quanto non ispanica era la sua negazione, nel migliore senso del termine hegeliano.
La Reconquista insomma, negando la negazione dell’ispanico, rappresentò la conferma definitiva del mondo ispanico.
Durante tale periodo nei territori liberati furono reintrodotti i tratti distintivi della nazione spagnola – in sostanza etnia, lingua, diritto e religione – il che rese per di più possibile, al termine del processo, il ritorno di un monarca ispanico, di una dinastia che si fa discendere dai Goti (42) sul trono dello Stato spagnolo, per governare i destini di una Spagna di nuovo unita. L’ingiustizia fu allora vendicata (1492), seppure ad un prezzo elevato, con l’amputazione del Portogallo e la perdita dei territori al di là dei Pirenei.
Vediamo dunque in che modo si realizzò la restaurazione. Per quanto riguarda l’etnia, come si diceva precedentemente, la liberazione dei territori occupati dai musulmani permise agli ispanici di rientrare e colonizzare quelle terre (43) .
In tal modo, durante il processo di Reconquista, si verificò un fenomeno più volte riscontrato in diverse zone della Spagna: le aree riconquistate, abbandonate dai musulmani che si trasferivano in zone ancora sotto il loro controllo, si spopolarono, e vennero rioccupate da coloro che provenivano da zone già liberate, in cerca di proprietà. Si trattava di popolazioni che provenivano per la maggior parte dal nord della Spagna e in percentuale minore dal resto dell’Europa.


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Vediamo cosa accadde, ad esempio quando, dopo la conquista di Toledo, Alfonso VI iniziò a ripopolare la valle del Tago, le cui terre furono in gran parte abbandonate, come accadde anche altrove in Castiglia (44) , in quanto i proprietari terrieri musulmani fuggirono a seguito dell'invasione delle truppe cristiane. Tali territori furono occupati da coloro che avevano prestato collaborazione militare al monarca, e che furono i primi beneficiari, e poi da altri che vi si recarono successivamente, attirati dai vantaggi che, proprio allo scopo sopra citato, venivano loro accordati nei distretti ripopolati.
In Andalusia l’etnia fu reintrodotta, se possibile, in maniera ancora più palese. Come è noto in un primo momento, sotto il dominio di Fernando III, dopo la riconquista, si strinsero accordi relativi alla permanenza dei mudéjares nelle aree sopra citate (45) . Tuttavia dopo la rivolta mudéjar del 1264, che ancora una volta portò alla violazione dei patti da parte dei mori (46) , Alfonso X cambiò completamente posizione, dando avvio ad una nuova politica di espulsione dei mudéjar, che furono costretti ad emigrare nel regno di Granada o in Africa del Nord (47) . Si verificò di conseguenza ciò che possiamo definire un vuoto di popolazione nella zona riconquistata, che rese necessaria una successiva operazione di ‘riempimento’ con la popolazione castigliana, di indubbia origine ispanica (diremmo cristiano-occidentale) identica a quella precedente alla nefasta invasione. Come dimostrato dal Prof. González Jiménez, in Andalusia la pulizia etnica fu totale: “al giorno d’oggi, in base a quanto riportato dalla documentazione conservata, si può affermare senza ombra di dubbio che la presenza dell'elemento mudéjar nell’Andalusia ripopolata dai castigliani fosse scarsa o del tutto inesistente.
E nulla lascia supporre che i testi siano stati occultati agli storici. Non è dunque possibile, e tantomeno onesto, continuare a parlare dell’esistenza di masse di mudéjar che si dedicavano, in regime di schiavitù, alla coltivazione delle terre dei guerrieri cristiani conquistatori. E’ questo, forse, uno dei grandi miti che gravano ancora oggi sulla storiografia andalusa, nonostante l’infondatezza degli argomenti su cui poggiano” (48) . Non vi è dubbio che le terre andaluse furono ripopolate per la maggior parte da abitanti dei regni di León e Castiglia, ovvero da gente – come si diceva – identica a quella che popolava l'Andalusia prima dell'invasione camito-semitica (49) .
Come si può notare, la reintroduzione di un tratto distintivo come l'etnia per quel tempo fu piuttosto intenso e culminò con l'espulsione degli ultimi e unici gruppi di mori rimasti dopo la conquista di Granada nel secolo XV. In tal modo si reinsediò l’etnia ‘autoctona’ (50) – diciamo quella anteriore all’invasione camito-semitica.
Per quanto riguarda la reintroduzione della lingua, è questo un tema che non merita un eccessivo approfondimento. Ad eccezione di argomentazioni trascurabili, tutti siamo sempre stati d’accordo nel sostenere che lo spagnolo, in ognuna delle sue forme distinte (principalmente castigliano, catalano e gallego) deriva dal latino, ed è pertanto una lingua indoeuropea. Ancora oggi non si mette in dubbio il fatto che le lingue spagnole (tutte quelle parlate in territorio spagnolo con il castigliano, ad eccezione del basco - contaminato d’altronde dall’indoeuropeo, celtico e latino, ma di dubbia provenienza) derivano dalle lingue indoeuropee, e direttamente dal latino; quando gli invasori arrivarono nella penisola introducendovi un’altra lingua, gli ispanici, che si ritenevano padroni di una lingua che consideravano propria non accettarono mai l’imposizione di una lingua a loro estranea (51) . Molto illuminanti in tal senso sono le opere, fra le altre, di Vidos, Lapesa e Tovar (52) . In ogni caso, senza dubbio con la Reconquista la lingua romanza, che deriva direttamente dal latino volgare, torna ad essere considerata, e del resto non cessò mai di esserlo almeno di fatto, lingua ufficiale spagnola. Altro marchio di identità ristabilito.
Altrettanto accadde con la religione, e i fatti al riguardo sono molto espliciti. La Spagna invasa fu vittima di un tentativo di cambiamento di culto, realizzato nella pratica con la profanazione di chiese e templi. Tutte quelle devote e consacrate al Dio cristiano furono dismesse per far posto al culto di Allah, culto estraneo e falso per il mondo ispanico, come d’altronde è logico supporre. È quanto accadde a molti templi, come ad esempio quello di Cordova, dedicato al martire San Vicente – e forse precedentemente al dio celtico Lúc (53) – che fu strappato al culto cristiano e trasformato in moschea. Anni dopo, con ogni diritto – per i canoni dei riconquistatori – sarà restituito al mondo cristiano da Fernando III, e attualmente ospita la cattedrale di Cordova.
Gli invasori obbligarono con mezzi drastici – illustrati in altre occasioni (54) , e da qualcuno ignorati in nome della tolleranza - molta parte della popolazione, ovvero la più debole spiritualmente, ad abbandonare la propria religione per abbracciare l’eresia, come ricorda Sánchez Albornoz (55) .
Una volta iniziata la Reconquista, e con essa la restaurazione delle legittime tradizioni, uno degli obiettivi principali fu la restaurazione della chiesa ufficiale tradizionale. Non si intende qui sostenere che, dal punto di vista amministrativo, la Chiesa Spagnola dopo la Reconquista sia stata una fedele riproduzione di quella dell'epoca visigota, ma d'altro canto non ci furono nemmeno variazioni significative; ciò che più importa è comunque che, anche se non lo era, si voleva e si credette che così fosse.
La Chiesa della Reconquista, e questo sembra incontestabile, non è un qualcosa di nuovo: al contrario, a nostro parere fu piuttosto uguale a quella del periodo precedente l'invasione, anche se logicamente rispecchiava l’evoluzione dovuta al passare del tempo.
Una buona prova di quanto sosteniamo è data dal fatto alquanto significativo che, in base al diritto dell’epoca, non fu possibile creare altre diocesi diverse da quelle esistenti in epoca visigota; furono infatti ripristinate solo le diocesi già esistenti (56) . Ebbene, fino a questo punto la restaurazione fu capillare, in quanto non si trattava di restaurare solamente il culto, ma anche l’organizzazione amministrativa ecclesiastica anteriore, ovvero tutto doveva essere così come era prima del passaggio all’ ‘ingiusto’, prima del tradimento.
Molte sono le testimonianze che contribuiscono ad avvalorare la tesi che gli spagnoli fossero pervasi da un gran desiderio di restaurazione. Di particolare rilievo, una testimonianza scritta della reintroduzione del culto cristiano nella Cattedrale di Toledo, risalente al diciotto dicembre 1086 (57) , di cui restano diverse frasi attribuite a Alfonso VI, come ad esempio la seguente: “Se io, Alfonso imperatore, guidato da Cristo, potessi restituire ai fedeli le stesse cose che questa gente perfida, sotto la spinta del suo leader Maometto, strappò ai cristiani”. Si presti attenzione al fatto che Alfonso VI suggerisce che l’obiettivo è quello di restituire, riscattare le stesse cose, ovvero non altro, ma esattamente ciò che fu strappato. Altrettanto importante è il fatto che il monarca, nel rivolgersi agli invasori, impieghi un aggettivo qualificativo preciso (perfido), dimostrando con ciò che era nota la loro attitudine di spergiuri e che fosse noto che entrarono in Spagna con l’inganno.
L’anno successivo alla presa di Toledo, nel giorno sopra citato, una cerimonia solenne sancì il termine del processo di restaurazione del culto cristiano nell’antica chiesa visigota di Santa Maria, usurpata per un certo tempo dai musulmani, che la utilizzarono come moschea principale. L’episodio di Toledo si replicò in molte occasioni nel resto della Spagna (58) . In tal modo la Spagna recuperò la sua autentica religione e con essa un marchio di identità che era stato duramente calpestato e minacciato di trasformazione.
Anche nel caso del diritto, ugualmente tratto distintivo, è altrettanto palpabile la restaurazione. Il sistema giuridico medievale spagnolo che si andava restaurando con la Reconquista altro non è se non il prosieguo dell’antico diritto ispano-gotico; su di esso il diritto musulmano non esercitò alcun influsso. Tale diritto fu reintrodotto con molteplici edizioni del Liber Iudiciorum e con le leggi municipali che ne rafforzano ulteriormente l’elemento germanico – con un processo pratico che Max Weber, per i tipi di dominazione tradizionale, definì ‘nuove creazioni efficaci' (59) . Tali edizioni consentirono ad antiche istituzioni del passato di tornare in vigore, in quanto riconosciute dalla saggezza popolare. Le leggi municipali istituzionalizzarono in tal modo usanze e costumi germanici che, pur continuando ad essere praticati nella Penisola, non erano mai stati inclusi nella normativa (60) .
Non entriamo qui nella nota polemica in cui, alcuni anni fa, indugiarono alcuni dei nostri più prestigiosi storici del Diritto, i quali disquisivano del fatto che il diritto nell’alto Medio Evo rispondesse ad una maggiore o minore germanizzazione e se dunque presupponesse il perdurare del diritto consuetudinario gotico o di quello romano scritto, in particolar modo in Castiglia (61) . A noi, a onor del vero, sembra maggiormente acclarata la teoria della germanizzazione, guidata da Don Ramón Menéndez Pidal (62) . Non entreremo nel merito, in quanto in ogni caso per la tesi da noi qui sostenuta l’una cosa e l’altra si equivalgono. Ciò che importa, e che sosteniamo, è che il diritto ripristinato con la Reconquista è un diritto le cui caratteristiche sono uguali a quelle precedenti all’invasione, ovvero un diritto di corte celtico-romano-germanica, che si applica nell’intero territorio della penisola. Questo è quanto riportano tutti i manuali di storia del diritto spagnolo del primo anno del Corso di Laurea in Diritto (63) , e le nostre indagini non ci inducono a modificare nemmeno di una virgola tale semplice affermazione. Nell’Alto Medio Evo vigeva, come legge generale, il Liber Iudiciorum, in edizione volgare (Forum Iudicum). Almeno in tale forma fu applicato nei territori di León, Portogallo e Castiglia; risulta inoltre altamente probabile che il Liber avesse valore di norma generale con carattere territoriale, e infatti fu applicato anche nei territori di Aragona e Castiglia, contrariamente a quanto pedissequamente e infondatamente si è andato sostenendo (64) .
Come afferma il Prof. Pérez Prendes, sebbene con la traduzione del Liber dal latino nelle diverse lingue romanze furono pubblicate diverse versioni, dovute alle molteplici varianti e modifiche fra l’originale e le versioni romanzate, tanto che si tratta non tanto di traduzioni letterali, quanto di adattamenti, ciò non toglie che si può affermare che entrambe le versioni appartengono al medesimo sistema giuridico, più o meno evoluto. Intendiamo dire che si tratta di un medesimo Diritto, nel senso che esse fanno parte della stessa concezione del diritto e della medesima categoria. Non sembra infatti si possa negare lo stretto legame esistente fra i due testi citati.
D’altro canto, per quanto riguarda il fenomeno di rigermanizzazione subìto dal diritto in tale epoca, per lo più per effetto delle leggi municipali (65) , a noi sembra che ciò sia dovuto alla necessità di auto-conferma e consacrazione di molte istituzioni che mancavano nella società spagnola (66) , contestualmente alla presenza di una cultura estranea e lontana che intendeva negarle.
In realtà i goti non smisero né dimenticarono mai di applicare le proprie prassi giuridiche (67) , sebbene non abbiano mai ritenuto necessario metterle per iscritto, almeno per quanto riguarda buona parte di esse. Poiché dette norme continuarono ad essere applicate per consuetudine, è logico che, in una situazione come quella dell’invasione, ossia di minaccia alle istituzioni ed alle consuetudini, si cercasse di proteggerle inserendole in forma scritta in testi giuridici.
La comparsa di istituzioni quali le ordalie, la vendetta di sangue, la responsabilità collettiva della famiglia o del vicinato per il delitto commesso da uno dei suoi membri, non devono suonare strane per un popolo indoeuropeo che lotta per difendere e ripristinare le proprie legittime tradizioni; più difficile sarebbe trovarle, ad esempio, in un popolo camita, semita o cinese.
Quello vigente nelle zone liberate dopo la Reconquista non fu dunque un nuovo diritto, ma sostanzialmente il medesimo: “il vecchio e buon diritto”, è proprio il caso di dirlo, preesistente all'invasione. È pertanto il diritto un altro degli importantissmi tratti distintivi che la Reconquista riuscì a ripristinare.
Etnia, lingua, religione e diritto, come abbiamo visto, sono state restituite alla Spagna dai riconquistatori, nell’incontro con le tradizioni autentiche e mai perdute conseguenti alla Reconquista. L’invasore, colui che, con un perfido intrigo, era riuscito a sovvertire l’ordine giuridico-politico imperante in Spagna, fu espulso.
Fu così che venne esautorato un potere che non trovò mai riconoscimento nella penisola, una dominazione illegittima che andava sostituita dal tipo di dominazione legittima perfettamente impersonata dai riconquistatori. Una dominazione che si basava in taluni casi tanto sull'autenticità delle tradizioni, quanto sulla razionalità delle sue leggi.
Gli spagnoli soddisfarono pertanto il requisito di legittimità sostenuto da Max Weber (68) e da Heller, secondo i quali “per detenere il potere, ossia per far sì che gli ordini vengano eseguiti costantemente, è opportuno che coloro che lo appoggiano, o almeno i più influenti, siano convinti della legittimità del suo potere” (69) .
I conquistatori ripristinarono pertanto i tratti distintivi riconosciuti come autentici e quindi legittimi, espellendo, ciò che ne era il presupposto, coloro che in maniera palesemente illecita pretesero di cambiare l’identità, e con ciò il carattere distintivo della Spagna.


Conclusioni

Se in effetti volgiamo lo sguardo alla Spagna dei Re Cattolici, possiamo osservare che il nuovo Stato spagnolo che nasce con loro, presenta nonostante la distanza temporale, un numero sufficiente di punti di contatto con il vecchio stato visigoto. Ci riferiamo all’apparato amministrativo di tali stati, in quanto, come è noto, quello dei re cattolici ha già in sé la complessità dello stato rinascimentale, la cui nuova caratteristica sarà quella di vigere in tutta la Spagna, ossia di essere un potere centralizzato, come era stato a suo tempo quello visigoto. Si tratta di un diritto (fondamentalmente celtico-romano-visigoto) territoriale, legittimato dal sovrano, che si dichiara discendente dalla più nobile stirpe gotica (70) e la cui lingua ufficiale è la lingua romanza.
Inoltre, dal punto di vista confessionale, si tratta di uno stato cattolico. Pensiamo pertanto che tale nuovo Stato affondi le sue radici nel profondo del vecchio stato visigoto, costituendone la continuazione.


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Così come l’uomo maturo non è più il bambino che fu, ma nemmeno cessa di esserlo, poiché il suo presente è la continuazione del suo passato, lo stato spagnolo dell’epoca del ‘cattolico’, senza essere uno stato visigoto, con il quale presenta molte coincidenze, ne è la continuazione (71) ; e così come l’essere umano nella sua breve vita lotta con molti pericoli che lo minacciano, uscendone spesso più forte, ed acquisendo in tal modo una maggiore solidità e maturità, siamo convinti che lottando contro la doppiezza musulmana la nazione spagnola riuscì ad imporre la propria identità (indoeuropea) acquisendo maggiore solidità e maturità. Di conseguenza la Spagna nei secoli successivi si proiettò nel mondo intero, formando un grande impero.


(1) Per quanto riguarda la Spagna, Washington Irving ha cercato di tradurre la Colección de Viajes y Descubrimientos di Martín Fernández Navarrete pubblicata a Madrid negli anni venti del XIX secolo, che successivamente gli ha consentito di scrivere alcune delle sue principali opere sulla Spagna come la History of the life and Voyages of Christopher Columbus pubblicata a Londra nel 1828 e The Voyages and Discoveries of the Companions of Columbus, pubblicata a Filadelfia nel 1831. Per quanto si riferisce a Granada scrisse The Conquest of Granada - Cronaca della conquista di Granada- del 1829; opera che dal punto di vista scientifico è mediocre, ma che già evidenzia la grande passione di Irving per i temi islamici che lo porterà successivamente a comporre una sua famosa opera Mahoma y sus sucesores, molto letta in lingua inglese e poi ancora a scrivere la più famosa, quella alla quale deve la sua fama internazionale: The Alhambra: a series of tales and sketches of the Moors and Spaniards, una raccolta di racconti brevi che avrebbe poi pubblicato con il titolo universale Los Cuentos de la Alambra.
(2) Vds. D. Medina Morales, Razón Iusfilosófica y razón histórica, Granada 1989.
(3) C. Sánchez Albornoz, La España musulmana. Sesta edizione, volume I. Espasa-Calpe. Madrid 1982. Pag. 45.
(4) C. Sánchez Albornoz, Orígenes de la Nación española. El Reino de Asturias. Sarpe, Madrid 1985. Pag. 80.
(5) A questo proposito, Luis G. de Valdeavellano, nella sua Historia de España. De los orígenes a la Baja Edad Media. Alianza Editorial. Madrid 1980.
(6) Vds. José Orlandis. Historia de España. La España visigótica. Gredos, Madrid 1971, pagine 278 e seguenti.
(7) Torres López concorda pienamente con questa opinione in Las invasiones y los reinos germánicos de España, in Historia de España, di Menéndez Pidal, Volume III, Madrid 1980, pagine 127 e seguenti.
(8) Vedi Menendez Pidal, Universalismo y Nacionalismo. Romanos y Germanos. Prologo al volume III della Historia de España. Madrid 1980. Pag. XLVI e seguenti.
(9) Vedi a tale proposito Osvaldo A. Machado, Los nombres del llamado conde Don Julián, in Cuadernos de Historia de España, numero III, anno 1945, Buenos Aires, pagine da 106 a 116.
(10) Vedi C. Sánchez Albornoz, Orígenes de la Nación Española... Op. Cit. Pag. 81. La España musulmana. Op. Cit. Vol.I, pagine 45 e 46. Luis G. de Valdeavellano, Historia de España... Op. cit. pagine 361 e 362. A tale proposito non possiamo non citare quanto indicato da Eduardo Saavedra nel suo significativo Estudio sobre la invasión de los arabes en España. Madrid 1892, alla pagina 56.
(11) A proposito di ciò Torres López, Las invasiones y los reinos... Op. Cit. Pag. 136.
(12) C. Sánchez Albornoz, concorda spesso con la suddetta tesi, lo fa per esempio nell'opera Orígenes de la Nación Española..., pag. 81. Altrettanto fa ne El Islam de España y el Occidente, Espasa-Calpe, Madrid 1981, Colección Austral, pagine 9 e 10.
(13) Anche Menéndez Pidal si è pronunciato in tal senso, come testimoniano le sue parole tratte da Los españoles en la Historia, Espasa-Calpe, Madrid 1982, selezioni Austral, pagina 154. Nello stesso senso, vds. Universalismo y Nacionalismo... Op. Cit. pag. LII.
(14) Vds. il capitolo III della già citata opera Estudio sobre la invasión..., intitolato Julián y la conspiración, in cui Eduardo Saavedra non ha dubbi.
(15) Vds. José Orlandis sullo stesso tema, a pag. 290 della già menzionata opera Historia de España.
(16) Anche García Moreno concorda con questa opinione, almeno così sembra da quanto riportato alla pagina 206 de El fin del reino visigodo de Toledo, Università Autonoma, Madrid.
(17) Vds. Luis G. De Valdeavellano nella sua già citata opera Historia de España..., pag. 363.
(18) García de Cortázar ammette questo fatto quando alla pagina 51 de La época medieval, corrispondente a La Historia de España Alfaguara, volume II, diretta da Miguel Artola, pubblicata da Alianza Universidad, Madrid, ottava edizione 1981, dice, riferendosi all'arrivo dei musulmani che lo fecero: "Incoraggiati anche dall’atteggiamento dei vitizani che chiedendo il loro aiuto legittimavano il loro ingresso nel nuovo territorio”. Questo Autore, più lontano dalle nostre tesi, ammette la richiesta di aiuto fatto dai vitizani agli arabi, richiesta che, agli occhi del mondo ispanico, li rendeva alleati e non nemici né conquistatori, condizione della quale approfittarono per attuare il loro perfido progetto. Si fecero credere amici ed agirono da traditori.
(19) Si veda la Historia de España, di Menéndez Pidal, volume IV, intitolato España musulmana, Espasa-Calpe, Madrid 1982, in particolare, le affermazioni su Lévi-Provençal alla pagina 11.
(20) Mi riferisco alle parole che l’Ajbar Machmua mette in bocca agli illusi vitizani per riferire questa idea. “Quella gente non vuole stabilirsi nel nostro paese, vuole solo ottenere il bottino: una volta ottenuto questo se ne andrà e non tornerà”. Citazione tratta da La España musulmana di Sánchez Albornoz. Op. cit, pag. 48. Inutili i commenti.
(21) Vedi Eduardo Saavedra. Estudios sobre la invasión de... Op. cit. pagine 64-65.
(22) Da tenere inoltre presente che, come sicuramente fu, non era possibile imbarcare alcun genere di cavalcatura - si veda in tal senso Sánchez Albornoz, Orígenes de la Nación..., op. cit. pag. 84.
(23) Questo è quanto afferma l’Orlandis nella sua Historia de España..., op. cit. pag. 290.
(24) Vedi C. Sánchez Albronoz, Otra vez Guadalete y Covadonga, in Cuadernos de Historia de España, 1 e 11, anno 1944, Buenos Aires, specialmente il primo capitolo.
(25) Così si esprime Sánchez Albornoz alla pag. 85 delle Orígenes de la Nación..., op. cit..
(26) Esistono diverse interpretazioni circa il modo in cui si verificò la defezione, se subito prima della battaglia, all’inizio o al momento cruciale; ad ogni modo riteniamo che non sia importante il come. Non c’è infatti dubbio che il tradimento era stato organizzato da molto tempo e che Rodrigo ed i suoi seguaci, al momento della defezione, sebbene sorpresi, si sarebbero resi conto del suo significato.
(27) Anche García Moreno, autore molto “prudente” concorda con questa tesi. “La situazione nel regno era molto più simile ad una guerra civile che ad un’invasione straniera”. El fin del reino visigodo de Toledo. Madrid 1975. Pag. 207. Si trattava infatti di una vera e propria guerra civile.
(28) Vedi Sánchez Albornoz. Donde y cuando murió Don Rodrigo, último rey de los Godos, in Cuadernos de Historia de España, III, Buenos Aires 1945, pagine da 5 a 105.
(29) Vedi al riguardo Eduardo Saavedra, Estudios sobre la invasión de... , op. cit. pagine 75 e seguenti.
(30) Il tradimento dei musulmani nei confronti dei vitizani – con i quali avevano concordato un aiuto militare - è stato evidenziato da Sánchez Albornoz. Si veda quanto riportato alla pagina 86 dell’Orígenes de la nación..., op. cit.. E’ assai significativo anche quanto riportato alla pagina 60 dell’altra opera La Edad Media española y la empresa de América, edizioni culturali Hispanica, Madrid 1983.
(31) A questo proposito vedi Luis G. de Valdeavellano, nella sua Historia de España... Op. cit., pagine 374-375.
(32) Lo studio e la pratica giuridica abitua colui che la esercita ad interpretare solo fatti accertati, e sempre attraverso fondamenti logici che generalmente conducono al risultato giusto (dobbiamo considerare che il Diritto esige dal giudice che prima di emettere la sentenza esponga i fatti sufficientemente provati per, poi, argomentare i fondamenti del diritto che lo hanno portato alla risoluzione adottata)..
(33) Questa citazione di Don Joaquín Francisco Pacheco, prestigioso giurista, presidente di un Consiglio dei Ministri nel secolo passato, appartiene ed è stata tratta dall’introduzione al primo volume de Los códigos Españoles, pubblicati dalla Publicidad, sotto la direzione di D.M. Rivadenyra, Madrid 1847, Capitolo II, pag. XXVI.
(34) Akhila o Aquila, secondo come viene trascritto il nome, arrivò persino a coniare una sua moneta in varie città del nord-est della Spagna.
(35) Non ci sembra che tale idea sia assurda poiché peraltro era già stata riportata da M. Fernandez Escalante, nel suo libro Del derecho natural de los héroes al de los hombres, Granada 1981, pagine 54 e seguenti, nonché da Ignacio Olagüe ne La revolución islámica en occidente. Fondazione Juan March, Barcellona 1974, pag. 275.
(36) Ajbar Machmua, citazione tratta da La España musulmana, Sánchez Albornoz, volume I, pag. 48, op. cit..
(37) Sánchez Albornoz lo menziona nella sua opera Notas para el estudio de dos historiadores hispano-árabes de los siglos VIII y IX, Pubblicazione dell’Università di Santiago, 1933, numero 5, pagine 401 e seguenti, e indica che si trova nella seguente opera, Histoire de l’Afrique et de l’Espagne – Albayano ‘L-Mogrib di Ibn Adhari (marocchino), Ed. Dizy, Leyde 1848-1851. Histoire de l’Afrique et de l’Espagne – Al Bayano‘L-Mogrib, tradotto da E. Fagnan. 2 volumi. Algeri, 1902-1904. Si trova anche riprodotta nelle Corrections sur les textes du Bayano’L-Mogrib d’Ibn-Adhari (marocchino). Des fragments de la Chronique d’arib (de Cordoue) et du Hollato s-siyara d’Ibno’L-abbr, di Dozy, R. Lainen 1883,ì. Fac.sim.Brill.
(38) C. Sánchez-Albornoz, Notas para el estudio de dos... Op. cit.. Don Claudio qui non ha dubbi su questo punto.
(39) Altre fonti storiche indicano Muza come rappresentante degli arabi nella stipula degli accordi, così Ajbar Machnua, El Fatho-l’Andaluçi, Aben Alcardabus, storico del secolo XII, nel suo Kitab-al-Ictifa e Abenalatir nel suo Kamil, tra gli altri.
(40) Nel periodo al quale ci riferiamo tutti i vitizani avevano riacquisito la loro dignità ed i loro incarichi dopo un’apparente riconciliazione con il monarca: per questo motivo i figli di Witiza avevano diritto a tutti i privilegi della nobilità ispano-gotica - come è dimostrato dal fatto che cavalcavano insieme a Rodrigo-, ed è quindi molto strano che fossero disposti a perdere questi privilegi e consegnare la Spagna a degli stranieri. Nessuno rischia la propria vita, la dignità e le proprietà per consegnarle ad un estraneo. L’obiettivo era quello di riottenere il potere ed il governo della nazione, per questo i vitizani si accordarono con altri popoli affinché li aiutassero a raggiungere gli obiettivi e, dopo il pagamento di un bottino, tornassero da dove erano venuti. Questo ritiene Sánchez Albornoz. Notas para el estudio de dos... Op. cit. pagine 426 e seguenti.
(41) Sánchez Albornoz afferma che: “La slealtà di Tarik nel conquistare la Spagna a sorpresa non può piacere agli storici musulmani né al popolo islamico spagnolo. Così, non ci si deve meravigliare che la notizia del precedente accordo tra i figli di Witiza ed il capo saraceno non sia accettata dalla storiografia ispano-araba, e che la tradizione che conservava questo ricordo fosse presto sostituita e cancellata dalla leggenda della violenza perpetrata da D. Rodrigo contro la figlia di Julián e dalle altre leggende che peggiorano la memoria di questo principe. Leggende che non solo cancellavano dalle pagine della storia l'eco della turpe e sleale condotta dei conquistatori, ma che presentavano la conquista della Spagna come un'impresa condotta intenzionalmente e realizzata in maniera prodigiosa come castigo divino per la leggerezza, il tradimento, la curiosità irriverente e l’altera ambizione del monarca dei goti”. Notas para el estudio de dos... Op. Cit. pag. 431.
(42) “Diego de Várela, elogiando Fernando il Cattolico, lo definisce discendente ‘dell'illustre sangue gotico’ e gli chiede di restaurare ‘il trono imperiale e il nobile sangue dei Goti’ ” González Fernandez, El mito gótico en la historiografía del siglo XV, in Los visigodos, Murcia 1986, pag. 295, si riferisce allo studio preliminare all'edizione della “Crónica de los Reyes Católicos” di Carriazo, Madrid, 1927, pag. CI.
(43) Cfr. al riguardo, fra i tanti, González Jiménez, En torno a los orígenes de Andalucía. La repoblación del siglo XIII, Siviglia 1980, E. Cabrera, El mundo rural, in Historia de Andalucía, vol. III, Madrid-Barcellona 1980.
(44) Cfr. J. González, La repoblación de Castilla la Nueva, 2 vol. Universidad Complutense di Madrid, 1975.
(45) L’emigrazione dei mori verso un territorio non ancora conquistato fu comunque una costante, come dimostra González Jiménez nel suo articolo “Mudéjares andaluces (SS. XIII-XV)” in “Andalucía entre oriente y occidente (1236-1492)” Atti del V Convegno Internazionale di Storia Medievale dell’Andalusia, Giunta Provinciale di Cordova, 1988 pp. 537 e ss..
(46) A nostro parere non vi è il minimo dubbio che gli ispanici, una volta ingannati dai mori, che non rispettarono i patti – dopo Guadalete – ritennero che non sarebbero stati mai più tenuti a rispettare i patti stipulati con quelle genti perfide e che ogni legame giuridico fra di loro si fosse spezzato, e che ciò avrebbe reso impossibile qualsiasi altro rapporto di tipo giuridico. Ciò ci induce a supporre che, quando in talune occasioni si trovarono a stringere patti con i mori, lo fecero solo per motivi di strategia politica, non avendo alcun interesse a rispettarli, visto che non si sentivano in obbligo di farlo, per ragioni di reciprocità.
(47) Si ricordi inoltre che le persone furono espulse non già per il loro aspetto fisico, quanto piuttosto per il fatto di essere islamici. Si tratta di una connotazione culturale, in virtù della quale molti discendenti di ispanici autoctoni che avevano abbracciato l’islam furono soggetti ad espulsione. Di conseguenza il nord dell’Africa si arricchì, per quello che possiamo definire un effetto parallelo, popolandosi di una gran quantità di gente di origine europea. Tuttora molti convertiti si sentono discendenti di gente germanica, di vandali o goti, e ne sono fieri. Sulle misure che favorirono l’emigrazione dei musulmani in Nord Africa, cfr. le pp. 79 e ss. del libro del prof. Ladero Quesada “Castilla y la conquista del Reino de Granada”, Giunta Provinciale di Granada, 1987. Su questo aspetto ho riferito in un altro articolo pubblicato nel numero 1/2005, Anno XI, di questa medesima rivista (Gnosis) a pag. 112 .
(48) M. González Jiménez, En torno a los orígenes de Andalucía. La repoblación del siglo XIII. Op. cit., pp. 71 e 72.
(49) Sull’identità fra i nuovi colonizzatori dell’Andalusia e quelli precedenti all’invasione camito-semitica cfr. l’articolo di M. F. Escalante. “Sobre la continuidad de la etnia bélica (con alguna matización hacia sus objetores)” Universidad de Córdoba, 1988.
(50) A seguito della politica perseguita da Filippo II nei confronti dell’esigua popolazione di mori rimasta, possiamo garantire che in Spagna tale collettività cessò di essere rilevante (operativa), e dunque di esistere; se qualcuno restò (fatto poco probabile, in quanto emigrarono quasi tutti, e coloro che resistettero all’integrazione culturale furono espulsi, come dimostra il fatto che persino nel XVI secolo, quando già risulta difficile credere che ne rimanesse più di una manciata, i mori furono costretti ad andarsene o furono espulsi anche dalle zone più inospitali, fuggendo pertanto in Africa) si confuse nella massa di spagnoli colonizzatori delle zone riconquistate.
(51) Come già illustrato in ¿España islámica?, Gnosis, 1/2005 Anno XI, pp. 111-112.
(52) Cfr. B.E. Vidos, Manual de lingüística románica, Madrid 1967, R. Lapesa, Historia de la lengua Española. Prol. di R. Menéndez Pidal, ottava edizione riveduta e ampliata, Madrid 1980. A. Tovar, Lo que sabemos de la lucha de las lenguas en la Península Ibérica. Madrid 1967.
(53) Vedi Fernandez Escalante, San Vicente, los cuervos y el dios Luc, Op. Cit..
(54) Cfr. Le mie opere già citate, Razón iusfilosófica... e ¿España islámica?
(55) Si vedano al riguardo le opere più che illuminanti di Sánchez Albornoz che, pubblicate con il titolo Dé la Andalucía islámica a la de hoy, Madrid 1983, sollevarono molte polemiche.
(56) Al riguardo è opportuno ricordare le parole dedicate all’argomento dal professor Ladero Quesad

a in un capitolo (su Chiesa e religiosità) della Historia General de América y España (volume IV, Rialp, Madrid 1984, pag.181).

(57) Cfr. la pagina 275 dell’appendice documentale della mia opera Razón iusfilosófica... Op. Cit..
(58) Tale fenomeno è stato studiato per il caso concreto dell’Andalusia da Nieto Cumplido, Orígenes del regionalismo andaluz (1235-1325), Pubblicazioni del Monte di Pietà e della Cassa di Risparmio di Cordova. Cordova, 1979, pp. 87 e seguenti.
(59) Max Weber, Economía y sociedad. Messico 1979, pag. 181.
(60) Al riguardo sono note, fra le altre, le opinioni di Hinojosa, Menéndez Pidal e Sánchez Albornoz.
(61) Tale tema è stato a suo tempo ampiamente dibattuto da García Gallo, che contestò le teorie di Menendez Pidal e Sánchez Albornoz. In ogni caso sembra indiscutibile la ri-germanizzazione subita dal diritto ispanico per via del ruolo predominante svolto dal mondo gotico durante la Reconquista. In uno “stato di necessità” e autodifesa si verificò una depurazione delle tradizioni, un logico rinvigorimento. Sulla polemica in oggetto, cfr. le opere di Garcia Gallo, El carácter germánico de la épica y del derecho en la Edad Media Española, in Anuario de Historia del Derecho Español, XXV, 1955, Da pag. 583 a 679, e di Sánchez Albornoz, Tradición y derecho visigodos en León y Castilla, in Cuadernos de Historia de España, XXIX e XXX, 1959, pp. da 244 a 265.
(62) Molti sono gli istituti giuridici tipicamente germanici che si ritrovano nel nostro diritto medievale, e ciò si spiega solo in base alle tesi sostenute da Menéndez Pidal. Ad esempio, la possibilità riconosciuta al mondo giuridico germanico dalla Lex Frisonum del matrimonio fra il rapitore e la rapita, contro la volontà dei genitori, quando quest'ultima manifestava il suo assenso con una precisa formula rituale ripetuta - come dimostra l’Autore nella sua geniale opera pubblicata con il titolo El estado latente en la vida tradicional nella Revista de Occidente, n. 2, 2ª epoca, 1963, pp. 129 e seguenti - in molti fora spagnoli secoli dopo, testimonia quanto influenti fossero i costumi del popolo gotico che governò la Spagna nei secoli V-VI-VII.
(63) Cfr. Ad esempio Pérez Prendez, J.M., Curso de Historia del Derecho Español. Madrid 1978. pag. 413 e seguenti.
(64) Cfr. J. Cerda Ruiz-Funez, Fuero Juzgo en Nueva Enciclopedia jurídica, Ed. Seix e Barrai. Cfr. anche l’importante articolo di Pérez Prendes, J. M. Fuero Juzgo, in Enciclopedia Vervo, Rio de Janeiro, fasc. 95, dove si ratifica ciò che qui andiamo affermando.
(65) Cfr. la già citata opera classica di Hinojosa, El elemento germánico en el Derecho Español. In Obras, Volume II, Madrid 1955, pp, da 405 a 470.
(66) Per autoconferma si intende il rifiuto del popolo ispanico di alterarsi, (Anderssein), nel senso dialettico storico hegeliano, a produrre una sintesi (Aufhebung) con una cultura che rifiutava come antitesi. Poiché tale sintesi non si verificò, le istituzioni, come tesi, ne uscirono ancor più irrobustite.
(67) Al riguardo sono molto chiare le parole di Sánchez Albornoz in Tradición y derecho..., op.cit., pag. 248.
(68) Max Weber, Economía y sociedad, op. cit., pp. 172-173.
(69) H. Heller., Teoría del Estado, Raccolta di Cultura Economica. Messico 1974. Trad. Luis Tobío. Pag. 209.
(70) Cfr. al riguardo Menendez Pidal, El difícil camino de un trono. Introduzione al tomo XVII della Historia de España, da lui diretta. Madrid, 1983.
(71) R.Gibert, afferma: “La Spagna è la forma politica duratura del popolo visigoto. Come i Franchi crearono la Francia, i visigoti crearono un nuovo regno che però non fu chiamato Gotia, ma conservò quello romano di Hispania. “Gotico” divenne pertanto sinonimo di spagnolo. La monarchia e le leggi gotiche furono nel corso dei secoli la monarchia e le leggi di Spagna. Per tradizione la costituzione del regno visigoto è stata considerata l’origine della nostra nazionalità. El reino visigodo y el particularismo español, nel volume I goti in Occidente, settimane di Studio de C.I. di Studi sull'alto Medioevo, Spoleto 1956, III, pag. 537.

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