L’alone di leggenda e di mistero che avvolge da sempre i servizi segreti, non risparmia la tenebrosa OVRA e le polizie ufficiali e parallele del regime fascista, impegnate nella repressione del dissenso a tutti i livelli. Gli studiosi hanno accesso ai documenti originali che spesso offrono sconvolgenti scoperte. Le ultime si debbono all’opera di Mauro Canali, le cui rivelazioni hanno scatenato nuove polemiche. Al contrario di Donald Gurrey che ha il merito di condurci su una strada poco conosciuta: lo spionaggio italo-tedesco, la rete di sabotatori e l’organizzazione sovversiva nell’Italia liberata.
Sessant’anni sono trascorsi invano. Nel Paese del passato che non passa, i tentacoli dell’OVRA e delle polizie fasciste continuano ad avviluppare il nostro ricordo. Per gli storici del Fascismo gli archivi della polizia del regime sono una miniera inesauribile. Di notizie e di polemiche.
Infaticabili talpe spulciano buste e faldoni, leggono fogli, foglietti, appunti. Nomi si aggiungono a nomi. Già pubblicate addirittura sulla Gazzetta Ufficiale, subito dopo la fine della guerra, a eterno ludibrio, continuano a gonfiarsi le liste dei confidenti, delle spie, dei delatori e dei sicofanti della Polizia Politica (POLPOL) e dell’OVRA, acronimo misterioso dall’incerta origine. E siccome fra i nomi che si aggiungono ce n’è anche qualcuno conosciuto e del tutto inaspettato, ecco subitaneo lo scandalo e la polemica, come accaduto con il libro di Mauro Canali Le spie del regime (Il Mulino - Biblioteca storica, pp. 863, settembre 2004).
Il nome intorno al quale ruota lo scontro è sempre lo stesso: Ignazio Silone, antifascista di sicura fede e intellettuale di sinistra al quale Canali ha aggiunto lo scrittore Vasco Pratolini e Massimo (Max) Salvadori, altro antifascista intransigente e agente poi del SOE, lo Special Executives Operations inglese durante la guerra.
L’ultima fatica ha incattivito la diatriba fra Canali e Mimmo Franzinelli che contesta il “tradimento” di Silone a favore della polizia fascista, rivelato proprio da Canali in un precedente libro.
In più passi, parlando di personaggi, spie, controspie, doppiogiochisti, funzionari di polizia, Canali afferma: “Franzinelli fa una certa confusione”, ha preso “un grave abbaglio”, “è curioso come Franzinelli....”, dice ancora Canali, “immagina”, “compone”. E poi contesta allo storico, in un passaggio, una ricostruzione “del tutto erronea”; in un altro, di aver trovato “dettagli inesistenti”; in un terzo, di aver decritto “una vicenda fantastica”.
Roba da duello all’ultimo sangue. Ma se Canali colpisce di spada, Franzinelli usa la bombarda e accusa il ricercatore di una quisquilia: aver omesso di precisare che Alfredo Canali, di Roma, elencato ne Le Spie del Regime fra i “Fiduciari e confidenti degli Uffici politici delle questure”, era nientemeno che suo zio.
A Canali deve essere venuto uno strabuzzo nel trovare fra i confidenti della polizia fascista anche suo zio. Ma è veramente una colpa aver taciuto il rapporto di parentela, pur pubblicando il nome insieme con tutti gli altri? Oppure a fianco, fra parentesi, doveva mettere: “questo è mio zio, scusate tanto”, e magari abbandonare la ricerca?
Ci si permetta di nutrire qualche serio dubbio, perché, di questo passo, dalla Storia si passa alla cronaca, anzi, al gossip, come si direbbe oggi. Con un’aggiunta: resta irrisolta la questione se la Storia va scritta secondo interpretazioni personali, oppure in base alla rigorosa analisi dei documenti, quand’anche essi si rivelassero scomodi e disegnassero una verità non ‘politicamente corretta’.
Lasciamo il duello fra Canali e Franzinelli per tornare a ‘Le spie del regime’.
Furono le ristrettezze economiche (come per Vasco Pratolini); un malinteso patriottismo (il caso di Max Salvadori); altre ragioni, forse addirittura precedenti l’avvento del Fascismo (la situazione di Ignazio Silone), fatto è che nell’elenco dei “Fiduciari e confidenti degli uffici politici delle questure” sono finite più di ottocento persone, tutte puntualmente elencate da Mauro Canali, che si aggiungono a quelle altre che in qualche modo ascoltavano, riferivano, provocavano, dando con i loro rapporti il polso dell’antifascismo, lo stato d’animo della popolazione.
Finché il regime fascista resse. Poi, con il 25 luglio e l’8 settembre e lo sfascio successivo, per molti scattò il “si salvi chi può”. Incominciarono le prese di distanza e l’OVRA da ‘Organizzazione volontaria repressione antifascismo’, che implicava la ‘scelta politica’ soprattutto dei funzionari di carriera che vi erano transitati dai ranghi della polizia, cominciò a sbiadirsi nel più neutro ‘Organizzazione vigilanza reati antistatali’. Come dire: nulla di politico, il funzionario era solo e comunque al servizio dello Stato, non del fascismo, anche se all’epoca erano un tutt’uno.
Funzionari e confidenti si divisero fra il Regno del Sud e la Repubblica del Nord. Alcuni offrirono i loro servizi alle SS e alla Gestapo. Altri si misero al lavoro per gli Alleati. Fatto è che pochi, alla resa dei conti, pagarono le conseguenze delle loro delazioni, dei ricatti, della corruzione e dell’azione repressiva. E ancora una volta volarono gli stracci.
Mauro Canali ricostruisce questi momenti con attenzione e puntigliosità. Segue alcuni personaggi anche nel dopoguerra, ma soprattutto porta alla luce episodi e fatti che spiegano a chiariscono passaggi di campo, salvataggi, carriere.
Uno per tutti: gli ex confidenti della POLPOL che giocarono a lungo l’OSS, fabbricando informative dal Vaticano: Virgilio Scattolini e Filippo Setaccioli.
Appena liberata Roma, il 4 giugno 1944, i due cominciarono a fornire notizie provenienti da Oltretevere a giornali e agenzie di stampa. Alcune settimane dopo, tramite il responsabile per l’area mediterranea della ‘Sezione S I’ dell’OSS, Vincent Scamporino, da Roma cominciano ad arrivare a Washington notizie provenienti dal Vaticano, considerate attendibili, fornite da una fonte denominata ‘Vessel’. Nello stesso tempo anche l’ufficio X-2, il controspionaggio dell’OSS, diretto da James Angleton, inviava informazioni dello stesso tenore, fornite da altra fonte, indicata come ‘Dusty’. Non ci volle molto a scoprire che la fonte di Scamporino era la stessa di Angleton e cioè Virgilio Scattolini che si serviva di Setaccioli, terminale di una rete che dall’interno del Vaticano forniva informazioni a chiunque avesse avuto voglia e denaro per comprarle. L’OSS riteneva importante mettere le mani sulla rete e indirizzarla verso l’ambasciatore giapponese Ken Harada, al quale Scattolini sembrava in grado di carpire preziose informazioni.
Così Setaccioli e Scattolini trasmettevano ad Angleton, che le passava a Scamporino, notizie sulla politica giapponese in Estremo Oriente. Le informazioni, all’apparenza autentiche e ricche di dettagli, finivano direttamente sulle scrivanie di Roosvelt e Truman che ad esse uniformarono alcune loro decisioni.
La collaborazione durò fino al 1947, nonostante un certa diffidenza fosse sorta nei confronti delle fonti ‘Vessel’ e ‘Dusty’, a causa di una gaffe commessa da Scattolini e Setaccioli. Avevano riferito di un abboccamento fra l’ambasciatore giapponese Harada e l’omologo americano Myron Taylor. Incontro mai avvenuto. Da quel momento i documenti non approdarono più alla Casa Bianca, i due italiani furono messi sotto controllo, ma non licenziati.
Sarebbe stata la rivalità fra ‘S I’ e ‘X-2’ dell’OSS, cioè fra Scamporino e Angleton, a permettere che la truffa continuasse, poiché uno impediva all’altro di infiltrare agenti in Vaticano, se non altro per verificare sul campo gli eventi riferiti da Scattolini e Setaccioli.
Ma le spie sono spie e non vanno tanto per il sottile. Scaricato dagli Americani, Scattolini passò tranquillamente al servizio del Partito Comunista, al quale fornì false informazioni per la pubblicazione in Svizzera di due opuscoli che parlavano di intrighi vaticani in Italia e all’estero.
Se c’era chi collaborava con gli Alleati, c’era anche chi continuava a credere nel Fascismo e s’impegnava in missioni di sabotaggio o per raccogliere informazioni nell’Italia liberata per conto del servizio segreto della RSI oppure per conto dell’Abwher o dell’SD tedeschi. Quasi tutti gli agenti, maschi e femmine, furono catturati subito dopo aver passato le linee o essere approdati sulle coste controllate dagli Alleati. Molti furono condannati a morte e fucilati.
La loro storia, le loro azioni, sono state ricostruite nel libro di Donald Gurrey La Guerra Segreta nell’Italia Liberata, (Libreria Editrice Goriziana, pp. 307, ottobre 2004), traduzione a cura del giornalista Gianfranco Simone, esperto di armi e questioni militari.
Il libro di Gurrey si basa su documenti inediti e sulla sua esperienza sul campo: faceva parte del controspionaggio inglese in Italia, prima al Quartier Generale di Caserta e poi al Comando del 15° Gruppo di Armate, a Firenze.
Diciannove capitoli e sei appendici per spiegare le tecniche della sicurezza militare, le operazioni e i metodi dei servizi segreti tedeschi fino a maggio del 1945, la cattura delle spie, i processi e le condanne a morte. Ma anche le reti sovversive, quasi un’anticipazione di ‘Gladio’ e delle tecniche di stay-behind, lasciate dietro le linee per operare nei territori conquistati dagli alleati e passati sotto il controllo del governo italiano.
A parte le storie, il libro di Donald Gurrey si rivela interessante per come illustra i sistemi usati dal controspionaggio alleato per individuare e smascherare gli agenti nemici, sposati all’intuizione e al lavoro di squadra. Si confrontavano con la perseveranza tedesca nei modi di infiltrazione dietro le linee, nell’equipaggiamento degli agenti, anche quando i loro predecessori erano stati palesemente catturati e quindi si doveva considerare ‘bruciato’ tutto quello che sapevano e potevano rivelare.
Nei venti mesi di guerra, successivi all’8 Settembre, molti uomini e donne vennero sacrificati. La loro memoria riemerge dalle pagine di questo libro. Alcuni che si sono salvati hanno raccontato la loro guerra in libri di memorie, come Carla Costa, una delle più note agenti delle RSI. Nonostante fosse giovanissima, diede filo da torcere al controspionaggio alleato e si guadagnò l’ammirazione e il rispetto dei nemici. Gurrey la cita appena, solo con il cognome, a pagina 179: “Una coraggiosa agente che lavorava per i tedeschi era una ragazza chiamata Costa, arrestata in quel mese di ottobre (1944 n.d.r.). Aveva solo 17 anni, ma sotto interrogatorio si dimostrò un osso duro. Ci vollero cinque giorni per convincerla a parlare..... era stata arrestata alla sua terza missione, mentre tornava nel territorio occupato dai tedeschi. Era già stata decorata con la Croce di Ferro e Mussolini l’aveva ricevuta per congratularsi”.
Difesa dall’avvocato inglese W.T.Filding, Carla Costa scampò alla pena capitale per la giovane età, ma fu condannata a una lunga pena detentiva. Restò in carcere dalla fine del 1944 al 1950.