GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
GNOSIS 2/2011
LA CULTURA

RECENSIONI

Intelligence e terremoto


Mariateresa GAMMONE


Proponiamo, in Rubrica, la recensione dell’ultimo libro del Professor Francesco Sidoti, docente di Criminologia e Sociologia all’Università de L’Aquila che affronta, con estrema lucidità ed obiettività, l’immane tragedia che ha colpito il capoluogo abruzzese. è un’indagine che il criminologo e fondatore del corso di laurea in ‘Scienze dell’Investigazione’ conduce senza nulla trascurare: la ricostruzione mancata, il dolore delle vittime, le inchieste giudiziarie e, non da ultimo, le tante polemiche giornalistiche che hanno accompagnato, e ancora accompagnano, questa dolorosa e cruda realtà.
Per il Professore il terremoto rappresenta non solo un vero banco di prova per la coscienza civile ma anche, di fronte alle tante vite stroncate, l’impellente richiamo alla necessità di predisporre livelli di sicurezza sempre più adeguati.
Un richiamo al quale non si può e non si deve rimanere indifferenti in una società della conoscenza che, anche se lentamente, si va formando nel nostro Paese.


Il terremoto aquilano del 6 aprile 2009 è stato oggetto di cronache giornalistiche, trasmissioni televisive, indagini giudiziarie, interpretazioni politiche, diari, memorie, ricordi.
Nessuno ne ha parlato in termini di intelligence, tranne il volume di Francesco Sidoti (Le verità del terremoto. Lo specchio del diavolo in una modernità disastrata, Libreria Universitaria Benedetti, L’Aquila 2010), che dedica molte pagine all’applicazione sul caso aquilano della cultura e della metodologia dell’intelligence.
Di questo profilo del volume non si sono occupati i molti giornali che hanno segnalato la pubblicazione, dal Messaggero a Liberal, che hanno sottolineato altri aspetti, cogliendo ognuno nelle trecento fitte pagine quel che era più vicino alla propria sensibilità ed alla propria linea editoriale.

Il tema dell’intelligence è nel volume eminente sotto due profili, uno interpretativo ed uno metodologico. Sul piano interpretativo si prendono in considerazione fatti specifici, come il caso Patrizia D’Addario, scelta che appare oggi non peregrina, dopo la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche sui “cerchi concentrici” del maggiore esperto di Confindustria in tema di gestione dell’informazione.

Sul piano della metodologia è importante il rinvio alla covert participant observation (l’osservazione partecipante sotto copertura, che nelle università italiane non è conosciuta, come dimostra una semplice ricerca su Google, mentre nel volume è collegata alle analisi classiche di Festinger e Goffman). Rilevante anche il rinvio all’open source intelligence, tema sul quale in Italia esistono contributi, ma non una trattazione approfondita e applicata, a livello accademico, come sarebbe legittimo attendersi, visto che, secondo Manuel Castells, sul terreno dei media si gioca senza esclusione di colpi la partita per il controllo di una società lacerata da grandi conflitti: l’informazione, in tutti i Paesi democratici, oggi non è più il quarto potere ma, “al contrario, il terreno delle lotte per il potere”.

Coerentemente con opere precedenti dello stesso autore, l’attenzione per l’intelligence è formulata in maniera da trovare connessioni con il lavoro svolto all’interno del mondo universitario, in settori limitrofi. Ostentatamente il volume inizia con ringraziamenti nei confronti di professori molto noti: Antonio de Lillo, università di Milano-Bicocca; Enrico Pugliese, università di Roma-Sapienza; Giovanni Sarpellon, università Ca’ Foscari-Venezia.
Da dire, però, che mentre riferimenti, citazioni, argomentazioni, sono a sinistra, tutte le conclusioni sono molto moderate e centriste. Come se ci fosse un contesto tale, da non permettere in via immediata l’articolazione delle convinzioni più intime.
L’attenzione dedicata all’Intelligence è uno dei tratti rilevanti del volume, insieme ad altri tre:
1) una previsione sullo svolgimento futuro di alcune indagini giudiziarie;
2) la visione dello scenario internazionale;
3) l’analisi in termini di politica culturale.

Sul tema delle indagini giudiziarie il volume si segnala per una sortita piuttosto rara: pretende di prevedere gli sviluppi futuri di un’attività giudiziaria, non di fotocopiare o commentare come in genere molti sono abituati a fare. Sidoti esamina dettagliatamente le varie indagini a proposito delle cosiddette ‘cricche’ ed, in particolare, una specifica ‘cricca’ che sarebbe stata attiva nel caso aquilano.

L’autore scrive di “giocarsi la reputazione” su un punto: a L’Aquila, dice, cricche, mafie, camorre ci hanno provato, ma sono state respinte. Dunque, scommette che l’indagine giudiziaria giungerà alla stessa sua conclusione innocentista.

È spesso facile fare profezie sugli sviluppi di alcune attività giudiziarie, ma in questo caso si tratta di contestare le ben diverse conclusioni che sono state proposte da un fronte assai agguerrito, che comprende i maggiori organi di stampa del Paese.

Se Sidoti avrà ragione, avranno allora torto il Corriere della sera, Repubblica e molti altri: non sarà il torto soltanto di qualche giornalista, ma del capo redazione, e così via, lungo la scala gerarchica. Una scommessa contro questo fronte è assolutamente poco comune: non è comodo contestare fondatezza, pertinenza, misura nella ricostruzione mediatica offerta da un pezzo dominante della cultura e della società italiana. Ed è assolutamente poco comune fare questa sfida con una previsione che sarà facile vedere se è giusta o sbagliata: i magistrati sono al lavoro e decideranno con la correttezza e l’imparzialità che nel volume sono riconosciute e riverite.

Controcorrente è anche la visione dello scenario internazionale, dove ad esempio l’autore mostra ammirazione sia nei confronti del presidente Bush sia nei confronti del presidente Obama (descritto attraverso un inedito parallelo con Celestino V). Negli Stati Uniti, si è per Bush o per Obama, senza vie di mezzo; tra le eccezioni, proprio il presidente George W. Bush che nel suo volume di memorie, Decision Points, ha soltanto parole di elogio nei confronti di Obama. Questa posizione di Sidoti è motivata da una scelta di fondo: egli non crede in una visione manichea e partigiana della politica, dunque applica questa impostazione a tutti i livelli: sul piano internazionale, sul piano nazionale, sul piano locale. In un certo senso assolve tutti, perché di tutti vede l’aspetto positivo e comprende che eventuali risultati negativi sono causati da cattive informazioni ed errori in buona fede.

Tutto sommato, i presidenti degli Stati Uniti come i sindaci dei comuni italiani, a differenti livelli sono comunque eletti da comunità informate e responsabili, dunque debbono essere trattati come rappresentanti di una speranza popolare. Certamente vorrebbero conseguire il migliore risultato gestionale; se non ci riescono è perché sono sopraffatti dal contesto o dal destino.
Un ultimo punto sul quale il volume mostra di essere fuori dal comune è nella considerazione delle politiche culturali.

Alcune pagine tra le più sorprendenti sono dedicate a mostrare come tre mostri sacri della cultura globale (Ash, Attali, Bauman, che, guarda caso, in Italia sono pubblicati dallo stesso giornale) hanno preso una solenne cantonata quando si sono occupati del disastro di Katrina. Bush ha ammesso di aver compiuto errori, ma all’epoca fu dipinto un quadro della situazione ancora più catastrofico ed allucinante, prendendo molto sul serio fatti che invece si sono rivelati nel tempo banali montature e colossali scemenze.

Qualcosa dello stesso genere pare sia avvenuto a L’Aquila, dove errori ci sono certamente stati, ma soprattutto nella fase antecedente il disastro, con una responsabilità principale delle autorità locali, che per decenni non avevano saputo fare adeguata prevenzione (nella regolamentazione e nei controlli dei fabbricati).

In questa luce Sidoti commenta osservazioni svolte da Marco Travaglio e Roberto Saviano, criticati in maniera puntuale e per certi aspetti devastante, ma in maniera molto garbata nei toni e nei contenuti.
Si potrà pensare che, stranamente, nella recensione ad un volume sul terremoto de L’Aquila, abbiamo poi parlato poco di questo terremoto. Così è in un certo senso anche nel volume, dove a partire dal terremoto vengono svolte argomentazioni su vari altri temi, soprattutto sulla società della conoscenza, basata su una buona università ed una buona informazione; due buone cose che in Italia soffrono un grave ritardo, dimostrato in maniera lampante dalla vicenda del terremoto.

In conclusione, non è il terremoto il protagonista del volume, ma l’antiterremoto: in primo luogo le Forze dell’ordine, che giganteggiano dalla prima all’ultima pagina: “Dopo il terremoto, le istituzioni hanno scritto una bella pagina della storia italiana, che in qualche modo tenta di riparare la vergogna dell’impreparazione precedente il terremoto.
Il malaffare c’è sempre e dovunque: questa volta, nel dopo-terremoto, ce n’è stato assai poco. Magistrati, finanzieri, carabinieri, poliziotti, militari, vigili del fuoco, medici, volontari, perfino i politici hanno tentato di fare a L’Aquila un buon lavoro, nella gestione di una situazione potenzialmente catastrofica”. Nel terremoto de L’Aquila c’è stato, prima, un disastro di impreparazione ma, dopo, c’è stata la rimonta e la vittoria del sistema Paese. Che infine, nella narrazione dominante, questa rivincita sofferta, questo scatto d’orgoglio, questa vittoria della nostra bandiera, sia diventata una vittoria mutilata, è argomento che fa tristezza.

Disastro su disastro: a L’Aquila, al disastro del terremoto si è aggiunto il disastro di una guerra civile mediatica combattuta con ogni mezzo e che, come in ogni guerra, vorrebbe santificare soltanto la verità dei vincitori. Non è così in questo volume, che elenca e ragiona tutte le verità: di Silvio Berlusconi, di Gianni Letta, di Mario Draghi, di Guido Bertolaso, di Renato Brunetta, di Giulio Tremonti, di Pierferdinando Casini, di Giuseppe D’Avanzo, di Marco Travaglio, di Roberto Saviano, e molti altri ancora, dagli ufologi ai bordighiani.
Un posto di primo piano occupa nel volume la verità del prefetto Franco Gabrielli, già direttore del Sisde e poi dell’Aisi, tra il 2006 ed il 2008, quindi protagonista in quello che è avvenuto a L’Aquila, ma finora messo in evidenza ben poco nelle cronache nazionali.

Il volume è dedicato agli studenti che hanno perso la vita nel terremoto e ogni utile sarà destinato all’Associazione dei familiari di questi studenti: erano venuti a L’Aquila per farsi un futuro e invece a L’Aquila hanno perso per sempre ogni speranza. Su quel terremoto c’è un impegno della coscienza civile del Paese.
Insieme alle responsabilità per le giovani vite stroncate, c’è il problema di un livello della sicurezza adeguato a quella società della conoscenza che troppo lentamente si forma nel nostro Paese.

All’osservatore imparziale, L’Aquila racconta una morale: in negativo per i ritardi a livello locale, in positivo per i grandi risultati nella gestione dell’ordine pubblico (ad esempio, il G8 si è svolto senza incidenti) e per come sono state sconfitte quelle organizzazioni criminali che avrebbero voluto infiltrasi nella ricostruzione, come è avvenuto altrove, e invece sono state individuate e allontanate. Non è indispensabile confabulare soltanto di fantomatiche ‘cricche’: c’è una parte del Paese di cui possiamo essere orgogliosi.



© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA