La guerra delle spie nel corso della Seconda Guerra Mondiale continua ad affascinare scrittori e storici. E mano a mano che gli archivi si aprono diventa intellegibile ciò che fino a ieri era velato da una “cortina di bugie” ed è possibile penetrare dentro l’ inganno.
“In tempo di guerra la verità è così preziosa che bisogna proteggerla sempre con una cortina di bugie”. E’ la celebre frase di Winston Churchill che rivela la complessità dell’azione dei servizi segreti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. Un’ azione quotidiana per coprire e velare i progetti operativi come Overlord, lo sbarco in Normandia, e proteggere “UI tra”, cioè le intercettazioni dei messaggi trasmessi da tedeschi e italiani con la macchina cifrante “Enigma” e le informazioni derivate. Ma al gioco dell’inganno parteciparono alleati, italiani e tedeschi, con maggiore o minore abilità e fortuna, spesso per circostanze fortuite, altre volte per complicati intrecci, rivalità interne, invidie, informazioni negate e, in altri casi, per inefficienza e incapacità.
Tre libri usciti in contemporanea, due in Italia e uno negli Stati Uniti, raccontano dell’attività dei servizi di spionaggio e controspionaggio durante la Seconda Guerra Mondiale. Tre volumi interessanti non soltanto per gli addetti ai lavori, ricchi come sono di spunti che spingono verso ulteriori approfondimenti.
Mimmo Franzinelli, con il suo “Guerra di spie - I servizi segreti fascisti, nazisti e alleati 1939-1943”, pagine 304, Le Scie Mondadori, con una paziente ricerca di archivio, squarcia in parte il velo su fasti e miserie del SIM (Servizio Informazioni Militari), senza celare una certa antipatia verso l’organismo e i suoi capi. Da buon conoscitore degli archivi, Franzinelli ha rivolto la sua attenzione alle storie degli italiani reclutati dal Deuxième Bureau francese, dall’ Intelligence Service inglese, dall’Office of Strategic Service americano. Ma anche dalla rete sovietica che faceva capo all’NKVD.
Spie sfortunate, quasi tutte smascherate, catturate, processate dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato e finite davanti al plotone di esecuzione nel cortile di forte Bravetta, a Roma. Salvo che il ruolo dell’agente non fosse così importante da indurre il SIM alla richiesta di saltare il fosso e quindi iniziare il doppiogioco. I più fortunati salvarono la pelle e alcuni continuarono nel mestiere di spia anche a guerra finita, come Giorgio Conforto, agente sovietico per più di mezzo secolo, dal 1932 al 1983, con un intermezzo di collaborazione con la polizia fascista, dopo il primo arresto.
Franzinelli racconta dei capi del SIM, Mario Roatta, Giacomo Carboni, Cesare Amè, dei loro collaboratori e delle loro azioni, delle spie catturate e fucilate, nonché dell’ operazione su Malta che portò all’impiccagione di Carmelo Borg Pisani. Ma anche dell’attività dei servizi segreti nemici, sia pure in modo relativamente succinto.
Quello che Franzinelli non ci dice e che invece sarebbe interessante svelare è il numero degli italiani che collaborarono con i servizi di spionaggio alleati, prima dell’8 settembre. Sarebbe interessante sapere quanti furono quelli scoperti, la provenienza sociale, il livello d’istruzione, le motivazioni che li guidarono, quanti furono condannati a morte e fucilati e quanti si salvarono.
Nel libro di Franzinelli s’avverte una sorta di simpatia, ma forse sarebbe meglio dire pietà, per questi italiani morti con l’ignominiosa etichetta di “traditori” che egli considera riduttiva e strumentale, rispetto alle reali motivazioni di fondo della loro azione.
Sposa così l’affermazione di Ruggero Zangrandi: “E’ da notare che la letteratura politica antifascista tace stranamente sullo spionaggio politico, che pure ebbe consistenza negli anni ‘41-’42 e costituì una forma di lotta al regime. Esso veniva praticato da alcuni antifascisti per favorire la distruzione della macchina militare fascista”.
E Zangrandi parlava con cognizione di causa dimostrando, anche con la sua vicenda, che ancora una volta, alla fine, volarono gli stracci, cioè finirono male i poveracci. Le spie, i traditori, come le braccia violente del SIM e dell’Ovra, salvarono la pelle e spesso anche la carriera, grazie al legame dell’appartenenza a una classe, a una consorteria intellettuale, a una casta.
Franzinelli non fa sconti ai servizi segreti italiani per gli anni che ha trattato, 1939-1943. Non erano però così sprovveduti o soltanto asserviti agli interessi del Regime. Sapevano fare bene il loro mestiere gli uomini del SIM e dell’Ovra, soprattutto per quanto riguarda il controspionaggio politico-militare, un po’ meno per la penetrazione all’estero, vale a dire lo spionaggio acquisitivo vero e proprio. E in questo risentivano del vizio d’origine del servizio italiano, quasi sempre inascoltata Cassandra fin dal Risorgimento e dalla Prima Guerra Mondiale. Un “vizio” coltivato e alimentato durante il Fascismo dalla mancanza di una moderna visione strategica e geopolitica da parte dello Stato Maggiore italiano. Eppure, nel suo libro “The Deceivers” (Gli ingannatori), pubblicato a New York dall’editore Scribner e non ancora tradotto in italiano, Thadeus Holt non teme di affermare che fra le potenze dell’Asse, gli italiani erano “di gran lunga i più competenti”.
Gran parte del libro dì Holt è dedicato all’Intelligence Service inglese e al gioco degli inganni messo in atto, al punto da scrivere: “gli Alleati superarono pienamente in valore i loro nemici nella Seconda Guerra Mondiale. Ma essi furono aiutati da una scaltrezza portata a un livello del quale non c’è memoria precedente”.
L’azione di disinformazione a un certo punto aveva raggiunto un tale picco da far dire all’allora capo del Mi5 Guy Liddell: “C’è una tale massa di inganni e controinganni che non sarebbe sorprendente se le nostre truppe atterreranno nell’Artico indossando divise in crespo di Cina”.
Se era relativamente facile ingannare, raggirare e infiltrare l’Abwher tedesco e giocare il servizio giapponese, gli strateghi dello spionaggio inglesi e americani guardavano con rispetto e attenzione al SIM “capace di raggiungere giudizi e valutazioni con alto indice di correttezza”.
Holt scrive che il SIM “scoprì, neutralizzò o controllò la maggior parte degli agenti inviati in Italia dagli inglesi, compreso l’unico radioperatore italiano infiltrato nel Nord, che non si rese mai conto di essere sotto controllo”.
Altrettanto elevata la capacità di svelare i codici avversari cogliendo “successi straordinari”, scrive Holt. Il servizio crittografico italiano ci mise molto del suo, ma altrettanto merito va attribuito alle “penetrazioni” degli operatori guidati dal capitano Manfredi Talamo, uno dei martiri delle Fosse Ardeatine.
Peccato che in troppe occasioni i rapporti e le informazioni del SIM non furono presi in debita considerazione dallo Stato Maggiore, quando addirittura non furono nemmeno letti.
E’ ancora un inglese Dudley Clarke, una delle menti della “cortina di bugie”, a riconoscere “la destrezza e l’abilità con cui gli astuti italiani sapevano giocarci al nostro gioco. Ci considerammo realmente fortunati che la maggior parte dei nostri canali fossero indirizzati verso gli ingenui, e spesso disonesti, rappresentanti del Terzo Reich”.
Non ci sono grandi novità nel libro di Holt, che si rivela comunque di lettura stimolante e certamente con giudizi di gran lunga molto più lusinghieri di altri per quanto riguarda il nostro spionaggio nel periodo bellico. Non sono poi poche le contraddizioni fra Holt e Franzinelli.
Il primo sottolinea come il SIM tenne sempre testa all’Abwher e non esitò a contrastarne le pretese, come in occasione della scoperta della rete sovietica che passava attraverso l’ambasciata tedesca. Un braccio di ferro che probabilmente a distanza di tre anni costò la vita a Manfredi Talamo. Di contro Franzinelli intitola il terzo capitolo “L’alleato padrone”, come a sottolineare una subalternità del SIM all’Abwher. Ma il testo tradisce il titolo. Per diverse pagine l’autore racconta come il SIM contrastò l’attività spionistica tedesca in Italia che si svolgeva, fra l’altro, contravvenendo alle direttive di Hitler. Con correttezza fa emergere come Abwehr e Sichereitdienst ottennero “autorizzazioni ad operare” direttamente dallo Stato Maggiore italiano bypassando i “no” del SIM. Un episodio per tutti: il tentativo di introdurre in Italia unità della Funkabwher (unità di intercettazione di emittenti nemiche) suscettibile di creare in realtà una rete di radiotrasmittenti a uso esclusivo dello spionaggio tedesco. Dinanzi al secondo e deciso rifiuto del SIM, Franzinelli sottolinea: “il comandante germanico in Italia sottopone il progetto al Capo di Stato Maggiore Generale e riceve il via libera; viene così impiantata una stazione ricetrasmittente segreta, da utilizzare in caso di emergenza per comunicare con Berlino senza il rischio di intercettazioni”(pag. 140).
Di guerra degli inganni, di brillanti operazioni di sabotaggio, ma anche di spie agenti segreti e delle loro imprese parla Domenico Vecchioni nel suo “Spie della Seconda Guerra Mondiale”, 142 pagine, Editoriale Olimpia.
Vecchioni dedica tre capitoli ad altrettante donne: Josephine Baker, la conturbante ballerina creola, più nota come “Venere Nera”, al servizio del controspionaggio francese; alla principessa Noor Inayat Ichan, agente operativo dello Special Operations Executive (SOE) inglese, catturata in Francia e uccisa con un colpo alla nuca nel lager di Dachau; a Cinthya, al secolo Amy Elisabeth Thorpe, arruolata a New York dal British Security Coordination e messa alle costole dell’addetto navale italiano Alberto Lais. Se e quanto veramente abbia ottenuto dall’ufficiale di Marina italiano è ancora oggetto di discussione e Vecchioni che a questa storia ha già dedicato un libro intero lo riconosce lealmente, rinviando alla liberalizzazione di altri segreti degli archivi di Betchley Park concernenti l’Italia.
Nel libro, stampato in economia, Vecchioni racconta anche le imprese di un agente italiano la cui figura è tutta da rivalutare: Aristide Tabasso, del Servizio Informazioni e Sicurezza della Marina. Una vita piena di colpi di scena, ricca di intrighi, pericoli e metamorfosi. Tabasso parte dall’Africa Orientale alla volta di Roma, latore di una lettera di Churchill al Re, ma anche operatore di un’azione di doppio gioco a danno degli inglesi, finisce a Regina Coeli, aderisce alla Repubblica Sociale, passa ai partigiani, dà la caccia al carteggio Mussolini-Churchill. Una caccia che si sarebbe conclusa con successo, secondo Vecchioni, al punto che molti documenti dal cospicuo peso di una quarantina di chili, sarebbero stati consegnati da Tabasso a Umberto II, prima della partenza per l’esilio. Documenti, guarda caso, che appena cinque anni dopo, nel 1951, il Re in esilio asserì essere andati “smarriti”. Rimane un fatto: Franco Tabasso, nel 1957, scrisse un libro sulle imprese del padre: “Su Onda 31 Roma non risponde” stampato da una piccola casa editrice di Città di Castello.
Il libro fu sequestrato prima della distribuzione, con divieto di successiva ristampa.
E ancora Vecchioni racconta della spia ebrea di Hitler, dell’inganno del lager di Terezin, del sosia di Montgomery, ma anche della liberazione di Mussolini.
Diviso in quattro parti: Gli Agenti; Le Mistificazioni; Le Operazioni; Le Rivelazioni, il libro di Vecchioni ha il merito di introdurre ad argomenti, fatti e personaggi rilevanti, talvolta volutamente calati nell’oblio.