GNOSIS 3/2007
I conti in tasca alle organizzazioni terroristiche Costosi complotti e attentati a basso prezzo |
Guido OLIMPIO |
A quanto ammonta il budget dell'internazionale del terrore? Da dove arrivano e come vengono spesi i fondi che i gruppi terroristici di qualsiasi matrice riescono a mettere insieme? Sono le domande alle quali cerca di rispondere un giornalista che di terrorismo internazionale se ne intende. L’analisi dell’autore contiene alcune deduzioni importanti: gli attentati costano sempre meno, mentre la gestione delle ‘reti’ assorbe la quasi totalità delle risorse. A parte i finanziamenti diretti, il denaro arriva attraverso mille altri rivoli: dai fondi raccolti da sedicenti opere di beneficenza al ricavato del mercato del falso. Una forbice così ricca di alternative che c'è soltanto l'imbarazzo della scelta. E non mancano le sorprese. da http://worldsocialism.blog.excite.it
Smerciano false griffe a New York. Cacciano animali protetti nell'Assam. Rubano auto in Canada e Malaysia. Trafficano in droga in Nord Africa e Afghanistan. Riciclano denaro e truffano il sistema sanitario nel Mid West americano. Prendono ostaggi a Baghdad. Vendono armi nel Sud Est asiatico. Contrabbandano oro e petrolio nel Golfo Persico. Gestiscono piccoli imperi commerciali. Una incredibile attività economica nel segno della globalizzazione con un fine preciso: alimentare il terrorismo e i movimenti di guerriglia. L'epoca delle rapine come autofinanziamento è preistoria, anche se c'è chi - come gli estremisti algerini in Europa e i mujaheddin iracheni - continua a ricorrervi. Oggi complottare richiede denaro, anche se il costo degli attentati continua a scendere. La valutazione dei diversi Servizi di intelligence sulle spese d'attacco, è un buon punto di partenza per analizzare il budget del terrore. Nel 1993, una piccola cellula jihadista sborsò poche migliaia di dollari per colpire le Torri Gemelle a New York. La cifra maggiore era rappresentata da circa 400 dollari per noleggiare un furgoncino poi riempito di esplosivo artigianale. Hanno dovuto tirare fuori molto di più i loro imitatori, nel settembre 2001. Il commando di Mohammed Atta potrebbe aver speso oltre 500 mila dollari (altre stime dicono il doppio), ma ha avuto la cura di restituirne diverse centinaia di migliaia al loro "cassiere" a Dubai. Poco prima, nella baia di Aden, qaedisti locali hanno colpito la nave da guerra statunitense "Cole". Budget: 10 mila euro. Un anno dopo è massacro di turisti a Bali: 45 mila euro. Nel 2003 tocca a Istanbul, con le esplosioni al Consolato britannico: 35 mila euro. Per la strage di Madrid sono "bastati" 13-17 mila euro, però gli estremisti avevano un tesoro in stupefacenti. Quasi un milione di euro. E per comprare l'esplosivo sono ricorsi al baratto. Hashish marocchino purissimo in cambio del materiale esplodente. Gli attentatori di Londra - luglio 2005 - hanno fatto tutto con 7-10 mila euro. Un'analisi più accurata ha stabilito che i criminali non hanno tirato fuori più di mille euro per videocassette (usate per i testamenti da kamikaze), dvd, cd rom e memory card destinate ai computer. Un bilancio contenuto - se mai fosse riuscito - anche per il famigerato quanto ipotetico complotto dell'estate 2006 contro gli aerei passeggeri. Diecimila euro, destinati all'acquisto di biglietti e materiale "tecnico" indispensabile per mettere a punto ordigni con esplosivo liquido. Si tratta di valutazioni empiriche - è bene ricordarlo - che danno però l'idea di cosa sia oggi il fenomeno del finanziamento del terrore. Gli estremisti sono parchi, non hanno grandi necessità, la logistica è ridotta all'osso. Altra cosa è la “pipeline” d'oro che alimenta i movimenti. Qui servono canali più solidi, magari interventi di istituti finanziari che fiancheggiano spinte integraliste. Prima dell'11 settembre 2001 la componente trasparente - ossia l'uso di banche e associazioni caritatevoli islamiste - era sicuramente più consistente. I controlli erano inesistenti ed era facile far passare l'aiuto ad un movimento radicale per assistenza sociale. La creazione di liste nere da parte dell'Onu, seguite da una maggiore severità degli Stati occidentali, ha costretto i gruppi armati a trovare nuove fonti e i loro finanzieri ad essere più cauti. Una prudenza dettata anche da motivazioni politiche. Una cosa è supportare un progetto - che pure contiene obiettivi espansionistici come il wahabismo -, un'altra è trovarsi coinvolti in piani eversivi che prevedono un pesante tributo di sangue. A questo si aggiunge un fatto incontestabile nel mondo islamico. A morire sono soprattutto musulmani. Una guerra santa fratricida che alla lunga allontana le simpatie delle opinioni pubbliche e trasforma i gruppi armati in sette assassine. I Jihadisti Organizzazioni come il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento in Algeria o i "fratelli" marocchini hanno dovuto re-inventare le loro finanze. Inchieste giudiziarie in vari paesi europei hanno evidenziato collusioni tra narcotrafficanti ed estremisti. Un'alleanza sacrilega favorita dalla dottrina takfir, alla quale si ispirano gran parte degli islamisti attivi in Occidente. In base a questa ideologia è possibile delinquere - e dunque andare contro i precetti religiosi - purché sia in nome della causa. Buona parte della droga arriva dal nord del Marocco attraverso una rete collaudata. Le enclave spagnole di Ceuta e Melilla, così come i porti iberici hanno assunto il ruolo di snodo logistico. L'hashih è poi distribuito a piccoli spacciatori e una parte degli introiti usati per le spese delle cellule. Il legame con il sottobosco dei narcotici, oltre a produrre soldi, garantisce alle formazioni un gancio per il reclutamento. Decine di elementi, contigui alla criminalità, sono stati riconvertiti allo jihadismo: sia attraverso il classico indottrinamento a tappe forzate, sia con il contatto in prigione. Spesso terroristi e spacciatori sono detenuti nello stesso braccio con imam improvvisati o veri che si assumono il compito di indirizzare i neo-adepti sulla via della Jihad. Una volta fuori i legami nati in cella sono utilizzati nell'eversione. Non è certo un caso che nella maggior parte dei paesi occidentali le autorità abbiano lanciato l'allarme sulla nascita del cosiddetto "fronte carcerario". In Francia e in Belgio elementi vicini al Gspc - oggi trasformatosi nella Qaeda del Maghreb - hanno trovato in rapine, truffe, falsificazione di documenti una importante fonte di reddito. Con un ben pianificato assalto ad un furgone portavalori si sono impossessati di un milione di euro. Gli islamisti, inoltre, clonano carte di credito, svuotano bancomat, mettono in piedi commerci con prodotti falsificati. Un esempio: una gang algerina in Francia riusciva ad accumulare 90 mila euro al mese derubando gli sportelli automatici delle banche. Il sistema era quello classico impiegato dalla criminalità dell'Est Europa. In Italia si dedicano al traffico dei permessi di soggiorno e a quello dei documenti. A fianco vengono poi sviluppate attività legali - in genere vendita al dettaglio, piccole imprese - che destinano una quota alla lotta in Algeria. Di nuovo non si deve pensare a grandi somme. Due-tremila dollari inviati in Nord Africa ogni tanto bastano e avanzano. E per trasferirli, quando non ricorrono a banche e istituti specializzati, si servono dei corrieri. Nella parte meridionale dell'Algeria e in particolare in un'area selvaggia verso il Niger e il Ciad, una falange dell'ex Gspc si è dedicata al brigantaggio. Uno spettacolare sequestro di una carovana di turisti europei ha fruttato - qualche anno fa - decine di milioni di euro. Una fortuna per quelle regioni. Lo stesso gruppo ha poi imposto un pedaggio "rivoluzionario" ai nuovi mercati di schiavi e a contrabbandieri di ogni tipo. Veicoli carichi di immigrati diretti a nord, camion pieni di merci, mezzi dei rifornimenti. Gli autisti - con le loro organizzazioni - possono essere costretti a versare un obolo comprando così la sicurezza. Il Canada, la Norvegia, la Germania e alcuni paesi orientali quali la Malaysia hanno scoperto come il racket delle vetture rubate possa aiutare gli estremisti. Secondo la polizia canadese vengono rubate ogni anno 20-30 mila auto di lusso, quasi sempre inviate all'estero. Un pacchetto non quantificabile sarebbe gestito da criminali che hanno rapporti con organizzazioni estremiste. Lo stesso hanno scoperto le autorità malaysiane, allarmate dalla crescita del 12% dei furti di vetture. C'è il sospetto che a beneficiarne siano gli uomini della Jemaa Islamya, gruppo responsabile di gravi attentati. Più vicino a noi - nel centro Europa - il traffico ha favorito la nebulosa che si ispira ad Al Zarkawi. Da sempre Nord Africa e Medio Oriente sono il mercato di vetture trafugate a Parigi o Milano. I veicoli possono essere riempiti di esplosivo, mitra, droga e documenti. Diventano moneta di scambio e persino bombe su quattro ruote. Può suonare strano ma dall'analisi dei rottami di alcune auto esplose nelle strade irachene si è scoperto che venivano dall'estero. foto Ansa Sembrano più innocui - e magari lo sono davvero - gli ambulanti che vendono magliette, cd rom musicali, giocattoli in una qualsiasi città di un qualsiasi paese. Ma è stato provato che la vendita di false griffe così come di T-shirt per turisti sono una fonte minore di soldi. E' un tipo di crimine al quale si dedicavano negli anni '70 gli estremisti dell'Armata rossa giapponese, che si finanziavano acquistando borse e borsette in Italia e le vendevano all'estero. Sono passati degli anni e il "settore" è stato rilanciato da islamisti egiziani, dai palestinesi del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, dai colombiani delle Farc. In genere aprono negozi in località free-tax, aperte a qualsiasi tipo di commercio e con soglie di controllo basse. Dubai negli Emirati, Ciudad del Este in Paraguay e cittadine appollaiate sui confini dei paesi sudamericani sono le piazze preferite. Le organizzazioni, al pari dei grandi gruppi, finanziano piccoli commercianti e catene di rivendite ottenendo in cambio una parte degli introiti. E gli affari vanno bene. Lo hanno dimostrato i curdi dell'ex Pkk - che dispongono del loro network in Nord Europa -, gli Hezbollah libanesi, le intraprendenti Tigri Tamil dello Sri Lanka. Non hanno alcuna remora e non si sforzano neppure di trovare coperture le Farc colombiane. Una guerriglia che vive grazie a sequestri, droga ed estorsioni. Su piccola e larga scala. Un tribunale americano ha appena chiuso un'inchiesta su un gigante dell'industria alimentare. Per evitare danni alle piantagioni ha versato alle Farc 1.7 milioni di dollari. Stroncare le attività illegali non è un impegno agevole. In molti casi i finanziatori operano in località minori, fuori mano e dunque poco osservate dai Servizi di sicurezza. Un ambiente favorevole alle truffe. E' il caso di "Mr H", accusato di aver gabbato il sistema sanitario americano per oltre 26 milioni di euro. Una fetta consistente del bottino è finita in Pakistan, un'altra nelle tasche di gruppi del Caucaso. Una miscela di criminalità e radicalismo. Un mondo segnato da morti violente, agguati, intrighi: cinque russi che erano entrati in rotta di collisione con il racket sono stati eliminati con un colpo in testa e gettati in una discarica californiana. Fanno soldi in fretta e si comportano da gangster alla Chicago anni '30. Un altro network - scoperto in California - alimentava invece i separatisti ceceni spaziando dalle auto rubate (per un valore di 5 milioni dollari), al latte in polvere, abbigliamento di seconda mano. La raccolta di aiuti umanitari serviva da copertura mentre il referente dell'operazione era un padrino ceceno colluso con i ribelli. Non appartiene a Cosa Nostra ma si comporta come una vera mafia la nebulosa che fa capo a Dawood Ibrahim. Figlio di un ex poliziotto di Mumbay è accusato dalle autorità indiane di aiutare economicamente fazioni radicali tra India e Pakistan. Agli inizi di agosto si è sparsa la voce di un suo arresto, insieme a due stretti collaboratori. Ma mancano conferme ufficiali. Ibrahim è il classico facilitatore, l'uomo ponte che mette insieme i traffici del crimine e il terrorismo. Infatti per la polizia di New Delhi avrebbe avuto un ruolo in una lunga serie di attentati, tra cui quello alla Borsa indiana. L'organizzazione gestisce società in Pakistan, India e ovviamente negli Emirati Arabi Uniti. Potremmo chiamarle a doppio uso. Da un lato c'è un apparato che rispetta le leggi, dall'altro uno clandestino. Muovono dollari con le banche o più facilmente con l'hawala, il sistema basato sulla fiducia e i rapporti personali. Ti rivolgi ad un mediatore a Londra che garantisce per te ad un suo corrispondente a Lahore (Pakistan): sarà quest'ultimo a versare il liquido alla persona indicata. Con un minuscolo biglietto di carta puoi trasferire un tesoro. Con la stessa facilità gli uomini del padrino si muovono attraverso i mercati finanziari classici. Sono dei prestanome, candidi come angioletti. Con una telefonata aprono conti, li riempiono di denaro, lo lavano e ripartono. Il modello iracheno La frammentazione etnica, una guerriglia articolata ed estesa, un controllo intermittente da parte del potere centrale ha trasformato l'Iraq non solo in un laboratorio di terrorismo ma anche in una "palestra" dove sperimentare diverse tecniche di finanziamento. Potremmo dire che il territorio combina tutto insieme: dai traffici alle estorsioni. Lo fanno i qaedisti, i ribelli sunniti, i nazionalisti e gli sciiti. A seconda delle possibilità, mettono in piedi dei piccoli potentati per procurarsi risorse e al tempo stesso tenere d'occhio la popolazione. Il fenomeno è seguito dai Servizi Usa perché c'è il pericolo concreto che le risorse raccolte a Baghdad possano favorire attacchi in altri quadranti, a partire dall'Europa. La catena di produzione che spedisce volontari verso l'Iraq può essere attivata nella direzione opposta. E sarebbe un errore considerare solo il versante jihadista sunnita. Anche le ali radicali della componente sciita hanno organizzato le loro finanze e in caso di un confronto Iran-Usa sono pronte a muovere. I seguaci di Moqtada Sadr, l'ambizioso leader dell'Esercito del Mahdi, hanno creato i cosiddetti "gruppi speciali". Sono loro a controllare un'impresa che comprende vendita di auto rubate, traffico di armi, rapimenti ed estorsioni. Con sempre maggior frequenza piombano sui quartieri abitati dai sunniti e costringono le famiglie alla fuga. Poi affittano case, mobili e tutto ciò che serve a prezzi scontati. Ovviamente i loro clienti sono sciiti. Altre formazioni si preoccupano delle stazioni di servizio. Il Mahdi ha le sue: vende a prezzi stabiliti dai comandanti e taglia fuori i sunniti. Il coinvolgimento nel mercato nero delle armi suscita nuovi allarmi. I fedeli di Moqtada, con l'aiuto degli iraniani, sono tra i "diffusori" di speciali bombe perforanti. Testate dall'Hezbollah in Libano, sono comparse in Iraq e successivamente in Afghanistan. Sono ancora i mahdisti ad aver introdotto ordigni che vengono innescati da raggi all'infrarosso. L'esperienza insegna che queste conoscenze viaggiano veloci. Nel senso che, adattate, sono impiegate in nuovi scacchieri. La possibilità di fare soldi ha avuto ripercussioni sulla tenuta dell'Esercito mahdista. Fonti diverse sostengono che numerosi "colonnelli" si sono messi in proprio sfidando in modo aperto Moqtada Al Sadr. Sull'altra parte della barricata - quella sunnita - gli affari vanno a gonfie vele. Le stime del Pentagono oscillano: la forbice dai 75 ai 200 milioni di dollari l'anno. Biglietti fruscianti utilizzati dai ribelli per portare avanti guerriglia e attentati. Ma quali sono i "settori" di sviluppo? Innanzitutto il petrolio. Gli insorti depredano gli impianti e rivendono l'oro nero realizzando decine di milioni di dollari. Si oscilla tra i 25 e i 100 milioni di dollari. Un budget poi rimpinguato - fintanto che è stato possibile - con i rapimenti degli stranieri. Gli americani valutano in 45 milioni l'ammontare dei riscatti. Ora che gli occidentali stanno più in guardia le bande ribelli si dedicano alle prede irachene. Ovviamente si devono accontentare di somme minori. Un ostaggio può valere poche migliaia di dollari, ma vi sono casi di riscatti sui 30-50 mila dollari. Come molti alti criminali, i terroristi si inventano sempre qualcosa di nuovo. L'ultima tragica specialità è quella dei cadaveri dispersi. Uomini armati recuperano i corpi delle persone assassinate e poi abbandonate in una strada. Se riescono a risalire all'identità lanciano il ricatto alla famiglia: con 10-30 mila dollari si può avere la speranza di riottenere la salma. La presenza di migliaia di armi nelle mani di semplici cittadini, aggravata dai saccheggi dei depositi militari dopo la caduta di Saddam, ha reso florido il mercato di fucili e pistole. Il pezzo che va per la maggior è - manco a dirlo - il Kalashnikov in tutte le sue versioni. I ribelli lo vendono ad un prezzo variabile tra i 150 e i 210 dollari. Se vuoi una mitragliatrice russa sali a 1000 dollari. Una pistola semi-automatica come la Glock vale 1800 dollari. E quando hai un fucile in mano viene facile trasformarsi in predone. La polizia ritiene che ambienti della guerriglia siano coinvolti in un paio di mega rapine - valore del bottino: due milioni di dollari - e nel narcotraffico. Ovviamente oppio, in arrivo dal confine iraniano ma anche la cocaina. Un recente sequestro ha portato alla confisca di un carico. Se fossero riusciti a venderlo avrebbero ricavato oltre 10 milioni di dollari. Quanto viene raccolto sulla "strada" non è nulla se paragonato al flusso di denaro in arrivo dai paesi del Golfo Persico. Fonti della sicurezza irachena sostengono che le filiere jihadiste sunnite ricevano ogni anno circa 25 milioni di dollari. A garantirli finanziatori sauditi e kuwaitiani che intendono così bilanciare lo strapotere sciita e al tempo stesso manifestare solidarietà concreta nei confronti delle correnti salafite. Questa tendenza è monitorata con grande attenzione dai governi occidentali in quanto molti rivoli raggiungono fazioni in grado di agire oltre i confini iracheni. Nei paesi vicini (Giordania, Egitto, Libano) dove già si sono verificati attentati di ispirazione qaedista o nella stessa Europa. E all'interno di questa cornice si muove un'altra realtà. Quella dei volontari sauditi. Sono i più richiesti dai gruppi radicali perché arrivano non solo con una grande voglia di martirio ma anche con il portafoglio gonfio. Prima di immolarsi versano i loro averi nelle mani del loro ispiratore. La presenza dei mujaheddin sauditi è stata segnalata in Libano nelle file del misterioso Fatah Al Islam, organizzazione che ha sfidato il governo nel nome di Osama, e nello Yemen, dove hanno avuto un ruolo nella ricostituzione della branca locale di Al Qaeda. Il modello iracheno ha fatto presa anche in Egitto, paese insanguinato negli ultimi anni da attentati contro i turisti. Più poveri rispetto ai loro compagni di Falluja, gli estremisti locali sono entrati in affari con i clan beduini. Abituati a muoversi lungo piste poco battute, abili nel muovere qualsiasi cosa attraverso i confini, i figli del deserto sono il partner ideale per risolvere i problemi logistici. I beduini trattano veicoli rubati, armi di ogni tipo ed esplosivi. Quest'ultimi arrivano dal Sudan oppure sono realizzati recuperando le vecchie mine della seconda guerra mondiale. Il fronte orientale Nel santuario afghano-pachistano, i resti della cosiddetta "Al Qaeda centrale" - quella di Bin Laden, per capirci - operano quando è possibile con i talebani. Una collaborazione militare che tuttavia non sempre si traduce in un patto economico. Lo rivela una lettera inviata da Ayman Al Zawahiri, il presunto ideologo qaedista, ad un suo contatto in Iraq. Nel documento, intercettato dagli americani, il braccio destro di Osama fa riferimento a difficoltà finanziarie. "Le linee sono state tagliate, abbiamo bisogno di un nuovo versamento…Vi saremmo grati se poteste inviarci almeno 100 mila dollari", scrive Al Zawahiri. La lettera è interessante per due motivi: 1) conferma un flusso di denaro dall'Iraq verso l'Afghanistan. Un movimento accompagnato anche da uno scambio di informazioni e uomini; 2) per mandare avanti Al Qaeda non servono grandi capitali. Che l'organizzazione abbia problemi - temporanei - di liquidità è poi confermato dalla nomina di un nuovo responsabile operativo. L'egiziano Abu Al Yazid. Sarebbe stato scelto per le sue capacità manageriali dimostrate nel corso dell'ultimo decennio. Più che un guerriero, un supercontabile, in possesso di buoni contatti negli stati del Golfo. Secondo le indagini sull'attacco dell'11 settembre avrebbe avuto il compito di finanziare il commando di Mohammed Atta, negli Stati Uniti. E sempre a lui sarebbero tornati, con un regolare bonifico bancario, i soldi non utilizzati dai terroristi. Una parsimonia che è sempre stata una regola tra i seguaci di Osama. Non sembrano avere problemi invece i talebani. Dopo aver osteggiato il traffico di stupefacenti, hanno deciso di sfruttarlo per alimentare la ribellione. Un giro che sfiora i 3.1 miliardi di dollari all'anno. I ribelli offrono protezione ai coltivatori e ai convogli diretti verso Ovest. Ma c'è dell'altro. Le casse talebane sono mantenute piene da una rete di solidarietà costituita da ricchi commercianti baluchi che operano sia nelle spartane zone di confine che nei scintillanti grattacieli di Hong Kong e Dubai. Sono loro a convocare riunioni che si trasformano poi in generose collette in favore degli insorti. Altri investono denaro attraverso società ombra nelle monarchie petrolifere, a Karachi, Shanghai. Fonti indiane indicano nei clan Noorzai e Achakzai la sponda economica del mullah Omar. Una ripetizione di quanto avvenne nell'autunno 2001. I talebani trasferirono a Dubai un carico d'oro del valore di 10 milioni di dollari affidandolo alle cure di un uomo d'affari in odore di Jihad. Conosciuto come "Goldfinger", è titolare di molte imprese con interessi nella regione asiatica. Rispettabile quanto basta per non essere arrestato - malgrado due indagini internazionali - spregiudicato a sufficienza per fare patti con il diavolo. E' grazie a personaggi come questo che esponenti talebani hanno potuto compiere tours promozionali nelle capitali arabe del petrolio. Visite mirate alla raccolta di fondi. Non contenti, i talebani hanno trovato nuove risorse nei sequestri di persona. Casi che hanno coinvolto nostri connazionali, cittadini francesi e sudcoreani. La presa d'ostaggi è un modus operandi che porta molti vantaggi agli insorti: a) incassano somme notevoli, quantificabili in decine di milioni di euro; b) hanno un ritorno propagandistico e mediatico; c) costringono i governi nemici a compromessi e cedimenti; d) creano fratture all'interno della coalizione anti-terrorismo; e) permettono di presentare le catture come successi militari in una stagione segnata da pesanti sconfitte per il movimento. Il regno Hezbollah Chiariamo subito un punto per evitare malintesi. L'Hezbollah è un movimento di resistenza che usa anche l'arma del terrorismo. La sua storia, passata e recente, è cadenzata da prese d'ostaggio durate anni, azioni kamikaze, piani terroristici dal Libano fino in Sud America (segnatamente l'Argentina). Infatti il "partito di Dio" libanese è in grado di sostenere l'urto di un conflitto con l'eterno nemico israeliano. Una peculiarità che fa dell'Hezbollah, insieme alle Tigri Tamil nello Sri Lanka, una guerriglia che si comporta come un esercito. Ma, nel contempo, mantiene una struttura clandestina - con forti vincoli con l'Iran - che può essere attivata per compiere missioni speciali con proiezioni globali. L'area di intervento non è dunque limitata al Libano: se necessario l'Hezbollah dispone di uomini dal Nord America alla Thailandia. Tutto ciò non sarebbe possibile senza un formidabile dispositivo economico. Proprio perché è un movimento, con una grande base sociale nella comunità sciita, i vertici del partito si sono preoccupati di avere fonti dirette e indirette di finanziamento. Gli israeliani, che sono degli osservatori interessati, ritengono che il budget dell'Hezbollah possa essere di circa 250 milioni di dollari all'anno. Una valutazione per difetto. Al bilancio contribuiscono sicuramente gli aiuti dell'Iran. Assegni che variano. Si va dai dieci milioni di dollari ai 270. Una fluttuazione legata alle crisi regionali e alle mosse degli ayatollah. Partendo da questa solida piattaforma i cassieri del movimento hanno lavorato sodo per incrementare il tesoro. Il cuore è l'Associazione per l'Assistenza alla Resistenza Islamica, ASRI. I funzionari seguono gli aspetti finanziari, raccolgono le offerte religiose (spesso copiscue), coordinano le attività umanitarie e di assistenza sociale, coprono le spese destinate ai guerriglieri e alle famiglie dei martiri. Escono sempre dalle sue casse i denari per la tv "Al Manar", l'emittente satellitare diventata un simbolo e un modello di propaganda in tutto il Medio Oriente. L'ASRI può poi contare su tre distinti "dipartimenti". Il primo è quello della banca Beit Al Amal, altra creatura Hezbollah. Sono i suoi ragionieri a raccogliere i soldi offerti dalle comunità sciite nel mondo (Bahrein, Africa Occidentale, Usa, Canada) e a farli rendere. Alle grandi campagne su scala internazionale si sommano quelle più piccole ma non per questo meno interessanti. Centinaia e centinaia di cassettine distribuite in negozi, moschee e villaggi dove chiunque versa l'obolo in base alle proprie possibilità. Un gradino più sotto troviamo la Jihad Al Bina (per la ricostruzione). Invece di soldati, schiera geometri, architetti, genieri, ingegneri e un esercito di operai. Costruiscono case per i poveri, ricostruiscono quelle distrutte nei conflitti, garantiscono prestiti a fondo perduto. Dietro il lavoro civile si cela quello militare. Nel conflitto dell'estate 2006, l'Hezbollah ha rilevato una incredibile rete di bunker scavati nel Libano sud. Cunicoli dai quali i militanti hanno lanciato attacchi letali. A realizzarli, forse con la consulenza iraniana e nord coreana, gli operai di Al Bina. Vicina alle esigenza dei guerriglieri è invece la Fondazione dei martiri. Si prende cura dei familiari dei caduti, fa studiare i figli, provvede ad altre collette. Rispetto ad altre organizzazioni, l'Hezbollah ha puntato molto su Internet. Ci sono siti dove compaiono appositi formulari per le offerte. Buona parte dello sforzo economico è trasparente e legittimo. Gli Hezbollah sono davvero generosi con i deboli, a patto che siano dalla loro parte. Ma poiché i soldi non bastano mai, il movimento deve attivare altre fonti. Ed entrano così in gioco i suoi rappresentanti, sparsi in almeno tre Continenti. Come piccole formiche mettono da parte ogni singolo dollaro utile alla causa. Si fanno venire delle idee, si intrufolano in trame, si ingegnano. Negli Stati Uniti sono emerse prove di traffici di sigarette, di latte in polvere falsificato e di medicine (compreso il Viagra). In America Latina, nel Triangolo compreso tra Paraguay, Argentina e Brasile, costituiscono la spina dorsale di commerci esentasse. Vendono letteralmente di tutto. Profumi, prodotti musicali, elettronica, giocattoli, ombrellini a scatto, pietre preziose. Una parte sono autentici, ma la maggior parte sono copie ben fatte. Da quasi un decennio, gli emissari del partito di Dio hanno aperto società da Panama fino all'Uruguay, avendo l'accortezza di scegliersi località dove i controlli sono scarsi e c'è una tradizione di mercato. Il budget alternativo oltre a camminare in modo indipendente, riveste un carattere strategico. In caso di emergenza il rappresentante locale Hezbollah può "finanziare il progetto". Se servono i dollari per mettere in piedi una cellula non è necessario che si mobiliti il comando di Beirut. Quindi non resta traccia o prova di possibili collusioni. Perché il movimento, malgrado la sua storia, fa di tutto per sottrarsi all'etichetta di terrorismo. Le Tigri del mare Nel panorama dell'estremismo un ruolo rilevante e protratto nel tempo se lo sono conquistato le Tigri Tamil, impegnate in un sanguinoso conflitto separatista nello Sri Lanka. Come l'Hezbollah e, in qualche misura, in modo più ampio, gli insorti si sono dotati di un braccio armato composto da una marina (dotata di motovedette e commandos subacquei), di agguerriti reparti terrestri, di una mini-aviazione (con aerei ed elicotteri) e di un nucleo di militanti - uomini e donne - pronti a missioni kamikaze. Appena pochi mesi fa, le Tigri sono riuscite a condurre due raid aerei contro importanti installazioni cingalesi, compreso uno dei principali aeroporti. Un'assoluta novità tattica resa possibile da una sperimentata catena logistica. I separatisti riempiono i loro arsenali con la discreta attività di una robusta flotta mercantile. Si tratta di cargo che operano sulle normali rotte trasportando merci legali e non. Ma nascoste sotto il carico dichiarato possono esserci delle armi. Gli aerei delle Tigri - secondo una versione - sarebbero giunti smontati a bordo di un mercantile. Le navi rivestono poi un'importanza primaria nella rete finanziaria. Quando non "lavorano" per i Tamil, sono impiegate per l'import/export sulle rotte asiatiche. Il "dipartimento" marittimo confluisce in un più ampio fronte economico che garantisce alle Tigri un buon bilancio. In passato è arrivato a 25 miliardi di dollari all'anno, oggi - a causa di embargo e controlli - sarebbe sceso in modo considerevole. Si parla di circa 300 milioni raccolti con l'imposizione di tasse rivoluzionarie, offerte e iniziative commerciali. A somiglianza dell'Hezbollah i Tamil hanno i loro uomini di fiducia dislocati in paesi chiave. In Cambogia per acquistare equipaggiamento bellico, negli Stati Uniti per la raccolta fondi e il recupero di materiale elettronico, in Canada e Nord Europa per gestire negozi. foto Ansa Questo il quadro generale del rapporto economia e terrore. Una fotografia di una realtà in continua evoluzione, con organizzazioni duttili, adattabili alle situazioni, scaltre nell'inserirsi in ogni tipo di mercato. Ma gli esperti avvertono che sta per aprirsi una nuova frontiera. Temibile. Le transazioni e i bonifici di denaro attraverso i telefonini. Un sistema comodo per qualsiasi cittadino ma che rischia di rivelarsi un formidabile alleato di chi è in agguato nell'ombra. C'è un dato che deve far riflettere. L'enorme raccolta di informazioni sull'eversione, l'adozione di nuovi strumenti e sicuramente una maggiore conoscenza del fenomeno non hanno permesso - sei anni dopo l'11 settembre - di istruire grandi processi contro i finanziatori del terrorismo. Sono stati aperti molti casi giudiziari ma sono rimasti incompiuti. Un puzzle dove manca quasi sempre l'ultimo segmento, quello che permette di provare in tribunale che il signor X ha garantito i fondi al gruppo Y per compiere una strage. Una indagine del Gico della Guardia di Finanza ha gettato un cono di luce sui rapporti tra la raccolta di soldi e le azioni degli estremisti in Algeria. Una breccia importante ma comunque limitata a somme contenute. Del resto, oggi il terrorismo - in particolare quello di ispirazione qaedista - è frammentato, con l'operazione che nasce in loco. Affidata ad una struttura già esistente o alle cosiddette cellule spontanee. Quindi non serve - se non in casi rari - coprire grandi spese logistiche. La risposta delle forze dell'ordine - e non stiamo parlando specificamente dell'Italia - deve allora essere calibrata. Su più livelli. Il primo riguarda gli eventuali flussi di denaro in favore di associazioni che fanno da tetto ad ambienti fondamentalisti. E' una missione a lungo termine perché chi delinque non fornisce punti di riferimento ed ha sempre la scusa pronta: i soldi costituiscono un aiuto sociale. Con il passare del tempo questa “pipeline”è stata progressivamente chiusa o comunque ben mimetizzata. Il secondo livello investe i cattivi maestri e i "facilitatori", ossia coloro che sia a livello ideologico che operativo gettano i semi per far nascere un gruppo di fuoco. Poiché sono più a contatto con chi è vicino all'azione potrebbe essere meno difficile individuare il legame economico. Devono esporsi, si muovono e non possono nascondersi dietro alibi di comodo, come il gesto di beneficenza o la necessità di versare l'obolo religioso. Il terzo livello concerne la singola cellula. E' vero che è largamente indipendente, ma usa la tecnologia e dunque lascia una traccia. Viene il momento - lo dicono le indagini in Europa - che il terrorista compie un passo falso. L'e-mail, la telefonata, la memoria di un computer. Tre "spie" che possono dire tanto. Sia sui suoi rapporti operativi che su eventuali fonti economiche alternative a quelle del suo lavoro lecito. A questa risposta che potremmo definire tattica se ne aggiunge una strategica. Che impone non solo agli apparati di sicurezza ma anche a quello politico di stroncare in modo severo qualsiasi forma di attività commerciale illecita. E soffermarsi sulla repressione del narcotraffico è riduttivo. L'esperienza del post-11 settembre indica che bisogna guardare con maggiore attenzione a fenomeni che sono sì illegali, ma che spesso non sono associati al terrorismo. Dunque la tratta di immigrati, le falsificazioni di prodotti di marca, lo sfruttamento di risorse naturali, la gestione di piccole quanto diffuse attività imprenditoriali costituiscono i mille rivoli che possono garantire l'autosufficienza e una rete di complicità - diretta e indiretta - all'eversione. |
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