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editoriale 2/2023

Nel 2050, una generazione da ora, in Italia verrà alla luce Adamo. È un bambino speciale. È l’ultimo. Dopo di lui, non nascerà più nessuno. Giocherà da solo e crescerà senza amici, senza coetanei, senza la compagnia di fratelli o sorelle... Uno scenario inquietante. Per fortuna, puramente immaginario. Si tratta, infatti, della trama di uno spot pubblicitario realizzato nei mesi scorsi da una nota azienda di prodotti alimentari per l’infanzia, la cui potenza evocativa, al di là della provocazione e dei fini commerciali sottesi, richiama l’attenzione su un problema che interessa particolarmente il nostro Paese: il calo della natalità. Una discesa in caduta libera ormai da anni, a sua volta all’origine di un “inverno demografico” che appare senza fine e che per i suoi impatti – presenti e potenziali – su variabili strutturali come spesa pubblica, ricchezza pro capite, mercato del lavoro, tenuta del tessuto sociale, proiezione all’estero del sistema politico e industriale si configura quale questione strategica per gli interessi nazionali.
Sviluppato in collaborazione con l’osservatorio indipendente Neodemos, il secondo numero di Gnosis del 2023 esplora più da vicino tali tematiche, proponendo un approfondimento specialistico sulla storia demografica del genere umano, i trend futuri e i loro possibili effetti in termini di sostenibilità economica e ambientale, globalizzazione, flussi migratori ed equilibri geopolitici, con un focus di riguardo sulla situazione italiana. Il volume, curato dai professori Massimo Livi Bacci e Gustavo De Santis, si apre con una breve introduzione all’oggetto dello studio, la popolazione e le sue variazioni, quantitative e qualitative, nel corso del tempo (Massimo Livi Bacci), ripercorrendo le fasi salienti dell’evoluzione demografica susseguitesi negli ultimi 10mila anni, dall’invenzione dell’agricoltura passando per la rivoluzione industriale fino ai giorni nostri. Un percorso non facile, in cui periodi di forte crescita – si pensi alla “bomba demografica” della seconda metà del Novecento – si sono alternati a fasi di ristagno o regressione come quella che, come anticipato in premessa, attualmente sperimenta l’Italia, destinata, nei prossimi decenni, a una riduzione progressiva e consistente del numero di abitanti (Francesco Scalone). Concordi previsioni di Istat, Eurostat e Nazioni Unite restituiscono, infatti, dati prospettici assai critici secondo i quali, entro il 2070, la popolazione italiana potrebbe ridursi di quasi il 24% rispetto ai valori odierni (del 37% entro il 2100) a causa di un flusso di nascite sempre minore, solo parzialmente mitigato dall’allungamento della durata della vita media e dal contributo dell’immigrazione (Marcantonio Caltabiano). È uno degli effetti della cosiddetta “seconda transizione”, una nuova tipologia di rivoluzione demografica scaturente da variazioni al ribasso della fecondità a loro volta associate a cambiamenti negli stili di vita e nei comportamenti riproduttivi. Gli Stati più avanzati, che hanno da tempo concluso la prima transizione (cioè il passaggio da un regime di alta mortalità e alta fecondità a uno dove entrambe sono basse), ne sono pienamente investiti in conseguenza di una diffusa eterogeneità nei percorsi familiari – perdita della centralità del matrimonio, ridefinizione del ruolo delle donne, unioni omosessuali, accentuata instabilità coniugale, incremento dei single – guidata da cambiamenti valoriali di tipo “postmoderno” che promuovono l’individualismo (Roberto Impicciatore). Così, i genitori di oggi, sempre di meno e più avanti con l’età, generano le poche nascite attuali, in una spirale che rischia di autoalimentarsi (Letizia Mencarini) e, a lungo andare, di condurre a una vera e propria “rivoluzione geodemografica”. Se si pensa che, secondo stime recenti, nel 2050 l’elenco dei 10 Paesi più popolosi ne includerà ben tre africani e nessuno europeo, si comprende facilmente in quale direzione si orienteranno gli assetti geopolitici globali, soprattutto se le dotazioni di tecnologia, privilegio del mondo ricco, si trasferiranno a quello povero (Massimo Livi Bacci – Gustavo De Santis). Guardando all’Italia, la pandemia di Covid-19 ha esacerbato tali dinamiche, diminuendo ulteriormente la fecondità (Viviana Egidi), aggravando la precarietà del lavoro, l’instabilità economica, sociale e politica e altresì causando un crollo dei flussi migratori, risorsa della quale il Paese non può fare a meno (Corrado Bonifazi; Cinzia Conti). In questo quadro di estrema incertezza, invertire la rotta è ancora possibile e la sfida per i governi è di assecondare le trasformazioni demografiche in atto: garantendo il giusto equilibrio tra desideri individuali e valore collettivo; assicurando alle famiglie – nelle varie accezioni oggi esistenti – supporto materiale di breve periodo e prospettive di sicurezza a lungo termine (Alessandro Rosina); favorendo la conciliazione tra maternità, lavoro e carriera a partire dalla diffusione di una “cultura di genere” a tutti i livelli dell’agire sociale (Maria Letizia Tanturri); sostenendo in modo consapevole gli sviluppi scientifici ed etici legati ai concetti di “inizio” e “fine” vita (Elena Pirani); investendo maggiormente nella qualità del capitale umano per compensarne il declino numerico (Gustavo De Santis); cogliendo i benefici della transizione digitale (Andrea Brandolini) ed ecologica quali fattori propulsivi di uno sviluppo sostenibile a fronte di una sempre più spinta urbanizzazione e di un vorticoso aumento delle cosiddette megacittà, altamente energivore e produttrici di inquinamento (Bruno Carli; Salvatore Strozza – Federico Benassi; Massimo Livi Bacci). Considerazioni a parte meritano quei Paesi ancora nella fase iniziale della prima transizione demografica, come quelli dell’Africa subsahariana ove, in un contesto di grave povertà, di scarse disponibilità di cibo e acqua, la gestione della crescita demografica (2,1 miliardi di abitanti stimati entro la metà di questo secolo) e lo sfruttamento responsabile e resiliente delle risorse naturali appaiono, francamente, obiettivi irrealistici e irraggiungibili senza un intervento strutturato delle grandi potenze economiche mondiali, scevro da interessi di parte (Giorgio Federici; Patrizia Farina). Con tali riflessioni si conclude la prima parte del volume. A seguire, arricchiscono la lettura: una prolusione tenuta lo scorso marzo da Umberto Gori per l’apertura dei lavori della XIV edizione della Cyber Warfare Conference; un confronto critico, proposto da Luigi Loreto, tra intelligence e storiografia, discipline apparentemente lontane sul piano epistemologico eppure, come vedremo, molto affini; il secondo reportage di Luca Goldoni, questa volta direttamente da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967; il ritratto biografico di Ian Fleming, nuovo appuntamento sui grandi scrittori di spionaggio della storia a firma di Paolo Bertinetti; le consuete rubriche di intrattenimento sulla rappresentazione dell’intelligence nella fumettistica e nel cinema, curate, rispettivamente, dal duo Giuseppe Pollicelli – Daniele Bevilacqua, autori di un interessante parallelo tra Diabolik e James Bond, fenomeni intramontabili della culturale popolare moderna, e da Elisa Battistini, che ci porta a scoprire le gesta della spia Anna.

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